• Non ci sono risultati.

I Neri di Mussolini. Repubblica Sociale e violenza fascista in Lucchesia, 1943-1944.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "I Neri di Mussolini. Repubblica Sociale e violenza fascista in Lucchesia, 1943-1944."

Copied!
109
0
0

Testo completo

(1)

Università degli Studi di Pisa

Dipartimento di Civiltà e Forme del sapere

Corso di Laurea in Storia e Civiltà

Tesi di Laurea Magistrale

I Neri di Mussolini.

Repubblica Sociale e violenza fascista in Lucchesia,

1943-1944.

Relatore: Prof. Gianluca Fulvetti Candidato: Edoardo Longo

(2)

«L’autunno volgeva verso il tramonto, con la sua andatura svogliata e stanca,

gli alberi non avevano più fronde, la terra e le pietre puzzavano di sangue umano rappreso. Soffiava di tanto in tanto un vento di libeccio che induriva le ciglia, e pioveva,

pioveva sui morti e sui vivi, pioveva sulla repubblica e sui tedeschi». S. Ruinas

«Poi arrivò la brigata nera Lucca. Udimmo quel canto e uscimmo in strada ad aspettare, tendendo le orecchie: giungeva crescendo nel silenzio della città, da corso Venezia attraverso le vie deserte, come un richiamo, qualcosa di inatteso che tornava. Li aspettammo trepidanti nella strada sgombra, le armi in mano.

La prima macchina apparve in cima al crocevia di San Damiano e avanzò lenta verso di noi: il nero fitto delle uniformi, le canne brunite dei fucili che spuntavano dalle sponde, e la fiamma col teschio d’argento appesa all’asta. Come una vecchia oleografia: l’ultima spedizione. Le voci accanite graffiarono le chiuse facciate dei palazzi della strada stretta, tentarono le alte finestre sbarrate. Vecchi autocarri con le balestre appiattite seguivano stracolmi di uomini e di bagaglio: uno, due...Poi un paio di macchine...Un altro camion, una goffa autoblindo. Stringevano le distanze e si accostavano al marciapiede. Per ogni macchina che si fermava, grida di saluto e il canto che si affievoliva e si slegava, per riaccendersi di colpo all’arrivo della successiva. Aspettavamo ancora con gli occhi fissi lassù, ma il crocevia era nuovamente deserto. Era tutto. Gli ultimi 18BL partiti ventritré anni prima». C. Mazzantini

(3)

Abbreviazioni

Isrec: Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Lucca Ascc: Archivio storico comune di Camaiore

RSI: Repubblica sociale italiana

GNR: Guardia nazionale Repubblicana BN: Brigata nera

MVSN: Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale UPI: Ufficio Politico Investigativo

X Mas: Decima flottiglia Mas PNF: Partito Nazionale Fascista PFR: Partito Fascista Repubblicano

CLN: Comitato di Liberazione Nazionale

(4)

Indice

Premessa p. 5

Problematiche legate allo studio dell’ultimo fascismo p. 8

Capitolo I

1. La nascita della RSI ed i tentativi di edificazione statale p. 13 2. Le diverse anime di Salò p. 28

• Combattenti p. 29 • Politici p. 33

• Amministratori p. 37 • Socializzatori p. 38

3. La militarizzazione del partito e la nascita delle Brigate Nere p. 41 4. La violenza fascista p. 47

Capitolo II

1. La Repubblica Sociale Lucchesia p. 58 2. La violenza repubblicana in provincia p. 68

• Prima fase: una violenza legalizzata p. 69 • Seconda fase: arrivano i neri p. 73

• La XXXVI p. 75

• Spalla destra dei tedeschi p. 79

• Una violenza impulsiva e sanguinaria p. 83

Capitolo III

1. La resa dei conti p. 89 2. Una giustizia mancata p. 92 Conclusioni p. 94

Membri della XXXVI Brigata Nera p. 99 Bibliografia p. 106

(5)

Premessa

Durante i miei anni di università sono venuto a conoscenza della XXXVI BN

“Mussolini”di Lucca. In questa unità che ebbe il primato di esser la prima Brigata Nera

d'Italia ad esser formata, ancora prima del varo del decreto istitutivo del corpo, si arruolarono come volontari numerosi miei concittadini di Viareggio e molti abitanti dei paesi ad esso limitrofi. Questi militi si macchiarono di crimini e sevizie particolarmente efferate durante il loro periodo di attività. La cosa che mi ha colpito maggiormente è stata però la brutalità delle azioni che misero in scena nel loro stesso territorio di provenienza dove, sfruttando la conoscenza del luogo, ottennero un risultato ancora più distruttivo. Non solo furono tedofori di violenze estreme ma, molti di loro, parteciparono attivamente a tutta l’epopea dei seicento giorni di Salò. Dopo l’arrivo del fronte sulla linea Gotica transitarono in Emilia ed in Piemonte caratterizzando, anche qui, la loro presenza con rappresaglie di ogni genere. Durante i giorni dell’Insurrezione Generale si raggrupparono insieme ad altri corpi fascisti a Milano da cui partirono, assieme al Ministro Pavolini, incolonnati in direzione della ridotta repubblicana della Valtellina che però non raggiunsero mai: finirono la loro peregrinazione accerchiati dalle forze partigiane, sparando le loro ultime raffiche lungo il lago di Como, poco dopo il paese di Musso.

Abituato a considerare il mio circondario di provenienza come terra di antifascismo dove le tradizioni anarchiche e libertarie della marineria e della cantieristica si fondevano con la giornate rosse del maggio 1920, che sfociarono con la nascita dell’effimera Repubblica viareggina, e con la morte di Nieri e Paolini a Piazza Grande a Viareggio, ammazzati a colpi di pistola dai fascisti nel 1921, la presenza di questi “neri” versiliesi mi pareva quasi un ossimoro; da ciò nacque il mio interesse a studiare la presenza della RSI in Versilia.

La tesi avrebbe dovuto inizialmente approfondire proprio il periodo repubblicano sul territorio litoraneo ma, ben presto, mi sono reso conto dell’impossibilità di analizzare in maniera corretta questo contesto: il materiale prodotto dei funzionari repubblicani della zona risulta estremamente scarso in quanto l’intero settore fu direttamente controllato e gestito dalle truppe del Reich considerata l’importanza strategica del settore, la presenza in loco del Balipedio della Regia Marina e di numerosi cantieri navali militarizzati. Il settore del litorale fu inoltre sgomberato nell’aprile 1944 in vista di un possibile sbarco alleato, producendo in questo modo il trasferimento degli abitanti e degli uffici amministrativi nella zona a ridosso delle colline ed in Garfagnana. Il materiale relativo a Viareggio figura essere inoltre altamente difficile da consultare in quanto l’archivio storico del comune non è accessibile agli studiosi a causa di condizioni deficitarie.

Considerate queste impossibilità ho deciso di analizzare come i fascisti salodiani della provincia utilizzarono lo strumento della coercizione e della violenza sui resistenti e sulla

(6)

popolazione stessa. Partendo dall’opera di Giuseppe Pardini, Gli italiani siamo noi. Guerra,

Repubblica Sociale e Resistenza in provincia di Lucca (1940-1945)1, ho scelto di riprendere il tema della brutalità salodiana, piuttosto trascurato dall’autore e non trattato, a mio avviso, in maniera accurata e con le giuste chiavi di lettura, al fine di approfondirlo e mostrare come l’utilizzo del pugno di ferro da parte dei rappresentanti repubblicani in provincia rientrasse all'interno di un piano orientato alla stroncatura di qualsiasi forma di dissenso nei confronti della Repubblica di Salò, trascurando appieno l’effetto che tale politica avrebbe potuto avere nei confronti della popolazione civile.

La violenza repubblicana fu ulteriormente esasperata dal manifestarsi sul territorio provinciale della guerra civile dalla quale scaturirono caratterizzazioni e modalità frutto dello stesso contesto locale nel quale avvennero queste violenze. L’avvicinarsi continuo della linea del fronte al territorio contribuì inoltre ad incrementare le crudeltà dei fascisti: in vista del loro prossimo esodo dalla Lucchesia, i repubblicani decisero infatti di lasciare un indelebile e crudele segno del loro passaggio su una popolazione ormai ritenuta, dopo 12 mesi di Repubblica in zona, connivente con il movimento resistenziale.

Per la ricostruzione di questi episodi di violenza mi sono servito delle carte inerenti ai processi dei brigatisti neri e degli ex fascisti repubblicani lucchesi conservate presso l’archivio dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Lucca2. Ho

inoltre utilizzato, al fine di poter meglio analizzare i movimenti e l’operato delle truppe nazifasciste in Lucchesia, l’ottimo database fornito dell’Atlante delle Stragi Naziste e

Fasciste in Italia3, frutto del contributo di numerosi studiosi, dell’istituto nazionale Ferruccio

Parri, dell’ANPI e finanziato tramite il fondo italo-tedesco per il futuro. Molta documentazione legata alle uccisione avvenute nei territori del camaiorese è stata rintracciata presso l’archivio storico comunale di Camaiore. I giornali ed i periodici utilizzati all’interno della tesi sono stati tutti invece consultati presso l’emeroteca della Biblioteca statale di Lucca. I notiziari giornalieri della Guardia Nazionale Repubblicana sono stati rinvenuti sul database dei Notiziari GNR della Fondazione Luigi Micheletti4.

Il lavoro di ricerca è organizzato in tre capitoli principali divisi in paragrafi preceduti da un breve excursus dove vengo illustrate le problematiche legate allo studio della Repubblica Sociale italiana ed il perché sia entrata soltanto recentemente negli argomenti di studio dei ricercatori, passando da tabù ad argomento necessario di analisi storica. Il primo capitolo, basandosi sugli autorevoli studi di Luigi Ganapini e di altri specialisti, fornisce una cornice storica della genesi salodiana e mira ad offrire un’analisi di coloro che scelsero al tempo di 1 G. Pardini, Gli italiani siamo noi. Guerra, Repubblica Sociale e Resistenza in provincia di Lucca

(1940-1945),

Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2012.

2 http://www.isreclucca.it/ 3 http://www.straginazifasciste.it/

(7)

aderire alla Repubblica e di lottare per essa. All’interno di questa sezione viene inoltre illustrata ad approfondita la militarizzazione del partito, offrendo delle chiavi di lettura per comprendere l’utilizzo e la tipologia di violenza che caratterizzarono la parentesi salodiana. Il secondo capitolo, utilizzando gli strumenti d’indagine illustrati nella prima sezione, espone la realtà della provincia di Lucca dall’Armistizio del settembre 1943 fino all’avvento di Utimpergher e alla nascita della XXXVI BN provinciale. I paragrafi successivi mostrano i vari elementi di coercizione utilizzati dai rappresentati salodiani al fine di piegare qualsiasi tipologia di opposizione alla Repubblica sul territorio. Il terzo capitolo narra la vicende giudiziarie ed illustra i capi d’accusa nei confronti degli ex fascisti repubblicani che operarono in provincia.

(8)

Problematiche legate allo studio dell'ultimo fascismo

Per molti lunghi anni lo studio della Repubblica Sociale italiana, e di quello che era stata per i suoi seicento giorni di vita, era stato oscurato e messo da parte dallo studio del fenomeno resistenziale: nel corso degli anni infatti, la quasi totalità delle analisi incentrate su questo periodo si sono interessate alla genesi e allo sviluppo della lotta armata contro il governo salodiano; lo studio della RSI rimase invece prerogativa dei nostalgici o degli uomini che avevano fatto parte del complesso militare o ministeriale del governo di Gargnano5.

A cosa era dovuta questa trascuratezza da parte degli studiosi e dei ricercatori? La Repubblica Sociale compariva nei testi storici del secondo dopoguerra ma non ne era protagonista, era semplicemente un simulacro di quello che era stato6, un castello di carta

tenuto su dalle baionette tedesche. A livello storiografico la situazione non era molto rosea: l'unico testo riguardante la Repubblica sociale, nel suo insieme, si era avuto nel 19777, grazie

all'operato di un ex partigiano, Giorgio Bocca.

Tralasciando il problema delle fonti da utilizzare per la ricostruzione del fenomeno della Repubblica, l'elemento di fondo che stava alla base di questa “volontà di trascurare” l'esperimento dell'ultimo fascismo era la forte presa di posizione della Resistenza nei confronti di Salò. Lo scontro era stato così furioso, nel biennio 1943-1945, che si era arrivati a deumanizzare l'avversario8, non si facevano distinzioni al suo interno: era un nemico

indistinto ed assoluto da combattere senza quartiere.

C'era inoltre il timore che studiandolo si potesse mettere in moto un qualche, e non ben definito, fenomeno di legittimazione; cosa che l'antifascismo era, nel modo più assoluto, intenzionato a non fare. A ciò può essere inoltre affiancato il disappunto di vedere seduti in Parlamento, elemento democratico per antonomasia, e a distanza di pochi anni dalla fine del conflitto, numerosi fascisti di Salò. Enzo Collotti scrive, analizzando questo fenomeno, che:

«così come era stato ovvio che la Resistenza combattesse la RSI, sembrava ovvio che ora la storiografia antifascista non ne facesse oggetto delle proprie ricerche […] come se quella storia non ci appartenesse, come se si potesse dissociare la storia d'Italia nella sua parte buona e nella sua parte cattiva9.

5 Tra le opere di questo genere possiamo ricordare, per esempio, gli scritti dell'ex ministro delle forze armate

di Salò Rodolfo Graziani, quelli del giornalista Giorgio Pisanò, Gli ultimi in grigioverde. Storia delle forze armate della Repubblica Sociale Italiana, e l’opera di memorialistica di Adriano Bolzoni, La guerra dei

neri.

6 S. Bugiardini, Violenza, tragedia e memoria della Repubblica sociale italiana, Roma, Carocci, 2006, p. 15. 7 La repubblica di Mussolini, l'obiettivo del testo era quello di fornire un’immagine cronologica e ben

illustrata della genesi e dello sviluppo della RSI. Come fonti furono utilizzate le opere di memorialistica e la letterature esistenti al momento. Cfr. Bugiardini, Violenza, tragedia e memoria della Repubblica sociale italiana, cit., p. 23.

8 Lo stesso fenomeno si era avuto nelle fila fasciste nei confronti del movimento di liberazione. 9 Bugiardini, Violenza, tragedia e memoria della Repubblica sociale italiana, cit., p. 16.

(9)

Questo impasse storiografico fu fortunatamente rimesso in discussione nella seconda metà degli anni ottanta dall'arrivo di nuovi metodi interpretativi. All'interno delle altre nazioni europee erano stati portati avanti infatti numerosi studi sul fenomeno del collaborazionismo a favore del regime hitleriano. Questo nuovo interesse comportò nel contesto italiano un ripensamento degli studi inerenti alla Repubblica Sociale. Grazie ad alcuni convegni tra studiosi avvenuti nella seconda metà degli anni ottanta10 si fece strada, all'interno degli istituti

storici della Resistenza, l'idea che lo stato salodiano dovesse esser studiato in autonomia, senza ricorrere ai pregiudizi creati dalla Resistenza e all'idea di uno stato fantoccio privo di poteri decisionali ed in mano all'occupante tedesco. L'apertura degli studi inerenti all'analisi dell'ultimo fascismo fu frutto di un nuovo dibattito in seno al filone resistenziale: si stava iniziando a palesare infatti l'opinione, anche all'interno del gruppo antifascista, che la guerra combattuta tra il settembre 1943 e l'aprile 1945 fosse da considerarsi come una vera e propria guerra civile. Questa definizione non era un'idea nuova in quanto irreprensibili protagonisti della guerra contro il nazifascismo11 l’avevano già usata nei primi anni del dopoguerra. Gli

stessi fascisti sconfitti avevano costantemente utilizzato questo termine al fine di legittimare la loro esperienza militare sotto le insegne di Salò.

All'interno del antifascismo italiano c'era il timore che il solo parlare di quello che era stata la Repubblica di Salò potesse in qualche modo legittimarla agli occhi del pubblico e dei posteri. Durante la guerra di Liberazione si era assistito, all'interno delle due fazioni in lotta, ad un processo di disconoscimento reciproco poiché entrambe le parti si sentivano di rappresentare l'Italia legittima. In questi episodi caratterizzati dallo scontro tra concittadini non c'era stata altra soluzione che quella di caricare la figura dell'avversario di tutte le caratteristiche negative, di mostrarlo come un’accozzaglia di venduti alla causa dello straniero. L’intento di fondo era quello di bandire gli avversari dalla comunità nazionale: «i fascisti avevano sempre chiamato “antinazionali” i loro avversari; e questi li hanno ricambiati espellendoli in idea – almeno quelli della RSI – dalla storia dell'Italia, se non addirittura dall'umanità12». Come sintomatici di questa concezione possono essere indicati, per esempio,

il libro di Elio Vittorini pubblicato nel giugno 1945 e dall'indicativo titolo Uomini e no ed il colloquio intercorso tra un ufficiale americano ed un abitante di Castelnuovo Garfagnana: alle 10 I convegni a cui si fa riferimento sono quello di Belluno del 1988, organizzato dall'Istituto Storico Bellunese

della Resistenza e dell'Età Contemporanea, e quello della Fondazione Micheletti di Brescia del 1985. Grazie all'operato di questi due enti e alla pubblicazione, per la prima volta, dei rapporti della GNR ad opera dell'associazione bresciana fu possibile ottenere nuovi parametri storiografici da utilizzare nell'analisi della Repubblica Sociale e ridare vigore agli studi inerenti ad essa. La RSI fu osservata così sotto una nuova luce: si fece strada l'idea che si potesse studiare Salò nelle sue peculiarità abbandonando la raffigurazione di mero stato fantoccio fino a quel momento utilizzata.

11 Tra questi possiamo citare Emilio Sereni, che al primo congresso del CLN di Milano (6 agosto 1945) aveva

parlato ripetutamente dei «due anni di guerra civile» dai quali era appena uscito il paese, e Carlo Galante Garrone, che nel 1947, dalle pagine del mensile “Il Ponte” affermava che si era appena finita di consumare una «una sanguinosa guerra civile». CFR C. Pavone, Una guerra civile – saggio storico sulla moralità della Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 221.

(10)

domande del graduato, desideroso di sapere se in zona ci fossero ancora truppe germaniche, l'anziano rispose: «né tedeschi, né italiani», subito dopo desiderò però correggersi aggiungendo «né tedeschi, né fascisti repubblicani. Gli italiani siamo noi13».

Come detto in precedenza però, verso la metà degli anni ottanta incominciarono a svilupparsi nuovi criteri di approccio che provocarono una sorta di revisione storiografica della RSI. Il metodo di analisi storiografica raggiunse un nuovo livello grazie al libro dello storico Claudio Pavone14 edito nel 1991. Questo fu il primo testo ad affrontare, a livello

accademico, lo scontro tra Resistenza e Repubblica sociale con una nuova idea di base: quella che si trattasse di una vera e propria guerra civile combattuta tra italiani. Pavone rafforzò il carattere scientifico di questo periodo: nel biennio di scontri non vide semplicemente una guerra contro l'invasore, di carattere patriottico, ma anche una guerra civile ed una lotta di classe. Si occupò anche della violenza perpetrata dai repubblicani ma non seguì il filone principale caratterizzato da una brutalità cieca e frutto del gene diabolico del fascismo; cercò invece di delinearne le caratteristiche e le peculiarità. Fu tra i primi studiosi a rivedere negli eccidi e nelle torture inflitte dai fascisti il modus operandi appreso dai soldati italiani durante la guerra coloniale in Etiopia e le operazioni di contro-guerriglia svolte contro i partigiani jugoslavi.

Ovviamente questi concetti non erano nuovi ma si erano ripetutamente manifestati anche durante il periodo della Resistenza e nel primo dopoguerra; non erano però riusciti ad entrare all'interno del paradigma antifascista e non erano mai stati utilizzati come strumenti interpretativi. Tutto ciò fu frutto, da una parte, di motivi prettamente politici15, mentre

dell'altra, c'era stato il timore che la categoria della guerra civile potesse appiattire, e per un certo verso semplificare, ciò che era stata la guerra di Liberazione per i partiti antifascisti. Alla base di questa volontà di trascendere continuava ovviamente a risiedere la paura di legittimare in qualche modo Salò e la sua eredità trascurando il fatto che «la legittimità di quest'ultima [della RSI] non derivasse di fatto dall'effettività della sua esistenza e della sua operosità nel corso dei venti mesi dell'occupazione16».

Grazie allo storico romano si comprese, all'interno dell'ambiente accademico, che non era nemmeno possibile studiare il fenomeno resistenziale senza analizzare anche la sua contemporanea controparte: fondamentalmente il nuovo approccio per lo studiò di Salò fu conseguenziale ad un nuovo dibattito in seno alla Resistenza.

A questa nuova stagione di studi parteciparono numerosi storici tra cui possiamo ricordare Luigi Ganapini, Nicola Adducci, Dianella Gagliani e Lutz Klinkhammer. Fu merito 13 Gazzetta del Serchio, 25/04/1945.

14 Una guerra civile, saggio storico sulla moralità della Resistenza.

15 Qui ci si riferisce all’ingresso, a partire dell’aprile 1948, dei deputati dell’MSI all’interno del parlamento

repubblicano.

(11)

dell’operato di quest'ultimo se gli studi sull'ultimo fascismo presero nuovo vigore: lo storico tedesco, interessato all'analisi della RSI, coniò infatti all'interno della sua opera

L'occupazione tedesca in Italia: 1943-1945 (1993)17 una nuova immagine dello Stato

fascista, quella dell' “alleato – occupato”. Salò venne visto, da una parte, un mediatore tra tedeschi e popolazione italiana ma, allo stesso tempo, venne considerato anche capace di un ruolo attivo e in possesso di una libertà assente negli altri stati fantocci edificati durante il secondo conflitto mondiale dal Reich. Gli studi successivi approfondirono la figura di Mussolini e demolirono l'immagine di un Duce vittima degli estremisti fascisti, intenzionato a mettere al riparo la popolazione civile dalla furia teutonica. Questa raffigurazione era stata portata avanti per decenni dai memorialisti e dagli ex uomini di Salò, Pisanò in primis, e fu smantellata dalle opere di Luigi Ganapini18 e di Dianella Gagliani19 che mostrarono come

Mussolini fosse interessato a svolgere un ruolo attivo all'interno della guerra civile in atto e che estremista fosse anche lui, non soltanto il suo entourage 20. Da questi studi emerse

un’immagine dell'uomo di Predappio intenzionato a “rifascistizzare” l'Italia e ben conscio che l'unica via che avesse davanti per poter rimanere al potere fosse quella dell'intransigenza.

Un ulteriore sviluppo in seno alla storiografia sulla RSI fu quello di spostare il focus da Mussolini, senza però renderlo un elemento periferico, agli uomini che contribuirono a tenere in piedi il governo di Gargnano. Questa comunità, apparentemente “amorfa” ma rappresentante allo stesso tempo le tipologie di persone che avevano aderito alla Repubblica, fu analizzata e vagliata , per la prima volta in maniera integrale, da Luigi Ganapini all'interno della sua opera La repubblica delle camicie nere (1999). Partendo dall'Armistizio del 8 settembre, lo studioso mostrò come ogni italiano del tempo dovette in quei giorni porsi un vero e proprio interrogativo morale: era doveroso o meno rispondere agli appelli, prima dei fedelissimi del Duce poi dello stesso Mussolini, provenienti dalla Germania? Era giusto continuare la guerra a fianco di colui che era stato il nostro alleato fino al giorno prima? Ganapini, basandosi su un poderoso lavoro di archivio, partì scomponendo la galassia di coloro che aderirono, per uno o molteplici motivi, al richiamo del nuovo governo

17 L. Klinkhammer, L'occupazione tedesca in Italia: 1943-1945, Torino, Bollati Boringhieri, 1993.

18 L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere. I combattenti, i politici, gli amministratori, i socializzatori,

Milano, Garzanti, 1999.

19 D. Gagliani, Brigate Nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Torino, Bollati

Boringhieri, 1999.

20 Dai Testi di Ganapini e di Gagliani viene fuori un ritratto di un Mussolini molto attivo, desideroso di

rimboccarsi le maniche e con le idee molto chiare su ciò che potesse esser utile per la vittoria della Repubblica Sociale. Dal lavoro dei due storici si manifesta una rappresentazione del Duce molto simile a quella fatta da un testimone nel 1924, periodo in cui il fascismo si stava affermando e rafforzando all'interno delle istituzioni liberali: «lo spirito di Mussolini è sempre stato così: amante dell'azione, ma con termini ben determinati innanzi a sé. Lascia poco posto al “caso”. Idealizza l'azione; ma vuole mete precise. […] Mussolini non è mai stato un “pazzo”, come lo giudicavano i più, ma un “uomo d'azione” e, aggiungo, dall'azione ben ponderata [corsivo mio]». N. Maiale, In fiamme, violenza politica in Italia dalla Belle

(12)

repubblicano riuscendo a suddividere gli aderenti in quattro categorie: i combattenti, i politici, gli amministratori ed i socializzatori.

Con questo lavorò Ganapini riuscì a levare quella specie di velo che si era frapposto tra gli studiosi e Salò e che aveva impedito di analizzare oggettivamente il perché migliaia di italiani avessero aderito alla chiamata; fino a quel momento, a seguito anche dei motivi esposti precedentemente, si era preferito leggere il tutto riducendolo alla violenza di pochi furiosi fascisti servi dell'occupante tedesco. Adoperando invece questa visione ci si rese conto di come le motivazioni furono varie e non sempre così facilmente riconducibili alla brutalità intrinseca al movimento fascista.

Altra pietra miliare dei recenti sviluppi sullo studio della RSI può essere vista nel libro di Dianella Gagliani, già precedentemente citato. Qui la studiosa demolisce l'immagine di un Mussolini martire, preda degli estremismi di Pavolini e di Farinacci, mostrando come sia stato egli stesso un oltranzista disposto ad utilizzare qualsiasi mezzo per far trionfare la sua causa. Analizzando la crisi amministrativa e militare vissuta dalla Repubblica Sociale durante l'estate del 1944, la Gagliani arriva a delineare quattro gruppi all'interno di Salò, caratterizzati in quel momento da forti aspettative e grandi delusioni. Questi gruppi sono molto simili a quelli individuati da Ganapini e denotano ulteriormente come Salò non fosse stato un semplice monolite ma più un crogiolo di visioni ed interpretazioni. All'interno del governo repubblicano vissero, allo stesso tempo, gli squadristi interessati ad un potenziamento del partito all’interno dello Stato, i rinnovatori intenzionati a svecchiare il movimento fascista eliminando tutta quella componente umana che aveva fatto fallire la tanto propagandata rivoluzione, i sindacalisti-socializzatori desiderosi di mettere in pratica il programma di Verona ed i suoi punti inerenti al sindacato unico e alla socializzazione dell'economia, e, per ultima, la componente dei nazionalisti interessati invece all'affermazione di uno Stato forte, capace di legiferare, di far rispettare l'ordine pubblico e di combattere in maniera autonoma il movimento resistenziale.

Da questi breve excursus storiografico possiamo renderci conto di come si sia evoluto, nel corso di quasi mezzo secolo, il metodo di studio inerente all'ultimo fascismo. Da una ferma opposizione, secondo la quale era addirittura proibito parlarne per paura di legittimarlo in qualche modo, si è passati ad una sua vera e propria scomposizione delle sue parti. Prima di analizzare questo composto e di studiarne gli “atomi” che lo composero è utile partire dalla sua formazione e dalle mutazioni che avvennero al suo interno durante i suoi venti mesi di vita.

(13)

Capitolo I

1. La nascita della RSI e i tentativi di edificazione statale

A quando possiamo datare la nascita dell'ultimo fascismo? Già dal 9 settembre 1943 i gerarchi fascisti rifugiatisi in Germania dopo il tracollo del 25 luglio21, iniziarono ad

enunciare proclami inerenti alla continuazione della guerra a fianco dell'alleato teutonico e professioni di fede di carattere combattentistiche, il tutto unito a frasi e motti incentrati a mostrare il tradimento perpetrato dal Re e dal maresciallo Badoglio. Fino al 12 settembre però, data della liberazione di Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso ad opera dei tedeschi, non era stato ancora creato un vero e proprio governo ma si erano soltanto susseguite una serie di ipotesi e congetture su una sua ancora ipotetica formazione; i tedeschi non avevano ancora trovato infatti un personaggio capace di fornire loro sufficienti garanzie di affidabilità.

Con il ritorno di Mussolini però le cose cambiarono: Hitler vide nel suo vecchio alleato la possibile chiave di volta per la creazione di un nuovo governo italiano capace, se non di partecipare attivamente, almeno di assisterlo nella continuazione delle attività belliche. Dopo una serie di colloqui tenutisi a Monaco di Baviera tra il Duce e il Führer, Mussolini decise di riprendere in mano le redini del nuovo governo. Il 15 settembre iniziarono ad essere emanate le prime direttive governative tra la quale quella inerente alla riapertura delle sezioni del fascio. Mussolini annunciò ufficialmente la nascita del nuovo governo fascista da Radio Monaco la sera del 18 settembre:

Camicie nere, italiani e italiane, dopo un lungo silenzio ecco che arriva a voi la mia voce e sono sicuro che la riconoscerete; è la voce che vi ha chiamato a raccolta nei momenti difficili e che ha celebrato con voi le giornate trionfali della patria. Lo stato che uscirà dall'immane travaglio sarà il vostro e come tale lo difenderete contro chiunque sogni ritorni impossibili. La nostra volontà, il nostro coraggio e la nostra fede ridaranno all'Italia il suo volto, il suo avvenire, le sue possibilità di vita e il suo posto nel mondo».

Nell'annuncio appena citato si faceva inoltre particolarmente forza sul carattere e sul

background che avrebbe avuto questa nuova formazione governativa: fu rispolverato il

programma dei fasci di combattimento del 1919 e vennero esaltate le origini repubblicane e sociali del fascismo delle origini; «lo stato che noi vogliamo instaurare sarà nazionale e sociale nel senso più lato della parola: sarà fascista nel senso delle nostre origini22».

21 Tra questi si trovavano Vittorio Mussolini, l'ex ministro delle Corporazioni Renato Ricci, l'ex ministro

dell'Agricoltura Giuseppe Tassinari, l'ex ministro della Cultura Popolare Alessandro Pavolini, l'ex

sottosegretario agli interni Guido Buffarini Guidi, il giornalista Giovanni Preziosi e l'ex segretario del PNF Roberto Farinacci.

22 Il carattere sociale di questo discorso radiofonico può essere ulteriormente notato nell'appello finale fatto da

Mussolini. Il Duce richiama gli italiani al lavoro e al servizio militare, appellandosi ad essi attraverso le categorie lavorative e sociali: « Voi squadristi, ricostruite i vostri battaglioni […], voi giovani fascisti, inquadratevi nelle divisioni […], voi, aviatori, tornate accanto ai vostri camerati tedeschi […], voi, donne

(14)

Il primo consiglio dei ministri del nuovo governo fascista si tenne il 28 settembre presso la Rocca delle Caminate. Durante questa seduta furono annunciate le varie presidenze dei dicasteri ministeriali, tutti affidati a fedelissimi di Mussolini: Buffarini Guidi23 agli Interni,

Graziani24 alla Difesa, Biggini25 all'Educazione e Mezzasoma26 alla Cultura popolare.

Altro elemento alla base dal fascismo repubblicano era inoltre quello di volere chiudere con il fascismo precedente e con il suo vecchio sistema: la parola d'ordine era quella di evitare ulteriori tradimenti, anche all'interno del discorso di Radio Monaco del 18 settembre questo elemento emergeva con forza27. Il pugno di ferro sarebbe stato utilizzato contro tutti i nemici,

sia quelli esterni sia, soprattutto, contro quelli interni; se il 25 luglio il fascismo si era sciolto come neve al sole, senza nessun tentativo di resistenza, i repubblicani erano ora più che mai decisi a non farsi trovare nuovamente impreparati, questa volta sarebbero andati fino in fondo: «la ghigliottina ha salvato la rivoluzione francese, il plotone d'esecuzione salverà quella fascista»28.

Come si sarebbe potuto reggere però uno Stato in guerra come quello della RSI senza un proprio esercito? La paura maggiore di Mussolini era quella di passare come un Quisling in salsa mediterranea. Aveva già dovuto accettare la volontà tedesca di non insediare il nuovo governo a Roma, ritenuta troppo lontana dal Reich e troppo vicina al fronte meridionale; dovette invece distribuire i nuovi dicasteri lungo le sponde del lago di Garda.

Il Duce si era mosso fin dal 18 settembre per favorire la creazione di una milizia, sull'esempio della vecchia MVSN, composta da fascisti di fede provata e costituita su base locale che prese il nome, almeno inizialmente, di Polizia federale. Per quanto invece concerneva la creazione di un vero e proprio apparato militare la situazione era molto più complicata. I tedeschi, dopo le vicende dell'8 settembre 1943, non erano molto propensi a favorire la creazione di un nuovo esercito italiano sul quale non avrebbero potuto porre particolare fiducia; lo stesso Hilter definiva le relazioni con l'Italia «in seguito agli che uscirà dall'immane travaglio sarà il vostro e come tale lo difenderete contro chiunque sogni ritorni impossibili.»

23 (1897-1945), sottosegretario del Ministero dell’interno durante il Ventennio per circa dieci anni. Si dimise

dalla carica nel febbraio 1943 rimanendo, grazie ad una dispensa del Duce, membro del Gran Consiglio del fascismo.

24 (1882-1955), dopo aver partecipato alla Prima Guerra Mondiale condusse le operazioni di pacificazione nei

territori della Cirenaica e della Tripolitania. Partecipò alla conquista di Etiopia diventandone viceré alla fine delle ostilità. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale diresse le operazioni in Africa Settentrionale ma, a seguito della sua cattiva direzione militare, fu messo a riposo.

25 (1902-1945), Consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, rettore dell’Università di

Pisa nel 1941, fu eletto Ministro dell’Educazione Nazionale nel 1943.

26 (1907-1945) Dopo una carriera all’interno del Gruppo Universitario Fascista fu eletto vicesegretario

nazionale del PNF nel 1939 ed entrò a far parte della Camera dei Fasci e delle Corporazioni.

27 «Sono ora più che mai convinto che casa Savoia ha voluto, preparato, organizzato anche nei minimi dettagli

il colpo di stato, complice ed esecutore Badoglio, complici taluni generali imbelli ed imboscati e taluni invigliacchiti elementi del fascismo»

(15)

avvenimenti dello scorso settembre, […] molto difficili […] organizzare reparti militari italiani, richiederebbe quindi la massima cautela e vigilanza»29.

La volontà di avere un efficace braccio armato era, nonostante le opposizioni tedesche, molto forte all'interno dell'RSI e arrivò a comportare una vera e propria crisi all'interno nell'entourage salodiano. Questo desiderio di costituire una proprio esercito rappresentava la stessa sovranità e la legittimità ad esistere del nuovo Stato, era sentito così fortemente da rappresentare «il problema dei problemi30» per lo stesso Mussolini.

Sul problema dell'edificazione di una forza armata si affrontarono due protagonisti della nuova formazione governativa con concezioni di base diametralmente opposte: da una parte il ministro della Difesa Graziani, desideroso di creare un vero e proprio esercito nazionale, regolare e apolitico31, e dall'altra Ricci32, comandante della nuova Milizia e sostenitore di un

arruolamento di carattere schiettamente volontario e politico. Graziani voleva, mediante un esercito regolare, ridare legittimità alla nuova forma di governo, facendolo uscire dall'ombra tedesca, e superare quel clima di anarchia e guerra civile che si stava andando a formare in Italia a seguito dell'Armistizio. Ricci invece non nutriva molta fiducia in un progetto di riconciliazione nazionale ed era sicuro che l'unico modo per andare avanti fosse quello di creare milizie formate da fedelissimi alla causa; unità composte da soldati ideologici.

Questa disputa raggiunse toni molto alti e più volte lo stesso Duce fu costretto ad intervenire. Inizialmente sembrò vincere, come si può evincere dai primi comunicati del 15 e del 18 settembre, l'idea inerente alla creazione di un esercito altamente politicizzato. Al termine della disputa, però, a spuntarla fu la posizione sostenuta dal Ministro delle Forze Armate il quale si recò l'8 ottobre in Germania per discutere con gli alti comandi tedeschi la formazione del nuovo braccio armato repubblicano. Gli italiani erano interessati alla creazione di 25 divisioni comprendenti circa mezzo milione di soldati ma non trovarono riscontro positivo da parte dei vertici militari teutonici i quali, dopo una lunga serie di incontri, si espressero favorevolmente per la creazione di 4 divisioni italiane addestrate in Germania e composte da soldati provenienti dai bandi di leva nazionali e dai militari italiani internati (IMI) a seguito dell'armistizio dai tedeschi che avessero deciso volontariamente di arruolarsi33.

29 R. Chiarini, L'ultimo fascismo, storia e memoria della Repubblica di Salò, Venezia, Marsilio Editori, 2009,

p. 53.

30 M. Avagliano – M. Palmieri, L’Italia di Salò, cit., p.84.

31 Sintomatico di questa sua volontà è il desiderio di essere indicato non come ministro della Difesa ma come

ministro delle Forze armate al fine di indicare la sua estraneità dalla politica.

32 (1896-1956) Durante il Ventennio fu presidente dell’opera nazionale Balilla (1926-1937) e ministro delle

Corporazioni tra il 1939 e il 1943.

33 Nei giorni dell’Armistizio i tedeschi disarmarono e catturarono circa 1.007.000 militari italiani. Di questi

196.000 riuscirono a darsi alla fuga. Dei restanti 810.000 circa, oltre 13.000 persero la vita durante il viaggio che avrebbe dovuto condurli in prigionia. 94.000 prigionieri, in maggior parte Camicie Nere, passarono immediatamente ai tedeschi: «nei campi di concentramento del Terzo Reich vennero dunque deportati circa 710.000 militari italiani con lo status di IMI [...]. Entro la primavera del 1944, altri 103.000 si dichiararono

(16)

Lo sconfitto Ricci venne nominato invece comandante in capo della nuova milizia, la Guardia Nazionale Repubblicana. Fondamentalmente si trattava di una forza armata autonoma, con compiti di polizia politica e lotta al ribellismo composta dai vecchi membri della MVSN, dai regi carabinieri e della Polizia dell'Africa italiana (PAI).

Entrambi i corpi armati dovettero però affrontare, rimanendone pesantemente compromessi, gli stessi problemi: da un lato si trovarono fondamentalmente privi dell'armamento appropriato e del materiale logistico necessario (scarpe, divise, brande, coperte, cibo, etc) perduti e/o sottratti durante i giorni dell'armistizio mentre, dall'altro lato, dovettero affrontare un vero e proprio problema di legittimazione di fronte agli occhi della popolazione.

Il popolo italiano era infatti stanco del conflitto in atto e, la maggioranza di esso, aveva pensato che dopo le giornate del 25 luglio e del 8 settembre la guerra fosse ormai al capolinea. Con il presentarsi in scena del nuovo governo repubblicano, desideroso di continuare la lotta affianco alla Germania nazista mediante la creazione di un proprio esercito, l'idea di un termine immediato del conflitto svanì presto. Il 9 novembre 1943 venne indetta la prima chiamata alle armi per i nati nel 1925 e nel secondo e terzo quadrimestre del 1924; a questa ne seguiranno altre due, una nel febbraio e un'altra nel giugno 1944. Gli esiti di questi bandi non furono però soddisfacenti: alla prima chiamata avrebbero dovuto rispondere circa duecentomila giovani ma di questi se ne presentò circa il 50-55 %34 e, di quelli che

raggiunsero le caserme, solo una piccola parte rispose convintamente.

La maggior parte dei richiamati che effettivamente si presentarono al distretto militare lo fecero fondamentalmente per una oggettiva mancanza di alternative, per sfuggire alle gravi punizioni che sarebbero state inflitte ai renitenti35 e anche per una tradizionale abitudine

sociale di ubbidienza agli ordini imposti dal governo costituito. Coloro che si presentarono dovettero però scontarsi con un'impreparazione logistica quasi totale; come già precedentemente detto nei distretti militari mancava quasi tutto il materiale di casermaggio, lo

totale, quindi, tra i 600.000 e i 650.000 militari rifiutarono di continuare la guerra al fianco dei tedeschi e furono rinchiusi in numerosi campi di prigionia in Germania e nei territori occupati». Cfr. M. Avagliano-M. Palmieri, Breve storia dell’internamento militare italiano in Germania,

https://web.archive.org/web/20110722023713/http://www.anrp.it/edizioni/porte_memoria/2008_01/pag_35_ palmieri_avagliano.pdf, p. 37.

34 Chiarini, L’ultimo fascismo, cit., p. 56.

35 Inizialmente era stato programmato che nel caso in cui non si fosse presentato il giovane chiamato alle armi

sarebbe stato incarcerato un suo genitore o un suo parente fino a quando il richiamato non si fosse presentato al servizio militare; erano inoltre state definite alcune punizioni di carattere economico come la chiusura delle attività commerciali, il ritiro delle licenze di esercizio, delle carte annonarie e l'interruzione del pagamento delle pensioni. Con il passare del tempo queste misure furono addirittura inasprite attraverso il “bando Graziani” del febbraio 1944 inerente alla fucilazione sommaria dei renitenti che non avessero risposto alla cartolina precetto. Allo stesso tempo furono indetti alcuni bandi di leva chiamati “bandi del perdono”, come quello del maggio 1944, grazie ai quali fu reso possibile ai renitenti legalizzare la propria posizione, senza incorrere in punizioni, attraverso il ritorno in caserma o grazie al lavoro militarizzato. Questo utilizzo alternato del bastone e della carota e di questi picchi di violenza seguiti da tentativi di pacificazione sono denotativi della fragilità, della mancanza di risconto popolare e delle difficoltà in cui si stava muovendo la RSI.

(17)

stesso armamento era qualitativamente e quantitativamente scadente. Molte reclute si trovarono prive di calzature idonee al servizio e costrette a dormire su giacigli di fortuna in camerate prive di finestre e riscaldamento. Questo ambiente non favorì certamente lo spirito di corpo e la fiducia nel nuovo governo repubblicano, numerosissimi furono infatti i casi di diserzione e alcune unità arrivarono a perdere addirittura due-terzi del proprio organico; a coloro che abbandonarono i loro reparti furono estesi i procedimenti punitivi riservati ai renitenti, fucilazione compresa.

La “spada di Damocle” della punizione repubblicana che gravava sulla testa di coloro che si erano rifiutati di servire sotto le armi Salò favorì l'afflusso di uomini nel movimento resistenziale, visto da renitenti e disertori come un modo per fuggire ed opporsi ai bandi. Per quanto riguarda invece la Guardia nazionale repubblicana è opportuno spendere due parole. Il numero di coloro che decisero di indossare la divisa della milizia non è ben chiaro, Graziani utilizza la cifra di 140.000 uomini mentre Ricci, il comandante stesso della Guardia, riporta il numero di 100.000 individui in armi. Se sul numero stesso dei militi aleggiavano dubbi perfino a Brescia, sede del quartier generale della Guardia, sullo scarso spessore professionale e sulla qualità non erano invece presenti incertezze. Oltre a soffrire delle stesse problematiche logistiche dell'esercito di Graziani, la milizia aveva fatto affluire al suo interno il corpo dei carabinieri che non riuscì mai ad integrare; fu sempre guardato con sospetto a causa del suo giuramento di fedeltà al Re e spesso accusato di collaborazione con il movimento partigiano. Se inizialmente vennero incolpati di sabotare o addirittura disinteressarsi ai compiti di polizia facendo finta di niente e chiudendo entrambi gli occhi36, con il passare dei mesi, i carabinieri,

iniziarono a fuggire fisicamente dalle caserme per sottrarsi al servizio del governo repubblicano. Da Pola si segnalava per esempio «quotidianamente interi presidi dell'arma dei carabinieri dislocati in provincia passano ai ribelli, portando seco tutto l'armamento. Su circa 900 carabinieri, diverse centinaio hanno già defezionato37».

Per tamponare queste fughe la GNR fu costretta a creare distaccamenti misti composti da regi carabinieri e da camicie nere che avrebbero dovuto tenere sotto controllo i primi. Questo espediente non riuscì però a bloccare tali fughe, che invece continuarono ad aumentare. La RSI decise a questo punto di avvallare il piano tedesco inerente all'invio in Germania dei carabinieri italiani come incaricati al servizio antiaereo e di vigilanza nei campi d'aviazione. In questo modo Salò poté liberarsi di questi soldati poco fedeli alla causa fascista,

36«a Barga, a Bagni di Lucca, a Castelnuovo Garfagnana, a Piazza al Serchio, a Gramolazzo ed a Pieve di

Camaiore i comandi dei carabinieri rifiutano di arrestare i prigionieri evasi adducendo di non aver a disposizioni, aggiungendo che i prigionieri “siamo noi [cioè i militi dell'arma] e non loro”, in taluni casi li aiutano». G. Pansa, L'esercitò di Salò nei rapporti riservati della Guardia nazionale repubblicana 1943-44, Milano, Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione, 1969, p. 17.

(18)

mentre Hitler raggiunse il suo obiettivo di svincolare soldati tedeschi da compiti di retrovia ed inviarli sul fronte orientale.

Nel mese di giugno 1944 partirono i primi quattro scaglioni di carabinieri “volontari” per il servizio nel Terzo Reich, per un totale di 2800 soldati; durante il trasferimento, avvenuto spesso in sordina, verso i treni che avrebbero dovuti condurli a Nord ci furono molte grida contro la Repubblica e a favore della Casa Savoia38. Parlando della Guardia nazionale è

inoltre necessario considerare anche l'altra forza di pubblica sicurezza che componeva i suoi ranghi: la PAI. Questo corpo fu costituito nel 1936 a seguito della conquista dell'Impero con il compito di mantenere e vigilare sulla legge italiana nei suoi possedimenti africani. Con la perdita dei domini d'oltremare fu rischiarata a Roma con compiti di ordine pubblico. Durante l'Armistizio di settembre, dopo un tentativo di resistenza, la Polizia dell'Africa italiana scelse di passare al servizio dei tedeschi, i quali decisero di utilizzarli assieme ai carabinieri per compiti di polizia. Si trattava di circa 1500/2000 uomini reputati non idonei al servizio dallo stesso ministro Graziani39; secondo il responsabile militare del Lazio, generale Macrì, il corpo

«è afflitto dal collasso generale: non vuole impegnarsi, non vuole combattere e soprattutto non vuole lasciare Roma40». La PAI infatti non si allontanò mai da Roma nel corso del

conflitto, tutti i tentativi fascisti e tedeschi per spostare l'unità a Nord si dimostrarono inutili. La polizia voluta e creata dallo stesso Mussolini si mostrò infatti infedele al suo stesso creatore rimanendo bloccata a Roma aspettando con trepidazione l’arrivo degli Alleati.

Delle reali condizioni del proprio corpo armato era ovviamente consapevole lo stesso Ricci che in privato ammetteva senza rigiri di parole di non poter contare su più di tremila militi pronti e decisi a combattere41. Anche le quattro divisioni di Graziani, addestrate in

Germania da istruttori tedeschi, non versavano in condizioni migliori: dopo il loro rientro in Italia furono pesantemente dissanguate dal fenomeno della diserzione e solo raramente furono realmente impiegate sul fronte42. Nonostante venissero enunciati e spesso sbandierati davanti

agli occhi dell'opinione pubblica numeri e comportamenti agli antipodi della realtà, l'entourage di Salò era ben consapevole ed informato del polso della nazione.

All'interno dei rapporti riservati era noto che il tentativo di riaffermare il fascismo non era riuscito a fare presa sulla popolazione e che l'utilizzo del pugno di ferro, soprattutto dopo la crisi dell'estate 1944, non era riuscito a fare legittimare, davanti ai cittadini, questo tentativi di edificazione statale. Un dato che vale più di mille parole è quello relativo alla situazione 38 Pansa, L'esercitò di Salò nei rapporti riservati della Guardia nazionale repubblicana 1943-44, cit.,, p. 100. 39 Ivi, p. 19.

40 Ibidem

41 Chiarini, L'ultimo fascismo, cit., p. 55.

42 Furono per lo più impiegate, frammezzate a reparti tedeschi, nell'alta Garfagnana (dove parteciparono

all'operazione Wintergewitter) e lungo l'argine sinistro del fiume Senio. È inoltre da ricordare gli scontri ad Anzio e Nettuno dove presero parte gli uomini del battaglione Barbarigo; questi ultimi reparti erano composti da volontari della prima ora e da coloro che l'8 settembre decisero di passare subito al servizio dei tedeschi.

(19)

delle forze armate nella primavera 1944: l'esercito di Graziani avrebbe dovuto contare in quel periodo su un totale di 245.729 uomini; in realtà però all'appello ne mancavano più di 30.000, mai presentatisi o datisi alla macchia43. Le severe minacce e le dure punizioni promesse,

spesso eseguite, non furono sufficienti a convincere i giovani a prestare servizio militare. Inoltre i richiamati nutrivano il timore di finire a lavorare in Germania a favore dell'industria bellica tedesca com’era infatti successo a numerosi di essi. Come abbiamo appena potuto notare l'RSI non riuscì mai ad entrare nella pienezza dei suoi poteri: nonostante i numerosissimi tentativi fu impossibile costituire un proprio esercito affidabile e pronto a combattere.

Il tentativo non riuscito di approntare una forza armata era legato a filo diretto con la mancata legittimazione, da parte del popolo, del nuovo governo. Gli italiani preferirono infatti astenersi, dove e quando possibile, dal partecipare direttamente alle opere e ai tentativi di edificazione statale di Salò. La maggior parte di essi non si oppose direttamente al nuovo governo fascista, partecipando in prima persona alla lotta armata, ma decise di boicottarlo dove e quando possibile o, semplicemente, di mirare a sopravvivere e a superare la tempesta.

Sia nelle sedi di governo lungo la riva del lago di Garda che nelle riunioni clandestine dei Comitati di liberazione si ebbe spesso il sentore di essere circondati da una massa grigia, desiderosa di pace, poco propensa ad impegnarsi direttamente, prendendo lo stendardo di una delle due parti in lotta.

Un'altra problematica con cui dovette fare i conti Mussolini fu la presenza-occupazione delle forze armate tedesche. Nonostante il Duce fosse stato rimesso al potere grazie alle armi del Reich, i ministri plenipotenziari di Hitler, e con loro lo stesso Führer, non furono mai, come già illustrato, particolarmente propensi alla creazione di uno nuovo stato italiano completamente autonomo e dotato di efficaci forze armate. I tedeschi non erano riusciti a superare completamente lo shock del tradimento del Re e di Badoglio dell'8 settembre. Consapevoli di ciò, i fascisti stessi si fecero in quattro per mostrare loro come fossero intenzionati a portare avanti al guerra assieme la Reich. I tedeschi però erano più interessati a sfruttare le risorse del paese, a delegare i compiti di gestione dell'ordine pubblico e della lotta alla bande partigiane agli italiani così da poter liberare i propri uomini da compiti secondari e poterli schierare sulla linea del fronte.

Inoltre Hitler ed i suoi ministri, e con essi l'ambasciatore plenipotenziario tedesco presso la RSI, Rudolf Rahn, non videro mai di buon occhio le tesi “socialisteggianti” esposte nel manifesto di Verona del novembre 1943. I punti che destarono più preoccupazioni per l'entourage nazista furono quelli inerenti alla socializzazione dell'industria, con l'equa ripartizione degli utili e dei doveri tra tecnici ed operai, e il sistema di elezione su base

(20)

popolare alla base della nomina dei rappresentanti della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Questi punti erano reputati troppo democratici e troppo tendenti a sinistra. Per questi motivi i tedeschi cercarono di impedire e di rimandare sine die l'applicazione di questi decreti; si pensava infatti che una messa in funzione di queste normative avrebbe potuto compromettere gli interessi economici e militari della Germania in Italia.

Una testimonianza della determinatezza che il Reich fu sempre pronto ad applicare nella Penisola nel caso in cui suoi possibili interessi fossero stati messi in difficoltà può essere rintracciata, per esempio, dall'annessione di fatto delle zone di confine dei territori settentrionali che l'Oberkommando mise in atto il 10 settembre 194344. Fatti ed azioni del

genere costellarono tutti i mesi di vita della RSI, l'alleato germanico fu sempre pronto ad agire autonomamente e senza consultare prima l'“alleato-occupato” pur di mantenere integri i propri interessi.

Nonostante non avesse avuto il riscontro popolare desiderato dal Duce e fosse spesso visto dagli italiani come un mero strumento in mano alla Germania nazista, utile per la continuazione della guerra, Salò riuscì a governare e a muoversi con una discreta libertà nella gestione dell'amministrazione periferica compiendo autonomamente operazione di ordine pubblico e di lotta al movimento partigiano45.

Il governo salodiano intraprese durante i suoi venti mesi di vita due tipologie di politica interna: inizialmente cercò di ricucire quella frattura apertasi tra fascismo ed italiani con il 25 luglio attraverso una ricerca di legittimazione e credibilità per poi intraprendere, dalla metà del 1944, un approccio incentrato sullo scontro diretto con quella parte di popolazione che si opponeva direttamente o che appariva titubante a schierarsi con esso.

Fin dai primi giorni del ritorno al governo Mussolini fu occupato a definire quale indirizzo dare alla nuova formazione governativa, ben conscio di dover affrontare un muro di antifascismo di carattere popolare che si era attirato a seguito della sua volontà di continuare a combattere a fianco della Germania. Il Duce cercò di riconquistare il sostegno popolare, visto anche come unico strumento di forza per condurre una politica autonoma nei confronti delle invadenze derivanti dall'occupazione tedesca.

Il governo dell'RSI si sforzò di mostrarsi come un fascismo rinnovato, purificato dalla corruzione e dai favoritismi che avevano proliferato all'interno del vecchio PNF e, soprattutto, più attento alla politica sociale. Questo “desiderio di andare verso il popolo” può essere rintracciato fin dall'ordine del giorno emanato il 15 settembre 1943 all'interno del quale fu chiesto ai fascisti di «dare al popolo immediata, effettiva assistenza morale e materiale46». Da

44 Furono istituiti l'Adriatisches Küstenland (comprendente Trieste, Udine, Gorizia, Pola, Fiume e Lubiana) e

l'Alpenvorland (formato dalle zone di Belluno, Trento e Bolzano). Cfr. Chiarini, L'ultimo fascismo, ,cit., p. 59.

45 T. Rovatti, Leoni vegetariani, Bologna, CLUEB, 2011, p. 23.

46 N. Adducci, Gli altri, Fascismo repubblicano e comunità nel Torinese (1943-1945), Milano, Franco Angeli,

(21)

questo comunicato iniziò a prendere piede la politica assistenzialista voluta da Mussolini al fine di recuperare consenso e legittimazione, la quale però si sviluppò in maniera frettolosa e concorrenziale al sistema assistenziale già presente. Al tempo il soccorso e il sostegno alla popolazione in difficoltà era gestito dal Ministero degli Interni e dai comuni tramite gli enti di assistenza comunali (ECA); entrando in scena in questo settore anche il fascismo repubblicano si venne a formare confusione e difficoltà nella gestione degli aiuti alla popolazione. Lo stesso segretario Pavolini contribuì ad incrementare ulteriormente il disordine il 4 ottobre 1943 con l'emanazione di una circolare inerente al trasferimento di tutte le competenze di ambito assistenziale agli enti fascisti. La direttiva entrò in funzione solo nel mese successivo, il 12 novembre47, ma dove fu possibile, nelle città dove le forze

repubblicane erano maggiormente capaci di agire, non si attese nessuna conferma ministeriale né, tanto meno, alcuna intesa con gli ECA locali o con la prefettura. Nei giorni successivi al 4 ottobre a Bologna, per esempio, il Fascio locale si fece subito carico «dei sinistrati, degli sfollati e dei rimpatriati e [dell'] assistenza normale [distribuendo nelle mense] 1600 razioni giornaliere di viveri [e spendendo] oltre 5 milioni di lire48». Prese così piede una vera e

propria contrapposizione tra gli organi del PFR e gli apparati centrali e periferici dello Stato; questa concorrenza arrivò a degenerare in veri e proprio scontri aperti come nel caso dell'assalto fascista al tribunale di Torino del 24 novembre 194349.

Questo conflitto era frutto del malessere dei fascisti nei confronti dello Stato a seguito della svolta del 25 luglio 1943 e del presunto tradimento degli organi pubblici nei confronti della rivoluzione fascista nel corso del ventennio. Il monopolio fascista in ambito assistenziale fu uno dei tasselli più importanti della politica interna di Salò poiché, se da una parte fu vista come fonte di autorevolezza e consenso popolare, dall'altra fu una potente arma di pressione sulla popolazione:

il monopolio ha infatti come risultato la trasformazione dell'assistenza da atto di solidarietà ed equità in atto politico che dunque subordina alla “buona condotta” e all'atteggiamento tenuto verso i “ribelli” qualunque aiuto50.

Il nuovo ente venne presieduto a livello locale dal commissario del Fascio e la stessa erogazione dei sussidi venne attuata all'interno delle Case Littorie. Per essere assistiti bisognava dunque tenere un comportamento ritenuto consono dal Fascio repubblicano. Questa interdipendenza tra fascismo e assistenzialismo comportò l'aumento dei tesseramenti al PFR: 47 Ivi, p. 136.

48 Ivi, p. 135.

49 Ivi, p. 131. La storia della RSI è costellata di episodi del genere, di scontri tra prefetti e squadre fasciste più

(22)

a Torino, per esempio, si passò dai 6 mila tesserati di novembre 1943 ai circa 8 mila dell'aprile successivo51.

Altri elementi che furono utilizzati dal fascismo salodiano per richiamare a sé il consenso della popolazione furono quelli inerenti alla socializzazione delle industrie, già illustrato nelle pagine precedenti, e il progetto riguardante l’espropriazione dei terreni incolti a favore dei contadini e la loro conseguente trasformazione in coltivatori diretti: questi due punti (12 e 13) del manifesto di Verona rimasero però sulla carta a seguito dell'opposizione di industriali, latifondisti e degli stessi tedeschi.

Oltre a questi indirizzi premeva però, ai fascisti repubblicani, ristabilire la legittimità della propria autorità politica e ciò poteva avvenire solo attraverso l'ottenimento del monopolio legale della violenza: «la minaccia della violenza istituzionale, del ricorso legittimo alla forza rappresenta anche nel caso della RSI – come in qualsiasi stato moderno – un elemento imprescindibile per l'affermazione dell'autorità politica sul territorio52».

Mancando però i mezzi e gli strumenti idonei per poterla esercitare furono costretti ad imporre repressioni sanguinose al fine di ostentare la propria forza, ma in questo modo non fecero altro che far risaltare la loro intrinseca debolezza:

le esecuzioni capitali riportate, come nel lontano passato, all'aperto e i cadaveri degli impiccati e dei fucilati tenuti esposti per giorni nei luoghi della socialità cittadina sono il nuovo modo di tenere la piazza: i discorsi senza più parole del 1944 - 1945, […] sono i monumenti di una diffusa pedagogia funeraria53.

Il passaggio da una politica diretta ad avvicinare il popolo attraverso opere incentrate a migliorare la sua situazione a quella di terrorizzarlo al fine di fargli seguire il verbo repubblicano fu lento e graduale. Atti repressivi però costellarono tutto il biennio salodiano. Già nei primi mesi di vita della RSI possiamo vedere accadere episodi violenti, come, per esempio, quelli accaduti a Ferrara il 15 novembre a seguito della spedizione punitiva indetta per vendicare la morte del Federale Ghisellini54.

Lo squadrismo e le rappresaglie facevano parte del fascismo fin dalla sua nascita. Si trattava di una violenza di carattere per lo più locale, mai del tutto arginata a pieno, né tanto meno sconfessata dal centro, in quanto considerata una brutalità necessaria ai fini politici. Possiamo notare l'importanza delle squadre d'azione già a partire dall'ordine, come citato precedentemente, del 15 settembre. All'interno di questo, oltre all'indicare la necessità per i 51 N. Adducci, Gli altri, Fascismo repubblicano e comunità nel Torinese (1943-1945),cit., p. 137.

52 Rovatti, Leoni vegetariani, cit., p. 33. 53 Ivi, p. 34.

54 Furono fucilati 11 civili , per lo più persone rastrellate nelle ore precedenti, prigionieri politici ed ebrei. Si

crede inoltre che la morte di Ghisellini sia frutto di una resa dei conti all'interno del fascismo ferrarese. Ivi, p. 31.

(23)

fascisti di portare assistenza alla popolazione, veniva indetta la ricostruzione della nuova Milizia. Come scrive Ganapini:

Fino al Dicembre 1943 [la RSI] fu poco più di un simulacro di apparato, soprattutto repressivo; e poi, compiute le vendette contro i traditori massimi, prese l'avvio una legislazione socializzatrice, echeggiante aspirazioni populiste mussoliniane lusingatrici delle aspirazioni eversive dell'anticapitalismo “plebeo” di gran parte della base del nuovo fascismo. Ma prese vigore anche il potenziamento del corredo razzista, la progettazione di nuove misure antisemite, la fattiva collaborazione con i tedeschi nella cattura e nello sterminio degli ebrei55.

È utile aprire una breve parentesi sull'antisemitismo attuato da Salò. Una normativa antiebraica era già stata varata nel 1938 ma era stata sospesa, almeno parzialmente, dal governo Badoglio successivamente ai fatti del 25 luglio. Con il ritorno del fascismo al potere anche le tematiche razziste vennero riproposte: nell'ottobre del 1943 tornarono in vigore le leggi soppresse nel corso dei 45 giorni e, durante il congresso di Verona vennero addirittura inasprite.

All'intero del punto 7 del manifesto stilato nella città veneta gli appartenenti alla razza israelitica vennero definiti come stranieri e considerati, durante la guerra, come appartenenti a nazionalità nemica. Il 30 novembre 1943 venne varata una nuova legislazione inerente all'internamento degli ebrei e alla confisca dei loro beni. A partire da questa data iniziarono ad essere allestiti i campi di internamento provinciali per ebrei dove sarebbero dovuti defluire tutti coloro che venivano individuati e rastrellati. A fine dicembre 1943 entrò in attività il campo di Fossoli di Carpi (MO), gestito direttamente dal Ministero dell'Interno. Oltre ad essere un campo di concentramento si trattava anche di un punto di transito. Qui affluirono infatti gli ebrei catturati all'interno delle province controllate dalla RSI e instradata poi verso il sistema concetrazionario nazista.

La studiosa Marie Anne Matard Bonucci sostiene che analizzando i telegrammi inviati dal ministero dell'Interno ai prefetti sia possibile rendersi conto che fra il dicembre 1943 e il febbraio 1944 fosse stato stipulato un accordo tra RSI e Terzo Reich riguardante la consegna degli ebrei catturati nei territori del nuovo stato fascista56.

Con l'inizio del 1944, nonostante il tentativo di Mussolini e dei suoi ministri di avvicinarsi al popolo, la presenza e la legittimità dell'RSI erano ancora molto lontane dal concretizzarsi. Ad incidere in tale senso fu l’uso della violenza e il concretizzarsi di abusi di 55 Ganapini, La repubblica delle camicie nere, cit., p.11.

56 Marie Anne Matard Bonucci, L'Italia fascista e la persecuzione degli ebrei, p. 263. Per approfondire

l'argomento della persecuzione degli ebrei in Italia sotto il fascismo è consigliabile la lettura anche delle opere di Michele Sarfatti: Gli ebrei nell'Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Einaudi, Torino, 2000 e Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell'elaborazione delle leggi del 1938, Silvio Zamorani editore,

(24)

autorità da parte degli uomini chiamati a far rispettare l'ordine pubblico57. L'assenza di un

potere centrale forte e la quasi sicura impunità determinarono il proliferare di corpi più o meno legali di polizia fautori di una propria guerra privata contro il nemico del momento; da questa condotta scaturirono così casi di corruzione e di ribellismo degli stessi gregari salodiani. Tali comportamenti non fecero altro che portare discredito su Salò ed incrementarono il numero di coloro che si rifiutarono di rispondere ai bandi di leva preferendo ad essi la via della Resistenza.

Nelle zone montane della Toscana, della Romagna e della provincia di Cuneo il fenomeno partigiano assunse dimensioni preoccupanti per le autorità locali della RSI. Per contenere il dilagare del ribellismo italiani e tedeschi iniziarono ad organizzare i primi rastrellamenti composti da reparti salodiani e germanici: «la lotta contro i partigiani è un fenomeno politico-militare interessante in sommo grado la vita dello Stato Repubblicano e dev'essere affrontato dagli organi centrali e curato senza ulteriori indugi58».

Iniziarono inoltre ad essere applicate con vigore le dure pene previste dal bando Graziani del febbraio del 1944 contro disertori e renitenti; la data ultima utile per presentarsi al distretto militare evitando così le pene previste dal decreto fu fissata alle 24 dell'8 marzo 1944. Le fucilazioni iniziarono ad essere attuate con forza e pubblicamente così da diventare un monito per gli oppositori e un simbolo del potere, basato sulla violenza, della RSI.

Queste azioni repressive si svolsero sotto l'ombrello di un'apparente legalità: le condanne erano infatti inflitte da Tribunali militari che, attraverso un iter legale sommario applicavano sentenze apparentemente corrette mostrando le fucilazioni come conseguenze dell’esecuzione delle condanne richieste da leggi ufficiali.

L'effetto sortito da queste condanne fu spesso però quello diametralmente opposto a quello voluto, non sortirono infatti gli effetti desiderati: «l'esecuzione e il modo in cui è stata eseguita ha talmente indispettito i giovani, specie nelle zone montane, che diversi fra di essi hanno finito per arruolarsi con i ribelli59». Visto il riscontro negativo che questi atti avevano

Mussolini iniziò ad adoperare una politica del “bastone e della carota”, oscillando tra atti tesi a dimostrare la propria determinatezza nel punire gli oppositori e gesti di conciliazione nazionale, come la firma della grazia per i condannati, incentrati a dimostrare la clemenza di un governo di stampo paternalista.

Nonostante questi tentativi i richiamati continuarono a non presentarsi, inoltre meno del 25%60 di coloro che vennero realmente arruolati finirono a comporre l'organico delle quattro

57 Per esempio il Questore di Torino «lamenta che l'opera di pacificazione, quanto mai necessaria in questo

periodo, viene frustrata dall'agire irresponsabile, caotico a criminoso di alcuni elementi della Polizia Federale, parte dei quali sono ora nella GNR, che hanno commesso ogni sorta di soprusi e di ruberie e quel ch'è peggio alla illegale fucilazione di cittadini, mentre dall'altra parte non si procede nei confronti dei loro esponenti ben più responsabili». Rovatti, Leoni vegetariani, cit., p. 42.

58 Ivi, p. 44. 59 Ivi, p. 46.

(25)

divisioni in formazione: la stragrande maggioranza dei richiamati finì nelle unità territoriali, nei servizi o come manodopera al servizio del Gruppo Armate Sud-Ovest del Reich. I tedeschi, e le organizzazioni a loro dipendenti, richiesero con insistenza al governo repubblicano l'attribuzione di contingenti di uomini da far lavorare alle loro dipendenze. Questa necessità di manodopera da parte delle truppe del Terzo Reich forniva ai giovani richiamati una copertura legale per sottrarsi alla chiamata alla armi di Graziani.

Gli stessi tedeschi si opposero quindi più o meno velatamente alla formazione di un esercito nazionale repubblicano preferendo utilizzare gli italiani non come soldati ma come uomini per i servizi di sussistenza e come operai per l'edificazione delle opere di fortificazione. Furono indetti nuovi bandi di leva tra l'aprile e il maggio 1944 ma anche questi non ebbero i risultati sperati: nonostante la svolta repressiva ormai intrapresa dal regime le presentazioni non superarono il 15% dei richiamati61.

Nello stesso periodo venne inoltre annunciato il “bando del perdono”, presentato come ultima chance per potersi presentare al distretto di competenza evitando le severissime pene previste per renitenti e disertori. Il numero di coloro che risposero a quest'appello fu, rispetto a quelli precedenti, positivo: si parla di circa 40.000 persone presentatesi ai comandi militari62.

Gli stessi fascisti non si fecero ingannare dal buon numero di questi pentiti: il loro livello qualitativo era molto basso, molti di loro non facevano nemmeno parte del movimento partigiano e avevano aderito al bando soltanto spinti dal timore delle punizioni. Significative sono le parole con cui Carlo Mazzantini, militare della Tagliamento al tempo di Salò, usa per descrive le nuove reclute all'interno del suo libro: «Ma questi a cosa servono? Perché li hanno chiamati? Questi alla prima occasione tagliano la corda e se ne tornano a rivoltare letame nelle stalle!63».

La propaganda di Salò aveva enormemente enfatizzato il “bando del perdono”, mostrandolo come l'ultima possibilità in mano ai ribelli per ravvedersi: dopo il 25 maggio infatti non ci sarebbe stata più nessuna opportunità per tornare sui propri passi e la Repubblica avrebbe colpito con estrema durezza. Non fu possibile però radicalizzare subito la lotta poiché le unità combattenti del Duce non erano numericamente sufficienti né tanto meno equipaggiate e motivate per sgominare la “Vandea partigiana”; tutta la propaganda fatta a questo fantomatico mese del terrore cadde nel vuoto.

È inoltre da considerare che quasi contemporaneamente allo scadere dal bando sopra descritto era venuta meno la linea Gustav determinando in questo modo l’apertura della strada per Roma agli alleati che la liberarono il 4 giugno 1944. Il momentaneo venir meno del fronte 61 Rovatti, Leoni vegetariani, p. 57.

Riferimenti

Documenti correlati

Electrostatic surface potential of the initial [28] and final molecular dynamics (MD) structures of (A) dimeric mouse TSPO model based on RsTSPO dimer (mTSPO(Rs)) and (B) dimeric

Se prima della guerra Mussolini e il suo governo erano giudicati positivamente o per lo meno accettati passivamente, nella fase più acuta del conflitto, durante la quale

3 comma 2 prevede che “esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio

 In view of Theorem 3.1, it is natural to wonder how many diffeomorphism types of strongly convex, minimal symplectic fillings a given contact hyperbolic torus bundle (Y, ξ Y )

Gruppo di studio PENPACT-1 PENTA 9/PACTG 390 A cura della Dott.ssa Francesca Bedussi I bambini con infezione da HIV assumono la terapia antiretrovirale ART per un tempo

Moreover, in four pa- tients (two in group 1 and two in group 2) presenting with GH-D associated with ACTH-D but with APA targeting only the somatotrophs and with type 2 pattern

L’individuazione di questo sistema idraulico permette di ipotizzare l’esistenza a “Pian del Terminaccio”, di un abitato rustico oggi probabilmente non più conservato, legato