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La residenza fiscale del trust nel diritto tributario italiano

Inquadramento giuridico del trust

Con le previsioni di cui ai commi 74, 75 e 76 dell’art. 1, la Finanziaria 2007 (Legge n. 296/2006) introduce per la prima volta nel nostro ordinamento una disciplina fiscale per il trust. Sotto il profilo giuridico, il trust è un istituto nato nella tradizione dei Paesi di Common Law, in forza del quale un soggetto, denominato disponente o settlor, trasferisce alcuni beni di sua proprietà ad altro soggetto, chiamato trustee, che ne diventa il nuovo proprietario ed amministratore, con l’impegno di gestire tali beni nell’interesse di uno o più terzi soggetti, chiamati beneficiari, generalmente individuati al momento della costituzione del trust. Può essere prevista anche la nomina di un protector, scelto dal settlor per controllare che la gestione del trust sia indirizzata al soddisfacimento dei beneficiari. Attraverso l’atto costitutivo del trust, quindi, il

trustee entra nella disponibilità di alcuni beni del disponente che restano

segregati, per cui detto patrimonio non potrà essere aggredito dai creditori personali del trustee e, salvo l’esistenza di situazioni patologiche, nemmeno da quelli del disponente.

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La soggettività passiva del trust

In dottrina e in prassi amministrativa, si è posto il problema di individuare, tra i vari attori del trust, il soggetto al quale devono essere astrattamente attribuiti i redditi prodotti. L’art. 1, comma 74, lett. a) della Legge n. 296/2006 inserisce accanto agli enti commerciali assoggettati ad IRES, di cui all’art. 73, comma 1, lett. b) del TUIR, anche i trust, così come tale istituto è ricompreso anche nella previsione di cui alla lettera c) del medesimo articolo 73 qualora non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di un’attività commerciale.

Pertanto, come precisato anche nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 6 agosto 2007, n. 48/E, la nuova formulazione dell’art. 73 riconosce, al fini della tassazione, due principale tipologie di trust:

trust con beneficiari di reddito individuati, i cui redditi sono imputati per trasparenza ai beneficiari stessi (trust trasparenti); trust senza beneficiari di reddito individuati, i cui redditi sono

direttamente attribuiti al trust medesimo (trust opachi).

La stessa Circolare ha chiarito che è tuttavia possibile che un trust sia al contempo opaco e trasparente. Ciò avviene, ad esempio, quando l’atto costitutivo preveda che parte del reddito di un trust sia accantonata a capitale e parte sia invece attribuita ai beneficiari. In questo caso, il reddito accantonato sarà tassato in capo al trust, mentre il reddito attribuito ai beneficiari, qualora ne ricorrano i presupposti, vale a dire quando abbiano diritto di percepire il reddito, sarà a loro imputato in proporzione alla quota di partecipazione stabilita nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi, ovvero, in mancanza, in parti uguali (art. 73, comma 2, ultimo periodo).

Peraltro, è stata fondamentalmente esclusa la capacità contributiva sia del disponente che del trustee. Infatti il disponente, con la costituzione del trust,

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viene a perdere la materiale disponibilità dei beni, mentre per il trustee vi è la segregazione dei beni oggetto del trust rispetto ai beni personali. Del resto, il

trustee non può far propri i redditi dei beni di cui è stato dotato, dal momento che

tali redditi sono finalizzati al raggiungimento dello scopo per cui il trust è stato costituito.

In alternativa all’imposizione in capo al trust o ai beneficiari, taluni redditi di natura finanziaria sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva. Un trust che non esercita attività commerciale e che possiede, ad esempio, titoli soggetti alle disposizioni del D.lgs. n. 239/1996, vede gli interessi, i premi ed altri frutti relativi a detti titoli sottoposti ad imposizione sostitutiva ai sensi dell’art. 2 del decreto sopra richiamato.

Sono, altresì, assoggettati a ritenuta d’imposta i redditi delle obbligazioni e titoli similari indicati nell’art. 26, comma 1 del d.p.r. 600/1973 percepiti da

trust non esercenti attività d’impresa commerciale. Inoltre, i redditi diversi di

natura finanziaria di cui all’art. 67, comma 1, lett. da c-bis) a c-quinquies) del TUIR, se percepiti da trust non commerciali residenti, sono assoggettati ad imposizione sostitutiva nella misura del 12,50%.

Occorre tuttavia osservare che questa previsione porta a considerare i trust come una categoria autonoma di soggetti passivi, distinta dalla categoria degli “enti pubblici e privati diversi dalle società”. Da ciò deriverebbero riflessi di rilievo, tra cui, anzitutto, la questione inerente i sostituti d’imposta. Infatti, il riferimento dell’art. 23 del d.p.r. 600/73 alle sole società ed enti, porterebbe ad escludere la qualificazione di sostituto d’imposta per i trust. Inoltre, è opportuno considerare che la soluzione prospettata è produttiva di dubbi anche in relazione:

- alla disciplina privilegiata delle ONLUS, riservata agli enti non commerciali. Se i trust sono esclusi da questa categoria, la disciplina delle ONLUS rimane loro preclusa;

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- all’IRAP. Con la precisazione effettuata con la Circolare n. 48/E/2007, il trust è tenuto ad adempiere gli obblighi formali e sostanziali relativi all’IRAP. In assenza di tale precisazione, in quanto diversi dagli enti, si sarebbe potuto sostenere che i trust

dovessero rimanere esclusi dall’applicazione automatica

dell’imposta1

con l’effetto che l’autonoma organizzazione, presupposta dell’imposta, debba essere verificata di volta in volta. Per evitare gli inconvenienti segnalati, sarebbe quindi appropriato ricondurre i trust in maniera univoca nell’ambito della generica categoria degli enti attraverso una riformulazione della norma, con la menzione dei trust nel primo periodo dell’art. 73 comma 2 che indica le fattispecie riconducibili alla nozione “enti diversi dalle società”. Sempre sotto il profilo sistematico, sembrerebbe opportuno che il riferimento ai trust nell’ambito degli enti diversi dalle società fosse completato nominando insieme a questi anche gli “altri istituti avventi analogo contenuto”, attualmente considerati solo nell’art. 73, comma 3 a proposito dei criteri di definizione della residenza2.

La residenza del trust

Tra i molteplici usi cui si presta l’istituto del trust, quello diretto all’ottimizzazione della variabile impositiva ha destato l’attenzione da parte della dottrina e, naturalmente, dell’Amministrazione finanziaria, potendosi configurare come potenziale strumento di evasione o di elusione fiscale.

La qualificazione del trust quale soggetto residente o non residente nello Stato è un passaggio fondamentale al fine di individuare correttamente le disposizioni applicabili. Per la verifica della residenza di un trust si applicano le

1 A norma dell’art. 2 del D.lgs. 446/1997, l’attività esercitata dalle società e dagli enti (…) costituisce in

ogni caso presupposto d’imposta.

2 Ciò è quanto espresso da Piergiorgio Valente nel suo libro Esterovestizione e residenza, III edizione

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disposizioni generali fissare nell’art. 73 commi 3, 4, e 5 del TUIR. Pertanto, un

trust è fiscalmente residente se, per la maggior parte del periodo d’imposta, ha

nel territorio dello Stato:  la sede legale;

 la sede dell’amministrazione;  l’oggetto principale.

Tuttavia, secondo quanto disposto con la Circolare n. 48/E/2007, l’Agenzia delle Entrate ha sancito l’irrilevanza della sede legale del trust; rilevano, invece, la sede amministrativa e l’oggetto principale:

 per il primo requisito si ha riguardo al luogo ove opera l’eventuale struttura organizzativa tesa a perseguire lo scopo del trust (dipendenti, locali, ecc.). In assenza, quale sede amministrativa rileva il domicilio fiscale del trustee. Questo diverso criterio non è, però, un adattamento del criterio della sede dell’amministrazione alle specifiche caratteristiche del

trust, bensì un nuovo criterio di collegamento, peraltro privo di

fondamento normativo. È sufficiente osservare che il domicilio fiscale del

trustee non ha alcun tipo di legame con il luogo da cui promanano gli

impulsi volitivi del trust. Inoltre, la scelta di far assurgere il domicilio fiscale del trustee a criterio di collegamento si rivela tecnicamente errata; infatti, la nozione di domicilio fiscale di cui all’art. 58 del d.p.r. n. 600/1973 è diretta esclusivamente ad individuare il Comune di riferimento al fine di radicare la competenza di uno degli uffici dell’Agenzia delle Entrate, cosicché vengono abbracciati dalle definizione solo i soggetti residenti e i soggetti non residenti che abbiano redditi prodotti in Italia. Di conseguenza, per i trustee residenti, il domicilio fiscale rappresenta una mera qualificazione inglobata dalla residenza fiscale degli stessi. Per i

trustee non residenti l’incongruenza è insita nel significato effettivo da

attribuire al domicilio fiscale, che può esistere anche o soltanto per questioni secondarie (si pensi alla sottoscrizione di una piccola percentuale di prestito obbligazionario emesso da una società residente).

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Dunque, un simile criterio potrebbe condurre a risultati paradossali, attraendo in Italia trust che sono esteri a tutti gli effetti in ragione del disponente, dei beneficiari e dei beni che ne fanno parte;

 il secondo requisito, vale a dire l’oggetto principale, è strettamente legato alla tipologia di trust. Infatti, mentre non vi sarebbero dubbi sull’individuazione della residenza fiscale del trust immobiliare nel caso in cui i beni siano tutti situati in Italia, alcune difficoltà potrebbero sorgere nel caso di immobili ubicati in diversi Stati, per i quali si ricorre al criterio della prevalenza. Se, invece, l’oggetto del trust è un patrimonio di natura mobiliare del quale il trust estero detiene solo una partecipazione in una società, per esempio, di diritto lussemburghese, per individuare l’oggetto è necessario riferirsi all’effettiva e concreta attività esercitata, che plausibilmente si può rinvenire nell’attività svolta dalle società direttamente o indirettamente partecipate.

Se come oggetto del trust si considerano, a titolo semplificativo, le partecipazioni in una holding, per la sua individuazione, si dovrebbe, di conseguenza, avere riguardo alla composizione del patrimonio dell’holding stessa e, all’interno di esso, al peso degli investimenti nelle società operative risalendo, eventualmente, nella catena partecipativa. Se l’incidenza di questi investimenti, rispetto al totale delle attività patrimoniali possedute dalla società

holding, è preponderante, è facile identificarne l’oggetto, e conseguentemente

l’oggetto (l’attività) del trust con quello delle sue partecipate operative. Per questa via, l’Amministrazione finanziaria potrebbe attrarre a residenza in Italia un trust, ancorché formalmente estero, quando il suo patrimonio sia costituito esclusivamente o, quantomeno prevalentemente, da partecipazioni in società operative residenti, anche se possedute in via indiretta.

Si noti inoltre, che le regole di determinazione dell’oggetto esclusivo o principale, stabiliti dall’art. 73 comma 4 del TUIR, sono indirizzate agli enti residenti. Anche per questo profilo si pone l’esigenza di non considerare i trust in maniera distinta dagli enti, potendo scorgere il dubbio che dette regole non

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possano essere applicate ai trust3. Pertanto, in attesa di chiarimenti specifici occorrerà, con tutta probabilità, fare riferimento all’atto costitutivo dal quale, tra l’altro, si dovrebbero poter ricavare anche indicazioni in merito alla collocazione delle attività e/o dei beni oggetto del trust.

Ulteriore criterio menzionato dalla Circolare 48/E/2007 per determinare la residenza di un trust è il ricorso alle convenzioni contro le doppie imposizioni4.

La determinazione del reddito del trust

Ai fini della determinazione del reddito si rende necessario distinguere i

trust a seconda che svolgano o meno, in prevalenza, un’attività commerciale, in

quanto, a seguito della Legge Finanziaria 2007, sono stati affiancati sia agli enti commerciali che agli enti non commerciali nell’ambito dei soggetti sottoposti all’IRES.

In particolare, per i trust che non svolgono attività commerciale si applicano le disposizioni contenute negli artt. 143 e ss. del TUIR relative agli enti non commerciali, permanendo peraltro l’obbligo, in caso di svolgimento di attività commerciale non in via prevalente, di tenere la contabilità separata e di applicazione delle regole di determinazione del reddito d’impresa di cui al Titolo I, Capo VI del TUIR, che rinviano alle modalità di determinazione previste per le diverse categorie reddituali prodotte dai soggetti IRPEF (Titolo I del TUIR).

Per i trust che esercitano in via prevalente attività commerciale, poiché si è in presenza di un reddito d’impresa, le norme di riferimento sono contenute nel Titolo II, Capo II, Sezione I del TUIR (Imposta sul Reddito delle Società – determinazione della base imponibile).

3

È quanto evidenziato da Piergiorgio Valente in Esterovestizione e residenza, III edizione 2013, IPSOA.

4 Le uniche convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia che fanno riferimento

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Nel caso in cui si procede alla determinazione del reddito di un soggetto non residente si applicano le regole contenute negli artt. 152, relativo alle società ed enti commerciali non residenti, e 153, relativo agli enti non commerciali non residenti, del TUIR.

Nella determinazione del reddito dei trust opachi si tiene conto di quanto stabilito dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 48/E/2007:

 se sono residenti sono tassati in relazione a tutti i redditi da essi ovunque prodotti, secondo il principio di tassazione mondiale;  se non sono residenti sono tassati in relazione ai soli redditi prodotti

in Italia.

Per le imposte pagate all’estero, l’Agenzia precisa che il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero in via definitiva:

nel caso di trust opaco, spetta al trust ai sensi dell’art. 165 del TUIR;

nel caso di trust trasparente, spetta ai singoli beneficiari in proporzione al reddito ad essi imputato, analogamente a quanto avviene, a norma dell’art. 165 comma 9 del TUIR, per le società che hanno optato per il regime di trasparenza.

Per la determinazione del reddito di tali trust si applicano, dunque, le norme di cui agli artt. 151 e 153 del TUIR, le quali dispongono che il reddito complessivo di enti e società non residenti è formato soltanto dai redditi prodotti

nel territorio dello Stato, ad esclusione di quelli esenti dall’imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva e che si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi indicati nell’articolo 23, tenendo conto, per i redditi d’impresa, anche delle plusvalenze e delle minusvalenze dei beni destinati o comunque relativi alle attività commerciali esercitate nel territorio dello Stato, ancorché non conseguite attraverso le stabili

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organizzazioni, nonché gli utili distribuiti da società ed enti di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 73 e le plusvalenze indicate nell’articolo 23, comma 1, lett. f). Ciò significa che nella determinazione del reddito del trust

opaco non residente dovranno essere considerati, tra gli altri: - i redditi fondiari prodotti dal trust in Italia;

- i redditi di capitale corrisposti dallo Stato da soggetti residenti in Italia o da stabili organizzazioni italiane di soggetti non residenti, con esclusione degli interessi e altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali;

- le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti, ad eccezione di quelle derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate quotate, dalla cessione di attività di cui all’art. 67, comma 1, lett. c-ter), del TUIR (es. titoli non rappresentativi di merci, valute, metalli preziosi) e da operazioni di cui all’art. 67, comma 1, lett. c-quater) e c-quinquies) del TUIR (contratti derivati) realizzate nei mercati regolamentati; - i redditi generati dalla partecipazione in società di persone (o di

società di capitali che abbiano optato per la trasparenza fiscale ai sensi degli artt. 115 e 116 del TUIR) residenti;

- le royalties.

Il trasferimento dei beni nel trust

Il trasferimento di beni in un trust ai fini delle imposte sui redditi sconta un trattamento differenziato che varia in funzione del soggetto che lo effettua (imprenditore o non imprenditore) e della tipologia di bene trasferito.

Qualora il trasferimento riguardi beni relativi all’impresa, quali beni merce, beni strumentali, beni patrimoniali, questi fuoriescono dalla disponibilità

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dell’imprenditore in quanto destinati a finalità estranee all’impresa. Il trasferimento di beni merce comporterà il conseguimento di un ricavo d’esercizio ai sensi dell’art. 85 comma 2 del TUIR da quantificare sulla base del valore normale ai sensi dell’art. 9 comma 3 del TUIR. Il trasferimento di beni strumentali e patrimoniali, invece, originerà plusvalenze o minusvalenze ai sensi degli artt. 58, 86 e 87 del TUIR, sempre avuto riguardo al valore normale di detti beni. Nel caso in cui il trasferimento nel trust ha ad oggetto un’azienda, il relativo profilo fiscale deve essere esaminato alla luce del disposto dell’art. 58 comma 1 del TUIR che esclude il realizzo di plusvalenze in caso di trasferimento d’azienda per causa di morte o per atto gratuito; in tal caso l’azienda è assunta dal trustee ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del disponente, secondo una logica di neutralità fiscale.

Nel caso di beni diversi da quelli relativi all’impresa, il trasferimento al

trust, in assenza di corrispettivo, non genera materia imponibile ai fini

dell’imposizione sui redditi, né in capo al disponente non imprenditore né in capo al trust o al trustee. Per quest’ultimo, infatti, anche se imprenditore, non si avranno sopravvenienze attive ex art. 88, comma 3, lett. b) del TUIR, in quanto i beni trasferiti nel trust non si confondono con il patrimonio dell’imprenditore ma, come visto in precedenza, costituiscono un patrimonio separato.

La qualificazione dei redditi imputati ai beneficiari individuati

Il comma 75 dell’art. 1 della Legge Finanziaria 2007 contiene la disciplina dei redditi imputati per trasparenza ai soci. La norma, infatti, ha inserito nell’art. 44, comma 1 del TUIR la lettera g-sexies), secondo cui sono fatti rientrare tra i redditi da capitale i redditi imputati al beneficiario di trust a norma dell’art. 73, comma 2, anche se non residenti. L’intervento normativo è stato più che

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apprezzabile poiché ha risolto definitivamente il problema della qualificazione dei redditi trasferiti al beneficiario in ipotesi di trust “nudo”5.

L’attribuzione della qualifica di redditi di capitale ai redditi imputati dal

trust ai beneficiari sembra eliminare qualsiasi considerazione in merito alla

possibilità di imputare una perdita fiscale al beneficiario, accogliendo l’impostazione più lineare in base quale la gestione di detta perdita spetti al trust stesso nel rispetto delle disposizioni previste dall’art. 84 del TUIR.

Naturalmente, nei confronti di beneficiari che acquisiscano detti redditi nell’esercizio dell’impresa, il reddito imputato concorre alla formazione del reddito complessivo come componente del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 48 del TUIR.

Riepilogando, il trust residente imputa per trasparenza i propri redditi: ai beneficiari residenti;

ai beneficiari non residenti.

In tale ultimo caso, se il reddito attribuito al beneficiario non residente costituisce reddito di capitale, la relativa tassazione avviene in Italia ai sensi dell’art. 23, comma 1, lett. b) del TUIR.

Il trust non residente, soggetto passivo IRES per i soli redditi prodotti in Italia, imputa per trasparenza tali redditi ai soli beneficiari residenti, quali titolari di redditi di capitale.

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Si ha la fattispecie di trust nudo (bare trust) tutte le volte che i beneficiari dei beni in trust siano stati definitivamente determinati ed essi abbiano il diritto di pretendere che il trustee consegni loro i beni in trust, che viene così a cessare.

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Obblighi contabili

Le modifiche legislative in esame comportano che il trust, sia esso trasparente o opaco, è tenuto ad adempiere gli specifici obblighi previsti per i soggetti IRES, ad iniziare dall’obbligo di presentare annualmente la dichiarazione dei redditi oltre a dotarsi di un codice fiscale e, qualora eserciti attività commerciale, di un propria partita IVA. Tutti gli adempimenti tributari del trust devono essere assolti dal trustee. Se quest’ultima figura è realizzata da una società, gli adempimenti dichiarativi sono di competenza del rappresentante legale. Ovviamente, in presenza di una trust company che amministra più trust, deve esibire una dichiarazione per ciascun trust.

La legge Finanziaria 2007 ha anche provveduto a modificare l’art. 13 del d.p.r. n. 600/1973, includendo i trust tra i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili. Dunque, un trust di natura commerciale è obbligato a redigere il libro giornale, il libro degli inventari e le scritture ausiliarie, senza dimenticare gli obblighi ai fini IVA. Al contrario, non sono chiari gli adempimenti connessi all’obbligo della tenuta della contabilità da parte dei trust residenti che non svolgono attività commerciale.

La tenuta della contabilità per il trust, al di là di previsioni specifiche contenute nell’atto istitutivo o previste dalla legge regolatrice, risulta essere, comunque, un valido strumento per poter dimostrare all’Amministrazione finanziaria quale componente costituisca quota di reddito da assoggettare ad imposizione e quanto rappresenti invece quota di capitale non tassabile.

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Aspetti elusivi del trust e normativa di contrasto

Prima di passare alla disamina degli aspetti antielusivi della normativa fiscale, appare opportuno soffermarsi sulle motivazioni che hanno indotto il

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