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Stabile organizzazione

Profili generali

Al fine di fornire un quadro completo delle tematiche che investono la residenza fiscale ed dei plurimi aspetti ad essa connessi, è opportuno esaminare, altresì, l’istituto della stabile organizzazione, la cui disciplina, legiferata in seguito al recepimento della normativa di cui all’art. 5 del Modello OCSE, è contenuta nell’art. 162 del TUIR. La presente norma dispone che, fatto salvo

quanto previsto dall’art. 169, ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, l’espressione “stabile organizzazione” designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato. La disposizione distingue successivamente tra

stabile organizzazione “materiale” e stabile organizzazione “personale”. In particolare, la prima si configura quando nel territorio dello Stato si costituisce:

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a) una sede di direzione; b) una succursale;

c) un ufficio; d) un’officina; e) un laboratorio;

f) una miniera, un giacimento petrolifero o di gas naturale, una cava o altro luogo di estrazione di risorse naturali;

g) un cantiere di costruzione, di montaggio o di istallazione qualora abbia durata superiore a tre mesi.

La norma prosegue elencando varie tipologie di sede di affari che non rientrano nella nozione di stabile organizzazione, stabilendo, in linea di massima, l’esclusione delle strutture strumentali che hanno come scopo il deposito, l’esposizione o la consegna di merce, senza che sia impiegata in attività produttive. Inoltre, non sussiste stabile organizzazione in presenza di elaboratori elettronici o strumenti informatici che consentano la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni.

Per ciò che riguarda la stabile organizzazione personale, l’art. 162 ne indica l’esistenza laddove, anche in deroga alle disposizioni precedenti, vi sia un soggetto, residente o non residente, che nel territorio dello Stato abitualmente conclude in nome dell’impresa non residente contratti diversi da quelli di acquisto di beni, purché non si tratti di un mediatore o di ogni altro intermediario che gode di uno status indipendente, esercente la propria ordinaria attività.

Infine, la norma chiude con una previsione antielusiva, in base alla quale il mero rapporto di controllo tra un’impresa non residente ed un’impresa residente o tra dette società ed una terzo soggetto, non costituisce motivo sufficiente per considerare una qualsiasi di dette imprese una stabile organizzazione dell’altra. Tale previsione che è stata superata negli ultimi anni dalle norme sulla residenza, in particolare dall’art. 73 del TUIR, che è stato oggetto di trattazione nel presente lavoro.

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Stabile organizzazione occulta

Nell’ambito della stabile organizzazione, di particolare interesse è il profilo penal-tributario che ruota intorno al concetto di stabile organizzazione “occulta”. Detta fattispecie si realizza, sulla base di quanto emerso in giurisprudenza35, in presenza di una stabile organizzazione non dichiarata al ricorrere di alcune caratteristiche fondamentali:

1) l’organizzazione deve essere strumentale ad un’attività svolta abitualmente in Italia da un ente straniero;

2) l’organizzazione deve essere stabile, tale da poter essere utilizzata in maniera durevole;

3) le dimensioni e l’assetto strutturale sono irrilevanti;

4) l’attività svolta dalla stabile organizzazione può essere secondaria o strumentale rispetto a quella dell’ente estero e lo scopo può anche non essere economico.

L’accertamento dei presupposti per l’esistenza della stabile organizzazione deve essere condotto non solo sul piano formale ma anche su quello sostanziale, avuto riguardo al requisito di dipendenza ed a quello di partecipazione alla conclusione di contratti.

La questione che qui rileva e di cui si discute si pone in ordine al reato di omessa presentazione della dichiarazione ex art. 5 del D.lgs. n. 74/2000, del quale sono investiti gli amministratori della “società madre”, ove sia superata la soglia quantitativa di punibilità ivi prevista (imposta evasa superiore ad euro 77.468,53). È ad essi, infatti, che incombe l’obbligo giuridico di presentare le

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In particolare rilevano le sentenze della sezione tributaria della Corte di Cassazione sul caso “Philip Morris”, n. 3367, 3368, 7682 e 10925 del 20 dicembre 2001, nelle quali è stato asserito che l’attività svolta dalla controllata ha mascherato il ruolo effettivo di stabile organizzazione rivestito per conto del gruppo, nonché la natura interorganica del rapporto con le società del gruppo medesimo, la quale è emersa da documenti programmatici in cui erano stati definiti l’indirizzo e il coordinamento dei vertici per il raggiungimento di un obiettivo unitario.

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dichiarazioni stesse al Fisco, ferma restando l’eventualità che potranno essere chiamati a rispondere gli amministratori della S.O. occulta sulla base dei principi generali in materia di concorso di persone nel reato di cui all’art. 110 c.p..

Ma tale omissione formale reca danno al Fisco? La risposta, almeno in teoria, dovrebbe essere negativa, se è vero che, in ogni caso, i redditi dovuti sono stati oggetto di dichiarazione da parte della S.O. occulta reputata tale. Nella prassi operativa delle verifiche accade che i processi verbali di constatazione concludono con la segnalazione all’Agenzia delle Entrate ed alla Procura della Repubblica dei ricavi non dichiarati. Ovviamente, in sede di imposte sui redditi, al fine dell’esatta determinazione dell’imposta evasa, occorrerà tenere presenti i redditi direttamente imputabili alla S.O. dal quale vanno dedotti i costi sostenuti per la loro produzione. Infine, dal reddito netto così determinato si dovrà altresì scomputare, ove esistenti, le remunerazioni che la S.O. ha percepito a fronte del soggetto non residente. È, infatti, quest’ultimo importo quello considerato ai fini della determinazione dell’imposta evasa e del relativo superamento della soglia di punibilità.

Sul piano tributario ci si chiede, in particolare, se non possa essere recuperato a tassazione nei confronti della S.O. tale maggior reddito non dichiarato, piuttosto che ravvisare un’autonoma attività della case-madre all’interno di una controllata. Siffatta impostazione provocherebbe la contestazione a carico degli amministratori della S.O. ritenuta occulta del reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del D.lgs. 74/2000, ove siano superate, anche in questo caso, le relative soglie di punibilità. Per arrivare a tale conclusione, e di conseguenza escludere l’applicazione del citato art. 5, occorre comunque dimostrare che si verte al di fuori di un’ipotesi di totale asservimento della controllata alle esigenze della casa-madre.

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Exit tax

Ulteriore aspetto da prendere in considerazione, ed ultimo ai fini del presente capitolo, in merito alla residenza fiscale è rappresentato dalle exit taxes.

Il principio della libertà di stabilimento ex art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) si risolve nell’illegittimità, non soltanto delle disposizioni interne che discriminano tra cittadini italiani e stranieri, ma anche di quelle che abbiano l’effetto di impedire, ostacolare o disincentivare l’esercizio del diritto di stabilimento in un altro Stato membro. Le

exit taxes rappresentano fattispecie impositive che si perfezionano al momento

del trasferimento di un impresa in un altro Stato membro, per cui le relative disposizioni pongono problemi di compatibilità con il diritto comunitario.

Oggetto di tutela dell’art. 49 del TFUE è l’accesso e lo svolgimento da parte di imprese e lavoratori autonomi, con le stesse modalità stabilite dalla leggi dello Stato membro di stabilimento per i propri cittadini, di un’attività economica a carattere non subordinata, con autonomia gestionale e assunzione di rischio economico (libertà di stabilimento primaria). La tutela si estende, altresì, alla possibilità da parte di un cittadino, già stabilito in uno Stato membro, di esercitare un’attività secondaria, costituendo agenzie, succursali e affiliate in un altro Stato membro (libertà di stabilimento secondaria).

Persone fisiche

Il concetto di libertà di stabilimento è stato oggetto di una importante interpretazione delle Corte di Giustizia nel 2004 nel contesto della legislazione francese36. Nel caso richiamato la Corte ha ravvisato un contrasto tra il Trattato

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CE e la normativa francese in materia di tassazione delle plusvalenze, in occasione del trasferimento da parte di una persona fisica del domicilio fiscale al di fuori del territorio nazionale.

L’art. 167 del Code général des impôts prevedeva la tassazione delle plusvalenza immobiliari non ancora realizzate in caso di trasferimento del domicilio fiscale in altro Stato membro. Il pagamento avrebbe potuto essere sospeso a condizione che il contribuente, dichiarato l’ammontare della plusvalenza maturata e la propria volontà di usufruire di tale beneficio, nominasse un rappresentante stabilito in Francia e costituisse, primo del trasferimento all’estero, garanzie atte ad assicurare la riscossione del credito da parte del Fisco. Trascorsi cinque anni dal trasferimento di domicilio senza che i diritti societari fossero trasferiti, l’imposta era soggetta a sgravio. La Corte ha ritenuto tale disciplina contrastante con la libertà di stabilimento sotto il profilo della proporzionalità, in quanto penalizzante per i contribuenti che avessero lasciato la Francia rispetto a quelli che vi fossero rimasti. In sostanza, la Corte ha ammesso la legittimità della pretesa impositiva dello Stato d’origine sui capital

gains maturati durante il periodo di residenza in Francia, riconoscendo una valida

causa di giustificazione nello scopo antielusivo della disciplina oggetto di causa. Tuttavia, è relativamente al principio di proporzionalità che i giudici del Lussemburgo hanno ritenuto l’exit tax francese contraria al diritto comunitario, asserendo che un obbligo di fornire una garanzia è sproporzionato in quanto vi sono altri metodi meno restrittivi, quali le misure di assistenza amministrativa previste dalla direttiva sulla Mutua assistenza (direttiva 77/799/CEE del 19 dicembre 1977) e dalla direttiva sulla riscossione delle imposte (direttiva 76/308/CEE del 15 marzo 1976).

Le medesime conclusioni sono state ribadite nella successiva pronuncia «N/Inspecteur van de Belastingsdienst Oost/kantoor Almelo», resa a proposito dell’analoga normativa olandese. In tale sentenza, i giudici della Corte hanno aggiunto che, al fine di rispettare pienamente il principio di proporzionalità, è

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altresì necessario tener conto delle eventuali minusvalenze maturate al momento dell’effettivo realizzo.

Persone giuridiche

Nessuna sentenza concernente direttamente l’exit tax ha interessato le persone giuridiche. In dottrina, è stato, comunque, osservato che i principi espressi dal giudice comunitario hanno valenza generale e devono conseguentemente trovare applicazione anche nei confronti delle persone giuridiche. In tal caso, tuttavia, si pone immediatamente un problema: la possibilità di applicare i principi di libertà di stabilimento nei confronti dello Stato di origine non solo in caso di stabilimento secondario, ma anche in caso di stabilimento primario. La Corte di Giustizia ha negato la copertura comunitaria nel caso di trasferimento della sede di direzione effettiva o amministrativa di una società in un altro Stato membro conservando la qualità di società dello Stato membro secondo la cui legislazione essa è stata costituita.

Il tema è stato oggetto del caso «Daily Mail» relativo alla legittimità della disposizione delle legge britannica del 1970 sull’imposta sul reddito delle società che subordinava il trasferimento della residenza fiscale in un altro Stato all’autorizzazione del Ministero del Tesoro. La Daily Mail intendeva trasferire la propria sede di direzione effettiva nei Paesi Bassi – e dunque la propria residenza fiscale – mantenendo tuttavia la propria sede legale in Inghilterra e lo status di società di diritto britannico. Ciò al fine di cedere una quota significativa dei titoli detenuti in portafoglio e riscattare, grazie al ricavato di tale vendita, parte delle proprie azioni, senza dover pagare le imposte cui dette operazioni sarebbero state soggette in forza della legislazione fiscale britannica. Il Tesoro, invece, condizionava l’autorizzazione al pagamento delle plusvalenze latenti sui titoli in portafoglio alla Daily Mail. Non si trattava dunque di una exit tax sostanziale, ma di una exit tax di tipo procedurale, con effetti tuttavia fondamentalmente

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analoghi. La Corte – sulla base delle premesse per le quali, a) come regola generale, una società esercita il diritto di stabilimento aprendo agenzie, succursali o affiliate, b) la legislazione britannica non pone alcuna restrizione alle operazioni su elencate, c) diversamente dalle persone fisiche, le società sono enti creati da un ordinamento giuridico nazionale e pertanto esistono solo in forza delle diverse legislazioni nazionali che ne disciplinano costituzione e fondamento, d) le legislazioni degli Stati membri presentano notevoli differenze relative sia al criterio di collegamento al territorio nazionale inerente la costituzione di una società, sia alla facoltà di una società costituita secondo tale legislazione di modificare in seguito detto criterio di collegamento – ha ritenuto che la diversità delle legislazioni nazionali sul criterio di collegamento previsto per le loro società nonché sulle modalità di trasferimento della sede legale, costituisce un problema la cui soluzione non si trova nelle norme sul diritto di stabilimento, dovendo invece essere ricercata attraverso iniziative legislative o collaborative, tuttavia non ancora realizzatesi. Alla luce di tali differenze del diritto nazionale privato, il Trattato ha previsto che gli Stati membri procedano alla conclusione di Convenzioni che permettano alle società di trasferirsi mantenendo la propria personalità giuridica.

Exit tax sospesa per le sedi in area UE

A seguito della modifica dell’art. 166 del TUIR ad opera del “decreto liberalizzazioni” del 24 gennaio 2012, il comma 2-quater dispone che i soggetti che trasferiscono la residenza, ai fini delle imposte sui redditi, in Stati appartenenti all’Unione Europea ovvero in Stati aderenti all’Accordo sulla Spazio economico europeo inclusi nella c.d. white list, con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo sulla reciproca assistenza in materia di riscossione dei crediti tributari, in alternativa a quanto stabilito dal comma 1, possono richiedere, in conformità ai principi sanciti dalla sentenza del 29 novembre 2011, causa C-

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371/10 National Grid Indus BV, la sospensione degli effetti del realizzo ivi previsto. A tal proposito, il comma 1 così recita: il trasferimento all’estero della

residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Si considerano in ogni caso realizzate, al valore normale, le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all’estero. La materia imponibile

è costituita dalla differenza tra tali valori scaturenti dalla valutazione e il costo fiscalmente riconosciuto al netto degli ammortamenti e tenendo conto di eventuali rivalutazioni di legge. Ulteriore materia imponibile è rappresentata dai fondi in sospensione d’imposta, inclusi quelli tassabili in caso di distribuzione, iscritti nell’ultimo bilancio ante trasferimento.

La sospensione della tassazione prevista dall’art. 166 del TUIR è il risultato della Denuncia n. 5 presentata nel marzo 2009 alla Commissione UE dalla Commissione incompatibilità comunitaria dell’Associazione italiana Dottori Commercialisti (sezione di Milano) e della conseguente procedura d’infrazione n. 2010/4141. Una recente sentenza della Corte di Giustizia inerente il punto in questione è quella concernente il caso National Grid Indus (sentenza 29.11.2011, causa C-371/10), i cui principi sono richiamati espressamente nell’articolo 91 del D.l. 1/2012. La controversia riguarda una società olandese alla quale l’Amministrazione fiscale belga aveva richiesto di pagare le imposte sulle plusvalenze latenti al momento del trasferimento della propria sede amministrativa nel Regno Unito. La contestazione non appare in contrasto con l’articolo 49 del TFUE, in quanto attua l’obiettivo di garantire la ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri di origine e di stabilimento. Da ciò discende la compatibilità, in linea di principio, della tassazione all’uscita, come ultimo atto di prelievo su una materia imponibile che si è formata, ancorché non realizzata, nello Stato membro di partenza. Tuttavia, questo potere

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impositivo deve essere esercitato nel rispetto dei vincoli di proporzionalità, tutelati dal diritto comunitario e, nella specie, della coerenza impositiva e della ripartizione equilibrata del potere stesso. Per questo motivo, la Corte conclude che l’imposizione all’uscita, seppur da riconoscere allo Stato membro di origine, non può da questi essere immediatamente applicata e riscossa, ma va differita, sospendendone gli effetti sino all’effettivo realizzo della materia imponibile.

Infine, è d’obbligo arricchire quanto detto con una considerazione in merito alle operazioni transfrontaliere. La fusione, la scissione e il conferimento d’azienda, laddove non prevedano che i componenti dell’azienda confluiscano in una stabile organizzazione in Italia, non beneficiano del regime di neutralità, ai sensi dell’art. 179 del TUIR. Nonostante la sentenza non faccia riferimento alle operazioni straordinarie transfrontaliere ma esclusivamente al caso di specie, i principi in essa contenuti sarebbero applicabili anche a tali operazioni, dal momento che costituiscono modalità particolari di esercizio della libertà di stabilimento, importanti per il buon funzionamento del mercato interno, rientrando pertanto tra le attività economiche per le quali gli Stati membri sono tenuti al rispetto del diritto di stabilimento. In simili circostanze, dunque, il regime di neutralità andrebbe garantito fino all’effettivo realizzo dei cespiti.

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CAPITOLO 2

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