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Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria

ASPETTI DI INTERESSE MEDICO LEGALE

Articolo 7 Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria

Luci: il caposaldo del provvedimento è la distinzione tra responsabilità

contrattuale della struttura sanitaria e del libero professionista e responsabilità extracontrattuale per l'esercente la professione sanitaria fatto salvo il caso in cui il professionista abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale con il paziente.

Mentre nel comma 1 si conferma che il rapporto tra ente di cura (pubblico o privato) e utente si inscrive entro il paradigma “contrattuale” ai sensi dell’art.

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1218 e 1228 cc (e dunque soggiace alle regole proprie di tale sistema, tra cui, per es., la prescrizione decennale, l’onere della prova a carico del debitore ecc.) il chiaro punto di rottura rispetto al passato è rappresentato dal superamento della teoria del “contatto sociale”: L’esercente la professione sanitaria (che presta la propria opera all’interno di una struttura organizzata, senza avere alcun vincolo contrattuale con il paziente) risponde, oggi, per fatto illecito ex art. 2043 cc (e non più secondo le regole dell’“inadempimento” ex art. 1218 cc.).

Il comma 2 dell’art. 7 stabilisce che la struttura risponde contrattualmente verso il paziente anche quando si tratti di prestazioni svolte “in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale nonché attraverso la telemedicina”. L’ente è obbligato (in solido) al risarcimento del danno perché trae, esso stesso, un utile economico dalla attività libero professionale (essendo i relativi proventi ripartiti, sia pure in percentuali variabili, tra il sanitario e l’azienda di appartenenza).

Sotto questo aspetto, la legge non si discosta dall'orientamento dominante, limitandosi a precisarne l'applicabilità anche alla libera professione intramuraria, alla telemedicina, all'attività di sperimentazione e di ricerca clinica ed al “regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale”, conformemente al principio espresso dalla sentenza n. 6243/2015 della

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Cassazione (la ASL risponde ai sensi dell’art. 1228 cc. dell’operato del medico di famiglia).

Il comma 3 dall’art.7 riporta una volta per tutte la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria (“che non abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”) entro l’alveo aquiliano, e dunque entro una cornice di regole che si rivelano meno vantaggiose per il paziente (dovendo questi provare, anzitutto, la colpa ed il nesso tra condotta del sanitario ed evento; e applicandosi alla fattispecie il più breve termine di prescrizione quinquennale). Rispetto alla “legge Balduzzi”, la legge Gelli non si limita ad effettuare un equivoco riferimento all'art. 2043 cc, ma identifica con precisione il regime di responsabilità applicabile con esposizione chiara e tale da non lasciar spazio a nuovi ed ulteriori equivoci, liberando il campo da “abusi” indotti dalla dottrina del contatto sociale.

Ci troviamo dunque di fronte ad un regime bipartito (come mostrato in figura).

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L'obiettivo è quello di canalizzare il contenzioso verso le strutture, ossia il verso il soggetto che è maggiormente in grado di porre in essere le misure organizzative più efficaci ed efficienti in funzione preventiva e che meglio garantisce la propria solvibilità.

Il testo approvato ha anche il pregio di chiarire che l'applicazione del regime della responsabilità aquiliana è subordinata all'inesistenza di una previa “obbligazione contrattuale assunta con il paziente”.

Riguardo alla determinazione del danno, parrebbe che la liquidazione delle poste risarcitorie sia ricollegata alla valutazione del grado della colpa dell’esercente nella causazione del danno. Inoltre, la determinazione dei risarcimenti viene ancorata alle “tabelle di cui agli artt. 138 e 139” del Codice delle Assicurazioni (D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209), integrate, “ove necessario”, con le stesse modalità già ivi previste.

Innovativa e chiarificatrice è la disposizione in virtù della quale si prevede esplicitamente che le suddette tabelle siano applicabili anche alla quantificazione del danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o socio-sanitaria, pubblica o privata, oltre che dell’esercente la professione sanitaria.

Ombre: è presumibile che non vi sarà alcun “alleggerimento” della posizione

processuale delle aziende pubbliche e delle case di cura private, ma che, alla luce delle modifiche riguardanti la responsabilità del medico dipendente,

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troverà accentuazione la tendenza alla canalizzazione del contenzioso sulle strutture sanitarie.

Una parte del futuro contenzioso potrebbe inoltre concentrarsi sull’individuazione del momento in cui possa ritenersi sussistente (per il medico) l’eccezione citata “salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”. Al riguardo, è verosimile includere in detta categoria, conseguentemente applicando il regime contrattuale, ad esempio, le operazioni effettuate in regime di libera professione extramuraria e intramuraria: in entrambi i casi, infatti, esiste un contratto di cura concluso tra l'esercente la professione sanitaria ed il paziente che si va ad affiancare - e ad integrare - con quello di spedalità tra struttura sanitaria e paziente.

Peraltro, non può escludersi un'interpretazione ancora più estensiva della nozione di “obbligazione contrattuale assunta con il paziente” che vada ad abbracciare ogni situazione in cui l'esercente la professione sanitaria abbia già sottoposto il paziente ad una qualsiasi precedente attività diagnostica o terapeutica.

L'accoglimento di siffatta linea interpretativa comporterebbe evidentemente una notevole limitazione dell'ambito applicativo della riforma, rischiando di restringere la sfera della responsabilità extracontrattuale di fatto alle sole prestazioni rese in pronto soccorso ed al primo atto medico o sanitario

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compiuto, oltre che ai casi in cui il paziente si rechi in ambulatorio senza alcun affidamento sul professionista che erogherà la prestazione.

Nell’impianto della legge 24/2017 sembra potersi dire che la struttura privata risponda contrattualmente anche nei casi in cui il medico vi presti la propria opera solo occasionalmente (ad es. abbia egli stesso prescelto la clinica ove eseguire l’intervento, prenotando direttamente la camera operatoria ed indirizzandovi il proprio paziente). Rimane da capire se la struttura privata possa accordarsi con l’assistito nel senso di circoscrivere l’ambito delle “proprie obbligazioni”, limitandole per es. alle sole prestazioni accessorie (vitto, alloggio, assistenza postoperatoria), con esclusione dell’esecuzione dell’intervento – di cui dovrebbe farsi carico unicamente il medico –.

Più complesso è comprendere invece in concreto cosa significhi il richiamo alla applicazione (o meno) delle linee guida come elemento di graduazione (più o meno?) del risarcimento. Non è marginale constatare che, nei quattro anni di vigenza della legge Balduzzi, la corrispondente norma (art. 3 comma 1, ultimo periodo del D.L. 158/2012) non abbia avuto alcuna applicazione giurisprudenziale, probabile segno che i giudici sentono di non avere sufficienti strumenti per governare un tema così complesso quale quello delle interazioni tra condotta e danno.

Nessun dubbio sussiste circa il fatto che il rinvio alla tabelle del Codice delle Assicurazioni sia “claudicante”, non avendo ancora trovato attuazione la prima delle due disposizioni, quella dedicata alla riparazione delle lesioni di

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non lieve entità. La mancata integrazione delle tabelle sarà un sicuro ostacolo

alla loro immediata applicabilità.