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ASPETTI DI INTERESSE MEDICO LEGALE

Articolo 8 Tentativo obbligatorio di conciliazione

Luci: le novità processuali introdotte da questo articolo sono ispirate da un

duplice scopo: da una parte, quello di evitare azioni risarcitorie civili “esplorative” o meramente ritorsive in danno della classe medica; dall’altra, quello di decongestionare il contenzioso giudiziario in questa materia - che, come è noto, ha assunto un volume esorbitante - e consentire quindi al paziente danneggiato di ottenere il risarcimento del danno in tempi più rapidi e certi.

L’aspetto innovativo è costituito dalla nuova disciplina della condizione di procedibilità della domanda risarcitoria. Si prevede che ogni giudizio davanti al Tribunale debba esser necessariamente preceduto da una delle due seguenti alternative:

- o dall’introduzione di un procedimento giudiziario, sempre civile ma di natura sommaria e deformalizzata ai sensi dell’art. 696-bis del codice di procedura civile (consulenza tecnica preventiva), diretto soltanto a far nominare un C.T.U. (Consulente tecnico d’ufficio) prima della causa, che poi procederà a verificare se la responsabilità sanitaria sussista o meno, ed eventualmente a quantificare i danni, con la particolarità che il consulente per legge deve, prima di depositare la sua relazione, tentare la conciliazione tra le

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parti (una transazione, che porrebbe fine a monte al contenzioso). In caso di mancato accordo i successivi artt. 9 e 10 impediscono l’utilizzabilità dell’elaborato peritale nell’eventuale successiva sede contenziosa.

– o dall’introduzione di un procedimento non giudiziario, costituito dalla c.d. media-conciliazione: da attivare innanzi ad uno dei molti organismi privati sorti.

In questo modo si mettono sullo stesso piano due istituti completamente diversi. Il primo, infatti, è una vera e propria azione contenziosa da proporre davanti al giudice e diretta ad acquisire una consulenza tecnica preventiva; il secondo, invece, è semplicemente una procedura stragiudiziale molto rapida (che deve concludersi entro 3 mesi dall’avvio della stessa) il cui scopo è quello di consentire alle parti di risolvere una controversia attraverso l’opera di un mediatore (ossia una figura professionale qualificata e imparziale) che,

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una volta verificata la disponibilità dei soggetti coinvolti nel procedimento ad una conciliazione, formula loro una proposta per il componimento della lite. La nuova disposizione prosegue disponendo, nel terzo comma, le conseguenze dell’eventuale fallimento del tentativo di conciliazione (se essa non riesca) o della mancata conclusione del “procedimento” entro il termine di sei mesi “dal deposito del ricorso”: la causa diventa “procedibile”.

Riguardo agli oneri di formulazione di offerte transattive, nel tentativo di domare un non ammirevole costume seguito dalle compagnie di assicurazione, la legge impone alle stesse di partecipare al procedimento di consulenza tecnica preventiva nonché al procedimento di media-conciliazione e di formulare un’offerta di risarcimento del danno o, in alternativa, di esprimere i motivi per cui la stessa compagnia ritenga di non formularla. Il tutto con la previsione di una sanzione per le parti assenti, comprese le eventuali imprese di assicurazione, “indipendentemente dall’esito della lite”. Questo ragionevole orientamento condanna la parte che ostacola la risoluzione della lite in via stragiudiziale al risarcimento del danno alla controparte che ha proposto la mediazione.

Ombre: includere quale condizione di procedibilità la consulenza tecnica

preventiva significa affermare che per proporre un giudizio civile occorre instaurarne prima un altro, sia pur di diversa natura.

La norma poi dispone che, se prima di avviare una causa civile la parte omette di esperire uno dei due strumenti posti quali condizioni di procedibilità, il

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giudice debba invitare l’interessato alla “presentazione dinanzi a sé dell’istanza di consulenza tecnica via preventiva ovvero di completamento del procedimento”. In pratica dopo aver considerato i due strumenti equipollenti prima del giudizio ne riterrebbe solo uno idoneo a consentire la prosecuzione della causa (il riferimento letterale, infatti, è testualmente solo al ricorso ex art. 696-bis c.p.c.).

Si presume, in via interpretativa, che il giudice debba coerentemente

assegnare alle parti il termine di quindici giorni per avviare, in alternativa, l’uno o l’altro dei due procedimenti e, se iniziati, per completarli.

Quello che accade quando la causa diventa procedibile non è, come avviene ordinariamente nelle cause civili, una ripresa del giudizio che era stato iniziato con strumenti di mera riattivazione ma è previsto il deposito di un nuovo atto introduttivo (disciplinato dall’art. 702-bis c.p.c.), sia pur indirizzandolo allo stesso giudice.

Qualche divergenza sussiste in riferimento al termine di durata del procedimento, che non può eccedere i sei mesi dal deposito del ricorso, in luogo dei tre mesi del procedimento di mediazione. L’uso dell’aggettivo “perentorio”, mancante nella disciplina della mediazione, parrebbe difficilmente in grado di determinare un’automatica decadenza della procedura anche nel caso in cui le parti intendano proseguire (conformemente a quanto si ritiene nel caso della mediazione).

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È plausibile, pertanto, ritenere che, anche dopo la scadenza del suddetto termine, l'eventuale verbale di conciliazione sia comunque sottoponibile agli effetti di cui all'art. 696 bis commi 2, 3 e 4 c.p.c. Aspetto particolarmente importante se si considera che i tempi medi di espletamento di siffatta procedura lasciano presagire che il termine semestrale non verrà frequentemente rispettato.

Sull'obbligo gravante sulle imprese di assicurazione, di formulare, nell'ambito del procedimento di consulenza tecnica preventiva, un'offerta di risarcimento, parrebbe che anche un’offerta simbolica, paradossalmente, eviterebbe alla compagnia di esporsi al rischio di sanzione.

Articolo 9 – Azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa Luci: secondo la nuova norma, nell’intento di tutelare il soggetto passivo

dell’azione, l'azione di rivalsa, in analogia all'azione di responsabilità amministrativa, può essere esperita soltanto in caso di dolo o colpa grave. L'azione di rivalsa può essere esercitata, laddove l'esercente la professione sanitaria non abbia preso parte al giudizio (o alla procedura stragiudiziale), solo dopo (entro un anno) l’avvenuto risarcimento.

Ove, infatti, esso sia stato convenuto nel giudizio nel quale è stato richiesto il risarcimento da parte del danneggiato, il giudice adito statuirà in merito all'eventuale responsabilità dell'esercente la professione sanitaria e, in caso di

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condanna della struttura sanitaria in solido con quest'ultimo, la struttura sanitaria potrà agire in regresso nei confronti del responsabile del danno. L'eventuale responsabilità del medesimo dovrà essere autonomamente accertata in sede di rivalsa e non desunta dalle risultanze processuali del giudizio conclusosi con la condanna della struttura sanitaria o dalla transazione stipulata.

In ultima analisi, l’azione di rivalsa contro l’esercente la professione sanitaria è soggetta a condizioni soggettive (deve esistere il dolo o la colpa grave) ed oggettive (deve esistere un titolo giudiziale o stragiudiziale, e deve essere avvenuto il pagamento). Il tutto va fatto valere chiedendo la rivalsa in un giudizio entro il ricordato termine annuale.

All'art. 9, comma 5, della legge di riforma viene introdotta una specifica previsione concernente l'azione di responsabilità amministrativa nei confronti di chi esercita la professione sanitaria nell'ambito di strutture pubbliche.

Tale azione spetta al pubblico ministero presso la Corte dei Conti. L’affidamento dell’azione di responsabilità amministrativa al pubblico ministero, piuttosto che, come sotteso nella precedente versione, all’iniziativa del rappresentante la struttura pubblica ha scongiurato potenziali criticità per una possibile conflittualità tra management aziendale e professionista.

Ai fini della quantificazione del danno si tiene conto delle situazioni di particolare difficoltà e si pone un limite all’ammontare della condanna del soggetto destinatario dell’azione di rivalsa/surrogazione/responsabilità

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amministrativa che abbia agito con colpa grave: tale importo non può superare una somma pari al triplo della retribuzione lorda annua a prescindere dall’ammontare versato al danneggiato in forza di un titolo giudiziale o stragiudiziale ed anche nel caso in cui sia stata l’impresa di assicurazione ad eseguire il pagamento.

Diverso invece è il caso in cui venga accertato il dolo: ipotesi in cui, evidentemente, l’esercente la professione sanitaria potrà esser condannato al versamento dell’intero importo corrisposto al danneggiato.

Quasi a voler compensare l'attenuazione della posta risarcitoria entro un tetto predefinito, la norma contenuta nell'art. 9 comma 5 della legge di riforma prevede, altresì, una serie di misure personali e temporanee di interdizione da alcuni incarichi professionali per l'esercente la professione sanitaria che abbia causato l'evento avverso, avente la finalità di impedirne l'avanzamento della carriera.

L’ultimo comma, il settimo, prevede inoltre che il giudice adito in sede di rivalsa possa desumere “argomenti di prova” dalle prove assunte nel giudizio instaurato dal danneggiato “nei confronti della struttura sanitaria o sociosanitaria o dell’impresa di assicurazione se l’esercente la professione sanitaria ne è stato parte.

Ombre: una questione che rimane aperta è se l’esercente sanitario abbia o

meno il diritto di esser messo a conoscenza, ovviamente prima della notifica dell’atto introduttivo l’azione di rivalsa, dell’esistenza di una richiesta

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risarcitoria e/o dell’introduzione di un giudizio da parte del danneggiato nei confronti della struttura sanitaria o sociosanitaria o dell’impresa di assicurazione.

Tornando all'azione di responsabilità amministrativa, la legge di riforma non precisa con specifico riferimento a tale azione i termini entro i quali essa debba essere esercitata.

Quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 9 in merito alla efficacia vincolante del primo giudizio rispetto al giudizio di rivalsa sembrerebbe che il primo giudizio, in caso di partecipazione allo stesso da parte dell’esercente, possa “fare stato”.

In realtà, in caso di partecipazione dell’esercente al primo “giudizio”, l’ultimo comma dell’articolo sembra ridurre la “portata” di detta forza vincolante alla mera possibilità, nel successivo giudizio di rivalsa/responsabilità amministrativa, di “desumere” argomenti di prova dalle prove esperite nel precedente giudizio.

Il disposto che “ai fini della quantificazione del danno … si tiene conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l’esercente la professione sanitaria ha operato” sono normalmente tenuti in considerazione in sede di esercizio del “potere riduttivo” della entità della condanna da parte della Corte dei Conti. Nella disciplina relativa all’azione e al giudizio di rivalsa

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davanti al giudice ordinario non venga esplicitamente prevista tale facoltà né, peraltro, analogo principio.