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La responsabilita` di chi ha tratto consapevole beneficio dal fatto lesivo

“LA RESPONSABILITÀ DA ATTIVITÀ DI DIREZIONE E COORDINAMENTO”

7. La responsabilita` di chi ha tratto consapevole beneficio dal fatto lesivo

In solido con la societa` che esercita il potere di direzione e coordinamento, rispondono anche coloro che abbiano consapevolmente tratto beneficio dal fatto lesivo, seppur nei limiti del vantaggio conseguito (art. 2497, 2o co., c.c.); appare evidente che, attraverso questa disposizione, il legislatore ha inteso estendere la responsabilita` che puo` conseguire ad una politica di gruppo dannosa, nei confronti di coloro che, pur non prendendo

parte attiva all’esercizio del potere di direzione unitaria, si avvantaggiano consciamente dei frutti che ne derivano. Tale corresponsabilita` prescinde da qualunque forma di partecipazione del soggetto al fatto altrui145, richiedendo, quale unico presupposto, il mero approfittamento consapevole: cio` comporta, da un lato, il rischio evidente di un’estensione pressoche´ illimitata dei soggetti che potrebbero essere chiamati a risarcire il danno146, ma dall’altro, anche il vantaggio, speculare, di rendere possibile il coinvolgimento nell’azione di responsabilita` di quanti di regola ne restano indenni pur avendo approfittato, come e piu` di coloro che hanno agito, dello spostamento di ricchezza che l’operazione illecita ha determinato.

E` certo, infatti, che la formulazione della norma consente di estendere, pressoche´ illimitatamente, la responsabilita` tanto all’interno del gruppo, sia in senso verticale che orizzontale147, quanto all’esterno dei confini dello stesso, coinvolgendo tutti coloro nel cui interesse (mediato o immediato) l’attivita` di direzione e coordinamento e` stata svolta148. Cio` non toglie che       

145In cio` distinguendosi nettamente dalla fattispecie di responsabilita` di chi ha direttamente provocato o preso parte al fatto lesivo.

146Lo fa notare ENRIQUES, cit., 251 ss.

147Nell’ambito di gruppi piramidali, l’estensione avverra` dal vertice (ente o societa` che esercita l’attivita` di direzione e coordinamento) sino alla base dell’aggregazione (societa` dominate), mentre nell’ambito di gruppi paritetici, la responsabilita` si estendera` in linea orizzontale, sino a coinvolgere anche le societa` c.d. sorelle; in entrambi i casi, dunque, attraverso il 2o co. dell’art. 2497 c.c., seconda parte, potranno essere coinvolti nell’azione di responsabilita` tutti quei membri del gruppo che hanno beneficiato dei vantaggi della direzione unitaria, pur senza aver partecipato all’emanazione delle direttive lesive.

148Vi e`, addirittura, chi estende il novero dei soggetti potenzialmente responsabili oltre che ai soci di controllo che non hanno incarichi di gestione e ai soci unici delle societa` del gruppo, anche agli istituti di credito che, ad esempio, abbiano continuato ad erogare denaro a societa` del gruppo insolventi o che si siano consapevolmente astenuti, per ragioni di opportunita`, dal depositare istanze di fallimento nei confronti di societa` in evidente stato di decozione; o ancora ai familiari dei soci di maggioranza del gruppo che abbiano tratto profitto personale dalle operazioni

rimanga indispensabile la sussistenza di un nesso diretto tra il vantaggio di cui si e` chiamati a rispondere e la condotta posta in essere dalla societa` o dall’ente capogruppo: la responsabilita` di chi ha tratto consapevole beneficio dal fatto lesivo rimane, infatti, responsabilita` accessoria rispetto a quella del 1o co. dell’art. 2497, potendo sorgere solo in dipendenza del fatto lesivo compiuto dalla dominante.

La potenzialita` espansiva della disposizione viene, tuttavia, immediatamente limitata dallo stesso legislatore, attraverso la previsione di un elemento soggettivo essenziale della condotta che, pur essendo meno forte rispetto al dolo o alla colpa, puo`, comunque, circoscrivere considerevolmente le ipotesi in cui l’arricchimento — che consegue all’altrui condotta illecita — comporta responsabilita` in capo a chi ne profitta. Per ottenere la condanna di chi ha beneficiato dell’azione lesiva della dominante e`, infatti, necessario che l’approfittamento sia stato consapevole e che chi agisce sia in grado di dar prova del fatto che la provenienza del vantaggio da tale azione pregiudizievole fosse nota al soggetto che ne ha tratto beneficio149. L’elemento psicologico della consapevolezza, da un lato, porta ad escludere che la       

compiute; v. DAL SOGLIO, cit., 2334; ENRIQUES, cit., 251; secondo BADINI CONFALONIERI, commento all’art. 2497 c.c., in Il nuovo diritto societario, commentario diretto da Cottino e Bonfante, Cagnasso, Montalenti, 2170, piu` concretamente, la norma apre la via alle azioni contro i soci di minoranza della

holding.

149Suggerisce un’interpretazione piu` restrittiva del termine «consapevolmente», FAVA, cit., 1203, secondo la quale il legislatore ha inteso estendere la responsabilita` solo a quei soggetti che abbiano posto in essere una condotta collusiva con chi esercita l’attivita` di direzione e coordinamento, con cio` lasciando intendere la necessita` di una condotta intenzionale volta a danneggiare la societa` dominata anche da parte di chi non ha materialmente preso parte alle decisioni concernenti la politica di gruppo. Tale tesi rischia, a mio parere, di rendere inefficace la previsione di cui al 2o co. dell’art. 2497 c.c., restringendone eccessivamente il campo di applicazione e rendendo molto piu` arduo l’adempimento dell’onere della prova in capo a chi agisce.

responsabilita` di cui al 2o co. dell’art. 2497, possa essere qualificata in termini di responsabilita` oggettiva, dall’altro, caratterizza la fattispecie, differenziandola dal paradigma generale e residuale dell’arricchimento senza causa, a cui peraltro l’azione risulta chiaramente assimilabile, sia perche´, anche in questo caso, l’approfittamento non appare giustificato da nessun interesse meritevole di tutela, sia in virtu` del riferimento ai «limiti del vantaggio conseguito», posti all’obbligazione del soggetto beneficiato, che richiamano esplicitamente i «limiti all’arricchimento» di cui all’art. 2041 c.c.150.

Alla luce di queste considerazioni, e` giustificabile l’affermazione che l’obbligazione discendente da tale azione abbia natura indennitaria, distinta da quella di chi ha cagionato o partecipato al fatto lesivo a cui, invece, si riconosce natura risarcitoria: la prima, infatti, al contrario della seconda, non deve essere configurata come reazione al danno arrecato, ma piuttosto come ristoro per chi, a causa dell’incremento patrimoniale altrui, abbia dovuto subire un impoverimento; tale interpretazione trova ulteriore conferma nel fatto che la responsabilita` di chi ha tratto beneficio dal fatto dannoso prescinde, come detto, da una qualunque forma di partecipazione attiva del soggetto alla condotta lesiva, essendo sufficiente invece che questi, passivamente, abbia tratto consapevole beneficio dall’altrui abuso. E` proprio questo differente ruolo a giustificare, infine, la limitazione dell’indennizzo al vantaggio effettivamente conseguito dal convenuto: senza tale previsione si rischierebbe, infatti, di cadere in eccessi punitivi a carico di soggetti che, seppur consci di trarre beneficio da condotte contrarie ai principi di corretta       

gestione societaria e imprenditoriale, in realta` non possono considerarsi alla stregua di veri e propri compartecipi del fatto lesivo.