Le principali linee della storiografia monastica degli ultimi decenni mettono in evidenza un problema metodologico di fondo: la necessità di individuare forme e modalità con cui identità, coscienza e appartenenza emergono nella documenta- zione dei singoli insediamenti e delle diverse famiglie1.
1L’ambito critico dell’identità monastica è stato precisato anche metodologicamente in alcuni saggi di prospettiva interdisciplinare. Si veda come traccia guida il contributo di sintesi: G. MELVILLE,
Knowledge of the Origins: Constructing Identity and Ordering Monastic Life in the Middle Ages, in
J.P. CANNING - E.J. KING - M. STAUB (edd.), Essays in Honour of David Luscombe, Leiden 2011,
pp. 41-62. All’interno dell’ampia lezione critica e metodologica di Gert Melville intorno alle tematiche identitarie, si vedano in particolare: Innovation aus Verantwortung. Kloster und Welt im Mittelalter, in
G. MELVILLE- B. SCHNEIDMÜLLER(edd.), Innovationen durch Deuten und Gesalten: Klöster im Mittelalter
zwischen Jenseits und Welt [Ergebnisse der Internationale Tagung “Innovationen durch Deuten und
Gestalten”, die vom 4. bis 6. Oktober 2012 im Erbacher Hof in Mainz stattfand], Regensburg 2014, pp. 377-354; The Innovational Power of Monastic Life in the Middle Ages, in Monastic Culture: The Long
Thirteenth Century. Essays in Honour of Brian Patrick McGuire, edd. L. BISGAARD, S. ENGSBRO and
C.V. JENSEN, Odense 2014, pp. 13-32; Die Welt der mittelalterlichen Klöster: Geschichte und Leben-
sformen, München 2012; Knowledge of the Origins: Constructing Identity and Ordering Monastic Life in the Middle Ages, in Knoledge, Discipline and Power in the Middle Ages. Essays in Honour of David Luscombe, pp. 41-62; “Tegumenta virtutis” e “occulta cordis”. Sulla percezione dell’identità religiosa nel Medioevo, in E. FILIPPINI- G. ANDENNA (edd.), Religiosità e civiltà – Identità delle forme religiose
(secoli X-XIV). Atti del convegno internazionale (Brescia, 9-11 settembre 2009), Milano 2011, pp. 49-64; Costruire e decostruire i simboli nella comunicazione religiosa del medioevo, in E. FILIPPINI- G. AN-
DENNA(edd.), Religiosità e civiltà: le comunicazioni simboliche, secoli IX-XIII. Atti del convegno inter-
nazionale (Domodossola - Sacro Monte - Castello di Mattarella, 20-23 settembre 2007), Milano 2009,
pp. 49-70; “Unitas” e “diversitas”: l’Europa medievale dei chiostri e degli ordini, in G. CRACCO (ed.),
Europa in costruzione: la forza delle identità, la ricerca di unità (secoli IX-XIII), Bologna 2006,
pp. 357-384. A proposito delle metodologie di indagine in ambito monastico si vedano anche:
G. MELVILLE(ed.), Fovog: Comparing the Medieval History of Religious Orders; On the Aims and the
Structure of an International Collaborative Research Centre in Germany, in « Revue Mabillon », vol. XX
(2009), pp. 252-258; G. MELVILLE- J. SONNTAG(edd.), Research Centre for the Comparative History of
Religious Orders (FOVOG). Work Report 2012, in « Revue Mabillon », NS, 23 (2012), pp. 245-256.
Si vedano anche: A. DIEM, Rewriting Benedict: The “regula cuiusdam ad virgines” and Intertextuality as
a Tool to Construct a Monastic Identity, in Proceedings of the Fifth International Congress for Medieval Latin Studies, vol. I, s.l. 2008, pp. 313-328; D.P. AUSLANDER, Living with a Saint: Monastic Identity,
Community, and the Ideal of Asceticism in the Life of an Irish Saint, in Negotiating Community and
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Nella concretezza dell’indagine, a fronte di una documentazione archivistica per lo più di tipo economico, patrimoniale, fondiario e amministrativo, legata a situazioni contingenti, si pone l’esigenza di definire aspetti ecclesiologici, identitari e più propriamente religiosi.
Un’apparente aporia si configura così, nello specchio delle fonti archivistiche, tra le diverse dimensioni dell’esperienza monastica, fino a far prevalere le com- ponenti gestionali sulle altre, che ne risultano quasi mascherate, se non assorbite. Sono per lo più il ricorso alla scala locale e i sondaggi su singole raccolte a metterne in evidenza i termini e ad aprire sviluppi ulteriori2.
Proprio nel gioco di scale emergono possibilità di mettere in luce aspetti eminentemente legati all’appartenenza monastica e alla coscienza religiosa, soprat- tutto intorno ad alcune fasi cruciali di trasformazione: l’età carolingia con le sue riforme e con le sue fondazioni (e ri-fondazioni); il complesso confronto con i potentati laici nell’XI secolo e con i Comuni nel secolo successivo; il ricorso frequente all’istituto della commenda a partire dal Trecento.
I singoli insediamenti sono, a loro volta, nodi in cui si sovrappongono influen- ze diverse, luoghi di sovrapposizione fra reti monastiche globali e realtà locali3.
Difference in Medieval Europe: Gender, Power, Patronage and the Authority of Religion in Latin Chri- stendom, edd. K.A. Smith e S. Wells, Leidend 2009, pp. 17-32; A. MÜLLER, Presenting Identity in the
Cloister: Remarks on Benedictine and Mendicant Concepts of Space, in Self-Representation of Medieval Religious Communities. The British Isles in Context, Berlin 2009, pp. 167-188; J. BOVENDEERT, Royal or
Monastic Identity? Smaragdus’ Via regia and Diadema monachorum reconsidered, in R. CORRADINI -
R. MEENS- C.U. POSSEL(edd.), Texts and Identities in the Early Middle Ages, Wien 2006, pp. 239-252.
2Il tema dell’identità monastica e benedettina è stato indagato in analisi di carattere puntuale e locale. Si vedano a titolo di esempio: S. BOYNTON, Shaping a Monastic Identity: Liturgy and History at
the Imperial Abbey of Farfa, 1000-1125, Ithaca 2006; C.W. POTTS, Monastic Revival and Regional Identity
in Early Normandy, Woodbridge 1997; C.R.E. CUBITT, Monastic Memory and Identity in Early Anglo-
Saxon England, in W.O. FRAZER- A. TYRRELL(edd.), Social Identity in Early Medieval Britain, London
2000, pp. 253-276; C.T. MAIER, Saints, Tradition and Monastic Identity: The Ghent Relics, 850-1100, in
« Revue belge de philologie et d’histoire », vol. LXXXV (2007), pp. 223-277; E.F. ARNOLD, Negotiating
the Landscape: Environment and Monastic Identity in the Medieval Ardennes, Philadelphia 2013;
N. REVEYRON, “Forma monasterii”. Essai sur l’organisation de l’espace monastique comme mise en forme
de l’identité ecclésiologique, in « Hortus artium medievalium », 20 (2014), pp. 439-447.
3Sul tema generale delle reti monastiche: Naissance et fonctionnement des réseaux monastiques et canoniaux. Actes du 1erColloque International du C.E.R.C.O.M. (Saint-Etienne, 16-18 septembre 1985),
Saint-Étienne 1991. Si veda anche l’analisi critica M. PACAUT, Naissance et fonctionnement des réseaux
monastiques et canoniaux. Réflexions sur le bilan d’un colloque, in « Cahiers d’histoire », vol. XXXI
(1986), pp. 41-52. Si veda anche J.J. CLAIR(ed.), Réseaux monastiques: modèle d’intelligence économique,
fondateur de l’Europe, Belfort 2004. Nella storiografia italiana si veda soprattutto N. D’ACUNTO(ed.),
Dinamiche istituzionali delle reti monastiche e canonicali nell’Italia dei secoli X-XII (Fonte Avellana, 29-31 agosto 2006), Negarine di San Pietro in Cariano (VR) 2007. Particolarmente rilevanti i saggi:
C.D. FONSECA, Tipologia delle reti monastiche e canonicali, ivi, pp. 15-32; F. PANARELLI, Reti monastiche
in Italia meridioniale tra X e XII secolo, ivi, pp. 337-355. Nella prospettiva metodologica di una dialettica
fra locale e globale in ambito monastico è stata sviluppata una serie di analisi puntuali che costituisce oggi un rilevante corpus di studi su cui tracciare linee critiche di unificazione. Si vedano come esempi:
F. PANARELLI(ed.), Archivi e reti monastiche tra Alvernia e Basilicata: il priorato di Santa Maria di Juso
128 Renata Salvarani
NOMELAV: SAN BENEDETTO E L’EU PAG: 3 SESS: 8 USCITA: Fri Mar 11 10:49:48 2016 SUM: 63B8B04F /first/TIPOGRAFIA/LIBRI/LEV−SAN−BENEDETTO−E−L−EUROPA−NEL−50o−DELLA−PACIS−NUNTIUS/10−Salvarani
L’identità benedettina e le sue forme si possono riscontrare in passaggi con- troversi, operazioni di riforma, scontri e trasformazioni, che pongono, di volta in volta problemi particolari di metodologia e di lettura critica delle fonti scritte. Mi limito a evidenziare quattro casi di insediamenti monastici benedettini maschili sorti in area gardesana, nel loro sviluppo, tra X e XV secolo, in rapporto alla dialettica fra dinamiche locali territoriali e aspetti istituzionali generali, eccle- siastici e regolari. All’interno di questa dialettica, emergono nella documentazione sia pure in modo frammentario, in filigrana, segnali e manifestazioni di una coscienza forte e continuativa di appartenenza alla famiglia che si identificava nella comune ispirazione alla regula Benedicti.
Lo spazio – e i casi – individuati appaiono tanto più interessanti se si considera il bacino benacense come una frontiera interna, un’area intermedia fra il versante settentrionale e quello padano dell’arco alpino, tra Lombardia e Marca Veronese, dove i centri episcopali, prima, e i potentati cittadini, poi, hanno stentato a lungo a stabilizzare forme di controllo del territorio, lasciando spazio, così, a situazioni ibride, a forme di sperimentazione istituzionale e a scontri talvolta violenti che hanno interessato direttamente anche i monasteri.
Inoltre le terre gardesane, per la loro vocazione geoambientale per le colture specializzate della vite, dell’ulivo e della robbia, così come per la presenza di aree paludose e boschive progressivamente destinate all’agricoltura, sono state terre di colonizzazione e di espansione economica mirata. Hanno vissuto trasformazioni profonde, quasi sempre orientate da centri organizzativi esterni in funzione di sistemi e bacini di commercializzazione estesi su larga scala.
e la Chaise-Dieu. Atti del convegno internazionale di studi (Materna-Irsina, 21-22 aprile 2005), Martina
Franca 2007; F. ARNEODO - P. GUGLIELMOTTI(edd.), Attraverso le Alpi: San Michele, Novalesa, San
Teofredo e altre reti monastiche. Atti del convegno internazionale di studi (Cervére-Valgrana, 12-14 marzo 2004), Bari 2008; N. DEFLOU-LECA, Clunisiens, réseaux aristocratiques et réseaux monastiques: note sur
un enjeu de positionnement dans le diocèse de Lyon (950-1040), in S. JOYE- T. LIENHARD- L. JÉGOU-
J. SCHNEIDER(edd.), Splendor Reginae. Passions, gente et famille. Mélanges en l’honneur de Régine Le
Jan, Turnhout 2015, pp. 27-42; P. GUGLIELMOTTI, Réseaux et mobilité monastiques à travers les Alpes et
la mer: études de cas et problématiques, in Des sociétés en mouvement. Migrations et mobilité au Moyen Âge, Paris 2010, pp. 159-170 (https://www.academia.edu/4211509); E. MAGNANI, De l’articulation
des réseaux monastiques en Provence au Moyen Âge: Saint-Eusèbe, Saint-Gilles et Cluny, in L’abbaye Saint-Eusèbe de Saignon, Vaucluse et ses dépendances: histoire et archéologie. Actes du colloque régional tenu à l’occasion du Millénaire de la fondation de l’abbaye, 1004-2004 (Saignon, 21-23 mai 2004),
edd. G. BARROULet Y. CODOU, Forcalquier 2006, pp. 149-158; G.VANEECKHOUDT, La mise en place
des réseaux monastiques en Brionnais au Moyen Âge, in Permanences et ruptures dans le monde rural du Moyen âge à l’époque contemporaine, Dijon 2004, pp. 35-50; E. MAGNANI, Réseaux monastiques et
réseaux de pouvoir. Saint-Gilles-du-Gard: du Languedoc à la Hongrie (IXe-début XIIIesiècle), in « Pro-
vence historique », vol. LIV (2004), pp. 3-26 (http://provence-historique.mmsh.univ-aix.fr/n/2004/ Pages/PH-2004-54-215_01.aspx); H. MORIN SAUVADE, La filiation de Bonnevaux-Ordre de Citeaux
(XIIe-XVesiècles): contribution à l’étude des réseaux monastiques, Saint-Étienne 2002; M.M. CHIBNALL,
Le problème des réseaux monastiques en Angleterre, in IDEM, Piety, Power and History in Medieval
England, Aldershot 2000, pp. V, 341-352.
129 Insediamenti benedettini fra identità e territorio: reti monastiche e contesti locali
NOMELAV: SAN BENEDETTO E L’EU PAG: 4 SESS: 8 USCITA: Fri Mar 11 10:49:48 2016 SUM: 4CE4DF16 /first/TIPOGRAFIA/LIBRI/LEV−SAN−BENEDETTO−E−L−EUROPA−NEL−50o−DELLA−PACIS−NUNTIUS/10−Salvarani
Proprio perché gli insediamenti monastici (con le loro dipendenze e proprietà) sono stati il perno di queste operazioni o l’oggetto di contese fra gruppi citta- dini che aspiravano al controllo delle risorse del territorio, le fonti documentarie prodotte e conservate al loro interno privilegiano aspetti patrimoniali e gestionali. E su questa base, con prospettive prevalentemente economiche e sociopolitiche, si sono sviluppati gli studi anche recenti.
Nella documentazione locale, l’appartenenza alle famiglie monastiche, i rife- rimenti all’osservanza delle regole, gli usi, i rapporti e le devozioni interne ai singoli cenobi restano invece per lo più sullo sfondo, quando non vengono com- pletamente taciuti, perché confinati su un piano consuetudinario consolidato e non contestato.
Eppure, proprio nelle fasi di mutamento delle situazioni patrimoniali ed eco- nomico amministrative, nelle intersezioni fra dinamiche gestionali e processi di organizzazione monastica interna emergono le linee dell’appartenenza e le scelte ispirate a una coscienza “regolare”, e benedettina in particolare.
Nella quotidianità concreta della conduzione della vita comune e dell’ammi- nistrazione dei beni, si sono incrociati – infatti – rapporti territoriali locali e dina- miche di appartenenza alle grandi reti monastiche. Lì si è giocata con esiti alterni e diversi caso per caso, la vera battaglia, per la libertas ecclesiae.
Su questo doppio livello di azione, su questo essere “nel mondo ma non del mondo”, si manifestano, da una parte, una forte specificità che fa di ciascun cenobio – e di questi considerati qui, in particolare – un caso a sé, e, dall’altra, linee di scelta e di orientamento comuni e generali.
Santa Maria di Maguzzano, San Colombano di Bardolino, San Zeno a Verona, San Rufino a Mantova, per quest’area, sono indicativi delle trasformazioni vissute dal mondo monastico subalpino, con particolare riferimento alle applicazioni in situazione di visioni ecclesiologiche corrispondenti alle riforme carolingia, impe- riali e gregoriana e al riassetto complessivo del XV secolo.
1. Santa Maria di Maguzzano
L’insediamento di Maguzzano, sulle colline dell’entroterra meridionale del lago, è attestato in età carolingia: compare in un diploma di Carlomanno dell’878, la donazione della curtis regia di Desenzano al monastero veronese di San Zeno, nella quale venivano precisati i confini, usque Maguziano4. Considerata in senso diacronico, la sua vicenda mette in evidenza la forza e la continuità di un’appar- tenenza monastica e dell’adesione alla regola, nonostante vere e proprie cesure.
4V. FAINELLI, Codice diplomatico veronese, Venezia 1940, I, n. 266. La vicenda è ricostruita in
R. SALVARANI, Santa Maria di Maguzzano: una comunità gardesana tra San Benedetto in Polirone e i
vescovi di Verona, in La memoria dei chiostri. Atti delle prime Giornate di studi medievali Laboratorio di storia monastica dell’Italia settentrionale (Castiglione delle Stiviere [Mantova], 11-13 ottobre 2001), a cura
di G. ANDENNAe R. SALVARANI, Brescia 2002, pp. 175-194.
130 Renata Salvarani
NOMELAV: SAN BENEDETTO E L’EU PAG: 5 SESS: 8 USCITA: Fri Mar 11 10:49:48 2016 SUM: 537B2B71 /first/TIPOGRAFIA/LIBRI/LEV−SAN−BENEDETTO−E−L−EUROPA−NEL−50o−DELLA−PACIS−NUNTIUS/10−Salvarani
Il primo testo certo che riguarda l’abbazia di Santa Maria di Maguzzano è il
Decretum di Raterio di Liegi (890-974), vescovo di Verona (931-934; 946-947?,
961-968), che ne fece un “caso” all’interno della sua azione pastorale, operando un cambiamento radicale5.
Il suo intervento è consistito nell’insediamento forzato di secolari in un mona- stero, all’inizio degli anni Sessanta. La sua scelta dovette essere percepita come una prevaricazione, o almeno, come un’eccezione da addurre a determinate, gravi, circostanze. Il prelato, infatti, nel disporre il provvedimento, spiega in modo arti- colato le circostanze. Argomenta che l’abbatiola era già in precedenza sottoposta alla diocesi veronese e che, in assenza di un riferimento spirituale per chi vi viveva e vi avrebbe dovuto seguire le regole monastiche, toccava al vescovo farsi carico di ripristinarvi una corretta condotta cristiana.
La situazione tuttavia doveva essere palesemente degenerata. All’interno del chiostro comandava un tale qui abbatis falso vocabulo solus gestabat cucullam e che non era in grado di rinunciare a vivere more uxorio, né a godere i beni materiali di cui avrebbe dovuto privarsi, insieme con i figli e altri parenti.
Raterio giudicò irrealistico l’obiettivo di ridurre il sedicente abate al rispetto di una regola monastica e, al contempo, scartò l’ipotesi di sopprimere il mona- stero. Così decise di stabilire a Maguzzano tre persone che conoscessero l’ufficio e che militarent in qualità di presbyteri, in modo che tutti i giorni vi fosse celebrata la Messa. Vi si dovevano aggiungere un diacono, un suddiacono e alcuni chierici. Nessuno doveva indossare l’abito monastico (la scelta episcopale non viene in alcun modo mascherata); tutti erano dotati di una rendita annua, in modo che non dovessero impegnarsi in attività lavorative né in traffici economici, che li avreb- bero distolti dal loro compito spirituale. Conducevano vita comune, leggevano le scritture durante i pasti e, alla loro conclusione, cantavano quod monachi cantant. Dovevano rispondere ad un presbyter, che rappresentava l’autorità del vescovo e che aveva l’obbligo di pranzare con loro nelle festività.
Di un monasterium e di una plebs si fa menzione nella bolla del 1145 con la quale papa Eugenio III confermò beni e diritti al vescovo di Verona6. Il monastero è citato anche nelle bolle papali del 11547e del 11888.
Di una serie di abati regolari si ha notizia a partire dal 11909.
Nello stesso periodo si registra una progressiva indipendenza dal vescovo di Verona. La subordinazione alla cattedra di Zeno rimase un fatto poco più che formale, a partire sempre dal 1190, quando una bolla di papa Clemente III esentò
5Ratherii Decretum. Quo ex abbatiola Magonziani amandatis monachis subrogantur clerici, in Opera minora Ratherii Veronensis, Corpus Christianorum, Patr. Lat. Vol. CXXXVI, coll. 399-402.
6Patr. Lat., vol. CLXXX, col 1038C.
7SALVARANI, Santa Maria di Maguzzano, cit., pp. 185-188.
8Ivi, pp. 189-192.
9G. GANDINI, Maguzzano, storia di un’abbazia, Brescia 2000, vol. I, pp. 29-30.
131 Insediamenti benedettini fra identità e territorio: reti monastiche e contesti locali
NOMELAV: SAN BENEDETTO E L’EU PAG: 6 SESS: 8 USCITA: Fri Mar 11 10:49:48 2016 SUM: 4AE38048 /first/TIPOGRAFIA/LIBRI/LEV−SAN−BENEDETTO−E−L−EUROPA−NEL−50o−DELLA−PACIS−NUNTIUS/10−Salvarani
il monastero dalla giurisdizione ordinaria, riconoscendo all’abate un’ampia auto- nomia di gestione.
Tuttavia, nel tempo, il vincolo rispetto al vescovo non venne meno e, ancora alla metà del Trecento, l’abate Galeazzo Pegorati presentava il suo omaggio al vescovo, offrendogli ogni anno una libbra di incenso e una di zafferano.
Il XIII e il XIV secolo segnarono una stagione di crisi per il complesso bene- dettino di Santa Maria di Maguzzano, sia perché l’intera area sud gardesana fu a più riprese devastata da truppe degli Scaligeri e dei Visconti che si contendevano la Lombardia orientale, sia perché il monastero stesso si indebitò in modo espo- nenziale e non riuscì a fare fruttare adeguatamente le sue proprietà fondiarie sparse sulle colline dell’entroterra benacense.
Occorre segnalare, inoltre, che il cenobio divenne un vero e proprio centro di gestione e amministrazione non soltanto dei propri beni, ma anche delle persone che risedevano sulle sue terre e le lavoravano, creando una sostanziale saldatura fra l’abate e il locale comune rurale. A partire da Lanfranco (1247), il pater abbas viene indicato anche come sindicus e presiedeva sia ai capitoli del monastero, sia alle assemblee pubbliche delle vicinie, soprintendendo, di fatto, a una doppia gestione congiunta, monastica e laica, del territorio. Forse proprio questa pro- fonda connessione con una realtà locale, impoverita e sottoposta a diverse pres- sioni economiche, militari e politiche, sta alla base della decadenza dell’abbazia, alla quale si trovò un parziale e temporaneo rimedio ricorrendo all’istituto della commenda.
Il primo abate commendatario risulta don Francesco Grana di Bergamo (abate dal 1424 al 1438), segretario di papa Eugenio IV e priore di San Martino Bre- sciano. Questi ricevette l’incarico dal vescovo di Brescia Francesco Marerio, eletto nel 1423 esecutore apostolico della bolla di Martino V del 13 aprile 1423. Il vescovo verificò l’idoneità di don Francesco Grana e obbligò i monaci e i fedeli ad accoglierlo e a prestargli atto di sottomissione. È significativo riscontrare che fece in modo – ancora una volta – che ricevesse la benedizione come abate dal vescovo di Verona10.
La trasformazione in commenda non arrestò il dissesto in atto, tanto che nel 1461 l’abate commendatario di allora, Giovanni Martinengo, rimise la sua carica nelle mani di papa Pio II perché l’abbazia fosse unita alla Congregazione di Santa Giustina11.
Una lettera apostolica fu rivolta a Ermolao Barbaro, vescovo di Verona – anche in questo caso è evidente il ruolo giurisdizionale riconosciuto al prelato –, il quale assegnò il governo dell’abbazia a don Teodoro da Tortona, abate di Sant’Eufemia di Brescia. Il monastero gardesano era così passato alle dipendenze di quello bresciano, all’interno della congregazione patavina. Questa situazione non durò a lungo e, sia per il gravissimo indebitamento di Maguzzano, sia per le
10GANDINI, Maguzzano, storia di un’abbazia, cit., pp. 31-32.
11Ivi, pp. 33-34.
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NOMELAV: SAN BENEDETTO E L’EU PAG: 7 SESS: 8 USCITA: Fri Mar 11 10:49:48 2016 SUM: 46892F21 /first/TIPOGRAFIA/LIBRI/LEV−SAN−BENEDETTO−E−L−EUROPA−NEL−50o−DELLA−PACIS−NUNTIUS/10−Salvarani
controversie fra i monaci. Dovette intervenire la Congregazione, che impose il silenzio ad entrambe le parti e assegnò il centro monastico gardesano a San Bene- detto in Polirone. La decisione fu assunta in un capitolo, tenuto presso questa abbazia, nel 149012.
L’inserimento diretto nel circuito del grande polo benedettino mantovano accentuò gli aspetti dell’appartenenza di Maguzzano alla congregazione di Santa Giustina e all’ordine, in generale. Questi furono marcati anche dalle visite apo- stoliche periodiche dell’abate di Polirone
Il legame con il vescovo di Verona non venne meno, ma finì per configurarsi su un piano secondario. Fino a tutto il Cinquecento anche i successori di Zeno effettuarono visite pastorali a Maguzzano, ma la loro attenzione andò concentran- dosi via via sui fedeli e sull’attività di cura animarum svolta dai monaci, non sulla