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CAPITOLO QUARTO C ASO STUDIO : S ERBIA

4.3 Analisi dell’immagine

4.3.3 La comunicazione online

4.3.4.1 La ricerca di un’identità nazionale

Come afferma Hall (1999), in seguito alla caduta dei regimi comunisti nel centro ed est europeo, è emerso un desiderio generale di questi paesi, compresi quelli della penisola balcanica, di lavorare sulla propria immagine e sul proprio brand di destinazione. Nel periodo 1989-1991 i paesi balcanici, l’Ungheria, la Cecoslovacchia, la Polonia hanno mostrato un forte desiderio di apertura nei confronti del resto del mondo, e subito trasmisero un’immagine positiva e la volontà di trasformare la loro reputazione. Ma negli anni seguenti, solamente le città di Praga e Budapest riuscirono a continuare su questi binari, mentre gli altri paesi, tra cui la Jugoslavia, oggetto di guerre interne, videro riaffermarsi un’immagine del tutto negativa.

La creazione di un’identità nazionale dei paesi dell’ex Jugoslavia è stato un tema molto sentito a mano a mano che i vari paesi ottennero l’indipendenza. A partire dalla Slovenia e dalla Croazia si coglie l’importanza di creare un brand positivo del proprio paese, che si dovesse basare innanzitutto sulla ricerca di affinità con il resto d’Europa, quella che Hall definisce “Europeanness”. La sfida era di affermare l’affinità storica, culturale, geografica e di evidenziare gli usi e costumi che li legasse all’Europa Occidentale, si ricercava, cioè, da una parte di costruire una nuova identità alla quale le popolazioni sentissero di appartenere, dall’altra di posizionare il paese positivamente nella mente dei potenziali turisti internazionali, integrandosi così al resto d’Europa.

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Gli obiettivi delle strategie di branding erano quindi: saper rispondere alla domanda dei nuovi mercati, disassociarsi dal recente passato, ricreare una nuova immagine, disassociarsi dall’instabilità della regione, il tutto sfruttando le nuove tecnologie e compiendo approfonditi studi di mercato (Hall, 1999). Delle regioni balcaniche, solo le strategie di Slovenia e Croazia hanno avuto grande successo. Sono riuscite da un lato a estraniarsi dall’immagine negativa delle guerre dei Balcani, e dall’altro a basare una nuova immagine sulla vicinanza geografica e storico-culturale all’Europa Occidentale. Hanno dimostrato come il rebranding di paesi affetti da un’immagine piuttosto negativa associata a guerre, violenze, barbarie come quella dei paesi balcanici, non sia un’utopia. Tramite opportune strategie declinate sul contesto particolare del paese è possibile ridisegnare il proprio futuro come paese e come destinazione turistica.

Anche la Serbia ha proceduto in quest’ottica da quando, a partire dal 2006, Serbia e Montenegro si sono separati e la situazione politica si è stabilizzata. Le politiche di branding si sono basate sul tentativo di affermare un’identità nazionale rinnovata, aperta, culturalmente ricca e naturalisticamente intatta e misteriosa. A livello geografico, non potendo negare l’appartenenza ai Balcani (termine che i turisti associano alle guerre e a regimi non democratici), la Serbia usa la metafora del “ponte” tra Asia ed Europa, un crocevia di estrema ricchezza culturale. Volcic (2008) riporta un’affermazione contenuta in una pagina del sito web del governo serbo, che ben evidenzia la volontà di riaffermare il legame con l’Europa e l’importanza della posizione geografica:

Serbia is referred to as the crossroads of Europe. The international roads and railways passing down its river valleys make up the shortest link between Western and Central Europe, on the one side, and the Middle East, Asia and Africa on the other. Hence the incredible geopolitical importance of its territory.

Ma per attrarre i turisti internazionali bisogna dare una motivazione più forte. Tutte le regioni dell’ex Jugoslavia si autorappresentano come luoghi dalla storia misteriosa, esotici, in cui si possano fare esperienze memorabili, e godere di paesaggi selvaggi e di popoli passionali. A questo proposito la Serbia fa leva sulle aree rurali del paese, dove nei tradizionali villaggi si può venire a contatto con la

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cultura autentica del popolo serbo. Si fa promotore di un turismo etnografico e rurale, che permette di vivere in presa diretta con una natura misteriosa, dove le attività proposte sono numerose: dalla pratica di sport diversi, alle escursioni, alle cavalcate in montagna, alla raccolta di fiori e piante medicinali.

Secondo Volcic (2008) questo desiderio di trasmettere da un lato una forte volontà di adottare gli stili di vita europei, e quindi una forte spinta verso la modernità, e dall’altro lato la consapevolezza che la vera essenza del popolo serbo è conservata nei villaggi tradizionali immersi nella natura, è una contraddizione tipica di questo popolo. Come afferma un pubblicitario serbo durante un’intervista del 2006:

Our national character is all about being at once trapped within tradition and modernity. In that, we want to show the world that we are special…we are vital, fresh and have substance…We want to show tourists who come here to Serbia, how being passionate means freedom and happiness… how this can liberate us…and how the Serbs are actually about love…and the Serbs are more “real” and “live” then the tired, boring, over-civilized West.

Altro messaggio fondamentale che tutti i paesi dell’ex Jugoslavia hanno cercato di trasmettere, è quello di rassicurare i potenziali turisti, ma anche e soprattutto gli investitori stranieri e i diversi stakeholder, sulla sicurezza del paese. La Serbia ha, infatti, enfatizzato che il processo di riforme economiche e politiche in corso garantisce la stabilità e la sicurezza del paese. La sfida è quella di creare consapevolezza nel resto del mondo che le guerre sono finite, e il paese sta operando attivamente per riposizionarsi sul mercato europeo, facendo leva sui punti di forza che per anni sono rimasti sopiti.