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Ricerca della pressione stabilizzante

4. Esempio di calcolo

4.4 Metodo dell’equilibrio limite allo stato limite ultimo

4.4.1. Ricerca della pressione stabilizzante

Dai risultati ottenuti sopra, risulta chiaramente necessario intervenire per aumentare la stabilità del pendio. In questo studio si restringe il campo a interventi di natura strutturale, per cui si applicano al sistema forze esterne stabilizzanti. Come già visto, l’equazione che governa il problema è:

𝐸𝑘𝐹 = 𝑅𝑘 𝐹 𝐹𝑆+ 𝐴𝑘

𝐹

In cui E sono le azioni instabilizzanti, R le resistenze del terreno e A le azioni stabilizzanti fornite dall’intervento. FS è il fattore di sicurezza globale del pendio. Le azioni di sostegno, denominate A in linea generale, influenzano la stabilità, facendo aumentare FS, ma quest’ultimo non dipende dal campo di spostamenti del pendio.

In presenza di forze esterne, l’espressione di FS di Bishop diventa:

𝐹𝑆 = 𝑀𝑠𝑡𝑎𝑏 𝑀𝑟𝑖𝑏 = ∑ 𝑇𝑙𝑖𝑚𝑖𝑅 ∑ 𝑇𝑖𝑅 − ∑ 𝑸𝒊𝒃𝒊 = =∑ [𝑐 ′𝑙 + (𝑁− 𝑈𝑙)𝑡𝑎𝑛𝜙′ 𝑛 𝑖 ∑ 𝑊𝑠𝑒𝑛𝛼𝑛 𝑖 − ∑ 𝑸𝒊𝒃𝒊⁄𝑹

Qi sono le forze esterne (per unità di profondità) che si aggiungono all’equilibrio globale e anche all’equilibrio verticale del singolo concio, come mostrato in Figura 4.8 e rappresentano un contributo al denominatore di FS che diminuisce il momento ribaltante; bi sono i bracci delle Qi, rispetto al centro della circonferenza di rottura.

Figura 4.8 Rappresentazione schematica delle forze agenti sul generico concio.

Il primo passo nel progetto dell’intervento è la ricerca delle forze esterne o, in altre parole, della pressione che applicata al pendio lo renda stabile.

Si fissa un coefficiente globale di sicurezza accettabile, generalmente si assume che FS non sia minore del valore imposto 1,3.

Per stabilire l’area su cui applicare l’intervento è utile fare riferimento alla teoria

della linea neutra, che definisce il punto geometrico prima del quale

l’applicazione di forze esterne apporta un contributo stabilizzante all’equilibrio e oltre al quale tale contributo diventa invece instabilizzante per il sistema (Figura 4.9).

Figura 4.9 Profilo del pendio e linea neutra.

Considerando un carico P agente lungo il pendio, a seconda sua posizione x, il suo contributo può far aumentare FS sopra il valore di FS0 di partenza oppure no. Tale punto x rappresenta la “posizione neutra” in cui la presenza del carico è ininfluente. Da un punto di vista geometrico il punto neutro è la proiezione sul pendio del centro del cerchio di rottura e quindi varia di superficie in superficie. Secondo la teoria della linea neutra è quindi possibile definire, per ciascuna delle quattro superfici considerate, la lunghezza effettiva dell’intervento, cioè l’estensione utile dell’intervento lungo il versante.

Nella Figura 4.10 che segue si mostra schematicamente un esempio di lunghezza effettiva dell’intervento, LEFF, e la pressione p che agisce uniformemente sul tratto.

Figura 4.10 Applicazione uniforme della pressione stabilizzante lungo la lunghezza effettiva.

Nella Tabella 4.4 sono riportate le LEFF per ciascuna delle quattro superfici.

Superficie Leff [m]

S182 13,7

S176 12

S223 9,2

S169 7,1

Tabella 4.4 LEFF per i 4 meccanismi critici

Per ciascun meccanismo dunque si fissa la lunghezza su cui applicare la pressione stabilizzante e il baricentro di tale distribuzione uniforme; si applica la risultante

nel baricentro e si ricerca la forza che porti FS al valore 1,3. Trovato il valore minimo della forza necessaria, essa viene divisa per LEFF, ottenendo così la pressione cercata p. La ricerca viene eseguita per ogni meccanismo e per ogni altezza di falda Hw. Si ottengono quattro curve di p al crescere di Hw (Figura 4.11); anche in questo caso si nota la presenza di un inviluppo dei massimi valori di p per le quattro superfici critiche.

Figura 4.11. Pressioni stabilizzanti per le quattro superfici.

Fino a un valore di Hw di poco superiore a 6 m, la superficie che necessita di una p maggiore per essere stabilizzata è la S169, in viola in Figura 4.11, ma oltre quel valore la superficie che richiede un valore più alto di p è la S176, in rosso. Questa superficie, infatti, è tra tutte la più profonda e con maggior estensione e quindi coinvolge volumi di terreno più grandi.

0 10 20 30 40 50 60 0 2 4 6 8 10 12 14 p [ kPa ] Hw [m]

Come è logico aspettarsi, la condizione di pendio sommerso con la falda a 14 m è quella che richiede la massima pressione stabilizzante, poiché questa situazione rappresenta le condizioni più sfavorevoli.

In Tabella 4.5 sono riassunte le pressioni stabilizzanti ottenute per ciascun meccanismo per Hw=14 m. Hw [m] Superficie p [kPa] 14 S176 53,9 S182 38,6 S223 26,1 S169 25,9 Tabella 4.5

Si sceglie di applicare alle pressioni calcolate un coefficiente di sicurezza 𝐹𝑆𝑝 pari a 1,15 che tenga conto delle incertezze legate alla rete metallica:

𝑝𝑢 =𝑝 𝐹𝑆 𝑝

⁄ .

Le pressioni vengono allora incrementate del 15% e si ottengono le “pressioni ultime”, pu, riportate in tabella 4.6.

FS Pressione Superficie p [kPa] p ultima [kPa]

1,15 S176 53,9 62 S182 38,6 44 S223 26,1 30 S169 25,9 30 Tabella 4.6

Si sceglie di progettare nelle condizioni più critiche, adottando la massima pressione tra i quattro meccanismi e per la falda a 14 m. Inoltre si sceglie la massima estensione LEFF. Per ciascun meccanismo si attiverà un diverso numero

di chiodi a seconda della geometria della superficie di rottura, come verrà spiegato in seguito.

Riassumendo le informazioni disponibili fino a questo punto:

- Viene scelto il valore di pressione maggiore tra i 4 meccanismi di rottura, ovvero 62 kPa, relativa a S176;

- p viene applicata lungo la maggiore tra le LEFF pari a 14 m, approssimando la lunghezza relativa a S182.

Richiamo al sistema corticale passivo

Si riassumono di seguito le principali ipotesi con le quali si descrive in modo semplificato il funzionamento della rete corticale:

- si adotta l’approccio per sottostrutture, per cui l’inclusione (il chiodo) viene sostituita dalla forza che l’intervento trasmette al volume di terreno instabile;

- il chiodo è rigido;

- il sistema viene studiato in condizioni passive e quindi non viene applicata alcuna forza di pre-tiro ai chiodi;

- ogni chiodo è inserito in direzione normale al profilo del pendio e quindi normale è la forza che esso trasmette;

- la spaziatura lungo il pendio e quella fuori piano coincidono, Sx=Sy=S.

Come descritto nel Capitolo 3, l’intervento corticale passivo garantisce una forza al sistema che è funzione dello spostamento del terreno. La forza che può essere trasmessa al terreno dipende fortemente anche dalla spaziatura con cui vengono inseriti i chiodi. Tutte queste informazioni sono riassunte nella curva caratteristica ricavata dallo studio riportato nell’articolo di C.G. Di Prisco, Besseghini, Viganò, che viene richiamata in Figura 4.12.

Queste curve sono state ricostruite partendo dai valori riportati nell’articolo sopracitato. Dividendo la forza N per il quadrato della spaziatura (si ricorda che la spaziatura fuori piano e quella lungo il pendio coincidono) si ottiene la pressione garantita dalla rete.

Nel caso di un progetto allo stato limite ultimo si applica al pendio la massima pressione disponibile che l’intervento offre, per valori limite di spostamento ortogonale alla piastra dei chiodi, quando cioè la curva raggiunge un plateau. Per ammettere l’esistenza del plateau delle curve, è stata assunta implicitamente un’ipotesi importante: si assume che l’acciaio che compone la rete abbia comportamento infinitamente duttile. Quando viene raggiunto il valore ultimo della forza, che corrisponde al carico di snervamento del sistema corticale, il sistema garantisce una riserva di resistenza e sono concesse grandi deformazioni a carico costante, il che è conseguenza dell’infinita duttilità.

Figura 4.13 Curve caratteristiche delle pressioni

Nella Figura 4.13 sono riportate le curve caratteristiche delle pressioni che si ottengono dalla rete per le diverse spaziature, i cui valori sono riassunti in Tabella 4.7; tali pressioni devono essere confrontate con quella richiesta per stabilizzare il meccanismo S176. Le pressioni stabilizzanti massime diminuiscono notevolmente al crescere della distanza tra i chiodi e si deduce quindi il ruolo cruciale della spaziatura nel progetto.

p stabilizzante p ultima Spaziatura

p max [kPa]

per S176 per S176 a disposizione

54 [kPa] 62 [kPa] 1 m 360 1,5 m 97 2 m 43 3 m 15 Tabella 4.7

Dal grafico si osserva che una spaziatura di 1 m offre un contributo stabilizzante ben maggiore di quello necessario, quasi sei volte in eccesso a quella richiesta

0 50 100 150 200 250 300 350 400 0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35 p [kPa ] Spostamento [m] 1 m 1,5 m 2 m 3 m

dalla superficie S176. Le spaziature di 2 e 3 m, al contrario, non apportano al sistema il valore sufficiente di pressione. La spaziatura adeguata risulta 1,5 m. Relativamente alle altre tre superfici di rottura, invece, una spaziatura di 2 m sarebbe sufficiente, ma la condizione più restrittiva è appunto legata al meccanismo S176, come già spiegato.

Si potrebbe quindi scegliere di adottare la spaziatura 1,5 m, ma essa offre una pressione di quasi 100 kPa, valore ben maggiore di quello richiesto (62 kPa); di conseguenza volendo ottimizzare l’intervento si può cercare una distanza tra i chiodi in modo tale che la pressione a disposizione sia vicina a quella richiesta. Per interpolazione dei valori delle curve caratteristiche delle forze N, si ottiene la curva che risulterebbe da un intervento caratterizzato da spaziatura 1,75 m, in verde in Figura 4.14a.

0 50 100 150 200 250 300 350 400 0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35 N [kN ] Spostamento [m] 1 m 1,5 m 1,75 2 m 3 m

Figura 4.14 (a) Ricostruzione della curva per spaziatura 1,75 m; (b) pressioni per spaziatura 1,75 m.

Si noti che la reale spaziatura tra i chiodi non è esattamente 1,75 m ma 1,77 m, e per praticità essa viene approssimata.

La pressione viene applicata sul pendio attraverso il foglio di calcolo Excel (o allo stesso modo su SLOPE/W) e viene trasformata in forza per unità di profondità, Q come mostrato in Figura 4.15.

Q si ottiene dalla seguente espressione:

𝑄 = 𝑁̅ 𝑆1𝑆2

∆𝑙𝑖[ 𝑘𝑁

𝑚]

Dove 𝑁̅ è il valore massimo asintotico della curva caratteristica; S1 e S2 sono le spaziature tra i chiodi e ∆𝑙𝑖 è la larghezza della porzione di terreno su cui agisce Q. Dividendo 𝑁̅ per le spaziature (uguali tra loro) si ottiene la pressione omogeneizzata sull’area e moltiplicandola per ∆𝑙𝑖 si ottiene appunto la forza agente per unità di profondità che compare nell’equilibrio.

0 50 100 150 200 250 300 350 400 0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 p [kPa ] Spostamento [m] 1 m 1,5 m 1,75 2 m 3 m

Figura 4.15 Rappresentazione della distribuzione dei chiodi sul pendio.

In Figura 4.16 si mostra schematicamente l’intervento dimensionato e di seguito se ne riassumono le caratteristiche:

- si applica una pressione massima e uniforme di 63 kPa; - p viene applicata su una lunghezza di 14 m;

- i chiodi distano l’un l’altro 1,75 m lungo il pendio;

- il primo chiodo è inserito a una distanza dal piede di 0,25 m sull’orizzontale;

- in tutto sono presenti 9 chiodi.

Figura 4.16 Rappresentazione dell’intervento dimensionato.

Può essere interessante notare che diversi meccanismi di rottura possono attivare un diverso numero di chiodi. Ad esempio, la superficie S169 non comprende né il primo né gli ultimi tre; la S223 non comprende il primo né gli ultimi due, ma il discorso dell’attivazione della forza nel chiodo sarà meglio affrontato nell’ambito del metodo ibrido.

Fino ad ora non si è accennato alla lunghezza dei chiodi. Un requisito chiaramente necessario è che la lunghezza minima dell’inclusione sia tale da superare la massima distanza tra la superficie del pendio e la superficie di rottura, Dmax, come mostrato in Figura 4.17a. Infatti i chiodi devono assicurare l’ancoraggio del volume instabile alla parte di terreno non coinvolta nel cinematismo. Solitamente i chiodi vengono utilizzati fino a massime lunghezze di 8-10 m, oltre diventerebbero troppo snelli e flessibili. Nella pratica per lunghezze superiori si adoperano tiranti formati da trefoli, che garantiscono maggiore resistenza a trazione (Figura 4.17b).

Per la superficie di rottura presa in considerazione, la S176, Dmax vale 4,40 m, dunque si possono inserire chiodi di 6 m, per assicurare un margine di sicurezza.

Spostandosi dal punto di massima lunghezza ovviamente la distanza dalla superficie di scorrimento diminuisce notevolmente ma, per uniformità dell’intervento, si adottano chiodi tutti uguali.

Figura 4.17 (a) Rappresentazione schematica della distanza massima tra la superficie di scorrimento e il profilo del pendio; (b) rappresentazione di un tirante formato da trefoli.

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