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La metamorfosi dell’allegoria in dramatis persona , la sovrapposizione tra Vice e Machiavel

2.2. Richard III: il Machiavel naturalizzato inglese

Un individualismo sfrenato, un’indole sanguinaria, un’ossessione logorante: Richard è sia l’autore della sua fortuna che la principale vittima di se stesso, un Machiavel vanaglorioso punito per i suoi eccessi da una giustizia retributiva. Protagonista concepito secondo uno schema circolare, fa in modo che l’azione degli altri personaggi converga su di lui: è infatti il polo magnetico della rappresentazione, che grazie alla sua impareggiabile forza attrattiva e al suo carisma ipnotico, riesce, senza difficoltà, ad esercitare la sua ascendenza su chi gli sta attorno. Richard è la spugna che assorbe gli altri attori in gioco per poi rilasciarli al momento opportuno, l’elastico che si flette per tornare costantemente a se stesso: ogni passo apparentemente compiuto a favore dell’interesse altrui, si rivela una mossa ingegnosa per conseguire un traguardo personale. La sua presenza in scena potrebbe essere paragonata, quindi, all’azione di una turbina che risucchia nel suo moto vorticoso ed elicoidale chiunque possa essere finalizzato al raggiungimento dei suoi scopi: reificati e strumentalizzati , i

personaggi non solo rispondono alla volontà di Richard, ma a volte sono addirittura ridotti ad attributo esornans, mero accessorio esteriore per la sua immagine (si noti in particolare la sua epifania in mezzo ai due sacerdoti, veri e propri “stage properties” , utilizzati come corredo per rievocare l’immagine idealizzata del “Christian Prince”81) . Se Richard calamita attorno alla sua persona le figure che animano la realtà scenica, nondimeno attira costantemente su di sé l’attenzione del pubblico grazie alla sua stessa natura eccentrica: è infatti un personaggio “liminal” e “hybrid”82: da una parte garantisce l’interazione tra palco e platea, mantenendo costantemente aperto il dialogo fra gli attori e il pubblico, dall’altra si configura come la fusione tra il “Renaissance Prince” e il “culture folk of humour”83, un sinolo bizzarro tra l’elemento aristocratico e l’ elemento prosaico. La componente comico-carnevalesca di quest’eccentrico villain shakespeariano è stata notata in particolare da Michail Bachtin, che ne mette in risalto l’aspetto del “folk laughter”84, ossia la tendenza a ricorrere frequentemente a una comicità scurrile, data dalla combinazione fra sermo vulgaris, battute a sfondo sessuale e massime tratte dalla saggezza spicciola: il lato regale viene soverchiato da quello giullaresco, evidente lascito comico del suo antesignano del morality play . Tuttavia, rispetto al più monolitico antagonista delle Virtues appartenente alla tradizione medievale, Richard risulta dalla sommatoria di “official and serious”85: a dispetto della posizione di prestigio che riveste, non disdegna di cimentarsi in divertissement popolareschi, venendo meno all’autorità che il suo ruolo gli imporrebbe. Il carattere di “maschera buffa” di questo personaggio viene anche sottolineato dalla sua apparenza esteriore: nella primissima scena della rappresentazione, quando Richard si rivolge de visu al pubblico, rimarca enfaticamente la sua deformità, caratteristica che lo avvicina ai freaks, l’insieme della rarità che spesso si trovavano nelle corti con lo scopo di intrattenere e dilettare la vista dei sovrani: rientravano a far parte di questa categoria estremamente eterogenea animali esotici, circensi, acrobati, ma anche nani, giganti,

81Cfr. Nicoletta Caputo, “A ‘Marketplace Prince’: The Hybridity of the Character of King Richard III

and Its Popular Roots in the Vice”, in: Carla Dente and Jesùs Tronch, eds. Offstage and Onstage. Liminal

Forms of Theatre and Their Enactments in Early Modern English Drama to the Licensing Act (1737)

(Pisa:ETS, 2015) , pp.125-143

82 ibidem, p.131

83 Cfr. Bachtin, Rabelais and His World, (London-Cambridge, Mass: The MITPress, 1968), 30. 84 Bachtin, op.cit., 29

donne barbute e altri esseri umani affetti da qualche malattia o menomazione che li rendeva in un certo qual modo spettacolari86. Il fascino emanato da questo evil character, capace di suscitare un’attrazione morbosa e viscerale, è quindi quello dell’orrido, della ripulsa: Richard, che si trova già sotto i riflettori per la sua stessa conformazione esteriore, accende l’interesse in negativo, riconfermandosi agli antipodi rispetto al modello ideale del “Renassaince Prince”. L’anti-eroe tragico è infatti un essere avulso dalla logica dominante, in quanto “did not fit the framework of the ‘aesthetics of the beautiful’ as conceived by the Renaissance”87.

Rispetto al Vice, tuttavia, il personaggio di Shakespeare si evolve in senso più machiavellico: se mostra un’essenza burlesca e maligna, Richard è sospinto anche dall’anelito della sua straripante ambizione. Animato da un’irrefrenabile libido coronae, il duca di Gloucester si avvale dell’ausilio degli altri per intraprendere la sua rapace scalata al potere e vedere così soddisfatta la sua smania di salire al trono d’Inghilterra, schiacciando spietatamente gli ostacoli che si frappongono alla conquista del suo obiettivo e qualsiasi altro elemento percepito come ritardante.

Tuttavia, occorre dire che l’egolatria si conferma come il tratto predominante della personalità di Richard: la sua natura profonda di Vice lo porta a sfoggiare comportamenti infantili, come l’ostentazione smaccata dei suoi successi e la pretesa di sonore gratificazioni da parte del suo pubblico; beniamino indiscusso degli spettatori, si avvicina nuovamente al prototipo dell’antagonista dei morality plays poiché esperto nell’arte del coinvolgimento al punto di instaurare un rapporto di empatia con l’audience: la sua mobilità all’interno del limbo fra stage e pit e le sue fuoriuscite momentanee dalla finzione scenica ricordano da vicino il suo corrispettivo arcaico dell’interludio, che si relazionava costantemente con gli astanti e talvolta oltrepassava fisicamente l’universo drammaturgico per insediarsi in quello reale88.

La mirabile maestria di passare con una facilità disarmante da uno stato d’animo all’altro è un’ altra caratteristica macroscopica che lo accomuna al suo predecessore

86 Per gli “anomalous and marvelous human bodies” esibiti nelle “early modern fairgrounds” e nei

“cabinets of curiosities”, vedi Kathryn A. Hoffmann. “Of Monkey Girls and a Hog-Faced Gentlewoman: Marvel in Fairy Tales, Fairgrounds, and Cabinets of Curiosities,” Marvels and Tales 19.1 (2005):67-85.

87 Bachtin, op.cit, p.30

88 Cfr. Thomas Craik, The Tudor Interlude, Stage, Costume and Acting (Leicester: Leicester University

drammaturgico: nel suo studio critico The Allegory of The Evil, Bernard Spivack mette in luce proprio le magistrali doti recitative del protagonista, dotato di un impressionante talento istrionico: “his rapid transitions between convulsions of simulated grief and genuine hilarity89”. Se Richard si conferma quindi come un personaggio della pantomima, attestandosi come vero ed unico mattatore del palcoscenico, non bisogna però dimenticare che la sua vena spiccatamente plateale e magniloquente è sempre il prodotto studiato a tavolino di un disegno calcolato nei minimi dettagli: i suoi numeri scenografici spesso costituiscono il preludio a crimini compiuti con la meticolosità e il sangue freddo di un assassino seriale. Il Duca di Gluocester mira infatti a compiere la sua ascesa inarrestabile, lasciando dietro di sé, sul campo, vittime più o meno innocenti. Non c’è nulla, infatti, di così sacro da non poter essere immolato sull’altare della gloria personale; il cieco arrivismo spezza i legami di sangue, profana i vincoli familiari, si fa beffa delle alleanze, viene meno alle promesse stipulate: come un flusso inarrestabile, pur di arrivare all’agognata meta, l’empio protagonista travolge chiunque si trovi sul suo cammino e nella spietata competizione per il titolo reale, vede volti amici e familiari trasformarsi in smorfie dietro alle quali si celano temibili avversari.

L’ultimo discendente della casata York è indubbiamente uno degli evil characters più riusciti della penna di Shakespeare. E’ lui stesso ad evocare, in una sua battuta, il nome del Machiavel, come si farebbe in genere con una potenza demoniaca prima di intraprendere una sequela di stragi efferate ed atti immondi: simbolicamente, la scia di sangue che seguirà il duca di Gloucester viene profetizzata in questo frangente scenico, nella terza parte di Henry VI, history play che precede Richard III nella prima tetralogia. E’ qui che il personaggio, da deuteragonista, inizia, sempre più prepotentemente, a far sentire la sua voce. Richard, ancora Duca di Gloucester al momento della chiamata in causa di Machiavelli, si appresta a compiere nefandezze disumane, vantandosi di voler superare, in quanto a crudeltà, l’incarnazione stessa del male, il simbolo mefistofelico per eccellenza (“I can add color to the chameleon, / Change shapes with Proteus for advantages / And set the murderous Machevil to school”90). L’alone caliginoso che circondava la figura di Machiavelli trapela prepotentemente dall’asserzione di

89 Cfr. Bernard Spivack, The Allegory of Evil : The history of a Metaphor in Relation to His Major

Villains (The University of Chicago Press, 1958), p.162

Gloucester, attivando nel pubblico una sorta di reader’s response teatrale91: sfruttando i pregiudizi dello spettatore comune e la sua ostilità manifesta nei confronti di Machiavelli, le parole di Richard funzionano come una miccia drammaturgica, che si innesca ancor prima di veder consumati materialmente sulla scena o off stage omicidi violenti, orditi ad arte attraverso menzogne velenose: il nome dell’italiano racchiude un presagio ferale che ha un eccezionale impatto emotivo; è un ordigno lanciato per seminare il panico ancora prima che l’abominio si verifichi, pertanto non potrebbe esserci un’anticipazione prolettica più esplicativa della trama e degli intenti.

L’imperscrutabilità dei piani di Richard fa inoltre sì che molte vittime della sua battaglia personale non nutrano il minimo sospetto nei suoi confronti (il caso più esemplificativo è offerto da Clarence, che fino a pochi attimi prima della sua morte identifica nel fratello Edoardo il mandante del suo omicidio): questo perché l’ultimo dei Plantageneti, da bravo attore, ha maturato un’abilità sconfinata nelle tecniche di travestimento, sia verbali che non. L’uso dei disguises , ripreso dal repertorio del suo precursore teatrale, assurge ad ulteriore testimonianza della doppia natura del Duca di Gloucester, riassunta nell’ilarità del buffone e nella freddezza del Machiavel che preventiva con precisione algebrica quali saranno gli effetti delle sue masquerades: per ben due volte, a distanza ravvicinata, il protagonista di questa tragedia fa la sua comparsa con un costume di scena appariscente e simbolico; si tratta di un momento cruciale all’interno della rappresentazione, in quanto precede la decisione che stabilirà a quale erede affidare il trono d’Inghilterra. La prima volta (III,v), Richard indossa un’armatura dalla foggia grottesca (“rotten” e “ill favoured”) , indumento che ben si confà al racconto dell’agguato immaginario che riferisce al Lord Mayor, in un secondo momento, poco più avanti, si rende protagonista di un’altra charade, facendosi vedere in mezzo a due chierici mentre sorregge un libro di preghiere, simbolo per eccellenza della sua virtù (quest’atto illocutorio spettacolare ha lo scopo di costruire l’identità di Richard in antitesi a quella del fratello maggiore, già screditato in precedenza davanti

91 Cfr. Stanley Fish, Is there a text in This Class? The Authority of Interpretative Communities,

alle autorità cittadine dalle parole di Buckingham, che l’ha ritratto come l’incarnazione dei vizi più turpi92).

A differenza di Prospero, che si configura come l’autore della realtà che ha attorno, Richard spende le sue energie soprattutto nella sorvegliata e studiatissima costruzione della sua immagine; in Richard III , l’asse dell’interesse sembra spostarsi dal mondo all’individuo, dalla collettività al singolo: per riuscire al meglio nel suo scopo, cioè risultare credibile agli occhi del pubblico, Richard, erede per eccellenza del Vice, cerca fin da subito di entrare in simbiosi con gli spettatori, con i quali mira a rafforzare il contatto in modo quasi morboso, spinto dalla necessità di consolidare una posizione ancora instabile, basculante: ha un fervente bisogno che gli altri si fidino di lui per conquistare il potere e per trascinare potenziali alleati dalla sua parte, deve necessariamente passare attraverso la tappa della benevolenza. Per riuscire al meglio nel suo scopo, Richard utilizza in prima istanza la carta dell’ironia: come il suo precursore teatrale, mostra una doppia faccia, schierandosi apertamente dalla parte dell’uditorio; se con i personaggi con cui condivide il palcoscenico si rivela falso ed ipocrita, non esita, di contro, a mettersi a nudo davanti al pubblico, destinatario privilegiato di battute pungenti ma anche di verità scomode ; da buon Vice che “weeps with his victims, but laughs with the audience”93, Richard rende lo spettatore il suo interlocutore privilegiato, nonché il suo principale complice. Al fine di assicurarsi la fiducia di chi gli sta intorno, ma anche un discreto “popular appeal”94 per appagare la sua vanità puerile, unisce all’insuperabile maestria retorica una vasta gamma di espedienti vili e meschini (si noti in particolare come spesso voglia mettere in risalto il suo “far compassione”), si rende poi protagonista di veri e propri coups de théâtre, come possono testimoniare le numerose entrate trionfali (si veda nuovamente quella fra i due canonici), i gesti eclatanti e magniloquenti (la minaccia di un suicidio in scena per mano di altro personaggio) e le azioni eclatanti (l’insistenza nel rifiutare la corona quando gli viene offerta). I due principali organi di senso sono irresistibilmente catturati dallo smisurato aplomb effuso da Richard: l’orecchio viene accarezzato dalla mellifluità delle sue espressioni, l’occhio accecato dalla spettacolarità delle sue azioni. Vista e

92 Cfr. Nicoletta Caputo, op.cit., pp.125-143 93 Cfr. Nicoletta Caputo, op.cit., pp.125-143

udito così irretiti sono soggetti all’aggressione feroce di Richard, che esercitando una stretta presa sui canali esterni della ricezione, fa in modo che la tossicità delle sue parole si diffonda in maniera alacre nel tessuto epiteliale, insinuandosi così più facilmente nelle coscienze. Nulla è lasciato al caso e l’essenza proteiforme del protagonista utilizza ad arte la lusinga e l’invettiva a seconda delle circostanze.

Il vittimismo esibito è un’altra delle cifre caratteristiche di questo personaggio: fin dal suo primo ingresso in scena, come già accennato in precedenza,il Duca di Gloucester si lamenta della misera condizione in cui riversa. La natura matrigna, in primis, lo ha privato della bellezza fisica (“Cheated of feature by dissembling nature, / Deformed, unfinished, sent before by my time / Into this breathing world scarce half made up”95): in questo monologo- confessione, Richard si introduce al pubblico come un figlio ripudiato dalla natura, scaraventato sulla terra ancora prima di essere finito. Le prime battute pronunciate dal protagonista sono quindi di denuncia, ma rivelano anche un secondo fine apologetico: il germe del male che si è annidato in lui non è infatti il frutto di una predisposizione innata ma viene piuttosto presentato come la legittima reazione a una congiuntura astrale negativa che, destinandolo ad essere relegato in un cono d’ombra, un universo solipsistico fatto di atroce sofferenza e dolore, lo ha portato, come conseguenza tautologica, a maturare in sé la perfidia. Il venefico duca di Gloucester appare, fin dal primo momento in cui calca la scena, come un soggetto derubato di un bene che spetterebbe a tutti di diritto: a causa di una stortura del fato, è destinato a un’esistenza d’infelicità e di isolamento forzato. Con la privazione delle belle forme, la bramata “fair proportion”96, la natura ladra gli ha sottratto ciò che costituirebbe la garanzia della sua gioia: da queste premesse, quindi, nella ricostruzione capziosa di Richard avrebbe avuto origine la sua indole malvagia. Nelle sue dolenti parole d’accusa si potrebbe risentire l’eco di teorie contemporanee a Shakespeare, sviluppate da Francis Bacon, ma fondate su idee che circolavano già in epoca medievale. Nel suo trattato ‘on Deformity’, lo studioso adotta un approccio problematico nei confronti degli assunti tracciati in precedenza e li rivisita secondo una prospettiva critica: se era più probabile che una natura arcigna potesse svilupparsi in

95 William Shakespeare, Richard III, I, i, 19 -21 (Milano: Einaudi, 2005) 96 Cfr. Nicoletta Caputo, op.cit., p.129

corpi deformi, l’umanista Bacon precisa tuttavia che non si tratta di una costante assoluta, bensì una tendenza che può essere documentata da diversi casi;la malvagità inoltre non costituisce la causa, bensì l’eventuale effetto della bruttezza fisica (“Certainly, there is a consent between the body and the mind; and where nature erreth in the one, she ventureth in the other. Ubi peccat in uno, periclitatur in altero. But because there is in man an election touching the frame of his mind, and a necessity in the frame of his body, the stars of natural inclination are sometimes obscured by the sun of discipline and virtue. Therefore it is good to consider of deformity, not as a sign, which is more deceivable, but as a cause, which seldom faileth of the effect”97). Le stesse riflessioni baconiane opportunamente drammatizzate sembrerebbero trovare un possibile riscontro nel soliloquio di Richard, che non solo evidenzia come non affondino in lui le radici del male, ma palesa anche la sua riluttanza verso il ruolo che deve forzatamente interpretare.

Dall’impostazione tragica del preambolo risulta evidente il tentativo di Richard teso a suscitare il coinvolgimento emotivo del pubblico, incentivando nell’uditorio reazioni di misericordia e comprensione; mentre interpreta magistralmente la parte del martire della situazione, il Duca di Gloucester catalizza l’attenzione dell’audience sulla sua ingiusta esclusione dall’armonia dell’universo. Il contenuto doloroso del discorso viene esaltato dalla fusione fra asianesimo e tecnica del movère, impiegata ad hoc per suscitare pathos, emozioni forti ed identificazioni fra lo spettatore e il parlante. Richard fa riferimento a una sorta di principio di kalokagathìa inversa, in base alla quale, per natura, all’interno di un involucro guastato e deforme non può che svilupparsi un animo vizioso e corrotto: il primo atto perlocutorio appare di fatto come un’excusatio a priori e oltretutto non petita, che assolve una duplice funzione anticipatoria e giustificatoria. La malvagità non è partorita da una scelta personale: appare piuttosto come una necessità calata dall’alto, ordinata dagli eventi disposti dal cieco caso e dalle crudeli leggi della natura; per sopravvivere in un mondo a lui dichiaratamente ostile, Richard ha dovuto provvedersi di una corazza protettiva che non corrisponde però alla sua intima essenza.

Why, I, in this weak piping time of peace, Have no delight to pass away the time, Unless to spy my shadow in the sun, And descant on my own deformity. And therefore, since I cannot prove a lover To entertain these fair well spoken days, I am determined to prove a villain”98.

Se il duca di Gloucester, in questi versi, mette allo scoperto la sua identità di “villain”, è anche vero che al tempo stesso la rigetta con un contro-movimento, utilizzando astuti escamotage che attutiscono la portata delle sue affermazioni: avvalendosi di una capacità di argomentare di matrice aristotelico-sillogistica, fornisce una scusante a quella che, se in un qualsiasi altro individuo sarebbe considerata un’aberrazione, per lui diventa una necessità obbligata.

E’ nell’ incredibile abilità a produrre discrasie fra la sua immagine esteriore e la sua vera essenza e nel far supporre l’esistenza di scarti evidenti tra le vere attitudini e il ruolo che è costretto a impersonare che questo Machiavel produce continuamente frizioni legate al suo personaggio: dicendo a proposito di se stesso tutto e il contrario di tutto, siamo in dubbio sulla versione alla quale prestare credito ma siamo anche istintivamente portati a riporre in lui nostra fiducia; Richard infatti è una “maschera aperta” o una “maschera nuda” che non cela nulla riguardo al suo passato burrascoso e non si preoccupa minimamente di nascondere gli errori commessi: non si preoccupa di insabbiare le ombre del passato ed ogni colpa viene ammessa senza omissioni; tuttavia c’è una volontà di attutirle che passa proprio, paradossalmente, attraverso la componente spettacolare, in quanto alla dichiarazione esplicita segue sempre la presa di distanza. L’esibizionismo e l’ostensione sono altri due fattori che connotano la personalità spiccatamente teatrale di Richard: è un ottimo avvocato della sua causa, ma anche un grande imbonitore, sia nei suoi monologhi melanconici (I,i) , sia nel suo

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