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La metamorfosi dell’allegoria in dramatis persona , la sovrapposizione tra Vice e Machiavel

2.1 The Tempest: due volti machiavellic

Per la sua indeterminatezza stilistica, geografica e diegetica, The Tempest viene considerata da molti critici come un enigma parzialmente solubile. La configurazione aleatoria del setting, i suoi sporadici e atipici abitanti, il trattamento inconsueto riservato alla dimensione temporale e da ultimo, ma non di minore rilevanza, l’unione dell’elemento magico a quello reale, concepiti come vasi comunicanti, denotano la complessità intrinseca di questa commedia, che si discosta, in parte, dal genere di appartenenza: Roberto Puggioni, definisce, non a caso, questo play altamente versatile, come il frutto di una “combinatory drammaturgy”, ossia un testo inteso come sovra – genere, capace di armonizzare le forme più nobili della tradizione drammatica e letteraria in un organismo dalla struttura compatta, innestato sul principio della coniunctio oppositorum: la palingenesi tormentata e romanzesca di questa rappresentazione, che mette in scena un’umanità penitente, si fonderebbe, in pratica, su un “disegno onnivoro”, teso al trionfo della contaminatio59, in cui aulico e prosaico, tragico e comico convivono in un rapporto perfettamente paritario.

The Tempest, che per la sua particolare configurazione si eleva a unicum nel teatro shakespeariano, è diventata una delle rappresentazioni teatrali più dibattute all’interno del panorama critico, diviso, in particolare, sulla questione della sua finalità ultima: concepita da molti come il testamento letterario di William Shakespeare60, le viene generalmente attribuito il significato di un suo addio risolutivo all’universo teatrale, una congedo definitivo dalla scene. Se decidessimo di adottare come valido questo tipo di lettura, dovremmo ravvisare nel protagonista Prospero un alter ego drammatico dello scrittore, un suo doppio letterario che, come Shakespeare, si è avvalso di una tecne (in questo caso la conoscenza delle arti magiche) per forgiare un mondo ex novo,

59 Cfr. Roberto Puggioni, “Geometrie pastorali: dal ‘favoloso ermafrodito’ italiano ai romances

shakespeariani”, Una civile conversazione, lo scambio letterario e culturale anglo-italiano nel

Rinascimento (Bologna: CLUEB, 2003), P.110-115

60 Cfr. Lauren Arnold, Rule in ‘The Tempest’: The political teachings of Shakespeare’s last play (London

ricostruendo con i suoi artifici una realtà ideata dalla potenza creatrice della sua fantasia. Ma le analogie non si limitano a quest’unico punto: il mago, che alla stregua del drammaturgo, si avvale della sua immaginazione per produrre dal nulla nuovi cosmi, finisce anche per organizzarli, gestirne le relazioni: dopo aver predisposto la scacchiera, apre i giochi nel vero senso della parola, iniziando a cambiare di sede una pedina dopo l’altra. L’inventore fonde quindi alla forza propulsiva della creazione quella sistematica della direzione: modella e amministra, svolgendo le due azioni in perfetta sincronia, e solo a lui, sorta di entità semi-divina, spetta il compito di sciogliere la trama una volta per tutte.

Lo svolgimento del dramma e di conseguenza la sua soluzione finale dipendono esclusivamente dall’ egocentrico protagonista, che opera come un monarca assoluto, accentratore di tutto il potere e libero da ogni legge in quanto incarnazione stessa della legge. E’ dalle decisioni di quest’entità autoritaria che dipendono dispoticamente le sorti dei personaggi minori:ed è in tale machtwille, volontà di potenza, che è stata identificata, per l’appunto, la voce dello scrittore che delibera senza concedere possibilità di replica.

Secondo tale prospettiva, questo play sarebbe dunque da intendersi come metafora e al contempo glorificazione del teatro: questa teoria, sostenuta soprattutto in epoca romantica, sulla scia della convinzione che The Tempest fosse l’ultima fatica artistica di Shakespeare, è frutto dell’applicazione di un approccio biografista all’opera, teso a intravedere riverberi della vita reale in quella letteraria o drammaturgica. Le prove a sostegno di questa tesi sarebbero offerte dalla presenza di azioni simboliche disseminate all’interno della rappresentazione: un caso su tutti è offerto dal finale, in cui Prospero, dopo aver concesso la libertà ad Ariel, arriva a spezzare la bacchetta-emblema del suo potere, per fare nuovamente ritorno alla realtà del ducato di Milano, compiendo un’azione speculare, se vogliamo, a quella di Shakespeare, che rinunciava alla sua attività di drammaturgo a Londra per condurre una vita tranquilla e appartata nella cittadina di Stratford61. A suffragio di questa visione concorre anche il modo in cui Shakespeare ha costruito la percezione del tempo all’interno della vicenda

61 Cfr. Anna Luisa Zazo, “l’isola dei suoni: metafora teatrale o ‘commedia’ dantesca?”, La Tempesta

drammaturgica, con il preciso intento di farla combaciare quasi perfettamente a quella esterna alla rappresentazione: il tempo della narrazione coincide con quello reale, come se si volesse porre l’accento, in modo ancora più marcato, sull’intrinseco legame tra l’universo concreto e quello fittizio.

Altra vexata quaestio della Tempesta è quella che riguarda lo spazio entro il quale si srotola la vicenda. Per i critici che si basano sulle evidenze testuali, fra cui lo statunitense Richard Paul Roe, si tratterebbe di un luogo realmente esistente: dalla ricostruzione topografica desumibile dai dati forniti da Shakespeare, potremmo collocare la vicenda su un’isola Mediterraneasituata in un punto intermedio sulla rotta che separa Tunisi da Napoli, identificabile, con ogni probabilità, con l’isola di Vulcano, nell’arcipelago siciliano62.

Secondo un altro settore della critica autorevole, fra i cui rappresentanti spicca il nome di Laura di Michele63, sarebbe invece da intendersi come uno spazio completamente artificiale, di natura spirituale e purgatoriale, una zona viva, personificata, che agisce direttamente sulla coscienza dei personaggi: i naufraghi scaraventati dal nubifragio sulle rive di quest’isola scontano la loro pena per i torti commessi in passato; qui sono chiamati a compiere un rito di catarsi, intraprendendoun processo di purificazione ed espiazione della colpa.

Una commedia particolare,dunque, dati le sue numerose ambiguità e i frequenti coni d’ombra, ma anche perché tormentata, allucinata alle volte, con un labile confine che separa la dimensione onirica da quella dell’incubo. Ne costituiscono un esempio illustrativo l’apparizione di sontuosi banchetti, l’arrivo repentino di spiriti dell’aria capaci di cangiare le loro sembianze in esseri mostruosi e l’avvertimento continuo di una minaccia latente. Quella che all’inizio sembrerebbe, a tutti gli effetti, una revenger’s play ,in cui all’inflizione del castigo seguono la solitudine e il senso di rassegnazione, si rovescia, nel finale, nel suo esatto contrario; l’happy ending coronato dal matrimonio della giovane coppia segna l’inizio di un nuovo, ben augurante, stato di cose, suggellato dall’elargizione del perdono ai colpevoli da parte del padrone dell’isola e dalla sua rinuncia al potere per fare ritorno alla normalità: tutte queste caratteristiche

62 Cfr. Richard Paul Roe, The Shakespeare Guide to Italy: Retracing the Bard’s Unknown Travels

(HarperClollins, 2011), pp. 265-296

rendono The Tempest , nella definizione che ne dà il critico polacco Jan Kott, un “dramma di riconciliazione”64, teso al ripristino dell’armonia e dell’ordine costituito.

Alla luce di questo breve riepilogo, possiamo affermare che l’espressione dell’Italia, in questa messinscena, è più implicita che manifesta. Se scartiamo l’ipotesi che l’isola sia un luogo geograficamente localizzabile , dobbiamo però ammettere che l’area di provenienza dei personaggi principali del play è tutta italiana: ben quattro dei membri della nave affondata appartengono al mondo dell’aristocrazia della penisola – Alonso, il re di Napoli, Sebastiano, suo fratello, il giovane Ferdinando, futuro erede al trono e infine Antonio, l’usurpatore illegittimo del ducato di Milano, un tempo appartenuto al fratello Prospero, ora signore incontrastato dell’isola. Lo stesso andamento della trama, ricollegabile per una buona parte al revenger’s play, rinvia a un panorama dalle tinte fortemente italiane in quanto questo è il Paese che, più di ogni altro, nella finzione scenica del teatro inglese, meglio si presta a diventare lo sfondo ideale per fatti di sangue, congiure familiari, faide fra consanguinei, rivalità per il potere e atti punitivi plateali65.

Ma anche lo stesso atteggiamento dei personaggi ,e di Prospero in particolare, risulta in larga misura “italianizzato” : il mago opera, infatti, ora come demiurgo, ora come un sarto che imbastisce abilmente la fitta trama del racconto, apportando continue modifiche a una realtà modellabile a suo piacimento. A tal proposito, l’articolo di Luke Knapp, incentrato sul rapporto dialettico che viene ad intrecciarsi fra protagonista e potere all’interno di The Tempest, mette in luce l’evidente ascendenza machiavellica di questo“ideal candidate for examining power structures”.

Non dobbiamo infatti dimenticare che questa rappresentazione, pur essendo immersa in un’atmosfera magico-soprannaturale, mostra una forte connotazione in senso politico, in quanto: “these characters are, above all, integral pieces in Prospero’s political experiment, whose aim is to create the best possible regime”66.

64Cfr. Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, (Milano: La Feltrinelli, 2002), p.167

65 Cfr. B. Gibbons, The Revenger’s tragedy (London: Bloomsbury Methuen Drama, 2008), pp.23-24 66 Cfr. Lauren Arnold, Rule in ‘The Tempest’: The political teachings of Shakespeare’s last play (London

Nell’analisi di Knapp, Prospero è inoltre definito come un “political tyrant ”67, che dopo essersi impadronito della “property of the others”, ossia l’isola di Calibano, obbliga, da una parte, i suoi sottoposti a una condizione servile, e passa il suo tempo, dall’altra, ad elaborare espedienti che hanno come scopo principale la vendetta, la sanzione della colpa, il ristabilimento della sua autorità violata: la tempesta, il naufragio e la pazzia dell’equipaggio sull’isola incantata sono una serie di trucchi architettati a sommo studio per saldare un conto in sospeso, pensati, quindi, come un’esemplare restituzione parziale del male subito. Despota autoritario, giustiziere privato, ma anche ingegnoso macchinatore, Prospero si configura, a un triplice livello, come un’incarnazione del Machiavel: la capacità di plagiare le coscienze, nonché quella di orchestrare gli eventi in modo che sfocino nella perfetta esplicazione della sua volontà, sono chiari indizi che rinviano alla disforica concezione elisabettiana del politologo fiorentino.

Tra i tratti che lo accomunano, invece, al più generico “italian character”, è da ravvisare quel morboso desiderio di vendetta che muove i suoi piani: ogni azione proditoria compiuta da Prospero all’intero di questo play, pensata in funzione prettamente castigatrice, persegue infatti la ferrea volontà di rivincita sugli antagonisti. Occorre far notare,tuttavia, che a differenza dello stereotipo, questo personaggio scelga ,alla fine, la via della pacificazione, optando per un’assoluzione di massa: un atto di magnanimità quindi, che se sfata, in parte, il mito dell’italiano sanguinario,non rinuncia però ad impartire una severa punizione agli avversari.

La redenzione viene conquistata dai colpevoli soltanto al termine di un percorso tortuoso e sofferto , dopo il superamento di innumerevoli peripezie e tribolazioni di natura fisica e psicologica : Prospero riconduce a terra i naufraghi in gruppi separati affinché ognuno creda alla morte degli altri, instilla il dubbio nelle loro menti, li induce a dormire a comando e si diverte, infine, a torturarli di continuo con miraggi e allucinazioni.

Altro elemento significativo , che ci consente di istituire un parallelo con la realtà italiana, è poi offerto dall’antefatto degli eventi rappresentati: causa principale

67Cfr. Luke Knapp, “The Tempest: a case study for Machiavellian political theories”

dell’esilio forzato di Prospero e della sua successiva relegazione in un’isola deserta, è, infatti, un intrigo di corte. Il protagonista è stato vittima di losche macchinazioni architettate ad arte dal bilioso fratello, divorato dall’ambizione e invidioso della posizione di spicco raggiunta dal Duca nella cerchia dei notabili di Milano.

L’ambiente cortigiano della penisola si riconferma, ancora una volta, come un teatro di complotti, invidie, corruzioni, gelosie; una palude marcescente, dove “each murderous, treacherous step brings the crown closer, but ‘from the highest steps there is only a leap into the abyss’ ”68: questo luogo di perversioni che acuisce l’arrivismo e l’orgoglio personale, snatura le relazioni affettive, arrivando ad istigare l’odio tra consanguinei. E’ stato proprio, infatti, l’irrefrenabile desiderio di potere, che ha spinto Antonio a prendere accordi segreti con il re di Napoli: pur di ottenere la deposizione di Prospero dal trono, il fratello del Duca si è impegnato a diventare vassallo del sovrano campano, con la promessa di versargli un tributo annuo: “Confederates, so dry he was for sway, /Wi’th’King of Naples to give him annual tribute,/ Do him homage, subject his coronet to his crown”69.

Molteplici tratti dell’italiano vengono dunque riassunti ed equamente riversati nella personalità dei due fratelli: da una parte abbiamo il protagonista del play, cinico con gli avversari e dittatoriale nei confronti dei subalterni, dall’altra Antonio, meschino, opportunista, sanguinario, disposto a tutto quando si tratta di veder esauditi i suoi più intimi desideri: dopo aver tentato di uccidere il fratello, infatti, cercherà di convincere Sebastiano ad imitarlo , facendo lo stesso con Alonso, per diventare, così, il nuovo re di Napoli.

Se inquadriamo il comportamento di Antonio all’interno dell’ideologia machiavellica, dobbiamo incontrovertibilmente ammettere che questo personaggio incarni alla perfezione il ruolo di “great pretender, doing bad but seeming good”70.

La raffinatezza felina con cui porta a termine le sue azioni criminali, fra cui spicca, su tutte, l’allontanamento in sordina di Prospero dalla corte, gli consente, contemporaneamente, di mantenere immacolata la sua immagine pubblica e di prevenire ritorsioni e sommosse da parte del popolo. Un tale temperamento freddo e calcolatore

68 Cfr. Jan Kott, Arcadia amara. “La Tempesta” ed altri saggi shakespeariani (SE: Milano, 1995), p.30 69The Tempest, I, ii, di William Shakespeare, vv. 130-33 , Arnoldo Mondadori, classici”, 2009

non può che richiamare da vicino una figura storica in particolare, lautamente encomiata nel Principe di Machiavelli: si tratta di Cesare Borgia, “who is believed to have murdered his brother Juan, his brother-in-law and masterminded several political assassinations” 71, rapportabile a questo personaggio shakespeariano per la naturale predisposizione alla malvagità e la febbrile smania di potere.

Ma è soprattutto nella finzione, nel far apparire l’artificio come realtà dei fatti, che Prospero, stavolta, rievoca più da vicino l’idea elisabettiana del Machiavelli: la sua essenza profonda è infatti quella del practical joker72, un beffatore che fa credere come vere delle menzogne, la cui più grande soddisfazione consiste nel manovrare gli altri, nell’impartire ordini, nell’assicurarsi una vittoria sicura in quanto unico giocatore della partita. E’ un mago che si diverte, senza limiti e spesso senza pietà, a pizzicare l’immaginazione degli altri; presiedendo dall’alto alla storia e stimolando l’insorgere di deliri, sentimenti, e sensi di colpa nei personaggi che popolano la sua commedia.

Prospero non corrisponde infatti al ritratto del classico protagonista- eroe, totalmente privo di ombre: egli esercita il suo potere in maniera totalitaristica, imponendosi, spesso brutalmente, sui suoi sottoposti. Vittime del regime instaurato dal protagonista sono soprattutto Ariel ,spirito liberato dalla sua maledizione grazie alla magia di Prospero, ma poi asservito alla sua volontà, e Caliban, figura bestiale e primitiva che vive nel terrore del nuovo padrone dell’isola, regno, un tempo, della madre del mostro, la strega Sicorax. Le paure ossessive del figlio della negromante forniscono una prova evidente del regime assolutistico in cui è costretto a vivere: nutre infatti gli stessi timori di un suddito che teme di incappare nell’ira e nelle sevizie di un monarca spietato; Prospero, viene infatti definito, lapidariamente, “that tyrant that I serve”73.

Il critico John Knapp, basandosi sulla relazione fortemente iniqua che intercorre fra i due personaggi sopracitati, fornisce un interessante spunto di riflessione sugli echi delle teorie machiavelliche ravvisabili in questo rapporto di forza, simile a quello tra servo e padrone, popolo e capo di stato: se il signore dell’isola sconta con l’esilio la sua passata superficialità politica (ha anteposto gli studi al governo dello stato, per investire

71 Cfr. ibidem, p.36

72 Cfr. Anna Luisa Zazo, op.cit, p. 18

poi Antonio della gestione del Ducato di Milano), dimostra di perseverare in errori strategici anche nell’amministrazione dell’isola.

Nel suo libro di massime, Machiavelli afferma che il principe ideale deve astenersi dall’impadronirsi della proprietà altrui74 e che per un regnante, pur legittimato a ricorrere al pugno duro, se la situazione lo richiede, sia meglio non inimicarsi i suoi inferiori. Tenendo presenti questi assunti, Knapp asserisce che: “Prospero violates these Machiavellian principles of leadership flagrantly. Caliban deeply hates Prospero for colonizing the island and enslaving him. But the contradiction of the idea of Prospero’s political failure lies in his power over Ariel. Ariel is perfectly subjugated in the exact sense Machiavelli would have wished”75.

Le conseguenze del fallimento politico di Prospero, che hanno provocato la sua caduta dal potere e in seguito il suo odio sull’isola, sono il frutto, secondo quanto fa notare anche Oseman, della mancanza di un “real investment in his people”76, sia a Milano che sull’isola; se nel primo caso ha preferito dedicarsi alle arti magiche piuttosto che al benessere dei suoi cittadini, nel secondo ha usato un atteggiamento dispotico e soverchiante, innescando l’aspro risentimento di Caliban.

Alla luce di questi fatti, possiamo dunque affermare che il peculiare protagonista machiavellico di The Tempest si ritrovi ad essere anche la prima vittima dei metodi elaborati dal trattatista fiorentino: la politica si conferma un campo estremamente insidioso, che non tollera possibilità di errore, pena la perdita della posizione, la dissipazione degli averi e il rischio di focolai interni.

Ma è soprattutto il suo essere detentore di un’ ars come quella magico- demiurgica, che ci permette di accostare il personaggio di Prospero ai luoghi comuni diffusi sul Machiavelli. Nel caso di questo play shakespeariano, la conoscenza di queste pratiche costituisce una vera chiave di volta: hanno infatti consentito all’ex duca di Milano di imporre il suo dominio sull’isola e gli hanno consentito, successivamente, di soggiogarne gli indigeni. Ed è di nuovo grazie alle conoscenze pregresse che si esplica la nemesi: la valenza ambigua e negativa delle arti magiche sarà chiara soprattutto nel

74 Cfr. Niccolò Machiavelli, il Principe, (Milano: Mondadori, 1994) , p.65 75 Cfr. Knapp, op.cit

76 Cfr. Arlene Oseman, “The Machiavellian Prince in The Tempest”, Shakespeare in southern Africa, 22,

loro ripudio finale; Prospero, accortosi di aver usufruito di prerogative che non possono appartenere all’umanità, compie un atto auto-correttivo sbarazzandosi della bacchetta e rientrando così nei ranghi stabiliti. Se il protagonista è quindi un potenziale overreacher77 non possiamo dire lo stesso del fratello, Antonio, figura a lui complementare. La sua sete di dominio è tale da non impedirgli di tradire il suo familiare più prossimo, di tramare continuamente l’omicidio, di non mostrare traccia di pentimento per i crimini aberranti di cui si è macchiato. Il cinismo spietato che contraddistingue Antonio emerge soprattutto dalla sua confessione spudorata a Sebastiano che, assalito da dubbi di natura morale di fronte alla possibilità di uccidere il fratello per prenderne il posto, esterna al compagno le sue perplessità sulle ripercussioni di una simile azione sulla coscienza. La risposta rivela il più crudele pragmatismo dell’usurpatore del ducato di Milano: “ay, sir, where it lies that?/ If ‘twere a kibe, twould put me to my slipper;/ But I feel not this deity in my bosom. /Twenty consciences that stand ‘twixt me and Milan,/ Candied be they, and melt ere they molest”78. Sprezzante delle regole, noncurante dei limiti e degli affetti, Antonio è il ritratto del Machiavel per eccellenza: dissoluto e snaturato, pronto a tutto pur di raggiungere i suoi scopi. E’ l’uomo dell’autarchia, del carpe diem e del self-fashioning79

che grazie alle sue capacità, giocando sporco, ha creato il suo nome, la sua fama e la sua posizione. Artista del verbum e sempre pronto all’azione, fa sfoggio di un’indole pratica e intuitiva, rivelando così la sua lontananza dal più innocente Sebastiano, affetto da una

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