• Non ci sono risultati.

The Italian characters

3.2. The Duchess of Malfi : il senso dell’onore

Terra di passioni sfrenate, di delitti artistici, di ossessioni divoranti, di evidenti disparità di genere, l’Italia appare ai cittadini inglesi, paladini della stabilità e dell’ordine, come il paese dove trionfano la perversione e l’anarchia. I suoi abitanti appaiono eccentrici, incomprensibili, distanti in quanto a vedute, priorità e stili di vita: alla sobrietà degli inglesi è contrapposto l’estro degli italiani, al temperamento misurato e rigoroso degli Englishmen fanno da contraltare la sregolatezza e il genio inventivo degli Italians.

Il teatro elisabettiano mette in scena il personaggio italiano nella sua dicotomia intrinseca: se da un lato abbiamo il freddo calcolatore, il trasformista, il cinico opportunista, dall’altra si afferma un individuo schiavo delle sue manie, incapace di autocontrollarsi, in balia delle sue tempeste interiori e completamente privo di freni inibitori. I principi della medietas e dell’aurea mediocritas, tramandati dagli antenati romani come ideali di vita, sono ora un miraggio lontano: nelle due declinazioni assunte da questo character, gli antichi valori lasciano spazio a un’indole sanguigna, deviata, proiettata verso il male. Il Bel Paese è, per i drammaturghi inglesi, luogo di mirabilia e grotesque, un mondo carnevalesco che sovverte e disprezza le regole, asseconda ogni tipo di vizio, fa trionfare su tutto la spettacolarità. I drammi di Webster in particolare, secondo quanto afferma Irving Ribner, offrono un quadro amplificato di queste caratteristiche: “We enter the world of Webster and Marston, Renaissance Italy, full of intrigue and of an evil which is as pervasive as it is real”181. La penisola subisce quindi una metamorfosi in palcoscenico ideale delle stravaganze, in cui anche gli omicidi più efferati rivelano un’attenzione al gusto, alla resa artistica, alla ricerca della teatralità. Ne costituiscono un caso emblematico le morti scenografiche presenti nei plays che hanno a che fare con settings o personaggi italiani Si guardi, a titolo esemplificativo, alla modalità d’uccisione prescelta per Desdemona in Othello, soffocata dal Moro, sotto suggerimento di Iago, per preservarne la bellezza anche dopo il trapasso182; oppure o al prodigio della “statua funebre”, firmata da Giulio Romano, che inizia a respirare e a muoversi nel finale di The Winter’s Tale; si pensi, infine, alla potenza suggestiva delle

181Irving Ribner, Jacobean Tragedy: The Quest for Moral Order (London: Methuen, 1962), p. 163.

effigi di cera in The Duchess of Malfi , che provocheranno l’inizio del crudele calvario della protagonista.

L’arte, intesa come Italian craft, si piega a fini meschini, è un surrogato di realtà, quindi sinonimo di finzione, d’inganno, di frode. Crimini di una violenza inaudita sono architettati come un’opera figurativa, prestando la massima attenzione al dettaglio: solo in Italia trionfa un’estetica del delitto, caratteristica che contribuisce ad incrementare l’aura maledetta già depositatasi attorno a quest’eclettica nazione e ai suoi anticonformistici abitanti. Di fronte a una tale perversione, data dallo stridente contrasto fra una spiccata sensibilità per il bello e una crudeltà disumana verso i propri simili, il pubblico inglese rimane sbalordito, imbambolato, irretito; ciò che genera ripulsione emana al tempo stesso un fascino senza pari.

I memorabilia, fatti degni di essere raccontati e tramandati, si configurano come una miniera d’ispirazione inesauribile per i drammaturghi inglesi: il nucleo attorno a cui si sviluppa questa tipologia di plot teatrale è costituito da avvenimenti che suscitano clamore, scuotono le coscienze e generano sensazioni di stupore e meraviglia miste a reazioni di rigetto, sdegno, ribrezzo. Il teatro elisabettiano elegge la penisola a palcoscenico di questi fatti straordinari: ciò fa sì che il contesto italiano inizi, in questo modo, ad essere associato per antonomasia alla “black tragedy”, un genere che si contraddistingue per la trama cupa, sconcertante, sovvertitrice della morale comune183.

John Webster, scrittore per la scena durante il regno di Elizabeth e poi di James I, è noto per la sua attrazione viscerale verso le atmosfere spettrali, i dettagli macabri, gli aspetti truculenti184: per la rappresentazione di tali atrocità, scelse sempre ambientazioni esotiche e, nella fattispecie, italiane. La resa quasi pittorica con cui vengono raffigurati i particolari più raccapriccianti accese soprattutto l’interesse dei romantici; fu Charles Lamb, in particolare, ad esprimere la sua sincera ammirazione verso le modalità espressive del drammaturgo, affermando che erano in grado di suscitare abilmente

183Cfr. Robert C. Jones, “Italian Settings and the ‘World’ of Elizabethan Tragedy”, Studies in English

Literature, 1500-1900 , vol.2, (Houston: Rice University), pp.251-268

l’orrore, colpire un’anima nei suoi punti vivi, alienare e spossare una vita fino a privarla di tutte le sue risorse.185

Per l’impostazione di una della sue tragedie più famose, The Duchess of Malfi, l’autore elisabettiano si rifece all’omonima novella di Matteo Bandello, scrittore che si era ispirato, a sua volta, a un fatto di cronaca locale che lo aveva particolarmente impressionato. Il drammaturgo inglese si discostò però dal modello di partenza per quanto riguarda l’impareggiabile pregnanza verbale che rende unici i suoi scritti: a quest’autore dobbiamo infatti riconoscere l’ideazione di un linguaggio corposo, ricco di metafore e doppi sensi, capace di creare veri e propri “orrori visivi”186. L’oculatezza certosina con cui viene selezionato il repertorio terminologico risponde all’esigenza di esaltare gli aspetti più orribili e truculenti della vicenda; la storia emerge così nei suoi particolari più lugubri, al fine di sobillare la coscienza dello spettatore e di violentarne, letteralmente, l’emotività.

Il novellista italiano Matteo Bandello, fonte diretta a cui Webster attinse, si ispirò, per il suo racconto tragico, a un fatto del passato recente, un suggestivo dramma consumatosi in ambienti aristocratici che aveva suscitato lo sgomento dell’opinione pubblica. Le vicende drammatiche della protagonista femminile di questa novella ricalcano la biografia di Giovanna D’Aragona, andata in moglie all’età di dodici anni al Duca di Amalfi Alfonso Piccolomini. Stando a quanto documentato dalle fonti storiche, dal matrimonio nacque un figlio, che succedette al padre nel 1498. Dopo la morte del primo marito, la nobildonna sposò tuttavia in gran segreto Antonio Bologna, suo amministratore e maestro di casa. Di queste nozze rimasero però all’oscuro i due fratelli di Giovanna, Carlo e Ludovico. Quando, alcuni anni dopo, venne scoperta la relazione clandestina, ebbe inizio un lungo inseguimento che costrinse la coppia e i loro figli a scappare in varie città italiane. Una volta intercettati, i due sposi furono costretti a separarsi per sempre. La Duchessa venne ricondotta nella città campana, e non si ebbero più notizie di lei. Al marito non toccò sorte migliore: dopo aver trovato rifugio a Milano, infatti, venne brutalmente assassinato.

185 Cfr. Charles Lamb, Specimens of English Dramatic Poets who lived about the Time of Shakespeare

(New York: G.P. Putnam, 1851), p. 158

186 Gabriele Baldini, John Webster e il linguaggio della tragedia (Roma: Edizioni dell’Ateneo, 1953),

Quest’episodio di sangue sembra confermare, ancora una volta, l’immagine dell’Italia come luogo maledetto: la penisola si contraddistingue per la sua eccezionalità, in quanto si configura come lo spazio in cui la realtà supera di gran lunga la fantasia, dove tragedie spettacolari si consumano nel quotidiano. E’ il luogo in cui i sontuosi palazzi dell’aristocrazia si trasformano in tombe monumentali, dando ulteriore adito alle voci che volevano i suoi abitanti inclini alla “jealousy and vengeance” soprattutto quando l’onore delle donne di famiglia risultava compromesso187. Davanti a casi di tal fatta, il teatro inglese, già imbevuto di pregiudizi, si limitò a svolgere una funzione eminentemente compilativa. Il casus, l’evento straordinario, non era infatti il frutto dell’immaginazione dello scrittore, ma veniva direttamente offerto dall’episodio di cronaca nera, non necessitando, pertanto, di amplificazioni drammatiche o di aggiunte contenutistiche: la trama della vicenda diventava il resoconto letterario di massacri realmente avvenuti, e questo non poté far altro che fomentare ulteriormente lo scandalo.

Fatti come quelli capitati alla duchessa di Amalfi accesero inevitabilmente la curiosità del pubblico inglese, andando ad accrescere lo stereotipo, già ampiamente diffuso, che associava il suolo italiano alla dimora ideale del demonio e dei suoi sottoposti: la matrice stessa della messinscena, cioè il fatto storico, ne aumentava l’impatto fino all’inverosimile, contribuendo ad esacerbare la condanna morale da parte del pubblico contro l’innata perversione italiana. Va detto, tuttavia, che The Duchess of Malfi rientra fra quelle messinscene che si avvalsero della “dislocation” per occultare in realtà il “Jacobean symbol of viciousness and moral sickness”; sono ravvisabili infatti evidenti analogie tra la trama di questo play e la biografia di Mary Queen of Scots188, vittima a sua volta di complicate politiche matrimoniali.

Webster rese, comunque, la corte amalfitana simile ad un inferno terreno, a un ricettacolo della lussuria, dell’odio più feroce, delle stragi fratricide; a un circo nero in cui assistiamo a danze macabre e visioni da incubo; a un abisso in cui risuonano voci

187Cfr. Robert C. Jones, “Italian Settings and the ‘World’ of Elizabethan Tragedy”, Studies in English

Literature, 1500-1900 vol.2, (Houston: Rice University , 1970), p.251-268

confuse: è un luogo claustrofobico di esasperazione e di dannazione, popolato da personaggi ostili, resi ancora più minacciosi per la loro vicinanza.

Le tonalità fosche con cui il drammaturgo dipinse la suddetta realtà non devono però trarci in inganno. Anche se ricostruita abbastanza dettagliatamente, l’ambientazione pensata da Webster è in realtà un “costrutto interculturale”189, dove la creazione ideologica del “foreign setting” passa attraverso un processo di rinomina, invenzione del mito e applicazioni stereotipiche dietro cui si celano i tratti di una realtà geografica e sociale molto vicina: come si è detto, è probabile che Webster intendesse alludere, con la sua messinscena, alla travagliata vita della Regina di Scozia, anche se ci sarebbe un passaggio, in particolare, in cui il riferimento a un’antica abbazia, afferente a un pattern di “falling houses and monuments cited above”, rinvierebbe a un altro evento della storia recente, ossia la dissoluzione dei monasteri intrapresa da Henry VIII190.

Per la durata complessiva della messinscena, il drammaturgo inglese forgia, avvalendosi di un linguaggio ingarbugliato e contorto, un effetto di precarietà e di costante disorientamento, creando una dimensione soffocante e ansiogena: lo spettatore si disperde in un labirinto di bugie, complotti, corruzione. The Duchess of Malfi è una tragedia a cui si assiste con il fiato sospeso, sfiorando a tratti l’asfissia: è un inanellarsi senza sosta di eventi cruenti, sevizie psicologiche, immagini insostenibili alla vista; ogni particolare tende infatti all’estremo e all’effetto parossistico. Per quanto riguarda il richiamo a fatti di attualità su cui si esprime una prospettiva critica, Webster si fa portavoce, inoltre, della condanna elisabettiana contro il microcosmo della coutiership, luogo per eccellenza del mischief, nonché arena per ruffians, la cui degenerazione ha sorpassato ogni limite a seguito dei suoi contatti con il mondo cattolico191 .

L’unico barlume luminoso all’interno di questo scenario oscuro è rappresentato dalla Duchessa di Amalfi, donna caparbia e volitiva, dotata di un coraggio tutto femminile, che pagherà il suo temerario atto di ribellione con il tormento e la morte. Personaggio che racchiude in sé un animo passionale ed eroico, si consacra come una sorta di antesignana drammatica della difesa della libertà femminile: padrona assoluta

189 Cfr.Jurij Lotman, Culture and Explosion, (Berlin: Gruyter Mouton, 2009).p.47

190Cfr. Jones, op.cit., p.258

191 Cfr. Michael Pincombe, Elizabethan Humanism: Literature and Learning in the Later Sixteenth

del suo destino, infrange le consuete procedure matrimoniali, in quanto sarà lei ad avanzare la proposta di nozze all’incredulo Antonio. Tuttavia il vero atto di coraggio di questa virgo virago consiste soprattutto nello squarciare il silenzio comandato dall’etichetta, e nel ripudiare, in maniera categorica, ogni immagine precostituita che viene fatta calzare forzatamente alle donne. Sarà lei, con il suo esempio, a dimostrare che l’icona sublimata o demonizzata con cui viene comunemente bollato il suo sesso non soltanto non corrisponde al vero, ma non restituisce neanche un minimo di giustizia né alla profondità emotiva, né alla complessità psicologica che caratterizzano l’universo femminile: “This is flesh and blood, sir;/'Tis not the figure cut in alabaster/ Kneels at my husband's tomb.”192.

Quella ingaggiata dalla protagonista della tragedia si configura quindi come una battaglia contro la famiglia e contro un sistema iniquo, che fa della donna un soggetto succube, passivo, soggiogato, vittima dello strapotere degli uomini che hanno su di lei un controllo assoluto. Il maschio italiano è, di conseguenza, rappresentato come un crudele tiranno nei confronti del genere femminile, a cui pensa esclusivamente in funzione di se stesso: questa concezione di subalternità della donna, che risale al pensiero di Aristotele, identifica la passività e il dominio delle passioni con la sfera muliebre e l’attività unita al controllo della parte razionale col mascolino193. Considerata alla stregua di un attributo della sua virtù, un passatempo per la sua lussuria o una macchia per la sua reputazione, la donna subisce un processo di reificazione, diventando un oggetto-catalizzatore su cui l’uomo esercita la sua proprietà e detiene pienamente i suoi diritti.

La società italiana, rigidamente patriarcale, reputa la figlia femmina incapace di auto-determinarsi: diventa, pertanto, un possesso che passa, in linea diretta, dalle mani del padre a quelle del marito.Impossibilitata ad avere voce in capitolo sulle questioni che la riguardano in prima persona, le sue proteste si esauriscono in un sussurro, un mero flatus voci: più che un essere senziente e pensante, è ritenuta una creatura inferiore che si realizza soltanto in virtù della sua sottomissione alla componente maschile; può essere moglie fedele e devota, figlia e sorella ubbidiente o meretrice accondiscendente.

192 Webster, I, iii, v.192

193 Cfr. Aristotele, La Politica, I, 13, a cura di Richard Congreve (London: Parker and Son, Londra,

L’Italia, paese plasmato sul maschilismo e sull’orgoglio virile, coltiva, sopra ogni limite razionale, il senso dell’onore, che si esplica nella conservazione del buon nome e nella preservazione della fama, mezzi necessari per assicurarsi il mantenimento del prestigio. All’interno di questa sfera rientra anche la salvaguardia del decoro della donna di casa, concepita come la più redditizia tra le merci di scambio e il possesso più raro da esibire194. L’etica inflessibile che si applica al comportamento delle donne non è estesa però agli uomini, che godono di grandi libertà e perpetrano abitualmente atti immorali senza farsi troppi scrupoli: il tema scottante della disparità di genere si trova al centro della vicenda raccontata da Webster, che mostra, in maniera evidente, quanto grande sia il divario che, nella realtà italiana in particolare, separa il mondo femminile da quello maschile. Il drammaturgo inglese, influenzato, probabilmente, dal taglio sentimentale dalla lettera prefatoria che apriva la versione originale del racconto di Bandello, “Il signor Bologna sposa la Duchessa di Amalfi e tutti dui sono ammazzati”, fa trapelare, nella sua resa, una sincera simpatia verso la sfortunata protagonista. Sempre all’interno dell’introduzione, indirizzata al Conte Carlo Bartolomeo Ferrero, il novellista italiano pone l’accento sulle deformazioni insite nella mentalità dei suoi connazionali, aspetti che verranno portati all’estremo nel rifacimento inglese:

Il tale ha morta la moglie perché dubitava che non lo facesse vicario di Corneto, quell’altro ha soffocato la figliuola, perché di nascosto s’era maritata; e colui ha fatto uccidere la sorella perché non s’è maritata come egli avrebbe voluto. Questa è certamente una grande crudeltà, che noi vogliamo tutto ciò che ci viene in animo di fare, e non vogliamo che le povere donne possino far a loro voglia cosa che sia, e se fanno alcuna cosa che a noi non piaccia, subito si viene ai lacci, ai ferri, ai veleni195.

Coercizione, violenza, repressione: il quadro riportato da Matteo Bandello è una denuncia contro una società malata, che obbliga le donne a vivere nel timore costante della minaccia e della punizione; private completamente della loro autonomia, sono destinate a subire vessazioni, a vivere sotto il dominio maschile, in un regime autoritario e liberticida. Il tragico epilogo di The Duchess of Malfi offre la triste conferma di come

194 La filosofa francese Simone De Beauvoir sottolinea come tutta la cultura occidentale sia imbevuta di

questo pensiero, che nega alla donna l’identità di soggetto reale; nel nostro caso, l’Italia è rappresentata come la terra dove quest’assunto è portato ai suoi limiti estremi (Cfr. Simone De Beauvoir, Il secondo

sesso, il Saggiatore, 2001, p.61)

dolore e morte siano le uniche conseguenze che si prospettano per chi trasgredisce le norme di comportamento femminile; l’eroina tragica, infatti, dotata di una volontà tenace e di un incredibile spirito combattivo, preferisce portare avanti la sua battaglia personale, piuttosto che appiattirsi nell’abulia, nonostante sappia, fin da subito, che andrà incontro alla sconfitta.

Il fallimento finale della Duchessa non sottrarrà luce al suo valore, ma mostrerà, di contro, la meschinità della vittoria dei suoi tre aguzzini, facce diverse del medesimo dado, incarnazione tripartita della deviazione italiana: un cardinale libertino, un Duca sanguinario e un Machiavel diabolico, due mandanti e un unico, spietato, sicario, a cui viene commissionata una sequela di assassini che hanno come movente la protezione dell’onore della famiglia. La prima presentazione di Daniel De Bosola, tornato a palazzo dopo aver scontato sette anni di carcere, è un’aspra vituperatio: dopo aver paragonato la corte a una sorgente che si intorbida facilmente, Antonio Bologna, il maestro di casa della Duchessa, definisce l’ex galeotto come “The only court-gall”196; in lui si riconosce fin dal principio la figura del consigliere fraudolento, capace di infettare, con la sua sola presenza venefica, l’ambiente che ha attorno. Al cardinale non tocca in sorte una descrizione migliore: è Delio, stavolta, un cortigiano habitué del palazzo di Amalfi, a restituirne al pubblico un ritratto diffamante. Il fratello della Duchessa è presentato come l’esatto rovesciamento di quanto saremmo soliti aspettarci da un uomo di Chiesa: sguazza nel vizio, ama la bella vita e pratica con una certa disinvoltura atti peccaminosi; si dà al gioco d’azzardo, seduce le belle donne e spesso si trova coinvolto in risse e tafferugli. Ben lontano dal mettere in atto i precetti raccomandati dalla fede – una vita di preghiera, spesa nella nobilitazione dello spirito e nel disprezzo più assoluto verso i beni terreni – vediamo che il cardinale ha attitudini molto goliardiche e libertine: la rappresentazione diffamante di questo ministro della Chiesa ricorda da vicino i tratti tipici del clerical character dell’interludio Tudor, raffigurato come il peggiore nella lista dei criminali, una figura corrotta, dedita all’amore carnale, coinvolta in furti, omicidi e altre aberrazioni di tal fatta197.

196 Webster, op. cit., I.v.24.

197 Cfr. Nicoletta Caputo, Playing with power, gli Interludi Tudor e i percorsi della riforma (Napoli:

L’alone di sacralità che dovrebbe emanare dalle figure votate all’ascetismo viene infatti ad infrangersi fragorosamente all’interno di questo dramma; a rincarare la turpitudine morale di questo personaggio è Antonio, che ne mette in evidenza altre deviazioni rispetto ai codici di comportamento che si addicono a un religioso: l’alto prelato non sembra conoscere il significato del perdono e ha un’indole estremamente vendicativa; a comprometterne poi, ulteriormente, la reputazione concorre l’enumeratio di criminali idealmente immaginata al suo seguito, che lo assimila, nell’immaginario comune, al capo dei Vices dei morality plays198 (“for he strews in his way flatterers,/ panders, intelligencers, atheists,/ and a thousand such political monsters.199”).

La quarta scena del secondo atto stigmatizza, in via definitiva, il comportamento aberrante del Cardinale: sprezzante verso il voto di castità giurato alla Chiesa, lo vediamo mentre si intrattiene a Roma con l’amante, Julia, moglie di un membro della classe nobiliare italiana. Con un’inverosimile maestria, l’alto prelato mostra di saper scindere, se l’occasione lo richiede, la sua dimensione professionale da quella privata: correo nel peccato d’adulterio, reso ancora più grave dall’istituzione che rappresenta,

Documenti correlati