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La riflessione weberiana sul metodo porta avanti l'istanza che tutte le scienze debbano essere studiate allo stesso modo, negando la differenziazione tra analisi dei fenomeni sociali e analisi dei fenomeni naturali. Le scienze sociali non devono però tendere alla formulazione di leggi generali, ma devono spiegare i fenomeni analizzati nella loro individualità, rientrando così di fatto nel computo delle scienze idiografiche. L'obiettivo è una scienza della realtà nella quale siamo inseriti, che miri all'analisi della connessione e del significato culturale di fenomeni particolari nella configurazione che essi hanno assunto in un dato momento, e fondamenti alla base dell'evoluzione storica che ha portato tale fenomeno a ad essere “così-non-altrimenti”[vedi Weber 1974]. In tale visione non esistono solo spiegazione causale e validazione empirica, bensì un elemento prevalente deve essere la comprensione. Per questo si parla di sociologia comprendente, quando ci si riferisce all'analisi dell'agire ad opera di Weber. “Il compito della sociologia <<comprendente>> diventa perciò quello dell'elaborazione dei tipi ideali di atteggiamento, cioè delle forme di agire sociale che possono venir riscontrate in maniera ricorrente nel modo di comportarsi degli individui umani” [Rossi 1974, p. 35, intr. a Weber 1974].

Solo all'interno di un gruppo si può studiare l'agire razionalmente orientato, la cui conseguenza non è altro che un'azione orientata in un certo modo dall'aspettativa comune, calcolabile poiché basata su regole condivise, o se vogliamo sul senso condiviso.

Un buon esempio è il caso di Franklin, che pur avendo insiti i tratti distintivi del capitalista, non viveva in un'epoca in cui il modo di produzione capitalistico era affermato. Infatti un certo modo di agire per essere rilevante dal punto di vista appena descritto, deve essere diffuso in un gruppo, come scrive Weber: “per poter essere <<prescelta>>, ossia per poter riportare la vittoria sulle altre, quella maniera di vivere e di concepire la professione che è adatta alla natura peculiare del capitalismo doveva prima sorgere, evidentemente, e non in individui singoli ed isolati, ma come un modo di vivere che era proprio di gruppi umani”[Weber 2007, p.78].

Anche solo alla luce di esempi come questo, è doveroso dire che Weber oltre a opere incentrate su grandi temi, ci ha lasciato in eredità un metodo di studio che ci spinge ad indagare la realtà con mente aperta e senza la presunzione che il nostro punto di vista sia l'unico valido.

Esistono infiniti punti di vista, ma non si può cogliere la realtà oggettiva da nessuno di essi, poiché ogni studio derivante da una posizione rispecchia inevitabilmente i valori dello

studioso e quelli geograficamente e storicamente situati. Il riferimento è alla “relazione ai valori” che orienta le ipotesi di chi studia, nel tentativo di spiegare le motivazioni degli attori studiati e delle conseguenze dei loro atti. Tali ipotesi devono essere verificate dalla ricerca, che non esclude la presenza di altri fattori rilevanti e si limita a comprovare la validità di alcune condizioni significative secondo il punto di vista adottato, finendo talvolta per ri-orientarlo.

L'indagine dei fenomeni individuali non sembra però possibile senza una conoscenza di contesto, ossia nomologica della regolarità delle connessioni causali inerenti una certa realtà e un certo tipo di fenomeno. Questo è ciò che Weber cerca di fare nell'Etica, studiando prima le religioni europee e occidentali in genere, per poi analizzarne analogie e differenze, cercando nessi causali tra certe tendenze, presenti in alcune etiche ed assenti, o meno marcate in altre, al fine di trovare una correlazione tra etica religiosa e mentalità economica.

Alla base della costruzione analitica weberiana troviamo il tipo ideale, ossia “concetti tipico-ideali che devono consentire lo studio differenziato delle varie relazioni sociali, e quindi essere impiegati, in ultima analisi, per la comprensione steriografica dei fenomeni della società” [Rossi 1974, p. 32, intr. a Weber 1974].

La sociologia studia i tipi di agire sociale, analizzando le regolarità di comportamento socialmente determinate. In particolare, la “sociologia comprendente” cerca di ricostruire il senso soggettivo, che induce ad un certo tipo di azione orientata sulla base di aspettative condivise nella società.

Nel caso dell'Etica Weber mostra alcuni limiti della concezione materialista della storia, che da molti era stata innalzata a legge generale. Infatti, secondo Weber le idee non sempre sono sovrastruttura, e possono andare oltre le costellazioni di interessi di cui possono essere ideologia. Nonostante ciò, la cooriginalità di interessi e idee (unilaterali e necessari) permette a Weber di affermare che è possibile sia una concezione materialistica che una spiritualistica della storia al pari di quella spiritualista.

Weber in un primo momento sembra solo voler affermare la particolare relazione causale tra etica protestante e spirito del capitalismo, ma in definitiva mostra come le idee operano nella storia da un particolare punto di vista. Infatti un secondo caposaldo della teoria di questo autore è la parzialità di ogni punto di vista, tanto che ogni teoria deve essere presa non come legge generale, ma come azione preparatoria per studi successivi.

Egli si sforza di non dare definizioni, prima di aver descritto ciò che intende studiare; infatti partire in tal modo significherebbe partire dalle conclusioni.

Il suo sforzo è indirizzato ad analizzare i rapporti di interdipendenza tra fenomeni economici e fenomeni sociali, dividendo questi ultimi tra economicamente rilevanti ed economicamente condizionati. La religione protestante ovviamente si colloca nel primo gruppo, anche se per Weber, come descritto nei capitoli precedenti, non è ovviamente l'unico fenomeno alla base dello sviluppo del capitalismo moderno.

Il programma scientifico di Weber appare fin dall'inizio in netto contrasto con ciò che Marx ha scritto nei decenni precedenti. Il bersaglio di Weber non è l'importanza dell'economia nei rapporti sociali, ma il materialismo storico e la tendenza a ridurre i rapporti sociali unicamente a fenomeni derivati da quella che Marx definisce struttura. Inoltre, Weber condanna l'elevazione dei nessi tra fenomeni economicamente rilevanti e economicamente condizionati al rango di leggi generali.

Per L'autore dell'Etica, le generalizzazioni possono essere usate solo come idealtipi, quindi allo scopo di analizzare i fenomeni sociali per confronto e non come leggi generali. La generalizzazione diviene per Weber uno strumento, appunto un idealtipo, da usare in fase di studio e mai da ritenere come la conclusione dell'analisi.

Per chiarire subito un punto nodale inerente il rapporto tra Weber e Sombart da un lato e Boltanski dall'altro, occorre bruciare le tappe. Poiché in questa tesi si intende analizzare e problematizzare il concetto di Spirito del capitalismo, occorre spiegare e discutere fin da subito il pensiero e il modus operandi di Boltanski, mettendolo brevemente a confronto con quello dei due classici finora descritti. Dopo questa veloce anticipazione, torneremo sui nostri passi per continuare lungo la via che è stata scelta; Boltanski verrà esaminato più in dettaglio nel terzo capitolo.

1.4.1 Il mutamento punto di vista: da Weber a Boltanski

Boltanski identifica il secondo spirito del capitalismo nei manuali di management. L'autore ritiene che tale letteratura sia da considerarsi al pari dei riferimenti di Sombart agli scritti di Leon Battista Alberti, considerato un esempio di perfetto borghese del Quattrocento, o di Weber a Benjamin Franklin durante le descrizioni preliminari dello spirito del capitalismo. Boltanski stesso afferma che i suddetti riferimenti scelti da Sombart e Weber sono motivati per il notevole impatto delle teorie in essi contenute e questo, a suo dire, è il medesimo criterio che lo ha spinto ad analizzare i testi riservati ai manager. Infatti, questi testi sarebbero "le guide di coloro che guidano il sistema di produzione", ossia teorie dal

notevole impatto nella pratica economica e capaci di influenze sulla sfera sociale.

Tale scelta, anche secondo Boltanski, non è priva di problematiche inerenti i limiti di validità di tali teorie. Per questo non è stata formalizzata nessuna generalizzazione dotata di limiti netti tra giudizi fattuali e giudizi di valore.

Inoltre, scrive Boltanski rifacendosi a Weber: "come si può scegliere cosa è degno di essere annotato, analizzato e o descritto nel complesso flusso degli eventi, senza l'aiuto di un punto di vista intriso di valori?" [Boltanski 1999, p.xlv].

Queste scelte di metodo denotano la volontà, del resto esplicita, di rifarsi a Max Weber nella scelta delle modalità di analisi di una tematica weberiana.

Quello che lascia stupito il lettore che si avvicina al testo di Boltanski, dopo un'attenta lettura dell'Etica, o della Storia Economica è l'assoluta mancanza della ricerca sulle origini del capitalismo. Quindi viene eluso, forse volutamente, un tema centrale della letteratura weberiana, ossia la ricerca delle radici dello spirito del capitalismo. Anche l'importanza del fattore religioso viene assunto come dato, senza essere neanche discusso; chi si volesse cimentare nella ricerca di riferimenti più espliciti alla Riforma, resterebbe piuttosto deluso. Ciò non significa che Boltanski non riconosca l'importanza della ricerca delle origini del capitalismo, moderno o dell'importanza centrale, ma non calcolabile, del fattore religioso. La sua scelta di non soffermarsi su tali questioni, sottolinea solo il fatto che egli descrive un sistema di produzione che si è svincolato dal fattore religioso.

L'analisi di Boltanski parte dagli anni Sessanta, un periodo in cui la gabbia d'acciaio sembra essere forse l'unica certezza, per finire agli anni Novanta, l'epoca della rete e della flessibilità. Le radici storiche e religiose del capitalismo, del suo spirito devono essere tenute in considerazione, ma forse non sono più così centrali; sono storia.

Viene abbracciato il metodo weberiano, la sociologia comprendente, ma al tempo stesso viene scelto un punto di vista nuovo, che apparentemente poco ha in comune con quello dei classici. Non per questo deve essere visto un contrasto tra la teoria weberiana e quella dell'autore francese. L'impressione è invece quella di un continuum fondato sul metodo e non sul punto di vista, sui generali criteri che orientano la scelta del "fuoco", ma non sul

focus. Come scrive Boltanski: " [ibidem, p. 16-17]. Sembra che l'autore di Le nouvel esprit du capitalisme voglia semplicemente ripartire da dove Weber si è fermato, senza

analizzarne, descriverne, o problematizzarne le teorie. Pare che siamo davanti ad una descrizione di un fenomeno storicamente situato portata avanti con gli strumenti ed il metodo propri della sociologia comprendente. Tale studio non si pone in contrasto con ciò che è stato detto o scritto da Weber, e deve essere letto come un contributo indipendente

dalla produzione Weberiana secondo il punto di vista scelto, ma fortemente legato ad essa per la scelta del metodo, dei criteri e dei mezzi d'indagine. Una differenza, certo non di secondaria importanza, è stata quella di assumere il capitalismo come dato, senza darlo per scontato. Ciò significa che Boltanski accetta, o almeno non attacca in modo esplicito le teorie di Weber sulle origini del capitalismo e sullo spirito del capitalismo. Da qui una distinzione importante: i classici qui descritti rivolgevano i propri sforzi verso la ricerca dell'origine del capitalismo moderno, mentre Boltanski la assume come data e si concentra sulle dinamiche di mutamento del sistema in rapporto alla critica. I due autori francesi hanno ammesso che il capitalismo, come oggi si presenta, è il migliore dei modi di produzione possibili. Fukuyama definendo la fine della storia ha affermanto che, “non possiamo raffigurarci un mondo che sia essenzialmente diverso dall’attuale, e nello stesso tempo migliore” [Fukuyama 2003, p. 68]. Boltanski e Chiapello hanno cercato una soluzione a questa situazione senza trovare una vera risposta, riuscendo però a portare alla luce le contraddizioni del sistema capitalistico, che di per sé risulta amorale. Esso, infatti, non può trovare al suo interno le giustificazioni necessarie per coinvolgere gli individui nelle sue dinamiche; può acquisire un senso solo grazie al suo spirito, capace di soddisfare la richiesta di giustificazioni, tramite le mercificazioni derivate dalla fagocitazione dalle domande della critica.

Il Nuovo spirito del capitalismo è al tempo stesso l'elemento di rottura e di continuità tra Boltanski ed i classici. Esso, come vedremo nel capitolo 3, appare elemento di rottura in quanto descritto differente da quello che abbiamo conosciuto grazie allo studio dell'Etica

protestante, ma risulta elemento di continuità, poiché continua a svolgere la medesima