1.3 L'etica protestante e lo spirito del capitalismo
1.3.1 Riflessioni sullo spirito del capitalismo
Per approfondire l'analisi del concetto di spirito del capitalismo, sembra utile partire dall'ultima pagina dell'Etica protestante, che è stata citata in precedenza. In quelle righe si esplica una questione fondamentale per la sociologia, che trascende i confini della materia, per affermarsi come una problematica di fondo delle scienze sociali e della filosofia. Il riferimento implicito è alla dicotomia tra visione materialistica e visione spiritualistica, che tanto ha diviso e continua a far discutere. A tal proposito è interessante la posizione dello Stesso Weber, che condanna punti di vista univoci e parziali generalizzazioni orientate ad affermare la supremazia di uno solo di questi spunti teorici.
Alla luce di tale questione, pare interessante osservare il concetto di spirito del capitalismo, che, partendo dalla teoria weberiana, si può definire come un insieme di ragioni, di aspettative che hanno la capacità di indurre ad adottare una condotta che sia funzionale ed affine al sistema di produzione. Quest'ultimo viene descritto intrinsecamente come amorale, assurdo, e quindi in grado di condurre gli individui nelle sue dinamiche soltanto con il ricorso alla violenza, o alle giustificazioni che trova nelle leggi economiche. Esso quindi appare privo delle giustificazioni necessarie a per convincere gli attori sociali a scegliere di impegnarsi nel capitalismo. Lo spirito di cui parla Weber avrebbe quindi la funzione giustificatrice, ossia quella di validare le istanze del capitalismo, facendole accettare ai vari attori sociali.
Il primo punto della questione spinge ad discutere sul fatto che lo spirito del capitalismo sia più di una mera ideologia nel senso marxista del termine. A tal proposito è interessante l'opinione di Boltanski e Chiapello che descrivono la tendenza, derivante dalle teorie marxiste, a separare le idee dal mondo reale, ignorando le interconnessioni e le reciproche influenze tra essi. Secondo i due autori francesi, le idee sono state definite ideologie e paragonate a maschere o specchi capaci di offuscare e talvolta capovolgere la realtà [vedi Boltanski e Chiapello, in Boltanski e Chiapello 2005b, p. xix e xx]. Secondo Marx: “ la classe che dispone dei mezzi di produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee”[Marx e Engels 1974, pp. 35-36].
Queste due visioni, quella spiritualista e quella materialista derivano da due diversi tipi di orientamento, appunto dalle teorie di Max Weber, e da quelle di Marx. Sarà quindi
interessante analizzare questi diversi punti di vista, che per Weber non erano da considerarsi un contrasto – egli definiva infatti le due teorie entrambe come parziali, plausibili e degne di essere sviluppate, poiché ottimi punti di partenza per un'analisi più approfondita – citando alcuni punti cardine delle loro teorie.
Karl Marx, portando avanti una critica dell’ideologia, scrisse pagine importantissime sulla critica del sistema di produzione borghese. Nella sua visione la filosofia si inserisce nell’ideologia e quindi nella sovrastruttura. Seguendo la sua visione, l’affermazione di un sistema di produzione rispetto ad un altro induce una serie di cambiamenti che investono l’intera società, poiché la base, ossia il fondamento di essa viene identificato nei rapporti di produzione e nel possesso dei mezzi di produzione. Marx critica le tesi degli economisti, che innalzavano le leggi del mercato capitalista al rango di leggi naturali. Il capitalismo non è naturale, ma storicamente determinato, è un risultato, non un destino.
Come Marx, anche Weber, mette in discussione le teorie dell'economia classica, che non spiegano l’origine del capitalismo e lo propongono come unico ed efficiente regime di produzione, limitandosi descrivere le dinamiche del mercato e i sistemi di concorrenza. Gli economisti non mettono in discussione il primato del capitalismo. I sociologi lo riconoscono come il più avanzato dei sistemi di produzione, ma lo considerano solo una fase storica.
Weber individua nelle teorie degli economisti ottimi tipi ideali con i quali operare analisi sulla realtà, ma sottolinea che generalizzazioni di tal fatta non possono essere innalzate al rango di leggi.
Il punto cruciale secondo Weber è superare la visione materialista, non per negarla, ma per affermare che essa può essere valida solo se affiancata alla teoria spiritualista, l'unica in grado di dirimere le problematiche legate alla questione del senso.
Infatti, la visione marxista legava l'entrata degli operai nel sistema di produzione alla necessità materiale e alla coercizione violenta. Per Weber questo può corrispondere al vero, ma non basta a spiegare la realtà dei fatti. È vero che i detentori di capitale hanno abbattuto, sia il potere delle corporazioni, sia quello dei ricchi signori feudali, al fine di rendere il sistema funzionale al nuovo modo di produzione. I produttori rurali e i contadini furono privati delle terre; per la legge divennero “vagabondi”, poiché anche “duramente incalzati dalle autorità, vendono il loro lavoro sul <<libero mercato>> e diventano proletariato industriale”[Cavalli 1968, p.55]. Come scrive Marx: “la storia di questa loro espropriazione è scritta negli annali dell’umanità a caratteri di sangue e di fuoco” [Marx 1974, p. 898]. Ciò non basta per spiegare il mutamento in atto nei periodi storici descritti
da Weber. Marx non ritiene necessaria un'etica capace di indurre a prendere parte alle dinamiche del capitalismo. Secondo lui e sufficiente il fatto che esse stesse siano costrittive. Il suo è un capitalismo senza spirito, fondato su un'interpretazione materialista della storia e dei rapporti sociali. Marx non si spinge a indagare oltre la motivazione dettata dalla necessità di sopravvivere e dalla violenza coatta brutale di chi detiene i mezzi di produzione.
Come si spiega allora la necessità dello spirito del capitalismo inteso come etica, cultura e forma mentale?
Per capire l'importanza dello spirito del capitalismo, e non bollarlo come il mero frutto dell'ideologia dominante, è utile un ragionamento di due autori contemporanei già citati, Boltanski e Chiapello [2005]. Essi si chiedono come un individuo che non sia afflitto dalle necessità materiali decida di prender parte al sistema di produzione. Questa è la domanda giusta per motivare l'esistenza di un sistema di giustificazioni, che trascende la coercizione e la necessità materiale. I due sociologi sono partiti dalle teorie di Weber, per indagare quale sia il nuovo spirito del capitalismo dopo l'affrancamento dall'influsso religioso, trovando nella letteratura manageriale la nuova etica capace di giustificare l'azione economica, rispondendo alle istanze della critica e fagocitandola.
Tornando a trattare più da vicino il testo di Weber, vediamo che egli si è concentrato sull'origine del capitalismo, negando l'idea che il sorgere dello spirito del capitalismo sia soltanto un effetto secondario rispetto ai fattori di ordine economico. Secondo questo autore il passaggio dall'economia pre-capitalistica al capitalismo moderno è stata favorita dal mutamento delle strutture etiche motivazionali. I valori morali tradizionali sono stati scalzati da una visione che è riuscita a porre il profitto al primo posto, vedendolo come sintomo della grazia divina.
Secondo le teorie di Weber, lo spirito del capitalismo trae la sua capacità dinamica di mutare da un'intrinseca necessità, che deriva dal mutare stesso dell'etica religiosa e dal modello di vita da cui esso inizialmente prende forma.
Lo spirito del capitalismo si configura come l'insieme di motivazioni necessarie per indurre un individuo e un intero gruppo sociale ad impegnarsi nel nuovo sistema economico capitalista. Questo, poiché esso non è sempre esistito e quindi perché agire al suo interno, non può apparire naturale.
Lo spirito del capitalismo proposto da Weber è capace di rivoluzionare i rapporti e le consuetudini del mondo tradizionale. L'asse portante su cui si regge la teoria weberiana non è solo il rapporto tra azione economica e etica religiosa, poiché la demagizzazione e la
relativa razionalizzazione investono ogni aspetto della vita sociale.
A questo punto possiamo affermare, come scrive Poggi, che “L'Etica protestante non discute il processo di modernizzazione dell'economia europea nel suo insieme, ma entro questa vastissima tematica si concentra su un tema relativamente ristretto – il gruppo che ne fu protagonista – e lo fa inoltre da un punto di vista particolare”, a Weber interessa “[...] determinare, in prima istanza, quali complessi di significati condivisi, di intendimenti dell'esistenza, abbiano orientato quel gruppo sociale, convalidando moralmente e intellettualmente il suo operare, sostenendolo e motivandolo nel suo ruolo storico [...] A tale spirito del capitalismo”, continua Poggi, “appropriato al nuovo gioco economico tipico della modernità, spettava non soltanto autorizzare moralmente l'aspirazione degli individui al guadagno, ma anche orientarla e direi costringerla ad esprimersi attraverso l'attività quotidiana, instancabile, da un lato di gestione razionale delle risorse investite nell'impresa (a cominciare da quelle strettamente personali, di carattere si direbbe), dall'altro di ricerca di nuovi prodotti, nuovi mercati, nuove modalità di produzione e di distribuzione”[Poggi 2004, p. 75-76].
Weber descrive l'affermarsi del capitalismo imputandolo, almeno in parte a motivi religiosi, ma senza dimenticare altre caratteristiche necessarie tra quelle di carattere economico e sociale. Infatti, per l'autore non è possibile portare avanti una teoria “follemente dottrinaria del tipo” lo spirito capitalistico “è potuto sorgere solo come esito di determinati influssi della Riforma; o, addirittura: il capitalismo come sistema economico è un prodotto della Riforma. Un'opinione siffatta sarebbe confutata una volta per tutte già dal fatto risaputo che certe forme importanti di azienda capitalistica, importanti modi capitalistici di condurre gli affari siano notevolmente più antichi della Riforma” [Weber 2007, pp. 113-114].
Weber afferma la centralità del fattore religioso, in situazioni in cui il capitalismo si sviluppa “spontaneamente”, ma non esclude, anzi sottolinea, l'importanza dell'influsso di altri fattori come quello economico, sostenendo il “plurifattorialismo”.[vedi Cavalli 1968, pp. 37-38].
Egli, come già discusso, sottolinea anche il fatto che il sistema di produzione si svincola dal fattore religioso e diviene un insieme di specialisti senza spirito. Lo spirito del capitalismo viene definito “come un insieme di dettami caratterizzati dalla loro doverosità, come un codice inteso non ad assecondare la volontà dell'individuo, come un imperioso criterio in base al quale gli si chiedeva di verificare la propria fibra morale”[Poggi 2004, p.77].
Oggi, in un periodo in cui la gabbia d'acciaio sembra essere forse l'unica certezza, l'analisi di Weber sembra ancora viva e lo spirito del capitalismo pare ancor più un elemento astratto che gode delle prerogative della materialità. Esso, pur essendo dotato delle caratteristiche dell’ideologia, non può essere ridotto ad essa, poiché, come detto, ha concreti effetti capaci di incidere sui rapporti di produzione.
L'etica religiosa, come scrive anche Weber, sembra ormai non essere più necessaria alle dinamiche del capitalismo. Si può dire lo stesso per lo spirito del capitalismo, inteso in senso più ampio come ordine, giustificazione e considerarlo svincolato dal suo passato, che era intensamente legato all'etica religiosa?
Tale interrogativo appare un'interessante sfida per le nuove generazioni di sociologi, che potranno indagare la loro realtà anche con l'aiuto delle categorie lasciate in eredità dai classici.