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Ripristino del commercio estero dell’Italia e sistema valutario

INTERNAZIONALE: COMMERCIO ESTERO E BILANCIA DEI PAGAMENTI NEL PERIODO DELLA RICOSTRUZIONE

4.1 Ripristino del commercio estero dell’Italia e sistema valutario

Anche quando le ostilità furono cessate, per l'Italia riattivare i propri commerci fu impresa alquanto difficile; in un primo momento le trattative commerciali furono condotte solo con gli alleati e per intermediazione governativa, piuttosto che con un

contatto diretto tra imprese219.

La normalizzazione si avviò nell’agosto del 1945 con la conclusione di un accordo con la Svizzera, seguito da accordi con la Svezia, la Spagna, l’Austria, la Francia, la Danimarca e da un numero di negoziazioni con il Belgio e altri paesi. Non diversamente da quanto avveniva negli anni immediatamente precedenti l’inizio della guerra, questi accordi furono caratterizzati dalla compensazione bilaterale.

La circolazione delle merci in entrata e in uscita era sottoposta ad un regime piuttosto rigoroso, essendo l’obiettivo prioritario quello di ridurre il più possibile il disavanzo della bilancia dei pagamenti; vi erano pertanto degli specifici organi preposti al controllo dei flussi di merci, i quali rilasciavano licenze per l’esportazione e l’importazione. Fu il caso, ad esempio, dell’accordo con la Francia che consentì un’eccedenza di esportazioni italiane. Anche negli accordi con la Svizzera e la Spagna rispettivamente debitrice e creditrice dell’Italia, furono poste in essere deroghe al principio dell’equivalenza del valore degli scambi, per consentire il regolamento di

219 Si è stimato che nel regime armistiziale le esportazioni italiane fossero prossime ai 900 milioni di lire nel 1944 e ai 1.700 milioni nel 1945, costituiti prevalentemente da prodotti del suolo, specie agrumi, e da semilavorati. Il 70 per cento delle esportazioni era assorbito dal Regno Unito seguito dagli Stati Uniti, da Malta, dalla Francia e da pochi altri paesi. Cfr. Banca d’Italia, Relazione per l’anno 1945, p. 147

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debiti arretrati. Inoltre forme di flessibilità, con aperture di credito da parte di istituti di compensazione, si verificarono negli accordi con la Francia, la Danimarca e la Svezia. Infine nell’accordo con la Francia e in quello con la Danimarca addirittura si contemplò la possibilità di regolamento in una terza valuta. Però malgrado questi sforzi, una sorta di "ragion di stato" mal interpretata continuava a prevalere, sotto forma di sfiducia e politiche economiche nazionalistiche, ancor più aspre nei confronti dell'Italia, gravata dal suo status di paese sconfitto e umiliato da un trattato di pace pesantissimo da

digerire220. Pertanto lo stato di cose non faceva presagire una decisa e imminente svolta

per la nostra economia: al contrario, la condizione di debolezza e incertezza sembrava destinata a perpetuarsi ancora a lungo. Einaudi, constatando questa situazione, auspicò per il nostro paese l’accesso ai mercati anglosassoni, l’eliminazione dei vincoli al commercio estero imposti dalle condizioni dell’armistizio, la creazione di un ampio mercato di sbocco per le nostre esportazioni, con il favore dell’eliminazione del sistema di scambi bilaterali, in modo da poter consentire l’approvvigionamento delle valute

occorrenti “al pagamento delle importazioni necessarie per la vita corrente del paese”221.

Il cambio della lira era eccessivamente apprezzato, il che non aiutava la già scarsa competitività dei prodotti italiani. La situazione era ulteriormente complicata dalle varie forme di regolamenti che erano diverse a seconda dei paesi. Si era di fronte ad un assetto tale per cui il mondo risultava diviso in due zone rigorosamente distinte, quella delle valute “libere”, essenzialmente il dollaro, la sterlina e il franco svizzero “libero”, e quella delle valute di compensazione. Mentre inizialmente le valute libere erano negoziate ad un cambio ufficiale, in contro partita con l’Ufficio Italiano dei Cambi, fissato in coerenza con la quotazione di 100 lire per dollaro, all’inizio del 1946 si introdusse un’addizionale del 125 per cento da applicare alle quotazioni ufficiali nelle

operazioni di acquisto o cessione di valuta con l’UIC222. Questa disposizione, che di

fatto equivaleva ad una svalutazione, non bastava tuttavia a giudizio di Einaudi, ad allineare il Cambio ufficiale al potere d’acquisto interno della lira. Nel marzo del 1946 venne introdotto il sistema mutuato dall’esperienza brasiliana, dei “conti valutari 50 per cento” che consentì agli esportatori di versare solamente la metà delle loro entrate valutarie all’UIC al cambio ufficiale, negoziando la rimanente metà sul mercato libero. Con il D.L.Lgt. 26.3.1946, numero 139 nel novembre del 1947, il doppio mercato dei

220 Banca d’Italia, Relazione per l’anno 1946, pp. 26 sgg. 221 Banca d’Italia, Relazione per l’anno 1945, p.146. 222 Banca d’Italia, Relazione per l’anno 1945, p.132

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cambi fu di fatto abolito allorché si dispose la cessione della metà delle valute introitate ad un prezzo pari alla media del cambio libero nel mese precedente, anziché al cambio ufficiale. Nel settembre 1949, la disciplina fu nuovamente modificata con il D.L. 19.9.1949, n° 632, stabilendo che la cessione della valuta all’UIC dovesse avvenire al cambio libero del giorno. Infine, nel luglio 1955 il sistema fu abolito anche da un punto di vista formale, innalzando al cento per cento la quota di valuta liberamente disponibile

sul mercato (D.L 28.7.1955 n° 586)223. Tale sistema adottato, anche se fortemente

avversato dal FMI, venne sostenuto invece a spada tratta dal Governatore della Banca d’Italia Donato Menichella, che nel luglio del 1947 scriveva : “In questo momento abbiamo un sistema valutario (50 per cento), e, buono o cattivo che sia dobbiamo difenderlo nei confronti del FMI e della BIRS; l’Italia non può permettersi una politica analoga a quella del Regno Unito, il quale ha un fondo di dollari derivanti dai prestiti,

mantiene un cambio fisso ma si mangia il fondo224”.

Il 1946 vide la stipula di nuovi trattati commerciali e il rinnovo di quelli che erano giunti a scadenza. Nell'allacciare nuovi rapporti, svariati tentativi vennero fatti nella direzione di ammorbidire il vincolo del bilateralismo assoluto, al fine di rendere le transazioni più naturali e agevoli. Parallelamente o alcune volte in alternativa, si utilizzarono i cosiddetti “affari di reciprocità”, previsti in alcuni degli accordi commerciali stipulati dall’Italia nel 1946 esattamente negli accordi con la Norvegia, i

Paesi Bassi, la Svezia e l’Ungheria225. Gli affari di reciprocità erano affini alle

compensazioni private pur inserendosi nel sistema del clearing, poiché il loro regolamento era garantito da sotto conti speciali di compensazione aperti per ciascuna transazione. Il loro principale vantaggio fu quello di mantenere un certo volume di scambi tra i due paesi anche in caso di congelamento del clearing o di esaurimento dei contingenti previsti dagli accordi. Ciò permetteva lo scambio di merci di particolare importanza senza dover attendere la stipula di nuovi accordi. Non vi era dunque un criterio univoco sulla base del quale gli scambi venivano condotti: talora si prevedeva, per alcune merci specifiche, la possibilità del regolamento in valuta libera; altre volte si ricorreva a conti di clearing in valuta diversa da quella dei paesi contraenti; infine, specie nei riguardi di Paesi con cui gli scambi avvenivano in maniera saltuaria o

223F. Cotula, La Politica Monetaria Italiana negli anni cinquanta 1946-1964), in Stabilità e Sviluppo negli Anni

Cinquanta.Problemi strutturali e politiche economiche, “Collana Storica” della Banca d’Italia, Laterza, Roma-Bari,

1998, p.280 224 F. Cotula, op.cit.

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episodica (come Austria e Svizzera), i conti si regolavano per mezzo di compensazioni, anche in ragione della difficoltà di fissare il cambio tra le rispettive monete.