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La direttiva, nel tutelare le esigenze di conoscenza, non è destinata ad operare soltanto nella delicata fase istruttoria, ma anche successivamente: in particolare, i diritti conoscitivi dovranno trovare corpo non solo in ordine alla primigenia formulazione dell’accusa, ma anche con riguardo ad ogni successiva modifica in fatto e in diritto. In tema la legislazione codicistica si rivela particolarmente attenta nella disciplina dei mutamenti in fatto, mentre la disciplina riguardante i mutamenti in diritto è stata da più parti criticata.

Per parte sua, anche la direttiva 2012/13/UE è destinata ad incidere sul complesso tema della riqualificazione giuridica del fatto. Si è detto, infatti, come l’articolo 6 della direttiva in parola garantisca all’imputato i medesimi diritti previsti dall’articolo 6 della Convenzione europea. Ebbene, proprio tale ultimo articolo e, in particolare il paragrafo terzo lett. a) e b), sono stati plurime volte invocati quale parametro per giudicare la violazione o meno, da parte del nostro Paese, della disciplina comunitaria in materia di diritti dell’imputato ed equità del procedimento penale in generale.

Emblematico è, in tal senso il caso Drassich e le varie pronunce che lo riguardano . La Corte europea dei diritti dell’uomo, 275

investita della questione, nell’accogliere la domanda del ricorrente, ritenne violato l’articolo 6, paragrafi primo e terzo lett. a) e b) della Convenzione europea, e condannò l’Italia ribadendo l’assunto che, qualora si verifichi una modifica della

Cass., Sez. VI, 4 febbraio 2004; Cass., Corte eur. dir. uomo, 11 dicembre 275

2007, Drassich c. Italia; Sez. VI, 12 novembre 2008; Cass., Sez. VI, 25 maggio 2009; Cass., Sez II, 12 settembre 2013;

qualificazione giuridica del fatto, all’imputato deve essere garantito sul punto il diritto al contraddittorio.

Nel panorama europeo, il leading case sul tema è stato il caso

Pélissier e Sassi c. Francia, il quale è considerato la pietra miliare

della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia, poiché in tale sentenza, per la prima volta, la Corte ha esteso le garanzie ex articolo 6, paragrafo terzo lett. a) anche alla qualificazione giuridica del fatto . La Corte ha in tale sede affermato che il 276

diritto ad un processo equo impone che l’imputato venga informato, non solo dei fatti materiali che è accusato di aver commesso, ma anche della qualificazione giuridica ad essi attribuita.

La sentenza Drassich ha avuto un forte impatto sul nostro ordinamento e sulla necessità di assicurare il contraddittorio anche riguardo alla riqualificazione giuridica del fatto.

Le riflessioni di dottrina e giurisprudenza si sono incentrate in particolare su due fronti: da una parte è stata percepita come non più rinviabile la definizione di uno strumento giuridico finalizzato alla riapertura dei procedimenti per ottemperare alle condanne della Corte europea; dall’altra si è discusso del problema relativo al modo in cui l’ordinamento interno deve conformarsi all’ordinamento comunitario, in particolare poi, per non incorrere più in sentenze di condanna da parte ella Corte europea, è stato profilato come opportuno un intervento sugli istituti del codice di rito che permettono al giudice di operare la riqualificazione giuridica del fatto in sentenza, senza

S. QUATTROCOLO, Riqualificazione del fato nella sentenza penale e tutela 276

contraddittorio e addirittura in Cassazione, come si è appunto verificato nel caso Drassich.

Il primo problema è stato risolto dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 113 del 2011 ha ampliato l’ambito della revisione dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 630 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva un caso di revisione della sentenza (o del decreto penale di condanna) al fine di consentire la riapertura del processo quando ciò sia necessario per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo . 277

Per quanto riguarda il secondo problema, si ricorda che la Corte costituzionale, in due pronunce c.d. gemelle di grande impatto , ha definito con ampiezza di argomenti il problema 278

del ruolo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e del rango ad essa spettante nel nostro ordinamento, escludendo che tali norme siano riconducibili sia all’articolo 10 che all’articolo 11 Cost. e giungendo a qualificarle come “norme interposte”, cioè soggette, a loro volta, a verifica di compatibilità con la

Corte Cost., sent. n. 113 del 2011, http://www.cortecostituzionale.it/ 277

actionSchedaPronuncia.do?anno=2011&numero=113; M. GIALUZ, Una sentenza “additiva di istituto”: la Corte costituzionale crea la “revisione europea”, in Cass. pen., 2011, cit., p. 3308; C. MUSIO, La riapertura del processo a seguito di condanna della Corte edu: la Corte costituzionale conia un nuovo istituto, in Cass. pen., 2011, cit., p. 3321; M. CHIAVARIO, La Corte costituzionale ha svolto il suo compito: ora tocca ad altri, in Leg. pen., 2011, n. 2, cit., p. 495; L. PARLATO, La revisione del processo iniquo: la Corte costituzionale “getta il cuore oltre l’ostacolo”, in Dir. pen. e proc., 2011, n. 7, cit., p. 839

Corte Cost., sent. n. 348 del 2007; con osservazioni di C. PINELLI, Sul 278

trattamento giurisdizionale della C.e.d.u. e delle leggi con essa configgenti, in Giur. cost., 2007, n. 5, cit., p. 3518; Corte Cost., sent. n. 349 del 2007; con osservazioni di M. CARTABIA, Le sentenze “gemelle”: diritti fondamentali, fonti, giudici, in Giur. cost., 2007, n. 5., cit. p. 3564 e A. GUAZZAROTTI, La Corte e la C.e.d.u.: il problematico confronto di standard di tutela alla luce dell’art. 117, comma primo, Cost, in Giur cost., 2007, n. 5, cit., p. 3574

Costituzione. Ciò significa, in breve, che qualora il giudice sospetti l’incompatibilità della norma interna con una norma della Convenzione europea deve sollevare una questione di legittimità costituzionale ex articolo 117, primo comma Cost. Per quanto concerne questo studio, il problema si verifica nel momento in cui, com’è accaduto e come tutt’ora accade, la normativa italiana concernente la qualificazione giuridica del fatto appare in contrasto con la Convenzione europea: in questo caso il contrasto può essere appianato tramite interpretazione adeguatrice dell’articolo del codice di rito, come peraltro si è tentato di fare, altrimenti l’unica alternativa è la declaratoria di illegittimità costituzionale della disciplina in contrasto con la norma interposta.

Il quadro, però, è tutt’altro che limpido. In primo luogo è d’uopo precisare le particolarità della disciplina nazionale che pone soluzioni diversificate per il caso di quaestio facti da una parte e di quaestio iuris dall’altra; inoltre non è pacifico che l’articolo 521, comma primo c.p.p. violi l’articolo 6 della Convenzione, infatti la Cassazione ha ripetutamente tentato, anche se con scarsi risultati, un’interpretazione adeguatrice.

Tuttavia, ad oggi, con l’entrata in vigore della direttiva 2012/13/ UE la situazione risulta ulteriormente mutata: vi è chi ha sottolineato come l’articolo 6 della direttiva in parola, essendo sufficientemente chiaro e dettagliato, potrebbe avere efficacia diretta nel nostro ordinamento . Se si aderisce a tale 279

conclusione, allo stato attuale delle cose, si dovrebbe sostenere

G. BIONDI, La riqualificazione giuridica del fatto e le spinte riformatrici che 279

provengono dal diritto europeo. Uno sguardo alla direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, in Dir. pen. cont., 2013, cit., p. 19

che il giudice italiano è legittimato a non applicare le norme interne in contrasto con la direttiva, quindi, nel caso specifico, sarebbe legittimato a non applicare l’articolo 521, comma primo c.p.p. Qualora invece, non si riconoscesse efficacia diretta alla direttiva, e, di conseguenza la si considerasse alla stregua di una c.d. “norma interposta”, il giudice dovrebbe sollevare, con riguardo all’articolo 521, comma primo c.p.p., questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli articoli 11 e 117, comma primo Cost. 280

Qualora si concluda per l’efficacia diretta della direttiva, il giudice sarebbe legittimato ad applicare la norma comunitaria disapplicando la norma interna. Qualora, invece, si propenda per la mancanza di efficacia diretta e venga, di conseguenza, sollevata questione di legittimità, la Corte costituzionale dovrebbe esaminare la questione nel merito e risolvere, auspicabilmente in modo definitivo, la diatriba.

Queste le prospettive per gli scenari futuri, anche se non si può non notare il lato “patologico” di entrambe le soluzioni; sarebbe forse maggiormente auspicabile un intervento del legislatore, senza necessità di disapplicare la norma interna ovvero di chiamare in causa la Corte costituzionale quale arbitro della lite. Per inquadrare la dimensione del problema è opportuno descrivere brevemente la disciplina interna della correlazione fra imputazione contestata e sentenza; l’articolo che rileva è, appunto, l’articolo 521 c.p.p. Esso prevede che in sentenza il giudice possa dare al fatto una “definizione giuridica diversa” da quella enunciata nell’imputazione, con il solo limite del rispetto

G. BIONDI, La riqualificazione giuridica del fatto e le spinte riformatrici che 280

provengono dal diritto europeo. Uno sguardo alla direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, cit., p. 20

delle norme in materia di competenza e giurisdizione. Al secondo comma si prevede, invece, che il giudice debba trasmettere gli atti al pubblico ministero qualora accerti che “il fatto è diverso” da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio.

La differente disciplina fra quaestio facti e quaestio iuris è un retaggio del vecchio codice di rito, tale concezione si basa sul brocardo iura novit curia, secondo il quale il giudice ha il potere- dovere di individuare e di applicare ai fatti dedotti ed accertati, le norme giuridiche che disciplinano i fatti stessi . Nel processo 281

penale tale massima si sostanzia nel “potere [del giudice] di dare al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dal pubblico ministero o affermata in decisioni di grado inferiore” . 282

Nella Relazione al progetto preliminare del codice del 1988 viene “espressamente riconfermato il potere del giudice di modificare nella sentenza la qualificazione giuridica del fatto”, il legislatore comprende che in tal modo si “sacrificano in qualche misura le esigenze di difesa”, ma propende ugualmente per tale scelta poiché qualsiasi altra soluzione prospettabile - compresa quella di instaurare sul punto un contraddittorio con la difesa - avrebbe comportato un eccessivo appesantimento delle procedure e delle tempistiche processuali, nonché “il rischio, in pratica, di indurre il giudice a conformarsi in ogni caso al nomen iuris contestato” . 283

A. PIZZORUSSO, Iura novit curia, 1) ordinamento italiano,in Enc. giur., 281

XVIII, Roma, 1990, cit., p. 1

A. CAPONE, Iura novit curia. Studio sulla riqualificazione giuridica del fatto 282

nel processo penale, Cedam, Padova, 2010, cit., p. 1

Cfr. Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale del 283

Le sezioni unite della Cassazione, in una sentenza del 1996, hanno osservato che “dare una diversa qualificazione giuridica del fatto vuol dire, in ultima analisi, applicare esattamente la legge” e ciò, per il giudice, corrisponde al suo fondamentale 284

dovere ex articolo 101, secondo comma Cost. 285

Tale assunto si basa su un concetto di legge per definizione chiara, univoca e completa, dalla quale discende come corollario che l’operazione del giudice di riconduzione del fatto alla norma è meramente meccanica e, in quanto tale, prevedibile dal giurista diligente; con la conseguenza che un mutamento nella qualificazione giuridica del fatto non è idoneo, di per sé, a ledere il diritto delle parti di difendere i propri interessi . 286

Su tale tema, però, la giurisprudenza interna si scontra con le posizioni Corte europea dei medesimi anni: la Corte, infatti, definisce l’applicazione del diritto come attività comunque creativa e pone l’accento sulla necessità che l’imputato sia messo a conoscenza non solo dei fatti che gli vengono attribuiti, ma anche della qualificazione giuridica che di essi viene data e delle eventuali modificazioni di questa, per permettere una corretta esplicazione del diritto di difesa. Nel tempo la Corte europea ha sviluppato il proprio convincimento con riguardo alla violazione del diritto di difesa nel caso di riqualificazione giuridica del fatto: partendo, come accennato, dalla sentenza Pélissier e Sassi, ha sottolineato come, in caso di riqualificazione giuridica non comunicata alle parti, il diritto di difesa di queste venisse leso

Cass. sez. un., 19 giugno 1996, Di Franceso, in C.e.d. Cass., n. 205617 284

A. PIZZORUSSO, Iura novit curia, 1) ordinamento italiano 285

R. KOSTORIS, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione. 286

qualora, in concreto, le argomentazioni e le strategie difensive avrebbero potuto essere diverse nel caso in cui fosse stata prospettata la possibilità del mutamento del titolo di reato; in una sentenza più recente la Corte ha ulteriormente rafforzato 287

il principio ritenendo non necessaria la valutazione del reale pregiudizio arrecato e ha considerato lesiva dell’articolo 6, paragrafo terzo lett. a) della Convenzione ogni riqualificazione giuridica del fatto operata in assenza di contraddittorio . 288

Vale la pena di precisare però, che i giudici della Corte europea non negano la possibilità, da parte degli Stati membri, di dotarsi di strumenti che permettano al giudice di discostarsi dalla qualificazione giuridica prospettata dal pubblico ministero, ma pongono l’accento sulla necessità che tali procedure non si risolvano in una lesione del diritto dell’imputato ad essere informato dell’accusa e di disporre del tempo e dei mezzi necessari per preparare la propria strategia difensiva . 289

Secondo la Corte, il raggiungimento di un processo equo non può non passare, tra le altre cose, attraverso la precisione della descrizione, anche in diritto, dell’imputazione, la necessità di tale accorgimento deriva dal combinato disposto delle lett. a) e b), paragrafo terzo, dell’articolo 6 della Convenzione: il diritto di essere informati dei fatti materiali e della qualificazione giuridica che ad essi è data deve essere considerato “alla luce del diritto

Corte eur. dir. umani, Sez. I, 20 aprile 2006, caso I. H. c. Austria, in Cass. 287

pen., 2006, par. 33 ss., con nota di L. DE MATTEIS, Diversa qualificazione giuridica dell’accusa e diritto di difesa, in Cass. pen., 2006, cit., p. 4243

R. KOSTORIS, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione. 288

Considerazioni sul caso Drassich, cit., p. 2522, nota 54

A. CAPONE, Iura novit curia. Studio sulla riqualificazione giuridica del fatto 289

dell’accusato di preparare la sua difesa . Quando la legge 290

consente ai giudici il potere di riqualificare i fatti è necessario che, come contropartita, agli imputati sia garantita, in tempo utile, l’informazione “della causa dell’accusa, cioè dei fatti materiali posti a loro carico e sui quali si fonda l’accusa, ma anche della qualificazione giuridica data a questi fatti in maniera dettagliata”.

Senza entrare nel merito della tortuosa vicenda del caso

Drassich, si deve però sottolineare come questa pare aver

spezzato la logica sottesa alle discipline del primo e del secondo comma dell’articolo 521 c.p.p., mettendo in crisi il principio iura

novit curia, che, come si è detto, è profondamente radicato nella

nostra tradizione giuridica . 291

In breve, infatti, il principio affermato dalla Corte europea è che fatto e diritto “sono le ‘facce’ di una stessa medaglia, l’imputazione”: è necessario, quindi, che l’imputato goda delle medesime garanzie difensive sia nel caso di mutamento in iure dell’imputazione, sia nel caso di mutamento in facto” . Tanto 292

per le mutazioni in fatto, quanto per le mutazioni in diritto dell’addebito, l’imputato deve essere tempestivamente e dettagliatamente informato in modo da preservare il concreto esercizio del diritto di difesa ex articolo 6, paragrafo terzo, lett.

a) e b) C.e.d.u.

G. BIONDI La riqualificazione giuridica del fatto e le spinte riformatrici che 290

provengono dal diritto europeo. Uno sguardo alla direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali

S. QUATTROCOLO, La Corte europea dei diritti dell’uomo e il principio di 291

correlazione tra accusa e sentenza: un invito ad un ripensamento del principio iura novit curia, in Leg. pen., 2009, cit., p. 357

G. BIONDI, La riqualificazione giuridica del fatto e le spinte riformatrici che 292

provengono dal diritto europeo. Uno sguardo alla direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, cit., p. 3

Partendo da questo punto fermo, sono plurime le riflessioni di dottrina e giurisprudenza sul tema.

Innanzitutto una parte di dottrina sottolinea come, in realtà, i confini tra fatto e diritto non siano perfettamente definiti, anzi, i due profili inevitabilmente interagiscono tra loro e perciò, spesso una modifica dell’uno si riflette in qualche modo anche sull’altro . Per quanto riguarda i rimedi, tale dottrina sottolinea 293

le differenze fra la riqualificazione giuridica operata in primo o in secondo grado e quella operata invece in Cassazione. In prime cure ed in appello, infatti, una soluzione potrebbe essere quella di prevedere che, a dibattimento ormai ultimato , il giudice 294

pronunci un’ordinanza nella quale prospetti la possibilità di sussumere il fatto all’interno di una diversa fattispecie, sospenda la decisone concedendo alle parti un termine a difesa e programmi una nuova udienza nella quale si svolgerà il contraddittorio sul punto . Sia in primo grado che in appello, in 295

caso di mancato rispetto della disciplina qui prospettata, si configurerebbe una nullità della sentenza ex articolo 178 lett. c)

R. KOSTORIS, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione. 293

Considerazioni sul caso Drassich, cit., p. 2522

E’ da escludere che il giudice possa intervenire sul punto quando il 294

dibattimento è ancora aperto. Se da un lato la difesa potrebbe giovarsi del fatto di conoscere anticipatamente la volontà del giudice di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, dall’altro tale scenario non appare compatibile con il divieto, che incombe sul giudice, di non manifestare il suo convincimento prima del giudizio, pena la possibilità di essere ricusato. Cfr R. KOSTORIS, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione. Considerazioni sul caso Drassich, cit., p. 2522; L. DE MATTEIS, Diversa qualificazione giuridica dell’accusa e diritto di difesa, cit., p. 4243

R. KOSTORIS, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione. 295

Considerazioni sul caso Drassich, cit., p. 2522; DE MATTEIS, Diversa qualificazione giuridica dell’accusa e diritto di difesa, cit., p. 4243

c.p.p., che consentirebbe l’impugnazione della sentenza, rispettivamente, in appello e in Cassazione . 296

Tale parte di dottrina sottolinea come, invece, estendere anche al caso di riqualificazione giuridica la disciplina di cui al comma secondo dell’articolo 521 c.p.p., risulterebbe eccessivamente oneroso da un punto di vista dell’economia processuale, perciò si è prospettato come più idoneo un sistema che non comportasse regressioni, ma assicurasse comunque il contraddittorio fra le parti.

Per quanto riguarda, invece, il caso in cui la riqualificazione giuridica avvenga per la prima volta in Cassazione, la soluzione deve necessariamente essere diversa, data l’impossibilità strutturale di operare alcun tipo di istruzione probatoria in tale sede. La summenzionata dottrina sottolinea come una possibile soluzione al problema potrebbe essere che, qualora le parti, dopo l’individuazione del nuovo nomen iuris, intendano chiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova, la questione venga rinviata al giudice di merito (in ipotesi la Corte d’appello) per l’espletamento dell’istruzione probatoria in un’apposita udienza in camera di consiglio, dopo di che la questione ritornerà in Cassazione per la decisione di merito; sostanzialmente, ciò che si propone, è un escamotage - per la verità forse un po’ farraginoso- per sopperire all’impossibilità di richiedere nuovi mezzi di prova in Cassazione . 297

R. KOSTORIS, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione. 296

Considerazioni sul caso Drassich, cit., p. 2524

R. KOSTORIS, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione. 297

Considerazioni sul caso Drassich, cit., p. 2524; Chiaramente non si nasconde come tale soluzione comporterebbe un allungamento dei tempi processuali, soprattutto in Cassazione, nonché la necessità di plurimi interventi legislativi per la sua attuazione.

L’opinione è però tutt’altro che pacifica in dottrina e vi è anche chi, di contro, auspica in un allineamento tra le discipline dei primi due commi dell’articolo 521 c.p.p. 298

Tale parte di dottrina sostiene come, in virtù dell’assunto che giudizio di diritto e giudizio di fatto costituiscono una “coppia inscindibile, costituita da due costruzioni intellettuali in cui pensiero e azione sono intimamente fusi” , sarebbe preferibile, 299

nonché maggiormente coerente che entrambe seguissero la stessa disciplina. In questo modo il diritto alla difesa dell’imputato sarebbe efficacemente preservato, poiché egli potrebbe usufruire dei termini a difesa, chiedere l’ammissione di nuove prove, o, nei limiti in cui ciò sia possibile, optare per un rito abbreviato. Tale dottrina auspica che venga sollevata questione di legittimità costituzionale dell’articolo 521, comma primo c.p.p., laddove non prevede che in caso di riqualificazione giuridica operata dal giudice questi debba restituire gli atti al pubblico ministero . Si dovrebbe far leva sull’incompatibilità 300

della disciplina dell’articolo 521, comma primo c.p.p. con l’articolo 111, comma terzo Cost., con l’articolo 6, paragrafo terzo lett. a) e b) delle Convenzione europea e con l’articolo 6 della direttiva 2012/13/UE: l’accusato, infatti deve essere

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