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Risultati emersi della sezione 2: domande per cogliere la capacità di riflettere sulle diverse possibilità di formazione del genere grammaticale

L’indagine e l’analisi

3.4 Analisi dei dati raccolti

3.4.2 Risultati emersi della sezione 2: domande per cogliere la capacità di riflettere sulle diverse possibilità di formazione del genere grammaticale

grammaticale che hanno utilizzato, dimostrano di non essere affatto consapevoli di ciò che implicitamente hanno compiuto. Linda risponde “ho indovinato”, Benedetta afferma “basta pensarci bene, poi ti viene in mente”; non si rendono conto di aver mutato il genere del nome modificando solo la lettera finale.

Ho potuto, quindi, notare che i bambini non ragionano dal punto di vista morfologico, bensì dal punto di vista del significato e del lessema nel suo insieme.

Ad esempio, Paolo sostiene “hai detto bambina ed io ho capito femmina” senza accorgersi che, in realtà ha capito che è femmina soltanto dal morfema finale. Infatti, alla domanda su cosa cambia tra bambino e bambina risponde che uno è maschio e l’altro è femmina; non sofferma l’attenzione sugli aspetti morfologici, ma sul diverso referente che le due parole vanno ad identificare, che in questo caso si diversifica per il sesso naturale.

Tale tendenza l’ho riscontrata in tutti i bambini di classe I. Soltanto dopo aver scritto loro le parole e aver chiesto loro di osservarle, sono riusciti a capire che si diversificano soltanto per una lettera, che è quella finale.

Sicuramente ciò che ho riscontrato è spiegato dal fatto che gli studenti, in questa fascia scolare, non hanno ancora dimestichezza con l’alfabeto, quindi il ragionamento sulla forma delle parole potrebbe essere troppo complesso per loro e superare le loro capacità.

In III e V elementare, invece, i bambini non presentano problemi nel ragionare dal punto di vista della morfologia del nome. Infatti, nell’esercizio 2a tutti rispondono che i lessemi al maschile e al femminile si differenziano soltanto per la vocale finale che diventa –a per il femminile. Ad eccezione di Fabio (III elementare) che, alla mia domanda su come ha fatto a trasformare il genere dei nomi, risponde semplicemente di aver adottato la “regola del maschile femminile” ma aggiunge di non sapere esattamente come ha fatto e, solo quando chiedo di osservare le parole scritte, si accorge di cosa è effettivamente mutato.

Anche Riccardo (V elementare) sembra non riuscire ad esplicitare subito il meccanismo che ha utilizzato correttamente in maniera implicita. Infatti, quando chiedo cos’è cambiato tra il maschile e il femminile dei nomi dell’esercizio 2a risponde che sono

Riccardo, avendo acquisito nel corso degli studi varie nozioni grammaticali, ricerca una risposta molto più complessa e articolata di quella richiesta dall’esercizio. Nel suo tentativo di risposta, utilizza tali nozioni, assunte probabilmente in maniera passiva e acritica, cercando di adattarle al compito richiesto, senza tentare di adottare un ragionamento libero e svincolato dall’insegnamento scolastico.

Nella lista di parole dell’esercizio 2b ho riscontrato che gli studenti di I non riescono ad esplicitare il fatto di aver riconosciuto i suffissi del femminile –essa e –trice come suffissi produttivi. Tuttavia, riescono a trasformare correttamente al femminile certi nomi, utilizzando tali suffissi. Nonostante ciò, la tendenza principale permane quella di trasformare i nomi maschili al femminile tramite l’aggiunta del suffisso –a (come

pittora, scrittora, giocatora, professora), poiché questa è una delle possibilità di

formazione del genere più comune e frequente nell’italiano. Solo mostrando loro le parole scritte, ad esempio principe principessa, riescono ad indicare le lettere che sono cambiate, senza però considerare –essa (o –trice) un morfema unico e produttivo. Anche questo dato può essere spiegato con gli stessi motivi sopra citati, cioè che in I i bambini faticano a ragionare dal punto di vista morfologico, ma ragionano considerando il significato.

Già a partire dalla III elementare vi è un notevole incremento del riconoscimento dei suffissi –essa e –trice usati per la formazione del genere femminile delle parole dell’esercizio 2b. Infatti, cinque bambini su otto hanno riconosciuto l’uso di tali suffissi, anche se alcuni hanno avuto bisogno di osservare le parole scritte prima di individuarli. In V, invece, riconoscono in modo molto più immediato la produttività dei due suffissi; infatti, solo due bambini su otto non li riconoscono. Ad esempio, Tommaso dice di aver cambiato qualche lettera, dimostrando così di non essersi accorto della ricorsività e della produttività dei suffissi in questione.

Tuttavia, è una competenza che implicitamente possiedono tutti dato che, il più delle volte, hanno reso il femminile dei nomi in maniera corretta.

Anche in questo caso, però, permane forte la tendenza a cambiare solo l’ultima lettera, forse anche per analogia con l’esercizio precedente o semplicemente perché, come già detto, risulta il metodo più produttivo per la formazione del genere.

Tutti i bambini che hanno individuato l’uso dei suffissi per la formazione del femminile non hanno riscontrato nessun problema con l’individuazione di –essa, mentre hanno riscontrato qualche difficoltà in più con -trice. Infatti, molti bambini, soprattutto di V elementare, hanno affermato di aver aggiunto al lessema di base solo –ice, scomponendo quindi il morfema. Il morfema –trice, quindi, risulta meno trasparente rispetto a –essa. Inoltre, essendo –trice un morfema produttivo per la formazione di quei nomi che al maschile terminano in –tore, i bambini probabilmente si accorgono che i foni t e r sono presenti anche nel maschile, quindi nella forma non marcata, di conseguenza riducono il morfema a –ice.

Inoltre, le parole che in italiano terminano in –tore appartengono alla categoria dei nomi d’agente, cioè quei nomi il cui referente è colui che compie l’azione espressa dalla radice del nome, che appunto deriva da un verbo.

Tuttavia, tale relazione con il verbo sottostante non è sempre così trasparente: ci sono alcune parole in cui non risulta più visibile a causa dei mutamenti avvenuti in diacronia. È il caso di parole come attore/attrice, il cui verbo sottostante proviene dal latino AGERE>ACTUS>ACTOR, ma in italiano questa relazione non è più visibile. Quindi, risulta più complesso estrapolare dalla parola il morfema derivazionale –tore, poiché risulta poco trasparente.

Nella lista di parole 2d, che comprende alcuni nomi di animali da trasformare dal genere maschile al femminile, ho avuto modo di osservare quali sono i morfemi più utilizzati da parte dei bambini per la formazione del femminile.

L’utilizzo di tali morfemi, che in italiano sono produttivi per la formazione del femminile, mostra l’acquisizione, anche se implicita, delle regole di formazione del femminile.

Anche se nella lista vi erano alcuni nomi epiceni, la maggior parte dei bambini ha tentato ugualmente di trasformare tali nomi nel genere opposto; soltanto in un secondo

Tuttavia tale dato non può essere considerato significativo, poiché, spiega Bombi (Bombi, Cannoni, Di Norcia, 2003: 25) in sede di colloquio il bambino è portato a credere che l’intervistatore ne sappia sempre più di lui e che, di conseguenza, le domande poste dall’adulto siano sempre corrette e possibili. Dal momento che la consegna dell’esercizio era di trasformare il genere delle parole, solo pochi bambini si sono spinti a dire che alcune di esse non potevano avere un genere diverso rispetto a quello inerente.

La maggior parte degli epiceni hanno subito la variazione del genere per mezzo della sostituzione del morfema finale, che da –o è passato ad –a (*bruca, *coccodrilla,

*grilla). Tuttavia, molto ricorrente è stata anche la scelta del suffisso –essa, usato

frequentemente dai bambini di tutte le classi per trasformare al femminile certi nomi. Ad esempio:

CLASSE I CLASSE III CLASSE V

-Lupessa (Sara)

-Tigressa (Sara)

-Tartarughessa (Sara)

-Volpessa (Sara, Benedetta)

-Toressa (Giorgia)

-Bruchessa (Zoe)

-Serpentessa (Gioia, Giulio, Fabio, Sara) -Bruchessa (Fabio) -Toressa (Fabio) -Tigressa (Fabio) -Canessa (Fabio, Michelangelo)

-Serpentessa (Marco, Aurora, Nicolò, Alice)

-Canessa (Tommaso)

Risulta interessante la risposta data da Zoe (I elementare), la quale trasforma formica nel genere opposto, formando la parola formichesso. Zoe dimostra così di aver riconosciuto il suffisso, senza rendersi conto, però, che si tratta di un suffisso produttivo solo per la formazione del femminile, così lo utilizza anche per il maschile.

Invece, Paolo (I elementare) dimostra di conoscere il morfema derivativo –aio. Infatti, cerca di trasformare il genere femminile di formica nella parola maschile formicaio.

lingua, così implicitamente ricerca un altro nome di genere maschile che possa essere simile; infatti, la parola da lui selezionata è una parola derivata dal nome formica. Un altro caso in cui la trasformazione di genere ha comportato anche a una variazione del referente si è verificato con Fabio (III elementare). Fabio sostiene che il femminile di campione è campionaria; così facendo, oltre a variare il genere inerente del nome, modifica anche la classe di appartenenza della parola, che da nome passa ad aggettivo, derivato tuttavia dal nome di base.

Altre volte ancora i bambini hanno provato a formare il femminile di alcuni epiceni cambiando, però, completamente il referente, utilizzando nomi di animali diversi, appartenenti però alla stessa famiglia dell’animale presente nell’input o legati ad esso per qualche affinità. È il caso della parola bruco, a cui più di uno studente ha assegnato il femminile farfalla, o di cavalletta per indicare il femminile di grillo.

Invece, Marco (I elementare) dimostra di conoscere il suffisso diminutivo –ina come possibile suffisso per la formazione del genere femminile. Sostiene, infatti, che il femminile di toro è torina e il femminile di serpente è serpentina. Anche se le sue risposte possono apparentemente sembrare casuali e insensate, nascondono una competenza inaspettata, poiché il suffisso diminutivo –ina è effettivamente utilizzato per la formazione del femminile di certi nomi, anche se non in maniera così produttiva e frequente. Altri nomi che vedono l’uso della formazione del femminile tramite tale suffisso sono ad esempio eroe/eroina, gallo/gallina.

3.4.3 Risultati emersi della sezione 3: domande per riflettere sull’invariabilità del