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III Talo-navicolare,

4.0 SCOPO DELLO STUDIO

5.4 Risultati 1 Studio A

Nell’arco di tempo compreso tra il 2002 ed il 2012 sono afferiti consecutivamente presso l’ambulatorio dedicato alla NOA 205 pazienti diabetici totali .

In 172 pazienti è stata effettivamente confermata l’ipotesi diagnostica di NOA, e tra questi, al momento della presa in carico, 143 pazienti presentavano una malattia in fase attiva e 29 pazienti in fase di stabilità. I restanti 33 pazienti erano affetti da altre patologie per cui è stata opportunamente effettuata una diagnosi differenziale (Tabella 6).

Tabella 6 – Pazienti con diagnosi diversa da neuro-artropatia di Charcot

Il periodo medio di follow-up dei pazienti è stato di 36,8±29,9 mesi (range 1-113). Le caratteristiche della popolazione inclusa nello studio sono riportate nella Tabella 7.

Diagnosi differenziale N° pazienti %

Osteomielite 9 27% Ulcera neuropatica 5 15% Dolore neuropatico 4 12% Metatarsalgia 3 9% Borsite 2 6% Trauma 2 6%

Attacco acuto di gotta 1 3%

Sindrome dell’edema midollare transitorio 1 3%

Flogosi del tendine d’Achille 1 3%

Frattura 1 3%

Neuroma di Morton 1 3%

Flebite 1 3%

Osteonecrosi 1 3%

NOA totali n=172 Media ± DS NOA acuti n=143 Media ± DS NOA cronici n=29 Media ± DS p-value Età (anni) 57.5±12.1 57.5±12.0 57.3±12.7 NS

Durata diabete (anni) 18.2±12.2 17.3±12.1 22.9±11.9 NS

Diabete tipo 1 34.8% 28.4% 23 M [46%] vs 26 F [54%] 37.9% 6 M [54%] vs 5 F [46%] - Diabete tipo 2 65.2% 29 M [48%] 31 F [52%] 71.6% 64 M [68%] 30 F [32%] 62.1% 9 M [50%] 9 F [50%] - BMI (Kg/m2) 28.6±6.5 25,7±5,0 tipo 1 31,5±6,5 tipo 2 28,1±5,8 25,7±5,1 tipo 1 30,4±5,4 tipo 2 31.6±9.8 25,8±4,7 tipo 1 39,4±9,8 tipo 2 NS Hb1Ac (%) 8.9±2.1 8.7±1.9 9.2±1.5 NS Delta-t (°C) 2.3±1.6 2.5±1.6*a 1.1±0.9*b p<0.001 Tabella 7 – Caratteristiche dei pazienti affetti da neuro-artropatia di Charcot al momento della presa in carico durante la 1°visita

Nei pazienti affetti da diabete tipo 1 l’età media di presentazione della malattia era più precoce, ovvero di 47,9±12,8 anni (range 22-86) rispetto a quella osservata pazienti affetti da diabete tipo 2 ovvero di 62,1±8,53 anni (range 42-79)p<0,001. Nei pazienti affetti da diabete tipo 1 la durata media del diabete al momento dell’esordio della malattia era di 24,9±13,7 anni (range 1-56) mentre nei pazienti affetti da diabete tipo

2 era di 13,0±9,1 anni (range 0-36) p<0,001 (Figura 26).

Abbiamo osservato una correlazione significativa tra età e durata di diabete nei soggetti affetti da diabete tipo 1 (r=0,499, p<0,001) mentre non si è osservata nei soggetti affetti da diabete tipo 2 (r=0,121, p>0,05).

Figura 26 – Differenze tra i pazienti con neuro-artropatia di Charcot in fase di attività affetti da diabete tipo 1 (28,4%) e tipo 2 (71,6%)

Il 4,8% dei pazienti era stato sottoposto in precedenza a trapianto di pancreas ed effettuava terapia immuno-soppressiva. In 6 pazienti (4,1% di coloro in fase attiva) è stato osservato un coinvolgimento bilaterale di malattia.

I pazienti con coinvolgimento monolaterale di malattia sono stati 47,9 24,9 62,1 13 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Età media alla diagnosi (anni) p<0.001 Durata media del diabete (anni) p<0.001 Tipo 1 Tipo 2

stratificati in accordo con la classificazione anatomica di Sanders & Frykberg ed i valori percentuali sono riportati nel grafico della Figura 27.

Figura 27 – Stratificazione dei pazienti secondo la classificazione anatomica di Sanders & Frykberg Tipo 1: 5,4%; Tipo 2: 25,1%; Tipo 3: 41,9%; Tipo 4 22,2%; Tipo 5:

5,4%.

Riguardo al quadro clinico di presentazione della malattia abbiamo riscontrato all’esame obbiettivo edema locale nell’88,3% dei casi, eritema locale nel 68,6% dei casi, dolore nel 73,9% dei casi, deformità clinicamente evidenti nel 76,2% dei casi, riscontro di scroscio articolare nel 32,8% dei casi.

Nei pazienti con coinvolgimento monolaterale di malattia il ΔT di entrambi i piedi era 2,5±1,6°C (range 1,2 – 7°C).

La durata dei sintomi al momento della diagnosi era di 28,1±37,4 giorni 6% 25% 42% 22% 5% Tipo 1 Tipo 2 Tipo 3 Tipo 4. Tipo 5

(range 3-87) e nel 25,8% dei casi è emerso un trauma scatenante la malattia: tra questi il 75,6% dei pazienti aveva subìto un intervento chirurgico correttivo a carico del piede (ad es. per valgismo dell’alluce, dito a martello etc.) prima dello sviluppo della malattia.

In 31 pazienti (21,6%) era presente in maniera concomitante un’ulcera a carico del piede affetto da NOA in fase attiva ed è stata utilizzato il sistema di classificazione della Texas University per la stratificazione delle lesioni: 4 pazienti (12,9%) 1A; 3 pazienti (9,7%) 1B; 6 pazienti (19,3%) 1C; 14 pazienti (45,1%) 2B;1 paziente (3,2%) 2C; 3 pazienti (9,7%) 3B.

I pazienti affetti da NOA in fase attività presentavano generalmente uno scadente controllo glicometabolico (Hb1Ac 8.7±1.9% [range 6,2-14,8]) ed il loro BMI medio era di 28,1±5,8 (25,7±5,1 nei tipo 1 vs 30,4±5,4 nei tipo 2).

Nel 78,2% di essi abbiamo osservato la presenza di retinopatia diabetica di qualsiasi grado, nel 57,9% di nefropatia diabetica di qualsiasi grado, nel 25,6% di cardiopatia ischemica cronica nota (angina stabile/instabile, cardiopatia ischemica post-infartuale) e nel 33,3% di arteriopatia obliterante degli arti inferiori di qualsiasi grado (Figura 28).

Figura 28 – Prevalenza di comorbidità dei pazienti affetti da neuro-osteoartropatia di Charcot in fase di attività

Tutti i pazienti, dopo la prima visita, sono stati sottoposti a radiografia del piede affetto in 2 proiezioni e sotto carico, per meglio apprezzare l’eventuale perdita dell’arco plantare. In 4 pazienti (2,7%) non è stato possibile l’esecuzione di RMN diagnostica, poiché portatori di pace- maker e la diagnosi è stata effettuata sulla base dei reperti clinici e radiografici.

Una volta confermata la diagnosi di neuro-osteoartropatia in fase di attività abbiamo proceduto alla fase di scarico dell’arto affetto: nel 41,8% dei casi abbiamo utilizzato il TCC, nel 27,6% tutore pneumatico Aircast, nel 14,8% tutore Optima Diab; nel 12% dei casi, i pazienti che per ragioni diverse (di natura sociale, lavorativa o per scarsa compliance) non potevano essere trattati con i precedenti sistemi di

78,2 57,9 25,6 33,3 21,6 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Retinopatia Nefropatia Cardiopatia ischemica

Arteriopatia obliterante arti

inf.

scarico sono stati trattati con altre misure come riposo assoluto a letto, sedia a rotelle o deambulazione limitata con utilizzo di stampelle.

Non sono emerse significative differenze in termini di tempo medio di stabilizzazione tra le quattro categorie di scarico (Figura 29): è stato riscontrato un tempo medio di 223,8±122,8 giorni (range 60-600) nei pazienti trattati con TCC, 263,8±187,4 giorni (range 60-1020) con Aircast, 211,6±206,4 giorni (range 60-930) con Optima Diab e di 180,6±87,8 giorni (range 90-365) nei pazienti sottoposti ad altre misure di scarico (p=NS).

Figura 29 – Tempo medio di stabilizzazione (gg) secondo le quattro tipologie di scarico effettuate (p=NS)

Durante il periodo di follow-up abbiamo osservato una riacutizzazione di malattia nel 17,3% dei pazienti stabilizzati.

223,8 263,8 211,6 180,6 0 50 100 150 200 250 300 350 400 450

Nel 7,3% dei casi i pazienti cronicizzati sono stati sottoposti ad un intervento chirurgico di stabilizzazione del piede, a causa delle severe deformità residue; nel 4,0% dei casi si è resa necessaria l’amputazione dell’arto affetto, conseguentemente a sviluppo di severa infezione locale con evoluzione in flemmone del piede.

Nel periodo stabilito abbiamo osservato un tasso di mortalità cumulativa pari al 10,4% (18 pazienti), con un tasso di incidenza di mortalità annua pari al 3,41%.

Le cause di morte sono state le seguenti:

- 7 pazienti (38,8%) neoplasia (sistema linfatico, polmone, encefalo, intestino, fegato)

- 5 pazienti (28,0 %) infarto acuto del miocardio

- 3 pazienti (16,6%) ictus cerebrale (ischemico, emorragico) - 2 pazienti (11,1%) insufficienza epatica (cirrosi HCV correlata) - 1 paziente (5,5%) marasma senile

Abbiamo osservato una mortalità quasi doppia nel sesso maschile (61,1%) rispetto a quello femminile (38,9%); l’età media dei pazienti deceduti era di 61,6±8,6 anni per i maschi (range 52-79) e di 61,4±9,0 anni per le femmine (range 47-76).

5.4.2 Studio B

Nel corso dell’anno 2012 è stato effettuato uno studio del metabolismo fosfo-calcico in un totale di 120 pazienti (Studio B), così suddivisi:

- 37 pazienti affetti da NOA in fase di stabilità (Gruppo B) - 20 pazienti affetti da diabete con neuropatia (Gruppo C) - 47 pazienti affetti da diabete senza neuropatia (Gruppo D)

Le caratteristiche della popolazione inclusa nello studio sono riportate nella Tabella 8. Gruppo A n=16 Media ± DS Gruppo B n=37 Media ± DS Gruppo C n=20 Media ± DS Gruppo D n=47 Media ± DS p-value Età (anni) 59.4±8.4 57.7±13.0 55.9±9.5 42.4±15.4* p<0.001 Durata diabete (anni) 16.0±8.0 23.3±12.1 17.4±9.4 12.6±9.7 NS Diabete tipo 1 M [34.2%] vs 32,2% F [65.8%] 40.6% M [40,0%] vs F [60,0%] 30% M [60,0%] vs F [40,0%] 72.3% M [47,0%] vs F [53,0%] - Diabete tipo 2 67,8% M [55,5%] F [44,6%] 59.4% M [50,0%] F [50,0%] 70% M [62,5%] F [37,5%] 27.7% M [33,3%] F [66,7%] - BMI (Kg/m2) 34.9±3.4 tipo 1 35.0±6.8* 35.9±6.8 tipo 2 28,7±6,6 24.0±3.3 tipo 1 32.0±6.3 tipo 2 27.6±2.9 28.3±3.3 tipo 1 30.1±5.9 tipo 2 24.4±3.6* 24.1±3.3 tipo 1 26.5±4.9 tipo 2 p<0.001 Hb1Ac (%) 8.7±1.6 8.5±1.5 8.9±1.8 8.2±1.3 NS Delta-t (°C) 2.2±1.2 1.2±0.9 - - p<0.001

Tabella 8 – Caratteristiche generali dei quattro gruppi. Differenze statisticamente significative: età nel Gruppo D vs altri gruppi; BMI nel Gruppo A vs Gruppo D.

I risultati dell’analisi del metabolismo fosfo-calcico nei pazienti dello studio è riportato nella Tabella 9.

Gruppo A n=16 Media ± DS Gruppo B n=37 Media ± DS Gruppo C n=20 Media ± DS Gruppo D n=47 Media ± DS p-value Ca ion. (mmol/L) 1.2±0.0 1.2±0.0 1.2±0.0 1.2±0.0 NS PTH (pg/ml) 52.7±30.9 57.4±61.6 71.9±52.2* 48.2±24.1* p<0.001 25(OH)Vit. D (ng/ml) 8.6±3.8* 14.4±6.0 11.3±5.6 15.9±7.6 p<0.001 BALP (g/l) 16.7±7.3 20.1±17.1 14.8±7.2 13.2±5.9 NS Osteocalcina (ng/ml) 14.3±3.9 23.1±41.6 15.3±15.7 14.5±17.1 NS S-CTx (ng/ml) 0.4±0.3 0.4±0.2 0.9±0.5* 0.4±0.2 p<0.001 Creatinina (mg/dl) 0.9±0.3 1.0±0.4 1.4±0.6* 0.8±0.2* p<0.0001

Tabella 9 – Risultati dello studio del metabolismo fosfo-calcico nei quattro gruppi. Differenze statisticamente significative: PTH nel Gruppo C vs Gruppo D; 25(OH)D nel gruppo A vs Gruppo B, tra Gruppo A vs Gruppo D; S-CTx nel gruppo C vs altri gruppi; Creatinina nel Gruppo C vs Gruppo D

Creatinina ha evidenziato un rapporto di debole correlazione inversa tra le due variabili continue (r=-0,023 p=NS) in assenza di significatività statistica; è emersa invece una significativa correlazione inversamente proporzionale tra 25(OH) Vitamina D e BMI (r=-0,354 p=0,01), da mettere in relazione al maggiore sequestro della Vitamina D nel tessuto adiposo.

5.5 Discussione

Lo studio A, che ha come principale finalità la valutazione retrospettica del tempo medio di stabilizzazione in una numerosa coorte di pazienti affetti da NOA in fase attiva trattati secondo differenti tipologie di scarico, non ha dimostrato significative differenze tra i quattro gruppi considerati.

Da un’analisi della letteratura, è la prima volta che un campione così numeroso di pazienti viene analizzato in un singolo centro con un programma di follow-up predefinito. Infatti le casistiche riportate in letteratura per singolo centro non superano i 60 pazienti108, mentre un solo studio condotto in 76 centri del Regno Unito ha analizzato 288 pazienti172 in un arco temporale di 18 mesi.

Dai dati del nostro studio si è osservato un tempo di stabilizzazione lievemente inferiore per i pazienti sottoposti a misure di scarico che non prevedevano l’appoggio dell’arto affetto (sedia a rotelle, scarico assoluto a letto, deambulazione con stampelle).

quanto consentivano loro una limitata deambulazione, senza l’ausilio di stampelle, ed in alcuni casi i pazienti potevano continuare la loro attività lavorativa, ottenendo dei benefici sia psicologici che socio-economici. Analizzando le differenze di popolazione dei pazienti affetti da NOA, in accordo con i dati riportati da Petrova et Al. 115, l’esordio della NOA è risultato più precoce nei pazienti affetti da diabete tipo 1 rispetto a quelli affetti da diabete tipo 2.

Allo stesso tempo, la durata media del diabete al momento di diagnosi della NOA è apparsa maggiore nei pazienti affetti da diabete tipo 1 rispetto al tipo 2; tuttavia, considerando che l’insorgenza di alterazioni della glicemia nel diabete tipo 2 è stimata essere di circa 10 anni precedente al momento della diagnosi clinica279, il tempo di esposizione al diabete è stato probabilmente simile in entrambi i gruppi.

Per quanto riguarda le comorbidità principali associate alla NOA, degno di nota è risultato il riscontro di arteriopatia obliterante degli arti inferiori nel 33,3% dei casi; nonostante questo dato potrebbe ad una prima analisi risultare in contrasto con le teorie patogenetiche della NOA280,201, secondo cui sarebbe osservato un ipervascolarizzazione del piede affetto secondaria alla neuropatia autonomica, si può ipotizzare questi pazienti abbiano sviluppato un’arteriopatia obliterante degli arti inferiori clinicamente oggettivabile soltanto dopo l’esordio della NOA. Questo riscontro infatti potrebbe essere in parte spiegato dallo scarso controllo glicemico dei pazienti presumibilmente protratto per molti anni e dalla presenza di fattori di rischio che hanno portato allo sviluppo di complicanze micro- e macrovascolari. In questa prospettiva, anche se

allo stato attuale sono necessari ulteriori studi, l’arteriopatia obliterante degli arti inferiori potrebbe addirittura rappresentare un meccanismo di protezione nei confronti della NOA, a patto che il suo esordio preceda le manifestazioni cliniche della NOA: seguendo questa ipotesi, la riduzione del flusso ematico a carico del piede, agirebbe da contrappeso all’incremento del flusso sanguigno determinato dalla denervazione autonomica, in grado di determinare l’apertura di shunts artero-venosi e stimolare il riassorbimento osseo.

Un risultato interessante nella nostra casistica di pazienti consiste nel fatto che la mortalità osservata, pari al 10,4% durante un follow-up medio di 36,8±29,9 mesi (3,0±2,4 anni) è apparsa significativamente inferiore rispetto a quella riportata in letteratura. Infatti, precedenti studi hanno riportato un’elevata mortalità associata alla NOA. Gazis et al.100 hanno riscontrato un tasso di mortalità del 44,7% dopo un follow- up medio di 3,7±1,9 anni; Sohn et Al. 99 hanno riportato un tasso di mortalità a 5 anni del 28,3%.

Inoltre, nello stesso periodo abbiamo osservato una relativamente bassa percentuale di riacutizzazioni di malattia (17,3%), e solo nel 4% dei casi si è resa necessaria l’amputazione maggiore dell’arto. Infine, il ricorso alla chirurgia correttiva e ad interventi di stabilizzazione con mezzi di fissazione interna del piede è avvenuto nel 7,3% dei casi.

Le possibili spiegazioni di questi dati apparentemente favorevoli potrebbero ricondursi a svariati fattori. In primis fondamentale appare una corretta diagnosi precoce che appare possibile solo grazie ad un approccio multispecialistico nei confronti della NOA e più in generale

del piede diabetico. In secondo luogo la particolare attenzione rivolta non soltanto al controllo locale della malattia ma anche alla gestione internistica integrata di tutte le comorbidità, potrebbe aver esercitato un contributo positivo.

E’ ben noto come le complicanze macrovascolari rappresentino il maggior fattore di rischio di mortalità nel diabete281. In quest’ottica, considerata l’altra prevalenza di calcificazioni vascolari e di ossificazione della parete arteriosa risultanti in un conseguente incrementato lavoro a carico del ventricolo sinistro282, dal nostro studio avremmo dovuto aspettarci al primo posto tra le cause di morte la mortalità per infarto acuto del miocardio. In realtà, sebbene gli eventi cardiovascolari maggiori (infarto acuto del miocardio ed ictus) rendessero complessivamente conto del 44,6% delle morti, la prima causa assoluta di morte è risultata quella secondaria a neoplasie (38,8%).

La spiegazione di questo riscontro potrebbe risiedere nell’incrementato rischio di sviluppo di neoplasie presente sia nei pazienti affetti da diabete tipo 2283 che in quelli affetti dal tipo 1284 ma allo stato attuale sono necessari ulteriori studi per chiarire il possibile meccanismo di questa associazione.

Lo studio A presenta tutte le principali limitazioni di uno studio retrospettivo. Il numero di pazienti, sebbene sia significativo per il tipo di patologia, risulta statisticamente limitato e le caratteristiche dei pazienti sono risultate spesso molto eterogenee rendendo difficoltosa non solo la raccolta dei dati ma anche la loro analisi e standardizzazione. Nonostante queste limitazioni, dal nostro studio si evince il ruolo

fondamentale dell’approccio conservativo nella gestione della NOA in fase acuta, e risulta chiaro come una diagnosi precoce ed un altrettanto immediato trattamento di scarico non solo rappresentino punti chiave per arrestare la progressione della malattia, ma costituiscano anche l’unica possibilità di ridurre il ricorso a trattamenti chirurgici, in particolare in riferimento alle amputazioni maggiori.

Lo studio B, avente come principale finalità lo studio del metabolismo fosfo-calcico nelle quattro categorie di pazienti diabetici sopramenzionate, ha dimostrato in linea con i dati della letteratura la presenza di ipovitaminosi D in tutti i gruppi con livelli significativamente inferiori di 25 (OH) Vitamina D nei pazienti affetti da NOA in fase acuta (Gruppo A) rispetto alle restanti categorie.

Nonostante dallo studio non sia possibile stabilire se l’ipovitaminosi D osservata nel Gruppo A rappresenti un fattore di rischio per l’esordio della NOA oppure ne costituisca l’epifenomeno della fase di attività, si può comunque ipotizzare che venga meno il ruolo immunomodulatorio esercitato dalla Vitamina D all’interno della risposta immunitaria innata e che ciò favorisca o aggravi la risposta infiammatoria incontrollata a carico del piede.

E’ tuttavia opportuno sottolineare che i livelli significativamente minori di 25(OH)Vitamina D osservati nel Gruppo A sono inversamente correlati ai livelli di BMI osservati nello stesso gruppo rispetto alle restanti categorie: in quest’ottica è possibile ipotizzare che l’obesità, favorendo un maggiore sequestro Vitamina D nel tessuto adiposo e determinandone una ridotta biodisponibilità, possa rappresentare un

fattore di rischio per l’esordio di NOA attraverso due principali meccanismi:

- Perdita del ruolo anti-infiammatorio ed immunomodulatorio esercitato dalla Vitamina D

- Incremento del carico plantare con aumento del rischio di frattura a carico del piede

A supporto di tale ipotesi depone la mancanza di alterazione sistemica significativa dei markers di rimodellamento osseo nel gruppo A (sia di neoformazione che di riassorbimento) e ciò risulterebbe concorde con i meccanismi patogenetici della NOA spiegando perché, nonostante il diabete produca alterazioni in tutto il sistema scheletrico, si producano fratture solo a carico del piede affetto.

Nel gruppo D sono stati osservati livelli significativamente maggiori di 25(OH) Vitamina D da mettere in relazione alla minore durata del diabete, alla minore età media dei pazienti, al minore BMI ed al migliore controllo glicometabolico.

Nei quattro gruppi di pazienti non sono emerse significative differenze per i markers di neoformazione ossea (Fosfatasi alcalina ossea, Osteocalcina) mentre in relazione al monitoraggio del riassorbimento osseo sono emersi livelli significativamente maggiori di cross laps sierico (S-CTX) nel gruppo C. Tale dato risulta verosimilmente attribuibile alla maggiore compromissione della funzionalità renale osservata nel Gruppo C ed associata a lieve iperparatiroidismo secondario, dal momento che il CTx sierico è noto essere maggiormente correlato ai livelli di creatinina 285,286 rispetto ai restanti marcatori ossei.

Lo studio B non è esente anch’esso da limitazioni intrinsecamente correlate alla tipologia dei pazienti coinvolti e presenta una limitata potenza statistica in linea con i principali studi della letteratura scientifica inerenti la NOA. Inoltre nello studio, non è stata considerata la fisiologica variazione stagionale dei valori di 25(OH)Vitamina D in rapporto alle differenze di luce solare.

Nonostante ciò, dallo studio emerge chiaramente la necessità di effettuare futuri studi clinici randomizzati controllati per valutare il possibile ruolo benefico della supplementazione di alte dosi di Vitamina D nella NOA nelle seguenti modalità:

-

in prevenzione primaria dello sviluppo di malattia

-

nella fase di attività della malattia in aggiunta e non alle terapie con bisfosfonati per valutare effetti sulla riduzione del tempo medio di stabilizzazione del quadro locale e sul tasso di fratture

-

in prevenzione secondaria delle riacutizzazioni di malattia

Una possibile spiegazione del fatto che tutti i principali trials clinici che hanno coinvolto l’uso dei bisfosfonati hanno prodotto risultati insoddisfacenti, potrebbe essere data dalla mancanza di una terapia immunomodulatoria concomitante.

In questa futura ipotesi di trattamento, la somministrazione di alte dosi di Vitamina D potrebbe contrastare il meccanismo disregolato dell’infiammazione locale mediante riduzione dell’attività osteoclastica riassorbitiva e ciò potrebbe migliorare l’azione terapeutica dei bisfosfonati, portando sia ad una riduzione del tempo medio di

stabilizzazione che ad una globale riduzione del tasso di fratture con conseguenti deformità.

5.6 Conclusioni

La neuro-osteoartropatia di Charcot (NOA) è una malattia complessa caratterizzata da un quadro clinico subdolo che circa in un caso su quattro fa sì che non venga riconosciuta o venga erroneamente identificata in altre patologie. Questo ritardo diagnostico porta spesso allo sviluppo di fratture e deformità maggiori a carico del piede e rappresenta una condizione fortemente invalidante per il paziente diabetico, soprattutto alla luce dell’elevato rischio di amputazione maggiore a carico dell’arto affetto.

La precoce identificazione dei segni e dei sintomi riconducibili alla fase infiammatoria acuta e la gestione conservativa multidisciplinare della patologia, indipendentemente dal metodo di Offloading prescelto, consentono nella maggioranza dei casi una remissione del quadro infiammatorio locale, limitando notevolmente l’insorgenza di fratture con deformità ed il conseguente ricorso ad interventi chirurgici minori e maggiori.

Contrariamente alla storica teoria neuro-vascolare della NOA, secondo cui un elemento fondamentale della malattia è costituito dall’incrementato flusso ematico a livello delle ossa del piede come conseguenza della neuropatia autonomica, nella nostra analisi abbiamo riscontrato la presenza di arteriopatia obliterante degli arti inferiori in

un caso su tre dei pazienti affetti.

Considerando che l’arteriopatia obliterante degli arti inferiori sembrerebbe esercitare un ruolo protettivo nello sviluppo della NOA probabilmente dovuto alla limitata risposta infiammatoria conseguente all’ischemia88, è ipotizzabile che i nostri pazienti abbiano manifestato l’arteriopatia in una fase successiva all’esordio della NOA.

Dal nostro studio emerge inoltre un’elevata prevalenza di cancro nella popolazione affetta da NOA e questo dato risulta ad una prima analisi concorde a quello riscontrato nella popolazione diabetica generale, anche se sono necessari ulteriori studi per meglio definire questa possibile associazione.

La nostra analisi ha inoltre mostrato una significativa riduzione dei livelli di 25 (OH) Vitamina D nei pazienti affetti da NOA in fase acuta: nonostante dallo studio non sia possibile stabilire se questo dato sia un fattore di rischio o costituisca l’epifenomeno della malattia, emerge la necessità di effettuare ulteriori studi per valutare gli outcomes prodotti dalla supplementazione di alte dosi di Vitamina D nella NOA, sia in monoterapia che in associazione con i bisfosfonati.

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