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Dieci anni di gestione conservativa della neuro-osteoartropatia di Charcot nei pazienti diabetici: analisi retrospettica

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Academic year: 2021

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INDICE

SOMMARIO……….pag. 4 1.0 INTRODUZIONE: IL DIABETE E LE SUE COMPLICANZE………..pag. 6

1.1 Epidemiologia del diabete mellito

……….…..

pag.6 1.2 Epidemiologia delle complicanze correlate al diabete mellito.…pag. 8 1.2.1 Retinopatia diabetica……….……….pag. 8 1.2.2 Nefropatia diabetica……….………..pag. 9 1.2.3 Neuropatia diabetica e rischio di amputazioni maggiori……….……pag. 11 1.2.4 Le complicanze macrovascolari……….……pag. 12 1.3 Fisiopatologia delle complicanze correlate al diabete………pag. 14 1.3.1 Alterazione della via dei polioli………..pag.14 1.3.2 La formazione dei prodotti di glicazione avanzata (AGE)……….……pag.16 1.3.3 L’attivazione della proteina chinasi C……….…………pag. 17 1.3.4 L’aumento del flusso della via dell’esosamina………..pag.18 1.3.5 Il meccanismo unificante………..……….pag.19 1.4 La neuropatia diabetica: definizione e classificazione………pag. 23 1.4.1 Neuropatie diabetiche simmetriche……….………….pag. 24 1.4.2 Neuropatie diabetiche asimmetriche………pag. 27 1.4.3 Diagnosi di polineuropatia sensitivo-motoria………..……..pag. 27 1.5 Arteriopatia obliterante cronica periferica nella popolazione diabetica……….pag. 29 1.5.1 Screening vascolare e diagnosi di arteriopatia obliterante degli arti inferiori………..pag. 33

2.0 LA NEURO-OSTEOARTROPATIA DI CHARCOT………pag. 36

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2.1.1 Mortalità………pag. 38 2.1.2 Epidemiologia………pag. 39 2.2 Ipotesi patogenetiche………..……….pag. 41 2.3 Il meccanismo dell’infiammazione non controllata……..…………pag. 47 2.4 L’azione immunomodulatoria della Vitamina D……….……….pag. 53 2.5 Possibili implicazioni dell’ipovitaminosi D nei diabetici…..……..pag. 56 2.6 I polimorfismi dell’osteoprotegerina (OPG) e del gene RANK...pag. 58 2.7 Fattori favorenti l’esordio della malattia………..pag. 59 2.8 Caratteristiche istologiche dell’osso neuroartropatico………pag. 61 2.9 Classificazioni della neuro-osteoartropatia di Charcot………pag. 66 2.9.1 Classificazione clinica sec. Eichenholtz……….……….pag.66 2.9.2 Classificazione anatomica sec. Brodsky………pag. 69 2.9.3 Classificazione anatomica sec. Sanders & Frykberg……….…..pag. 71 2.10 Presentazione clinica della neuro-osteoartropatia in fase di attività………..pag. 72 2.11 Diagnosi differenziale: quadri clinici….……….pag. 74 2.12 Ruolo della misurazione del gradiente di temperatura cutanea…..………..………..pag. 76 2.13 I test di laboratorio nella conferma e nella diagnosi differenziale della NOA………pag. 78 2.14 Gli studi di imaging……….pag. 80 2.14.1.1 Caratteristiche radiologiche……….pag. 80 2.14.1.2 Risonanza magnetica nucleare………..pag. 82 2.14.1.3 Scintigrafia ossea………..………..pag. 84 2.14.1.4 Tomografia ad emissione di positroni (PET)……….pag. 85

(3)

3.1 Offloading………..………pag. 87 3.2 Trattamento chirurgico……….………pag. 91 3.3 Terapie mediche………pag. 93 3.4 Prospettive terapeutiche future……….pag. 97 3.5 Riacutizzazioni di malattia………..………pag. 98 3.6 La prevenzione delle recidive nella fase di stabilità……..…………pag. 99 3.7 La nostra esperienza locale nel trattamento della

neuro-osteoartropatia di Charcot………..pag. 101

4.0 SCOPO DELLO STUDIO………..pag. 111

5.0 DISEGNO DELLO STUDIO E METODI………..………pag.111

5.1 Pazienti e metodi (Studio A)………..………pag. 111 5.2 Pazienti e metodi (Studio B)………pag. 112 5.3 Analisi statistica………..pag. 114 5.4 Risultati……….pag. 114 5.4.1 Studio A……….………….pag. 114 5.4.2 Studio B………..……….…………..pag. 122 5.5 Discussione……….………..pag. 125 5.6 Conclusioni….………pag. 132 Bibliografia………..………pag. 133 Ringraziamenti………..………..pag. 166

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SOMMARIO

Scopo della tesi è stato quello di descrivere l’attività ambulatoriale erogata dalla Sezione Dipartimentale del Piede Diabetico del Dipartimento di Area Medica della Asl 5 di Pisa in risposta al bisogno di salute rappresentato dalla neuro-osteoartropatia di Charcot (NOA) nella popolazione diabetica.

La tesi si articola in due parti, con differenti finalità:

- Studio A. Verifica degli outcomes del nostro ambulatorio di terzo livello dedicato al trattamento della NOA mediante analisi retrospettica dei dati riferiti al decennio 2002-2012.

- Studio B. Valutazione comparativa prospettica dei livelli 25-OH Vitamina D, PTH, Calcio ionizzato, Osteocalcina, Fosfatasi Alcalina Ossea, S-CTX nella popolazione di pazienti afferenti al nostro ambulatorio dedicato alla NOA (sia in fase attiva che cronica) nel corso dell’anno 2012 rispetto ad un gruppo di diabetici neuropatici e ad un gruppo di diabetici non neuropatici, rispettivamente.

Risultati studio A. Nell’arco di tempo stabilito sono afferiti consecutivamente presso l’ambulatorio dedicato alla NOA 205 pazienti diabetici totali. In 172 pazienti è stata effettivamente confermata l’ipotesi diagnostica di NOA, e tra questi, al momento della presa in carico, 143 pazienti presentavano una malattia in fase attiva e 29 pazienti in fase di stabilità. Tutti i pazienti in fase di attività sono stati trattati in maniera conservativa, mediante utilizzo di quattro tipologie di scarico (Total Contact Cast, Optima Diab, Aircast, Altro). L’outcome primario dello studio è stato considerato il tempo medio di stabilizzazione della NOA in fase acuta secondo le differenti modalità di scarico. Outcomes secondari sono stati considerati le riacutizzazioni di malattia, gli interventi chirurgici correttivi minori ed il tasso di amputazione maggiore. L’analisi dei dati non ha evidenziato differenze significative in termini di tempo medio di stabilizzazione tra le quattro

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categorie di scarico (t medio di 223,8±122,8 giorni). Durante il periodo di follow-up abbiamo osservato una riacutizzazione di malattia nel 17,3% dei pazienti stabilizzati. Nel 7,3% dei casi i pazienti cronicizzati sono stati sottoposti ad intervento chirurgico di stabilizzazione del piede; nel 4,0% dei casi si è resa necessaria l’amputazione dell’arto affetto.

Nel periodo stabilito abbiamo osservato un tasso grezzo di mortalità pari al 10,4%, con un tasso di incidenza di mortalità annua pari al 3,41%. Tra le cause di morte abbiamo riscontrato gli eventi cardiovascolari maggiori (Ictus+Infarto del miocardio) nel 44,6% dei casi, ma la prima causa assoluta di morte è risultata quella secondaria a neoplasie (38,8%).

Risultati studio B. Nell’arco di tempo stabilito è stato effettuato uno studio dei livelli di 25-OH Vitamina D, PTH, Calcio ionizzato, Osteocalcina, Fosfatasi Alcalina Ossea, S-CTX nelle quattro tipologie di pazienti descritte. I risultati hanno evidenziato ipovitaminosi D in tutti i gruppi con livelli significativamente inferiori nei pazienti affetti da NOA in fase acuta (8.6±3.8 ng/ml p<0.001) ed è emersa una correlazione inversamente proporzionale tra 25-OH Vitamina D e BMI. Nei quattro gruppi di pazienti non sono emerse significative differenze per i markers di neoformazione ossea.

Conclusioni studio A. I risultati ottenuti dimostrano che la precoce gestione conservativa della NOA effettuata con approccio multi-specialistico integrato consente di ottenere una riduzione degli interventi chirurgici minori a carico del piede e delle amputazioni maggiori.

Conclusioni studio B. La nostra analisi ha mostrato una significativa riduzione dei livelli di 25-OH Vitamina D nei pazienti affetti da NOA in fase acuta. Nonostante dallo studio non sia possibile stabilire se questo dato sia un fattore di rischio o costituisca l’epifenomeno della malattia, emerge la necessità di effettuare ulteriori studi per valutare gli outcomes prodotti dalla supplementazione di alte dosi di Vitamina D nella NOA, sia in monoterapia che in associazione con i bisfosfonati.

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1.

INTRODUZIONE: IL DIABETE E LE SUE COMPLICANZE

1.1 Epidemiologia del diabete mellito

Il diabete mellito è una patologia metabolica caratterizzata da iperglicemia cronica che attualmente mostra un drammatico incremento del trend di crescita.

Secondo i dati della International Diabetes Federation (IDF) nel 2012 la prevalenza mondiale del diabete nella popolazione adulta di età compresa tra 20 e 79 anni è pari all’ 8,3%, con un numero totale di 371 milioni di casi1. Un dato ulteriormente preoccupante è rappresentato dal fatto che circa la metà dei pazienti non è consapevole di essere affetto da diabete.

La prevalenza aumenta dall’1% nei soggetti con 20-39 anni di età, al 13% negli ultrasessantenni ed il diabete tipo 2 rappresenta la forma di diabete più frequente: inoltre se il trend attuale fosse confermato la prevalenza mondiale del diabete arriverà al 9,9% nel 2030 con 552 milioni di adulti affetti (Figura 1).

Alterata glicemia a digiuno (IFG) e ridotta tolleranza ai carboidrati (IGT) sono anch’essi molto frequenti nella popolazione adulta tanto che attualmente si stima che siano più di 300 milioni i soggetti a rischio elevato di sviluppare il diabete2.

Aumento ed invecchiamento della popolazione, obesità e sedentarietà sono le cause del progressivo aumento dell’incidenza del diabete.

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La crescita maggiore è prevista nel continente asiatico (maggiormente in Cina ed India dove si attendono 93 milioni di diabetici in più) con un aumento del 200% dei diabetici con età superiore a 60 anni3.

Figura 1 - Prevalenza del diabete dal 2010 al 2030 (IDF Diabetes Atlas)

In Europa abbiamo una prevalenza nel 2012 dell’ 8,3% (55 milioni di casi) che aumenterà nel 2030 fino al 9,6% (64 milioni di casi).

Anche in Italia i dati indicano che la prevalenza è in costante crescita: nel 2012 risulta diabetico l’8,5% della popolazione pari a circa 3,9 milioni di persone, con un incremento del 73% rispetto al 2000 in cui la

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popolazione diabetica era di 2,2 milioni di persone. Nel 2030 secondo le stime attuali in Italia risulteranno diabetici 4,2 milioni di persone, pari al 9,4% della popolazione ed il 10,8% sarà affetto da IGT4.

I soggetti con diabete tipo 2 presentano una mortalità annuale pari a circa il 5.4% (doppia rispetto a quella della popolazione non diabetica), e la loro aspettativa di vita è ridotta in media di 5-10 anni5.

1.2 Epidemiologia delle complicanze correlate al diabete mellito

1.2.1 Retinopatia diabetica

La Retinopatia Diabetica (RD) è oggi la più importante causa di cecità nei paesi occidentali6.

La RD è la più frequente complicanza cronica del diabete ed il rischio aumenta in funzione della durata della malattia ed al grado del controllo metabolico.

Un totale di 35 studi (1980-2008) hanno fornito dati da 22.896 pazienti con diabete. La prevalenza complessiva per qualsiasi RD è stata 34,6% (IC 95% 34,5-34,8); 6,96% (6,87-7,04) per RD proliferativa; 6,81% (6,74-6,89) per edema maculare diabetico; e 10,2% (10,1-10,3) per RD pericolosa per la vista. Tutti gli endpoint di prevalenza della RD aumentavano con la durata del diabete, l'emoglobina A1c e i livelli di pressione arteriosa, e sono risultati più elevati nelle persone con diabete tipo 1 rispetto a quelle con diabete tipo 2. Dopo circa 15 anni, la

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diabete tipo 1 ed in una notevole percentuale (80%) dei soggetti con diabete di tipo 26.

La prevalenza della RD è trascurabile nei giovani con diabete di durata inferiore ai 5 anni ed in età prepubere. Quando il diabete è diagnosticato dopo i 30 anni di età, la prevalenza di retinopatia è del 20% dopo 5 anni di malattia, 40-50% dopo 10 anni e oltre il 90% dopo i 20 anni 7,8.

L’incidenza cumulativa di retinopatia in un periodo di osservazione di 4 anni varia dal 34% al 59%, a seconda che si tratti rispettivamente di pazienti anziani trattati con sola dieta o di giovani insulinodipendenti9. La retinopatia diabetica è responsabile ogni anno del 12% di tutti i nuovi casi di cecità negli Stati Uniti.

Una volta che i pazienti hanno sviluppato la forma senza proliferazione vascolare diventano vulnerabili alla forma proliferativa che, dopo circa 40 anni di malattia, è presente nel 60% dei diabetici di tipo 1. Al contrario nel tipo 2, tutte le complicanze sono spesso presenti con prevalenze non trascurabili già al momento della diagnosi del diabete. In tutto il mondo vi sono circa 93 milioni di persone affette da RD, di cui 17 milioni con RD proliferativa, 21 milioni con edema maculare diabetico e 28 milioni con RD pericolosa per la vista10.

La maggior durata del diabete e il più scadente controllo della glicemia e della pressione arteriosa sono fortemente associati con RD11,12.

1.2.2 Nefropatia diabetica

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la nefropatia diabetica rappresenta nel mondo la prima causa di insufficienza renale terminale13 rendendo conto di circa il 40% dei nuovi casi di dialisi negli USA e del 17% in Europa14.

L'incidenza cumulativa della Nefropatia Diabetica conclamata, che raggiunge il suo massimo nel diabete tipo 1 (circa 20%) dopo 30 anni di malattia, non differisce sostanzialmente fra i due tipi di diabete15.

La presenza di microalbuminuria persistente (30–299 mg/24 h), che può precedere di molti anni l'insorgenza della nefropatia conclamata, rappresenta la fase iniziale della nefropatia diabetica nel diabete di tipo 1 e può essere considerata un marcatore di progressione della malattia nei diabetici di tipo 2. Il controllo glicemico intensivo ha dimostrato in studi prospettici randomizzati di ampia portata di ritardare l’esordio e la progressione dell’escrezione urinaria di albumina sia nel diabete tipo 116, 17 che nel diabete tipo 218, 19, 20.

Nell’arco temporale compreso tra il 1988 ed il 2008, la prevalenza di nefropatia diabetica (DKD) negli Stati Uniti è cresciuta in linea con la diffusione del diabete mellito. E’ stata effettuata una valutazione di prevalenza di DKD negli Stati Uniti mediante i dati della National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES III) negli anni 1988-1994 (N = 15.073), NHANES 1999-2004 (N = 13.045) e NHANES 2005-2008 (N = 9.588). I partecipanti con diabete sono stati definiti dal livello di emoglobina glicata da 6,5% o superiore, dall'uso di farmaci ipoglicemizzanti, o entrambi (n = 1.431 nel NHANES III, n = 1.443 nel NHANES 1999-2004; n = 1.280 nel NHANES 2005-2008). La nefropatia diabetica è stata definita come diabete con albuminuria (rapporto tra

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albuminuria creatinina ≥ 30 mg/g), con ridotto tasso di filtrazione glomerulare(<60 mL/min/1.73m2 stimato utilizzando la Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration formula), o entrambi. La prevalenza della DKD nella popolazione statunitense è stimata essere il 2,2% (95% intervallo di confidenza [CI], 1,8% -2,6%) nel NHANES III, 2,8% (95% CI, 2,4% -3,1%) nel NHANES 1999-2004 e del 3,3% (95% CI, 2,8% -3,7%) nel NHANES 2005-2008 (p<0.01 per trend)21.

L'insufficienza renale terminale è la principale causa di morte prima dei 50 anni nei pazienti con diabete di tipo 122. In questi pazienti il rischio di ESRD è 23 volte maggiore rispetto ai non diabetici mentre il rischio di dialisi aumenta di 39 volte23. Il rischio è anche notevolmente aumentato, 17 volte, nel diabete tipo 2. L'incidenza di nuovi casi di insufficienza renale terminale nei diabetici sta crescendo in tutti i paesi e nonostante l'alto tasso di mortalità dei diabetici in dialisi, il numero complessivo dei pazienti in trattamento dialitico è salito di circa 12 volte negli ultimi 20 anni. In Italia i diabetici in trattamento dialitico sono 6200 e rappresentano il 20,8% di tutti i pazienti in dialisi24. Si è calcolato che, in Italia, la Spesa Dialitica per il trattamento dei pazienti che necessitano di dialisi cronica (0,08% della popolazione) è pari a 25 volte la Spesa Sanitaria pro capite.

1.2.3 Neuropatia diabetica e rischio di amputazioni maggiori

La neuropatia diabetica rappresenta una delle più comuni complicanze croniche del diabete e colpisce circa il 50% di tutti i diabetici dopo 25 anni dalla diagnosi25.

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La forma più comune di neuropatia, quella periferica, è la principale causa di ulcere ai piedi e quindi una concausa molto rilevante per il rischio di amputazioni. La forma autonomica comporta alterazioni della funzione a livello di molti organi, cuore compreso. E' causa di Disfunzione Erettile nel 30% dei pazienti diabetici fra 20-70 anni26 e rappresenta un indice prognostico sfavorevole per la sopravvivenza del malato.

La vasculopatia periferica e la neuropatia, spesso associate, sono le principali cause di amputazione. Infatti, in tutte le nazioni occidentali, compresa l'Italia, il 50% di tutte le amputazioni non traumatiche degli arti inferiori sono eseguite nei pazienti diabetici27. L'incidenza delle ulcere diabetiche varia dal 2,5% al 10,7%28,29 e circa il 15% dei pazienti diabetici ha o ha avuto un’ulcera al piede nel corso della propria vita30; circa l’1% dei pazienti diabetici ha subito un’amputazione agli arti inferiori con un’incidenza variabile dal 3,5% all’8,8% per anno31 e nell’ 85% dei casi queste amputazioni erano state precedute dalla comparsa di ulcera32. In Italia ogni anno si effettuano circa 6.300 amputazioni minori e 2.646 amputazioni maggiori33. Il costo unitario del management del piede diabetico che non richiede amputazione è di 4.732€; quando si ricorre all’amputazione i costi arrivano a 31.802€. Circa la metà dei pazienti già amputati andrà incontro a successiva amputazione entro cinque anni, con una mortalità elevata34.

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cardiovascolare: l’aterosclerosi, che ha un ruolo centrale nella macroangiopatia diabetica, provoca un’alterazione della strutture e della funzione delle arterie di grande e medio calibro, con un progressivo restringimento dei vasi arteriosi, una riduzione dell’apporto ematico con conseguente ischemia.

Da un punto di vista anatomopatologico essa si manifesta con la comparsa di una lesione caratteristica, l’ateroma, che localizzandosi nei vari distretti arteriosi porta a patologie d’organo. Queste sono rappresentate da manifestazioni a livello cardiaco (IMA, angina pectoris e morte improvvisa), a livello cerebrale (TIA o ictus ischemico/emorragico), a livello renale (nefropatia vascolare), a livello intestinale (colite ischemica, infarto intestinale) e a livello periferico (claudicatio intermittens, arteriopatia cronica ostruttiva degli arti inferiori e ulcera-gangrena).

Nella popolazione diabetica le complicanze dell’aterosclerosi sono le principali responsabili delle elevate morbilità e mortalità associate al diabete: la frequenza di infarto del miocardio è aumentata di 2-3 volte35,36, quella di stroke di 2-3 volte37, il rischio di amputazioni è aumentato di 10 volte38.

Le malattie cardiovascolari, principale causa di morte nella popolazione generale, nei diabetici raggiungono addirittura l’80%. Lo studio Framingham ha evidenziato nel diabete un incremento dell’incidenza dello scompenso cardiaco, di coronaropatia ed IMA, dove il rischio di morte per evento cardiovascolari nei pazienti diabetici è uguale ai non diabetici che hanno avuto un recente IMA39.

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La PAD ha un’incidenza media di 4,3% sopra i 40 anni ed aumenta con l’età in entrambi i sessi (UM>F) arrivando al 14,5% sopra 70 anni40. La PAD è un marker importante di malattia aterotrombotica, infatti il 40-60% dei pazienti ha una concomitante coronaropatia e vasculopatia cerebrale41, e la sua identificazione consente di ridurre la mortalità per eventi cardiovascolari.

1.3 Fisiopatologia delle complicanze correlate al diabete

E’ noto come il diabete danneggi in modo selettivo tutte le cellule il cui tasso di trasporto del glucosio intracellulare non sia in grado di diminuire rapidamente in risposta all’iperglicemia.

Nei tessuti che non richiedono insulina affinché il glucosio sia assorbito dalle cellule (nervi, cristallino, reni, vasi sanguigni), i livelli di glucosio intracellulare sono direttamente proporzionali a quelli del sangue; l’eccesso di glucosio all’interno della cellula sfugge pertanto alla glicolisi ed entra in altre vie metaboliche che producono un danno cellulare attraverso diversi meccanismi.

1.3.1 Alterazione della via dei polioli

Il primo meccanismo di danno che è stato scoperto è correlato l’aumento del flusso dei polioli, descritto per la prima volta nei nervi periferici in un lavoro pubblicato nel 196642.

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alcoli inattivi, ma quando la concentrazione di glucosio nella cellula diventa troppo elevata, l’aldoso-reduttasi riduce anche quel glucosio in sorbitolo, che è successivamente metabolizzato a fruttosio(Figura 2).

Figura 2 - L’iperglicemia aumenta il flusso attraverso la via dei polioli. Tratto da Brownlee M. Biochemistry and molecular cell biology of diabetic complications Nature 414:813-820, 2001

Nel processo di riduzione dell’elevato glucosio intracellulare a sorbitolo, l’aldoso-reduttasi consuma il cofattore NADPH, cofattore essenziale per la rigenerazione di un antiossidante intracellulare importante, ovvero il glutatione ridotto. In presenza di una prolungata iperglicemia, la deplezione progressiva di NADPH compromette la rigenerazione di GSH, aumentando pertanto la suscettibilità cellulare allo stress ossidativo43,44,45,46. Il secondo meccanismo coinvolge la conversione del

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sorbitolo in fruttosio dalla sorbitolo deidrogenasi che usa come cofattore NAD+ che è convertito in NADH. Quest’ultimo è il substrato della NADH ossidasi che produce l’anione superossido, portando ad ulteriore stress ossidativo47. Inoltre il fruttosio viene fosforilato e poi trasformato in gliceraldeide che incrementa la produzione di prodotti avanzati glicazione (AGE) e delle specie reattive dell’ossigeno (ROS)48.

1.3.2 La formazione dei prodotti di glicazione avanzata (AGE)

Il secondo meccanismo patogenetico riguarda l’aumento della formazione dei prodotti finali della glicazione avanzata (AGE). L’aumento di glucosio intracellulare porta alla formazione di prodotti formati dalla reazione non enzimatica tra i precursori intracellulari di carbonilici glucosio-derivati ed il gruppo aminico delle proteine sia intra- che extracellulari portando a modificazione delle proteine coinvolte nella regolazione della trascrizione genica, delle molecole circostanti della matrice extracellulare e delle proteine circolanti nel sangue come l’albumina.

A livello delle componenti della matrice extracellulare si formano legami crociati tra le proteine (come il collagene), con riduzione dell’elasticità e della permeabilità dei vasi. Il cross-linking porta inoltre ad una loro aumentata resistenza alla proteolisi, con riduzione della rimozione ed aumento del deposito di proteine, ed a un aumentato sequestro delle proteine plasmatiche e interstiziali non glicosilate. Quest’ultimo meccanismo contribuisce all’aterogenesi (sequestro di VLDL e

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si legano le proteine plasmatiche.

Le proteine plasmatiche, modificate dall’aggiunta di residui AGE, sono in grado di legarsi a dei recettori specifici presenti sulle cellule ed attivarli, provocando così l’attivazione di NF-kB e la conseguente produzione di citochine infiammatorie e fattori di crescita, che a loro volta causano il danno cellulare. La disfunzione endoteliale è tappa importante del processo di eterogenesi. Gli AGE, per la loro capacità di modificare la matrice extracellulare e le proteine plasmatiche esercitano un ruolo fondamentale sia nell’accelerata aterogenesi diabetica che nella microangiopatia.

1.3.3 L’attivazione della proteina chinasi C

Alla fine degli anni ’80 ed all’inizio dei ’90, è stato scoperto un terzo meccanismo di danno cellulare correlato all’iperglicemia cronica, riguardante l’attivazione delle isoforme della proteina chinasi C (PKC). L’iperglicemia all’interno della cellula aumenta infatti la sintesi di una molecola chiamata diacilglicerolo, un importante cofattore d’attivazione delle isoforme classiche della proteina chinasi Ce Quando la PKC viene attivata dall’iperglicemia intracellulare, questa provoca molteplici effetti sull’espressione genica che comprendono:

- Aumento della permeabilità e produzione della molecola pro-angiogenetica VEGF implicata nella neovascolarizzazione della retinopatia diabetica

- Aumento dell’attività vasocostrittrice dell’endotelina-1 e riduzione di attività dell’e-NOS.

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- Produzione di molecole profibrogeniche come il TGF-b che portano ad un aumentato deposito di matrice extracellulare e di materiale nella membrana basale.

- Produzione della molecola pro coagulante PAI-1, che porta a ridotta fibrinolisi e a possibili occlusioni vascolari.

- Produzione di citochine pro infiammatorie da parte dell’endotelio vasale.

1.3.4 L’aumento del flusso della via dell’esosamina

L’aumento del flusso della via dell’esosamina e la conseguente sovramodificazione delle proteine attraverso la N-acetilglucosamina, rappresenta il quarto meccanismo potenziale di danno correlato al diabete (Figura 3).

Quando la concentrazione di glucosio all’interno di una cellula è elevata, gran parte di questo glucosio è metabolizzato attraverso il processo di glicolisi, venendo dapprima fosforilato in glucosio-6 fosfato, poi in fruttosio-6 fosfato, e quindi in tutto il resto della via glicolitica. Tuttavia, una parte del fruttosio-6 fosfato viene deviato in una via diversa in cui un enzima chiamato GFAT (glutamina: fruttosio-6 fosfato amidotransferasi) converte il fruttosio-6 fosfato in glucosamina-6 fosfato e infine in UDP N-acetilglucosamina.

L’N-acetilglucosamina è messa successivamente a contatto con i residui di serina e treonina dei fattori di trascrizione provocando modificazioni patologiche nell’espressione genica: ciò si traduce ad esempio in

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volta produce un’aumentata espressione del fattore trasformante di crescita –1 e dell’inibitore 1 dell’attivatore del plasminogeno.

Figura 3 - L’iperglicemia aumenta il flusso durante la via dell’esosamina.

1.3.5 Il meccanismo unificante

Osservando come la caratteristica di differenziazione comune a tutti i tipi di cellule danneggiate dall’iperglicemia sia costituita da un aumento della produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS), è stata elaborata una teoria unificante i meccanismi patologici sopradescritti.

E’ noto che nella catena di trasporto degli elettroni a livello mitocondriale vi sono 4 complessi proteici, detti complesso I, II, III e IV

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(Fig. 4). Nelle cellule normali, quando il glucosio è metabolizzato attraverso il ciclo dell’acido tricarbossilico (TCA), questo genera donatori di elettroni, di cui il principale è il NADH, che cede elettroni al complesso I. L’altro donatore d’elettroni generato dal ciclo TCA è il FADH2, formato dal succinato deidrogenasi, che cede elettroni al complesso II. Successivamente gli elettroni vengono ceduti da entrambi questi complessi al coenzima Q, e poi dal coenzima Q sono trasferiti al complesso III, il citocromo C, complesso IV, e infine all’ossigeno molecolare, che riducono ad acqua.

Il sistema di trasporto degli elettroni è organizzato in questo modo affinché si possa regolare in modo preciso il livello d’ATP. Poiché gli elettroni sono trasportati da sinistra a destra, un po’ dell’energia di quegli elettroni è utilizzata per pompare protoni attraverso la membrana al complesso I, III, e IV e questo genera una differenza di voltaggio attraverso la membrana mitocondriale. L’energia che deriva da questo gradiente porta alla sintesi d’ATP attraverso la sintetasi dell’ATP49,50.

In alternativa, le proteine disaccoppianti (UCPs) possono diffondersi lungo il gradiente di voltaggio per generare calore mantenendo costante il tasso di generazione d’ATP.

Nelle cellule diabetiche, essendo maggiormente disponibile glucosio che deve essere ossidato nel ciclo TCA (e che pertanto spinge più NADH e FADH2 nella catena di trasporto elettroni) il gradiente di voltaggio attraverso la membrana mitocondriale aumenta fino a raggiungere una soglia limite. A questo punto, il trasferimento degli elettroni all’interno

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del complesso III viene bloccato51, provocando il ritorno degli elettroni al coenzima Q, il quale cede uno per volta gli elettroni all’ossigeno molecolare, generando quindi superossido (Fig. 4). Le isoforme mitocondriali dell’enzima superossido-dismutasi degradano quest’ossigeno che contrasta i radicali liberi in perossido d’idrogeno, che viene poi convertito in H2O e O2 da altri enzimi.

Figura 4 - L’iperglicemia induce la produzione di superossido da parte della catena di trasporto degli elettroni mitocondriali

La sovrapproduzione mitocondriale di superossido indotta dall’iperglicemia diminuisce l’attività dell’enzima chiave della glicolisi gliceraldeide-3 fosfato deidrogenasi (GAPDH), determinando un aumento del livello di tutti gli intermediari glicolitici che sono a monte della GAPDH (Figura 5).

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Figura 5 - La sovrapproduzione mitocondriale di superossido attiva le quattro maggiori vie che portano al danno iperglicemico attraverso l’inibizione della GAPDH.

Si produce pertanto un’attivazione della la via di produzione dei prodotti di glicosilazione avanzata (AGE) perché il metilgliossale principale precursore intracellulare degli AGE si forma a partire dalla gliceraldeide-3 fosfato; inoltre viene attivata anche la classica via della PKC, essendo il diacilglicerolo formato dalla gliceraldeide-3 fosfato.

Inoltre a valle, livelli del metabolita glicolitico fruttosio-6 fosfato aumentano, accrescendo il flusso attraverso la via dell’esosamina, dove il fruttosio-6 fosfato è convertito dall’enzima GFAT in UDP- N- acetilglucosamina. Alla fine, l’inibizione della GAPDH aumenta i livelli intracellulari del primo metabolita glicolitico, il glucosio. Questo aumenta il flusso attraverso la via dei polioli, dove l’enzima

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dell’aldoso-1.4 La neuropatia diabetica: definizione e classificazione

La neuropatia diabetica è definita come la presenza di segni e/o sintomi di disfunzione del sistema nervoso somatico o autonomico in soggetti affetti da diabete mellito, in assenza di altre cause di neuropatia periferica note52.

La discussione riguardo la neuropatia periferica diabetica non può prescindere da un’esatta classificazione delle fibre nervose periferiche in accordo con le loro dimensioni ed il loro grado di mielinizzazione.

Queste possono essere distinte in fibre di grande, medio e piccolo calibro. Le fibre di grande calibro sono tronchi nervosi che possiedono un alto grado di mielinizzazione e comprendono le fibre A-, responsabili della forza muscolare e le A-, che trasmettono la sensibilità vibratoria e tattile. Le fibre di medio calibro sono le A-, fibre mielinate che trasportano le informazioni provenienti dai fusi muscolari. Infine le piccole fibre A- e C sono quelle non mielinate. Queste fibre comprendono le fibre somatiche per la cute e le fibre autonomiche per la muscolatura liscia ed involontaria, specialmente per i cardiomiociti. Le piccole fibre trasmettono il dolore, le sensazioni termiche e sono responsabili delle funzioni del sistema nervoso autonomo53.

La più importante e comunemente usata classificazione delle neuropatie diabetiche si basa sull’identificazione di due grandi categorie, ovvero le forme simmetriche e quelle asimmetriche.

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1.4.1 Neuropatie diabetiche simmetriche

 Polineuropatia sensitivo-motoria diabetica: è la forma più diffusa. Nonostante sia presente in circa la metà di tutti i pazienti affetti da diabete, la maggioranza dei casi esordisce con una forma asintomatica o con lievi sintomi54. La sindrome generalmente coinvolge sia le fibre di grande che di piccolo calibro e possono essere presenti anche segni e sintomi disautonomici55. Questa forma si presenta tipicamente con un deficit sensitivo lentamente progressivo, con sintomi a partenza dai piedi nella classica distribuzione a “guanto”56. Dal punto di vista generale i sintomi possono essere distinti in positivi e negativi. I sintomi positivi sono il dolore, le parestesie, l’ipersensibilità a stimoli non dolorifici o moderatamente algogeni, condizioni rispettivamente dette allodinia ed iperalgesia57. I sintomi negativi sono rappresentati dal deficit sensitivo o motorio. La prima classe consiste in una riduzione o in una completa perdita della percezione sensitiva in una o più modalità. I sintomi motori sono la caduta del piede (“foot drop”) o la debolezza della muscolatura distale58.

 Neuropatia autonomica: è definita come un disturbo del sistema nervoso autonomo caratterizzato da una prevalenza nella forma asintomatica o lieve leggermente inferiore a quella sella neuropatia sensitivo-motoria59. La disfunzione autonomica solitamente si associa al danno delle fibre C non mielinizzate e le

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sue principali manifestazioni includono la tachicardia a riposo, l’intolleranza all’esercizio fisico, l’ipotensione ortostatica, la stipsi ostinata, la gastroparesi, la disfunzione erettile e talvolta anche il manifestarsi di ipoglicemie inavvertite60.

La neuropatia autonomica cardiaca (CAN), un importante fattore di rischio cardiovascolare61 e di morte improvvisa correlata al prolungamento dell’intervallo Qt62, rappresenta la forma più studiata e clinicamente importante di neuropatia diabetica autonomica; si manifesta prevalentemente con tachicardia a riposo (100bpm) e con una caduta della pressione ortostatica maggiore di 20 mmHg passando dalla posizione supina senza un appropriato incremento della frequenza cardiaca. Nonostante alcune società abbiano sviluppato linee guida per lo screening della CAN, i benefici della stratificazione dei pazienti in base al rischio cardiaco non sono ancora chiari63. Le neuropatie gastrointestinali (es. enteropatia esofagea, gastroparesi, stipsi, diarrea, incontinenza fecale) sono comuni ed ogni tratto del digerente può essere interessato64. La gastroparesi dovrebbe essere sospettata in presenza di variabilità glicemica notevole associata a sintomi dispeptici; anche la stipsi ostinata può essere una manifestazione della CAN, specialmente se alternata ad episodi di diarrea.

I disturbi del tratto genito-urinario più frequenti sono la disfunzione erettile e/o l’eiaculazione retrograda nell’uomo65; in entrambi i sessi anche se con una maggiore prevalenza nel sesso

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femminile, possono verificarsi ricorrenti infezioni delle vie urinarie, pielonefriti, incontinenza o globo vescicale secondario a paresi della vescica25.

 Polineuropatia associata ad intolleranza al glucosio: questa forma rappresenta la presenza di uno stadio iniziale di neuropatia, principalmente a carico delle piccole fibre in pazienti con alterata tolleranza al glucosio dopo OGTT66,67 .

 Neuropatia diabetica acuta dolorosa con calo ponderale: questa forma rara è non è correlata alla durata del diabete, ha un andamento monofasico ed inizia con un’improvvisa perdita di peso associata a notevole dolore, bruciore ed allodinia68.

 Neurite insulinica: questa forma rara di neuropatia periferica è stata descritta per la prima volta nel 1933 in un paziente sottoposto da breve periodo a trattamento insulinico ed è probabilmente associata ad una risposta anormale ectopica sensitiva, causata da un meccanismo di rigenerazione assonale69.  Neuropatia ipoglicemica o iperinsulinemica: questa forma di

neuropatia si manifesta in associazione con uno stato iperinsulinemico cronico e ripetuti episodi ipoglicemici. Viene osservata nel contesti di insulinomi o nesidioblastosi e la risoluzione dello stato patogenetico è di regola associata alla remissione del quadro clinico ed al miglioramento dei sintomi70.

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1.4.2 Neuropatie diabetiche asimmetriche

 Neuropatie diabetiche craniali: più frequenti nei diabetici he nella popolazione generale, le più comuni includono la paralisi del nervo oculo-motore e del nervo faciale.

 Mononeuropatie diabetiche: i sintomi neuropatici riferiti alle estremità superiori sono solitamente associati alle mononeuropatie più che alla neuropatia sensitivo-motoria periferica. Le più importanti mononeuropatie includono quella del nervo mediano e del polso (sindrome del tunnel carpale), la neuropatia ulnare a livello del gomito e la neuropatia peroneale a livello della testa della fibula55.

 Neuropatie dei plessi nervosi: queste forme sono caratterizzate da un esordio subacuto associato a dolore e debolezza muscolare. Nei diabetici si distinguono una forma ad interessamento cervicale, una a livello toracico ed una a livello lombosacrale.

1.4.3 Diagnosi di polineuropatia sensitivo-motoria

Tutti i pazienti diabetici dovrebbero essere sottoposti annualmente a screening della neuropatia diabetica (DPN) al momento della diagnosi nei pazienti affetti da diabete tipo 2 e 5 anni dopo la diagnosi di diabete tipo 171.

La valutazione da effettuare comprende i seguenti test:

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Semmes-Weinstein: l’applicazione del monofilamento da 10 gr perpendicolarmente alla superficie cutanea in corrispondenza della I-III e V testa metatarsale e all’alluce permette di rilevare la sensibilità alla pressione (Figura 6).

- Test della sensibilità vibratoria mediante biotesiometro o diapason 128Hz: applicando il biotesiometro al malleolo ed in corrispondenza di zona ossea falange distale I dito è possibile stabilire le soglie di percezione della sensibilità vibratoria (Vibration Perception Thresholds – VPT) e rilevare un eventuale deficit di sensibilità. Valori uguali o maggiori di 25V sono ritenuti diagnostici72.

- Test della sensibilità dolorifica mediante puntura con ago sottile. - Test dei riflessi con ricerca bilaterale del riflesso patellare, achilleo

e medio-plantare.

La positività di almeno due test possiede l’87% di sensibilità diagnostica per la DPN73. La perdita della capacità di percezione del monofilamento e la riduzione della percezione della sensibilità vibratoria hanno un’alta capacità predittiva nei confronti delle ulcere del piede diabetico73.

Nei pazienti neuropatici è inoltre importante prendere in considerazione cause differenti dal diabete come uso di farmaci neurotossici, avvelenamento da metalli pesanti, abuso di alcol, deficit di vitamina B12, compromissione della funzione renale, neuropatia cronica infiammatoria demielinizzante, neuropatie ereditarie e vasculiti74.

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Figura 6 – Il monofilamento da 10 gr deve essere applicato perpendicolarmente alla cute, applicando una pressione sufficiente a far piegare il monofilamento stesso. L’esame deve essere condotto con il paziente ad occhi chiusi.

1.5 Arteriopatia obliterante cronica periferica nella popolazione diabetica

L’arteriopatia obliterante cronica periferica (AOCP) nel diabetico è una complicanza precoce e frequente, ha un’incidenza 2-4 volte superiore rispetto alla popolazione generale e questo suggerisce una diretta correlazione con l’iperglicemia. Inoltre abbiamo un aumento del rischio direttamente proporzionale con la durata e la gravità del diabete. Nei diabetici si osserva un’aumentata frequenza di claudicatio intermittens

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che tuttavia sottostima la gravità del problema poiché la maggioranza dei pazienti è asintomatica per la presenza di concomitante neuropatia periferica, che altera o maschera il dolore75.

L’AOCP è associata anche ad aumentata incidenza di ischemia critica agli arti inferiori che porta ad un incrementato rischio di amputazione maggiore nei diabetici rispetto ai pazienti non diabetici.

Uno studio prospettico di popolazione ha evidenziato, nel corso di 3 anni, una incidenza di amputazioni totali 7.8/100.000 nella popolazione generale e 285/100.000 nei diabetici, di amputazioni maggiori 4.5/100.000 nella popolazione generale e 162/100.000 nei diabetici e di amputazioni minori 3.3/100.000 nella popolazione generale e 123/100.000 nei diabetici76.

L’AOCP che colpisce il diabetico non si differenzia da quella del non diabetico da un punto di vista istologico, ma le lesione aterosclerotiche a parità di età sono più precoci ed hanno la stessa incidenza nei due sessi. E’ importante notare che il diabete è associato maggiormente ad un’AOCP multifocale, simmetrica e del distretto femoro-popliteo e sottogenicolare, rispetto a quella causata da altri fattori di rischio, in cui la malattia è più prossimale (PAD aorto-iliaco-femorale) e asimmetrica. L’AOCP si può classificare dal punto di vista clinico in quattro stadi, secondo la classica schematizzazione di Lèriche-Fontaine77 (Figura 7). Il primo stadio è, nella maggior parte dei casi completamente asintomatico; talora possono essere presenti delle parestesie. La diagnosi avviene soltanto attraverso l’effettuazione di procedure diagnostiche particolari.

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Il secondo stadio è caratterizzato dalla “claudicatio intermittens”: Il paziente riferisce di essere costretto durante la marcia a fermarsi, dopo un intervallo più o meno lungo. Poiché è portatore di un restringimento vascolare, la quantità di sangue che affluisce agli arti inferiori è sufficiente in condizioni di base ma diviene insufficiente durante uno sforzo muscolare che richieda un aumento del flusso vascolare. Il dolore è determinato dallo stimolo di alcuni recettori periferici da parte dell’acido lattico che si accumula a livello muscolare in condizioni di anaerobiosi, mentre nel soggetto normale lavora in condizioni di aerobiosi.

Il terzo stadio è caratterizzato dalla presenza di dolore anche in condizioni di riposo e ciò avviene prevalentemente durante le ore notturne (si vedono spesso questi pazienti sporgere i piedi dal letto nel tentativo di convogliare una minima quantità di sangue verso l’estrema periferia). Rappresenta lo stadio in cui la quantità di sangue è insufficiente anche per le normali attività a riposo dell’arto inferiore ed è, molto parzialmente compensata a livello microcircolatorio.

Il quarto stadio si caratterizza per l’insorgenza di lesioni trofiche ischemiche fino ad arrivare nei casi più gravi alla necrosi, a vari livelli del piede o della gamba. In questi casi è impedita l’irrorazione dei distretti più periferici.

Una classificazione analoga si basa sulla descrizione clinica di Rutherford78 riportata nella Figura 7. Essa distingue 3 gradi e 6 categorie (grado 0, categoria 0: arteriopatia silente; grado 1, categoria 1-2-3: claudicazione lieve-moderata-severa; grado 2, categoria 4: dolore

(32)

ischemico a riposo; grado 3, categoria 5-6:perdita parcellare di tessuto-estesa perdita di tessuto).

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1.5.1 Screening vascolare e diagnosi di arteriopatia obliterante degli arti inferiori

Ogni paziente diabetico alla prima valutazione specialistica diabetologica dovrebbe essere sottoposto anche all’esame clinico del piede, per l’identificazione non soltanto del rischio di ulcerazione ma anche dei segni e dei sintomi di arteriopatia obliterante cronica periferica (AOCP) degli arti inferiori.

L’esame obiettivo inizia con l’ispezione alla ricerca dei segni di ischemia cronica/critica ed è volto alla ricerca di cianosi/pallore (con segni di ischemia confermabili al termotatto), atrofia cutanea e/o pilifera, onicogrifosi, ipoidrosi e lesioni ulcerative ischemiche (tipicamente più distali).

Importante è la valutazione dei polsi arteriosi:

- Polso femorale: si palpa al di sotto della piega dell'inguine nel punto intermedio tra spina iliaca anteriore-superiore e tubercolo pubico, tenendo conto che i vasi venosi sono situati medialmente all'arteria. - Polso popliteo: si palpa nel cavo popliteo ed è il polso di più difficile rilevamento: nella parte inferiore del cavo popliteo (a forma di losanga) si può rilevare il polso, comprimendo delicatamente sulla faccia posteriore della tibia. Per poter eseguire meglio questa manovra si deve far flettere al paziente la gamba sulla coscia.

- Polso tibiale posteriore: va ricercato dietro il malleolo tibiale interno. - Polso tibiale anteriore: va ricercato sul prolungamento verso l’alto del primo spazio intermetatarsale fino a raggiungere la linea bimalleolare (punto di repere incostante).

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-Polso pedidio: variabile fra II e III spazio intermetatarsale

La palpazione dei polsi arteriosi ha dimostrato possedere una sensibilità del 77% ed una specificità del 86%79 nell’identificazione dell’AOCP.

In accordo con le linee guida80 la diagnosi di AOCP può venir effettuata mediante tecniche non invasive quali la misurazione dell’Indice caviglia-braccio o Ankle-Brachial Index (A.B.I.), la misurazione dell’indice alluce-braccio, il Doppler a onda continua, l’ Eco-Color-Doppler, i test di valutazione funzionale al treadmill o su campo. Quando richiesto, e soprattutto in previsione di un intervento chirurgico, può essere indicata l’esecuzione di altre tecniche radiologiche per immagine più sofisticate quali la risonanza magnetica o la tomografia computerizzata o la più invasiva angiografia.

L’ABI, definito come il rapporto fra la misura della pressione sistolica misurata a livello delle arterie più distali (arterie tibiale posteriore e pedidia) e la pressione sistolica sistemica misurata a livello dell’arteria brachiale, dovrebbe essere utilizzato in prima istanza per la diagnosi di AOCP, vista anche la sua semplicità di esecuzione, in tutti i pazienti con sintomi suggestivi di AOCP fra i 50 e 70 anni. I valori normali misurati a riposo sono compresi tra 1.30 e 0.91; valori fra 0.90 e 0.40 indicano un grado di arteriopatia da leggero a moderato, valori al di sotto dello 0.40 indicano un livello severo di malattia. Valori inferiori a 0.90 hanno una sensibilità del 95% ed una specificità del 99% nell’identificazione dell’AOCP81. Al di sopra dell’1.30 sono indice di incomprimibilità dei vasi dovuta verosimilmente a mediocalcinosi75. In quest’ultima condizione,

(35)

presente soprattutto nei soggetti diabetici, nefropatici o in età avanzata, e indicata l’esecuzione dell’indice alluce-braccio.

La pressione al dito è normalmente inferiore di circa 30mm/Hg quella della caviglia e valori di indici alluce/braccio inferiori a 0,7 sono considerati anormali. L’ultrasonografia a onde continue, l’ultrasonografia duplex e color, divenute le tecniche non invasive più utilizzate per la diagnosi di AOCP, forniscono una più accurata valutazione della localizzazione delle lesioni vascolari, del grado di stenosi, e sono utili per seguire il decorso della malattia e il follow-up post-operatorio.

Ulteriori indagini che possono essere effettuate sono la valutazione del microcircolo attraverso la misurazione transcutanea di ossigeno e dell’anidride carbonica .

(36)

2.

LA NEURO-OSTEOARTROPATIA DI CHARCOT

2.1 Definizione e cenni storici

La neuro-osteoartropatia di Charcot (NOA), più comunemente definita come piede di Charcot, è un’artropatia cronica ad evoluzione progressiva che interessa le ossa, le articolazioni e le strutture molli del piede e della caviglia, caratterizzata da un processo infiammatorio associato a neuropatia periferica e somatica.

John Kearsley Mitchell è stato il primo medico nel 1831 a descrivere chiaramente la distruzione delle ossa e delle articolazioni causata dalla denervazione degli arti inferiori secondaria a lesioni tubercolari del midollo spinale in un totale di 37 casi82.

Tuttavia la patologia fu descritta per la prima volta da un punto di vista clinico ed istopatologico dal neurologo Jean-Martin Charcot nel 1868 presso la Clinica Salpêtrière di Parigi83, il quale identificò una degenerazione della corna dorsali del midollo spinale in un paziente che presentava “un’articolazione eritematosa, infiammata e piuttosto

dolente simile ad un’esacerbazione di artrite reumatoide subacuta” ed

era affetto da sifilide terziaria (tabe dorsale) con associata atassìa locomotoria; ne derivò pertanto la definizione di “Pied Tabetique” (Figura 8).

Nel 1881, durante il Seventh International Medical Congress tenutosi a Londra, Charcot ricevette un notevole consenso internazionale per la sua ricerca sulle artropatie tabetiche e da quel momento fu coniato il

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termine “piede di Charcot” riconosciuto come entità patologica a se stante84. Solo nel 1936 tale condizione è stata associata da William Riely Jordan alla patologia diabetica85, la causa più comune allo stato attuale86.

Figura 8 - Il “piede tabetico” di Charcot

Nel secolo scorso, il chirurgo e missionario Paul Brand, identificò in India un'altra causa di neuro-osteoartropatia di Charcot: la lebbra. Altre cause meno comuni di NOA successivamente identificate includono la poliomielite, la siringomielia, l’abuso di alcool, i traumi spinali, l’avvelenamento da metalli pesanti, la sclerosi multipla, la neuropatia congenita e l’artrite reumatoide87,88,89.

L’interessamento neuroartropatico più comune è a livello del piede sebbene molto raramente, nei pazienti diabetici, anche il ginocchio ed il

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gomito possano essere interessati90,91.

2.1.1 Mortalità

La NOA rappresenta una condizione fortemente a rischio per amputazione degli arti inferiori a cui, insieme ad aspetti sociali ed emozionali fortemente invalidanti92,93, è stata riscontrata una riduzione

della sopravvivenza media dei pazienti di circa 12 volte inferiore rispetto alla popolazione generale. La malattia è gravata da un elevato tasso di mortalità a 5 anni pari al 41%94, superiore anche ad alcuni tipi di cancro come il tumore della prostata, il linfoma di Hodgkin, il tumore della mammella ed il tumore del colon-retto (Tabella 1)94,95, 96, 97,98.

Tabella 1: Comparazione della mortalità relative a 5 anni per NOA con quelle correlate ad altre patologie fortemente invalidanti. Riadattato da American Cancer

8 18 23 32 39 41 44 68 86 95 0 20 40 60 80 100 Prostate cancer Hodgkin's disease Breast cancer PAD Colorectal cancer Charcot foot Foot ulcer Amputation Lung cancer Pancreatic cancer

Patients (%)

(39)

Society 2000.

In un altro studio, pubblicato da Sohn et al.99, la mortalità a 5 anni calcolata su 1050 pazienti contenuti nel database del Veterans

Administration Hospitals (popolazione maschile superiore a 63 anni di

media) era del 28,3%. Gazis et Al.100 hanno retrospettivamente riportato una mortalità del 44.7% all’interno della popolazione diabetica affetta da NOA, durante un follow-up medio di 3.7±2,8 anni.

Questa elevata mortalità, calcolata nei pazienti diabetici, potrebbe essere in parte spiegata dalla co-esistenza di severa disfunzione renale in alcuni pazienti, così come dalla stessa neuropatia che incrementa il rischio cardiovascolare sia in maniera indipendente101,102che promuovendo la calcificazione dei vasi arteriosi103.

Considerando pertanto la rapida espansione del diabete, è fondamentale una precoce identificazione di tale patologia in particolar modo per i pazienti diabetici affetti da neuropatia, al fine di impostare un trattamento efficace ad evitare complicanze maggiori104.

2.1.2 Epidemiologia

La reale incidenza della NOA non è realmente conosciuta poiché non esistono in letteratura significativi studi nella popolazione e la maggior parte di essi sono retrospettivi. Nonostante questo la maggior parte dei lavori riportano un’incidenza inferiore all’ 1% per anno 105,106,107,108 nella

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popolazione diabetica (Tabella 2). Soltanto negli Stati Uniti si stima che 375,000 pazienti siano affetti da NOA109.

La presenza di ulcere, stimata come complicanza associata alla NOA fino al 63% dei casi99, incrementa fino a 12 volte il rischio amputativo 110 e ciò risulta comprensibile considerando le severe comorbidità di cui questi pazienti sono affetti.

L’incidenza della NOA può raggiungere il 10% dei pazienti diabetici con neuropatia quando è utilizzato l’imaging radiografico111,112.

Un coinvolgimento bilaterale è stato descritto nel 9% dei pazienti con NOA in fase acuta113; tuttavia, in un altro studio in cui è stata condotta un’analisi tomografica computerizzata dei piedi, alterazioni bilaterali compatibili con NOA sono state riscontrate fino al 75% dei pazienti114. I pazienti affetti da NOA presentano un’età generalmente compresa tra la quinta e la sesta decade e l’80% di essi presenta una durata di diabete di almeno 10 anni105. La prevalenza della NOA non mostra differenze tra maschi e femmine, ma sono state descritte differenze nei pazienti affetti da diabete tipo 1 e diabete tipo 2. Nel primo caso, la NOA si presenta durante la quinta decade di vita, mentre nel secondo l’esordio è nella sesta decade di vita (42 ± 10.2 vs 59 ± 7.8 anni, P < 0.001). Inoltre, è stata descritta una maggiore durata di malattia per i diabetici tipo 1 rispetto ai tipo 2 (24 ± 8.4 vs 13 ± 8.1 anni, P < 0.001)115. In ogni caso, a prescindere dal tipo di diabete, esistono dei fattori di rischio comuni che sono in grado di aumentare notevolmente la probabilità di essere colpiti da NOA. Questi fattori di rischio includono la neuropatia periferica, l’obesità, la durata del diabete uguale o superiore a sei anni, valori di

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Hb1Ac maggiori di 7% e la compromissione renale (p<0.001)116.

E’ interessante notare invece come, l’arteriopatia obliterante degli arti inferiori sembrerebbe esercitare un ruolo protettivo nello sviluppo della NOA117 probabilmente dovuto alla limita tata risposta infiammatoria conseguente all’ischemia88.

Autore Rivista Anno Numero pz Incidenza

Sinha Medicine (Baltimore) 1972 N=101 0,15%

Cofield Foot Ankle 1983 N=96 29%*

Fabrin Diabetes Care 2000 N=115 0,3%

Lavery Diabetes Care 2003 N=140 0,0085%

Christensen J Diabetes Complications 2012 N=60 0,02%

*solo pazienti neuropatici

Tabella 2 – Incidenza della NOA nella popolazione generale

2.2 Ipotesi patogenetiche

La patogenesi della NOA è stata storicamente spiegata da due teorie, la neuro-vascolare e la neuro-traumatica, rispettivamente di scuola francese e tedesca.

La teoria neuro-vascolare fu elaborata da Mitchell e Charcot, i quali identificarono come principale agente etiologico della malattia l’incrementato flusso ematico a livello delle ossa del piede, realizzato

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attraverso la formazione di shunts artero-venosi, una delle principali manifestazioni della neuropatia autonomica (da qui il termine neuro-vascolare). Secondo tale ipotesi l’incrementato flusso ematico sarebbe in grado di determinare riassorbimento osseo e di conseguenza indebolimento meccanico, tali da produrre fratture e deformità118. Allo stesso tempo, l’incrementato flusso ematico diventerebbe clinicamente manifesto con un piede caldo, eritematoso e con associata presenza di vene dilatate.

Nonostante in passato sia stato sperimentalmente dimostrato che le ossa ricevono un’ampia innervazione simpatica e che la perdita di tali fibre nervose sia in grado di produrre un’iperemia da aumentato afflusso ematico119, tale ipotesi è stata recentemente oggetto di controversia scientifica. Koeck et Al.120, hanno infatti confermato la presenza di una minore densità delle fibre nervose simpatiche a livello delle articolazioni interessate dalla NOA di origine diabetica rispetto a pazienti affetti da osteoartrite della caviglia; al contrario Christensen et Al.121 hanno strumentalmente identificato come causa principale dell’iperemia l’infiammazione cronica generata dai microtraumi locali piuttosto che la denervazione simpatica, essendone conferma il fatto che non tutti i pazienti affetti da NOA (sia in fase acuta che cronica) sono affetti da neuropatia autonomica.

La teoria neuro-traumatica, elaborata da Volkman e Virchow, suggerisce che la neuropatia periferica caratterizzata da perdita di sensibilità protettiva possa rendere il piede suscettibile a danni traumatici acuti o ripetuti117, e tale quadro si aggraverebbe caricando l’arto con il peso

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corporeo. Inoltre, l’atrofia della muscolatura intrinseca secondaria al danno dei nervi motori a livello del piede sarebbe in grado di produrre squilibri funzionali che si esacerbano con la deambulazione, creando il terreno predisponente a fratture ed allo sviluppo di severe deformità. Il frequente riscontro di ulcerazioni neuropatiche e di incrementati profili pressori plantari riscontrati nei pazienti affetti da NOA rispetto ai controlli diabetici sembrerebbero supportare tale teoria122,123.

Tuttavia recenti evidenze suggeriscono che una combinazione delle due teorie (Figura 9) potrebbe rappresentare un modello patogenetico più accurato86,89,124, anche se non forniscono un quadro completo dal punto di vista patogenetico.

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L’effetto della neuropatia sull’osso non è infatti del tutto conosciuto, sebbene i dati esistenti suggeriscano una connessione tra neuropatia ed attività cellulare.

Young et al125 hanno dimostrato un’associazione tra neuropatia delle piccole fibre ed incrementata attività osteoclastica, risultante in una ridotta densità minerale ossea ed in un incrementato rischio di fratture. Secondo altri autori, un possibile meccanismo attraverso cui la neuropatia influenzerebbe il turnover osseo, potrebbe essere mediato dal neuropeptide Calcitonin-Gene Related Peptide (CGRP), che è prodotto in minori quantità nei pazienti affetti da neuropatia126.

Il CGRP, prodotto a livello ipotalamico e rilasciato a livello delle terminazioni nervose del periostio, è necessario per il mantenimento dell’integrità delle capsule articolari sia attraverso un meccanismo di inibizione dell’attività osteoclastica127 che di stimolo a livello osteoblastico; inoltre, secondo alcune recenti teorie128, la diminuzione della sua produzione a livello locale potrebbe risultare in una maggiore predisposizione all’attivazione monocitaria ed alla conseguente produzione di citochine.

A conferma di ciò, La Fontaine et Al.129 hanno istologicamente evidenziato un incremento di attività osteoclastica (maggior presenza di lacune di Howship ed osteoclasti) in pazienti affetti da NOA rispetto ai controlli diabetici ed ai sani, correlato alla diminuita espressione del CGRP130 (Figura 10).

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Figura 10 – Immuno-localizzazione del Calcitonin Gene-Related Protein (rosso) nell’osso del paziente non diabetico (A) e nel diabetico affetto da NOA (B). Si evidenzia un’elevata intensità dell’immuno-localizzazione ai margini dell’osso trabecolare (freccia nera) ed all’interno degli osteociti (freccia bianca) nei soggetti sani, diminuita in maniera proporzionale nei diabetici e nei pazienti con NOA (X40).

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Inoltre, nello stesso studio, sono stati osservati meno osteociti nei pazienti diabetici ed in quelli affetti da NOA suggerendo una potenziale alterazione dei segnali deputati a mantenere l’integrità dell’osso, tra cui appunto la ridotta disponibilità di Calcitonin-Gene Related Peptide. Un altro meccanismo alterato nei pazienti affetti da NOA riguarda l’espressione della Sintasi Endoteliale dell’Ossido Nitrico (e-NOS), un isoenzima in grado di regolare la produzione endoteliale di ossido nitrico; è stato infatti osservato che la produzione di tale mediatore, necessario per limitare il riassorbimento osteoclastico attraverso un’azione inibitoria diretta sugli osteoclasti stessi, risulterebbe ridotta in maniera proporzionale nei pazienti affetti da NOA rispetto ai diabetici neuropatici ed ai controlli sani .

Infine, un’ulteriore potenziale area di studio dei meccanismi di alterazione del metabolismo osseo in pazienti affetti da neuropatia, ad oggi ancora poco studiata, riguarda l’interazione tra il sistema endocannabinoide ed i suoi recettori, espressi anche a livello osseo. Esistono infatti numerose evidenze a sostegno di un ruolo degli endocannabinoidi nella regolazione dell’omeostasi ossea , mediata dal recettore CB2 ampiamente presente a tale livello. In un recente lavoro è stato dimostrato che la maggiore espressione dei recettori CB2 indotta in vitro mediante somministrazione di estrogeni è capace di ridurre il numero e l’attività degli osteoclasti ; in un altro studio, la somministrazione di anticorpi selettivi verso il recettore CB2 era in grado di inibire l’osteoclastogenesi mediata da RANKL, suggerendo pertanto che la perdita dell’effetto protettivo esercitato dagli

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endocannabinoidi potrebbe favorire i meccanismi di riassorbimento osseo osteoclasto-mediati .

Un potenziale ruolo anche del recettore CB1 è emerso inoltre da uno studio effettuato su ratti diabetici neuropatici in cui è stata riscontrata una minore espressione del recettore a livello dei neuroni dei gangli delle radici dorsali rispetto ai controlli: l’ipotesi, tutta da verificare, consiste nel fatto che la ridotta espressione di CB1 potrebbe accelerare la progressione della neuropatia diabetica facendo venir meno l’effetto “trofico” esercitato dalle terminazioni nervosi sull’osso131.

2.3 Il meccanismo dell’infiammazione non controllata

Il meccanismo patogenetico più recente ed esaustivo si focalizza sull’eccessiva e non controllata attivazione del processo infiammatorio acuto conseguente ad un trauma132,133,134, capace di attivare i processi di riassorbimento osseo osteoclasto-mediati. Gough et Al.135 avevano già alcuni anni fa evidenziato un’eccessiva attività osteoclastica nei pazienti affetti da NOA acuto, dimostrando livelli significativamente maggiori di CTx-1 sierico (cross-linked telopeptide C-terminale del collagene di tipo I) in questi pazienti rispetto ai controlli, ma solo negli ultimi anni è stata compresa la relazione tra citochine pro-infiammatorie e riassorbimento osseo.

In particolare il TNF-α e l’IL-1, citochine caratterizzate da un vasto repertorio di effetti biologici, sono due tra i maggiori induttori del

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ligando del recettore attivante l’NF-kB (RANKL), un importante mediatore di osteoclasto genesi presente sulla superficie delle cellule stromali, degli osteoblasti e dei linfociti T-helper136,137.

Nel processo fisiopatologico dell’infiammazione non controllata che caratterizza la NOA in fase acuta, il RANKL lega il suo recettore RANK, una proteina di membrana espressa sulla superficie degli osteoclasti e delle cellule dendritiche, promuovendo la differenziazione, l’attivazione e la sopravvivenza di queste cellule (Figura 11).

In questo modello l’osteoprotegerina (OPG), un recettore citochina membro della superfamiglia dei recettori del Tumor Necrosis Factor (TNF) prodotto dagli osteoblasti sotto lo stimolo dell’NF-kB, esercita un’azione antagonista rispetto al RANKL, agendo come ligando solubile per il RANKL e pertanto diminuendo il riassorbimento osteoclasto-mediato138.

Mentre in condizioni normali esiste un equilibrio tra RANKL ed OPG in grado di regolare costitutivamente l’omeostasi del metabolismo osseo, nella fase acuta della NOA il rapporto RANKL-OPG è notevolmente incrementato rispetto ai pazienti diabetici ed ai controlli sani139 spiegando pertanto il riassorbimento osseo a livello del piede interessato (Figura 12). Inoltre, nel soggetto che sviluppa una NOA in fase acuta, la perdita della sensibilità dolorifica che spesso accompagna il quadro consente nelle fasi iniziali la deambulazione portando a ripetuti traumi locali; da ciò ne risulta un circolo vizioso, poiché si verifica una continua produzione di citochine pro-infiammatorie che attivano i processi di osteolisi134.

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Figura 11 –Rappresentazione schematica delle interazioni cellulari tra sistema immunitario ed omeostasi ossea. Tratto da Livshits G et al. J Med Genet 2004

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Questo aspetto è stato dimostrato da Uccioli et Al. il quale ha evidenziato un incremento dei fenotipi pro-infiammatori dei monociti dei pazienti affetti da NOA in fase acuta rispetto ai controlli diabetici neuropatici ed ai controlli sani140.

Nei pazienti con NOA acuto veniva infatti riscontrata una maggiore produzione di citochine pro infiammatorie TNF-α, IL-1 ed IL-6 ed allo stesso tempo una diminuita produzione di citochine ad azione anti infiammatoria come IL-4 ed IL-10 (Figura 13). Inoltre i monociti estratti dagli stessi pazienti mostravano un incremento marcato nell’espressione di molecole co-stimolatorie di superficie come CD40, CD80 e CD86, coinvolte nei processi di infiammazione acuta (Figura 14).

Nello stesso studio gli osteoclasti generati in vitro in presenza di MCSF (Macrophage Colony Stimulating Factor) ed i livelli di RANKL dei pazienti con NOA acuto hanno inoltre dimostrato di incrementare l’attività riassorbitiva rispetto ai controlli.

Tuttavia è opportuno sottolineare come questi meccanismi fisiopatologici sono solo parzialmente inibiti dalla OPG, suggerendo che anche altre pathways potrebbero rivestire un ruolo importante141.

Le vie di trasduzione del segnale RANKL/RANK/OPG rivestono inoltre un ruolo significativo nei meccanismi della calcificazione vascolare agendo attraverso una differenziazione osteoblastica della tonaca media delle cellule muscolari lisce delle arterie139. Questo dato correla con quanto precedentemente dimostrato da Edmonds il quale ha evidenziato come le calcificazioni vascolari non correlino con età, severità o durata del

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Figura 13 – Produzione spontanea di citochine da parte dei monociti da pazienti affetti da NOA acuto e da controlli. La produzione spontanea (A) ed indotta (monociti stimolati per 18 h da 100 ng/ml LPS) (B) di citochine è stata stabilita mediante FACS, come accumulo intracellulare su una singola base cellulare. Tratto da Uccioli L et al. Diabetes Care 2010;33:350-355

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Figura 14 – Up-modulation delle molecole di superficie nei monociti-macrofagi di pazienti affetti da NOA. L’espressione del CD40, CD80, e del CD86 è stata analizzata mediante FACS sulle cellule gated CD14+ in cellule mononucleari estratte dal sangue periferico. Tratto da Uccioli L et al. Diabetes Care 2010;33:350-355

Figura

Figura  2  -  L’iperglicemia  aumenta  il  flusso  attraverso  la  via  dei  polioli.  Tratto  da  Brownlee  M
Figura 3 - L’iperglicemia aumenta il flusso durante la via dell’esosamina.
Figura 4 - L’iperglicemia induce la produzione di superossido da parte della catena di  trasporto degli elettroni mitocondriali
Figura  5  -  La  sovrapproduzione  mitocondriale  di  superossido  attiva  le  quattro  maggiori vie che portano al danno iperglicemico attraverso l’inibizione della GAPDH
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