• Non ci sono risultati.

I L RIT O : ANALISI DI UNA DE FI NI ZIONE

La definizione del concetto di rito non è univoca. Su questo tema esistono una grande quantità di studi relativi a diverse discipline e, per questo motivo, varie definizioni di tipo sociologico, antropologico o psicoanalitico. L’antropologo Rothenbuhler ne dà una definizione interessante, che include al suo interno i vari aspetti comuni a diverse interpretazioni di questo concetto:

Ritual is the voluntary performance of appropriately patterned behavior to symbolically effect or participate in the serious life4.

Il rito è definito innanzitutto come “una performance”, ovvero “la realizzazione concreta di un’attività, di un comportamento, di una situazione determinata”5. La sua

3 M.A. Krongauz, Bessilie jazyka v epochu zrelogo socializma, in: Slovo za slovo: o jazyke i ne tol’ko,

Moskva 2016, p. 77. “In qualità di ‘parlante’ […] intervengono delle reali strutture di potere, che tentano con l’aiuto di determinati meccanismi linguistici di influenzare la coscienza collettiva e individuale e perseguire così determinati obiettivi politici. Per questo motivo il ricercatore deve assolutamente tenere conto non solo di fattori linguistici, ma anche della situazione extralinguistica, per cui è più corretto parlare non della lingua in quanto tale, ma del discorso […]”.

4 E.W. Rothenbuhler, Ritual Communication: From Everyday Conversation to Mediated Ceremony,

Thousands Oaks 1998, p. 27. “Il rito è la performance volontaria di comportamenti opportunamente modellati per avere un effetto simbolico o partecipare nella vita seria”.

5 Performance, in Treccani.it – Vocabolario online, voce consultata il 15/12/2016, URL:

39 prima caratteristica è, quindi, la dimensione pianificata ed esteticamente determinata. Il rito viene eseguito in un certo modo per qualcuno, pertanto non è mai creato nel momento dell’azione, ma si basa su un’elaborazione precedente. Questa azione di tipo rituale è resa riconoscibile da elementi estetici come l’alterazione del tono di voce, della scelta delle parole, dall’abbigliamento e dalle regole di partecipazione6.

Questa dimensione spettacolare del rito implica, quindi, l’aspetto collettivo. Un rito, per quanto possa essere eseguito anche individualmente e in privato, ha comunque sempre alla base una struttura sociale, come per esempio un sistema di segni comune o un sistema tradizionale di valori collettivi7. Anche nell’ambito dell’interpretazione psicoanalitica di Freud, i comportamenti rituali dell’individuo, che egli considera veri e propri sintomi ossessivo compulsivi di una patologia, avrebbero origine nelle relazioni sociali8. Anche l’antropologo Goody evidenzia la dimensione collettiva del rito, supportata, per esempio, dal doppio significato della parola “convenzione”, ovvero di “assemblea” e di “consuetudine”9.

La seconda caratteristica del rito secondo la definizione di Rothenbuhler è la volontarietà, sia di chi compie attivamente l’azione che di chi vi partecipa passivamente come spettatore10. Entrambe le parti sono coscienti di intervenire in un evento rituale, in cui ognuno ha il proprio ruolo da rispettare, anche nei riti più quotidiani, come durante la stretta di mano in un incontro formale oppure durante una conversazione informale di saluto, in cui ogni partecipante conosce perfettamente il copione da seguire.

6 E.W. Rothenbuhler, op. cit., pp. 8-9. 7 Ibid., p. 13.

8 S. Freud, Obsessive Actions and Religious Practices, in: The Standard Edition of the Complete

Psychological Works of Sigmund Freud, vol. IX (1906-1908), London 1956, pp. 115-128.

9 J. Goody, Religion and Ritual: The Definitional Problem, “The British Journal of Sociology”, vol. 12,

n. 2, 1961, p. 146.

40 La terza caratteristica è, infatti, la determinatezza dei comportamenti, che devono essere opportunatamente tenuti durante l’intera durata del rito e che sono stabiliti, quindi, prima dell’azione o attraverso la ripetizione dell’azione stessa. Secondo Rothenbuhler sarebbe proprio questo l’elemento chiave della definizione del rito, ovvero quella che Vachtin definisce предсказуемость 11 (prevedibilità), riferendosi al discorso ritualizzato. Ogni azione o espressione rituale è tale perché già compiuta o già espressa da qualcuno in precedenza:

This is the key; no definition of ritual is adequate without it. There is always something stereotyped, standardized, relatively invariant, formal. This implies that ritual is repetitive in the sense that others have done it this way before12.

La quarta caratteristica è la carica simbolica. Ogni elemento del rito è un simbolo che è generalmente molto potente, soprattutto nei riti di passaggio o di trasformazione13: per esempio, tramite una serie di gesti simbolici che variano a seconda della cultura, durante il rito del matrimonio l’individuo scompare e diventa parte della coppia. A volte il loro significato può essere chiaro e immediato, in altri casi si parla invece di condensed symbols, ovvero “simboli condensati”, con diversi referenti14. La condensazione dei simboli è per Freud la chiave per l’interpretazione dei sogni15, Sapir la applica, invece, al simbolismo in linguistica16 e Kertzer la

considera la chiave per capire gli usi politici del rito17.

11 “Sovetskij jazyk i ego posledstvija: lekcija Nikolaja Vachtina o probleme publičnoj nemoty”, in:

Monocler.ru, 23/06/2015, ultimo accesso: 15/11/2016,

URL: https://monocler.ru/sovetskiy-yazyik-i-ego-posledstviya/

12 Ibid., p. 20. “Questa è la chiave; nessuna definizione di rito è completa senza questo elemento. Nel

rito c’è sempre qualcosa di stereotipato, standardizzato, stilizzato, relativamente invariabile, formale. Ciò implica che il rito è ripetitivo nel senso che altri devono averlo fatto precedentemente in quello stesso modo”.

13 Ibid., p.16. 14 Ibid.

15 S. Freud, L’Interpretazione dei Sogni, Torino 2013.

16 E. Sapir, Symbolism, in: Encyclopaedia of the Social Sciences, vol. 14, New York 1934, pp. 492-495.

Disponibile anche all’URL: https://brocku.ca/MeadProject/Sapir/Sapir_1934_a.html

41 Le varie azioni rituali sono, inoltre, simboli che svelano le relazioni sociali, ovvero ordini e istituzioni, come per esempio gli abiti indossati dai religiosi indicano il loro ruolo nella gerarchia religiosa18. Durkheim si spinge oltre sostenendo che la funzione del rito sarebbe quella di mantenere un certo ordine sociale, di sostenere il mantenimento dello status quo attraverso lo stimolo di sentimenti positivi, come la solidarietà19.

L’ultima caratteristica del rito nella definizione di Rothenbuhler è quello della “vita seria”. Con questa espressione l’autore si riferisce al fatto che il rito ha sempre attinenza con la categoria del “sacro”20. Il termine “sacro” non riguarda solo la

religione, ma si adatta a tutti i tipi di cultura, anche secolari, cambiando ogni volta il proprio referente. Il concetto di sacro per la religione cristiana è sicuramente molto diverso da quello che può essere definito sacro per un regime comunista e, per questo motivo, è più appropriato parlare della categoria del “serio”, ma resta il fatto che cristianesimo e comunismo risultino avere in comune l’interesse per la stessa categoria e, quindi, l’interesse per il rito.