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Il ritorno alla terra del padre

LOUIS-PHILIPPE DALEMBERT O I PADR

VI.1 Il ritorno alla terra del padre

Sulla storia narrata in Le Crayon du bon Dieu n’a pas de gomme aleggia il fantasma di una figura paterna, il misterioso e affascinante Faustin, di professione lustrascarpe, sulla reale esistenza del quale nutriamo fin dall’inizio seri dubbi: egli infatti finisce per assomigliare ad un padre immaginario inventato per soddisfare l’istanza paterna del protagonista-narratore, un uomo che ritorna nella sua isola natale dopo venticinque anni in cerca del vecchio lustrascarpe che aveva segnato profondamente la sua infanzia, vissuta all’ombra della nonna Pont-d’Avignon. Il tentativo di ricostruirne la vita mettendo insieme i suoi ricordi di bambino e le testimonianze di chi sostiene di averlo conosciuto, diviene un pretesto per compiere un viaggio della memoria al fine di dare un senso alla sua condizione di “éternel exilé”.

Il romanzo è costruito sull’intersezione di almeno tre piani narrativi: c’è il racconto del protagonista adulto che torna in patria alla ricerca di Faustin; c’è poi la narrazione dal punto di vista del protagonista bambino e infine la storia di Faustin nel periodo che precede il suo incontro con Pont-d’Avignon e il bambino.

All’inizio del romanzo vediamo il protagonista aggirarsi disorientato nel vecchio quartiere che l’incuria umana e l’inclemenza del tempo hanno reso irriconoscibile, sulle tracce del lustrascarpe:

C’est dans les alentours que l’homme avait connu Faustin, fameux cireur de chaussures du bord de mer, qui allait marquer, de cette empreinte indélébile des rencontres vraies, sa vie et sa perception du monde. Depuis, l’enfance s’était refermée derrière lui […] (p. 16)

Proprio il ricordo di Faustin, che aveva accompagnato la sua vita come una dolce ossessione, è ciò che lo ha spinto a tornare sui luoghi dell’infanzia, ormai svuotati di tutti i volti conosciuti:

Restait toutefois, comme une douce migraine, l’image persistante de Faustin et de ses chimères d’empereur. La seule qui lui importait en fait. La seule susceptible de donner un sens à ce retour. (p. 17)

Il legame tra lui e il vecchio lustrascarpe è del tutto assimilabile a quello tra un figlio e un padre. Ogni mattina l’uomo lo accompagnava a scuola per mano, proteggendolo dalle automobili, facendogli ogni tanto scivolare in tasca qualche moneta. Durante il tragitto era solito raccontargli vecchie storie, come quella della bellissima Anacaona11.

Faustin è personaggio dotato di una certa ambivalenza che lo rende simile a tanti uomini nelle sue condizioni e allo stesso tempo fa di lui un essere speciale, soprattutto agli occhi del protagonista, grazie ad una serie di tratti distintivi che gli vengono attribuiti: per alcuni versi condivide il destino di tanti altri disperati giunti in città dal villaggio in cerca di fortuna, e che si scontrano con la durezza della vita urbana come tante “alouettes qui se sont cassé le bec sur le miroir de la grande ville” (p. 34); come tanti altri svolge un lavoro umile, il lustrascarpe, e spesso si abbandona all’alcool. Tuttavia, a differenza di molti, ha un briciolo di cultura, infatti è l’unico ad aver quasi ottenuto la licenza elementare. Inoltre, anche se vestito poveramente, il suo aspetto è sempre pulito e ordinato. Faustin ha un’altra caratteristica che lo rende speciale: quando eccede nel bere manifesta una doppia personalità che fa di lui un “Dr. Jekyll e Mr. Hyde tropical”. Dopo qualche bicchiere di troppo, infatti, egli ritrova “sa vraie dimension” e entra nei panni di Faustin I, l’imperatore haitiano vissuto nel XIX secolo, passato alla storia per la sua crudeltà. Quando si trasforma nel suo alter ego diventa rissoso e aggredisce verbalmente o a colpi di pietre coloro che osano avvicinarglisi.

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Regina indiana che aveva la sua corte a Yaguana, vicino a Port-au-Prince. Di grande bellezza, è la figura più evocata nella letteratura haitiana. A lei Jacques Stephen Alexis ha dedicato la novella Dit de la Fleur d’Or contenuta nella raccolta Romancero aux étoiles (Paris, Gallimard, 1960). Venne imprigionata dagli spagnoli e impiccata.

174 Il bambino non sa collocare nel tempo l’arrivo di Faustin nella sua vita; è come se l’uomo fosse esistito da sempre, come un sole che illumina e riscalda:

L’enfant serait incapable de préciser le moment de l’arrivée du shiner. Sa seule certitude, c’est qu’il s’est trouvé là depuis toujours. Dès le départ. Dès l’aube du temps. Comme si le soleil de sa propre existence a été éclos, couvé puis nourri par celui du cireur de chaussures. (p. 91)

Assiduo frequentatore del lungomare, il bambino non esita a credere che egli sia nato da un accoppiamento tra il mare e la darsena. Ai suoi occhi, dunque, Faustin assume i connotati di un essere mitico: dapprima lo paragona al sole, poi fa di lui una creatura nata dal mare. A confermare le sue origini misteriose sono le voci narranti che si avvicendano nel racconto della sua vita passata: dapprima il vento, poi un albero, la statua di Cristoforo Colombo, una conchiglia e infine il mare. Apprendiamo così che Faustin si era unito in matrimonio con Marie, una bella ragazza del piccolo villaggio di Trou-Coucou. La coppia si era poi trasferita in città per trovare un lavoro che avrebbe permesso loro di mettere da parte qualche soldo, guadagnandosi così la possibilità di tornarsene un giorno al villaggio e aprire una piccola attività. La vita in città si rivela molto dura fin dall’inizio, prima con la difficoltà di trovare un alloggio decoroso e poi con i problemi legati alla ricerca di un lavoro. Faustin esce di casa ogni giorno in cerca di una qualsiasi occupazione retribuita, ma senza successo. Marie, invece, al suo primo tentativo, riesce a farsi assumere in un’azienda manifatturiera. L’uomo è così costretto a inghiottire il boccone amaro dell’orgoglio ferito. Quando Marie riesce a far assumere anche Faustin, le cose sembrano andare per il meglio. I due allora possono permettersi una casa decente, dotata di luce elettrica e acqua potabile a portata di mano. Ecco allora che la vita cittadina può riservare anche qualche piacevolezza: passeggiare sul lungomare, prendere un gelato e guardare le navi ormeggiate o i film trasmessi dalla televisione installata sulla pubblica piazza. Ma le loro speranze vengono ancora una volta deluse: Faustin e Marie perdono entrambi il lavoro a causa della gelosia dell’uomo, che aveva reagito con violenza alle avances del caporeparto nei confronti di Marie. Dopo parecchi lavori saltuari che costringono la coppia a tirare la cinghia, la donna scopre di aspettare un bambino e, rifiutandosi di far nascere suo figlio in una realtà così dura come quella cittadina, decide di tornare al villaggio dove per lo meno potrà contare sull’aiuto della famiglia di origine. Faustin, troppo orgoglioso per tornare

in veste di sconfitto, preferisce rimanere in città. Il mondo urbano qui rappresentato si rivela fin dall’inizio ostile alla famiglia, che nel passaggio dalla campagna alla città si scopre impreparata di fronte alla logica impietosa su cui si regge l’universo cittadino, così diverso dalle leggi che governano la vita del villaggio. La città, infatti, non rispetta la separazione dei ruoli, e quindi può capitare che non sia l’uomo a portare il pane a casa ma la donna, con conseguenze disastrose sull’orgoglio maschile. Dopo la partenza di Marie, Faustin si unisce a una folla di disperati che popola il lungomare, diventando il lustrascarpe dedito all’alcool che ossessiona i ricordi del protagonista. Come sostiene Zoja: “Il padre povero, urbanizzato, privato della sua campagna, della sua tradizione lavorativa e della sua identità, ha perso il rispetto degli altri e di se stesso. Torna a esistere quando, nella nuova situazione che lo pone orizzontalmente a contatto con infiniti altri, si sente parte di una massa12”.

Dunque Faustin, senza Marie, inizia la sua deriva: lo vediamo di nuovo barcamenarsi tra un lavoro e l’altro, dormendo sotto le stelle, spesso ai piedi della statua di Cristoforo Colombo, inseguendo la più piccola offerta di lavoro. È per ripararsi da un violento uragano che durava da parecchi giorni e che aveva trasformato le vie cittadine in veri e propri fiumi che Faustin approda, ormai privo di forze, sulla veranda di Pont- d’Avignon. La disperazione che trapela dal suo sguardo e l’aspetto infreddolito toccano il cuore della donna, la cui natura generosa già da tempo l’aveva spinta ad accogliere nel suo cortile tanti altri disperati come lui. Pont-d’Avignon gli offre un tetto sulla testa in cambio di qualche lavoro manuale. È dunque un uragano, evento naturale e catastrofico, che conduce Faustin nella vita del protagonista. L’acqua, elemento dell’origine e salvifico per eccellenza, qui utilizzato come simbolo di redenzione e trasformazione, rappresenta la nascita di un’umanità rinnovata. L’uragano segna la morte simbolica di Faustin, seguita da un battesimo, la pioggia incessante, che fa di lui un uomo nuovo. Nella casa di Pont-d’Avignon, dove troverà il calore di una famiglia, Faustin si appresta a vivere la sua seconda vita.

Oltre ad avere una doppia personalità, possiamo attribuire a Faustin anche una doppia paternità. Quella reale nei confronti della piccola Chachoune, tornata al villaggio con la madre, che egli può esercitare solo una volta ogni tre mesi; quella simbolica, nei confronti del nipote di Pont-d’Avignon. Quest’ultima paternità lo ripaga di quella non

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176 vissuta pienamente a causa della distanza. Diventando il padre putativo del piccolo orfano, è come se Faustin si prendesse la rivincita sulla città, riuscendo così a “tromper” le sue regole impietose che gli hanno impedito di tenere presso di sé la sua vera famiglia. La logica urbana spinge le persone a dividersi anziché a rimanere vicine. È come se la città partorisse unicamente individui singoli, privati di ogni legame familiare, i quali, venuti a contatto tra di loro, reagiscono come elementi chimici e si combinano fino a formare delle realtà familiari, forse meno tradizionali, ma comunque in grado di fornire calore e conforto per fronteggiare la dura vita urbana. Dunque, Faustin trova il suo personale modo per regolare i conti con la città, che lo aveva privato del suo orgoglio di uomo e di padre. Il rissoso alter ego che lo animava nelle sere di malinconia, quel Faustin I pieno di rancore, gli consente di esprimere, sublimandola, tutta la rabbia per un destino avverso.

Quando Pont-d’Avignon e il nipote si trasferiscono in un nuovo quartiere si perdono le tracce di Faustin. Questo trasferimento rappresenta una delle tappe del percorso iniziatico del protagonista, preceduto da altri due momenti molto significativi per la sua evoluzione verso l’età adulta. Il primo evento che ne segna l’allontanamento dal mondo dell’infanzia è costituito da una pubblica esecuzione di prigionieri politici a cui il bambino deve assistere, insieme ai compagni di classe, sulla Piazza dei Padri della Patria. L’esecuzione è preceduta da un discorso del dittatore ripreso dalle telecamere, la sua voce che riecheggia ovunque nella piazza gremita di gente, attraverso gli altoparlanti. Uno dei prigionieri, reo di aver sputato in faccia al dittatore, viene caricato su un’auto e condotto via. Di lui si dice che avrà conosciuto un destino di morte in esilio, altri dicono che avrà vissuto l’esperienza della tortura in prigione per mano del dittatore stesso. La cerimonia continua con gli spari del plotone, i corpi che cadono e una musica che prende l’avvio. Al termine della cerimonia in apparenza la vita riprende come prima ma il bambino sente che le cose, anche le più piccole e insignificanti, sono inesorabilmente cambiate. Egli avverte una profonda tristezza intorno a sé, nelle persone e perfino negli animali. I cani randagi accettano i lanci di pietre senza scappare, anche il mare si ammutolisce. Le lacrime che il piccolo, seduto nella vecchia Peugeot in cui era solito giocare, sente scorrere sul viso, hanno un sapore diverso dalle solite lacrime di bambino. Sono lacrime che lo allontanano dalla sua infanzia:

Assis dans la 304, le petit garçon sent des larmes monter à ses yeux, sans pouvoir les arrêter. Des flots de larmes. Qu’il ne s’explique pas. Même les plus féroces fessées de Pont-d’Avignon n’en ont pas suscité d’aussi abondantes. Elles quittent ses joues d’enfant, roulant sur sa poitrine, tombent sur ses cuisses, rejoignent le plancher troué, se frayent un chemin à travers les herbes sauvages qui croissent en toute liberté sous la voiture avant de terminer leur course dans l’eau de la rigole. […] Ses larmes deviennent l’eau de la rigole. Qui part pour une destination inconnue. Loin de son enfance. (p. 222)

L’infanzia si conferma una sorta di paradiso perduto, “mais il est aussi ce moment où se nouent les premiers conflits qui toujours manifestent les brèches dans les structures apparemment bien ordonnées13”.

Il secondo momento iniziatico è rappresentato dalla lezione di storia haitiana a cui Faustin lo accompagna. Nell’opera di Dalembert, oltre alla Storia che fa da sfondo alla narrazione, intrecciandosi alle storie personali, troviamo la Storia impartita nel corso di vere e proprie lezioni, da parte di un personaggio che si preoccupa di farla conoscere e tramandare. In Le Crayon questo compito è affidato al maestro Jacques, fratello di Pont- d’Avignon nonché direttore della scuola. Egli ripercorre la storia del paese dai primi abitanti e dal loro genocidio, alla tratta degli schiavi, dalle lotte intestine all’occupazione straniera, fino all’arrivo dell’Onorabile, come veniva chiamato Papa Doc. È qui che il maestro si ferma, evitando di rispondere agli interrogativi che il bambino si pone sul perché quegli uomini siano stati fucilati. La storia recente sembra rappresentare un tabù, qualcosa di inspiegabile che si può comprendere col tempo, nel corso di tutta una vita:

Peut-être aussi que le petit garçon comprendra tout cela plus tard. L’Ecclésiaste a dit: il est un temps pour chaque chose. Un temps pour faire grincer les dents, comme des portes mal huilées sur leurs gonds. Un temps pour pleurer les morts. Et parfois les vivants qui sont plus morts que les morts en terre, parce qu’ils sont nés morts et qu’ils n’ont jamais connu la vie. […] Et puis le temps de l’apprentissage. Le plus long. Parce qu’il occupe toute la vie. (p. 244)

La predilezione dell’autore per la Storia14 raccontata, come trasmissione di una conoscenza che ha anche valore iniziatico, non emerge qui per la prima volta. Ne

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Y. Lahens, L’apport de quatre romancières au roman moderne haïtien, “Notre Librairie”, n. 133, 1998, p. 30.

178 abbiamo infatti un esempio nel racconto Macaronade, contenuto nella raccolta Le Songe d’une photo d’enfance. Macaron è un ex professore di matematica che viene rapito dalla milizia governativa, imprigionato e costretto ai lavori forzati. Il narratore racconta di come da bambino si precipitasse ad ascoltare Macaron che, durante le pause di lavoro, amava ripercorrere insieme a lui e agli altri prigionieri la storia dei Caraibi. La sua voce profonda e ipnotica mescolava realtà e leggenda alla maniera di certi vecchi conteurs. Le sue lezioni di storia sortiscono sul bambino, futuro militante del Movimento Rivoluzionario caraibico, l’effetto desiderato:

La voix calme tourmentait mes nuits et mes rêves d’adolescent. Plus je pensais à lui, plus fort sourdait en moi, comme enfant en gestation, le grand cri caraïbe. (pp. 85/86)

Queste incursioni nella storia del paese hanno il potere di togliergli qualsiasi interesse per i tradizionali giochi dell’infanzia. Attraverso le parole di Macaron passa un messaggio di fratellanza e unione di tutti i paesi dell’America Centrale. Le sue parole sono inoltre un invito alla lotta e alla speranza, a non gettare la spugna, per restituire il paese alla sua gloria passata, attraverso il sogno panamericano. Di fronte a Macaron moribondo steso sul pavimento della sua cella, il bambino è colto dalla disperazione. Si sente abbandonato a metà della storia, quando ritiene di avere ancora tanto da imparare e, come lui, altri bambini:

Non, Macaron ne meurs pas. Tu as tracé le chemin sous mes pas d’enfant, mais il me reste encore beaucoup à apprendre. Et puis, il y a d’autres enfants qui brûlent du même désir que moi de connaître l’histoire de la terre que nous habitons. Vis pour leur dire! Vis pour nous dire! Cet avenir qu’ils cherchent, que nous tous cherchons, a partie liée avec la terre, la nôtre. Celle de toute la Caraïbe. (p. 92)

La Storia raccontata ha dunque ha il potere di fare attecchire nei giovani cuori il seme della lotta e della speranza. Il bambino, che sente scoppiare dentro di sé il “grande grido

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La Storia è una tematica costante in tutta la letteratura haitiana: essa rappresenta lo strumento attraverso il quale si compie il destino di tutto un popolo; in essa si ricercano i motivi e le giustificazioni del disagio attuale, nonché i mezzi per farvi fronte. L’ossessione per la Storia comprende anche il suo insegnamento, allo scopo di risalire alle proprie origini alla ricerca di un’identità. Ricordiamo che nel romanzo Compère Général Soleil di Jacques Stephen Alexis il protagonista Hilarion giunge a una maggiore consapevolezza di sé anche grazie alle lezioni serali a cui assiste, in particolare sulla storia di Haiti.

caraibico”, diventerà membro del movimento rivoluzionario mettendo a frutto le lezioni di Macaron.

Un ultimo evento iniziatico, come abbiamo già detto, coincide con il trasferimento in un nuovo quartiere. Trasferimento che viene vissuto dal bambino in maniera dolorosa:

Le petit garçon immagine difficilement ce nouveau lieu. Sans doute le refuse- t-il. Pour lui, le monde commence et finit sur le bord des quais. (p. 247)

Egli si rifiuta di pensare al nuovo quartiere, convinto che laggiù non troverà alcunché di gradevole:

Dans quelle contrée perdue est situé ce nouveau quartier? Après tout, peut- être lui réservera-t-il des surprises agréables. Le petit garçon refuse de penser à cette probabilité: ce serait trahir le bord des quais. (p. 254)

Questa sua prima partenza viene vissuta come un’amputazione, un addio alla sua infanzia:

Il ignore qu’avec ce premier départ, il ampute toute une part de son être. Il s’exile à jamais de sa prime enfance, cet autre pays de lui-même (p. 255)

C’è molta nostalgia in questa immagine dell’infanzia come paese15 che dobbiamo abbandonare nostro malgrado. Come afferma Waberi, “grandir n’est-ce pas s’exiler, passer à l’errance”16. Ciò che lo addolora maggiormente è l’idea di non rivedere più i volti di coloro che transitavano davanti alla casa della nonna, presenze rassicuranti che avevano amorevolmente vegliato su di lui in quegli anni e ai quali si era affezionato per averli spiati tante volte dallo specchietto retrovisore di una vecchia automobile in disuso: da qui era stato testimone dei piccoli imbrogli ai danni dei clienti da parte di Aséfi, la venditrice di noccioline, e di Leretour, il venditore di granite; da qui si era reso conto della stupidità, nota a tutti, del vecchio Boss Manno. Sempre da qui seguiva i movimenti dei lustrascarpe, accomunati, oltre che dallo stesso mestiere, dalla medesima propensione all’alcool: Lord Harris dalle labbra arrossate dal ratafià, Ti-Blanc

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Per Dalembert l’infanzia si colloca in una dimensione spazio-temporale chiamata pays-temps, “celui qu’on n’habite qu’une seule fois”, come il fiume di Eraclito nelle cui acque non ci si può bagnare due volte.

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180 dall’incedere vacillante, il più contenuto Merlot, fino al più speciale tra tutti: Faustin. E in questa vecchia Peugeot qualcuno, per dispetto, aveva depositato i suoi escrementi, quasi a mettere simbolicamente fine ai giochi della sua infanzia. Vediamo come in