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ig. 7 - Alessandro Marchesini (Verona 1663-1738), San Pietro in cattedra rapito nella visione dello Spirito Santo (1695), ora sulla parete sinistra dell’altare del Crociisso o del Rosario. Originariamente decorava il nuovo altare maggiore, realizzato nello stesso anno da Prospero (III) Schiavi,

e costò 35 ducati. Fu collocato nella posizione attuale entro il 1877.

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sembrerebbe già realizzata, mentre la casa del rettore era bisognosa di ripa- razioni (instauretur). nel 1541 si registra un elenco di prescrizioni riguardanti il fornimento degli altari. due si riferiscono agli ambienti annessi alla chiesa: nella prima si ordina la costruzione di una scala dalla sacrestia all’ingresso dalla casa del rettore (aptetur scala a sacristia in ingressu domus), da cui deduciamo che i due ambienti si trovavano a quote diverse; la seconda dispone una manuten- zione straordinaria della casa medesima (domus indiget reparatione), riproponen- do una disposizione – evidentemente disattesa – che risaliva a sette anni prima. altri ordinata del 1532 riguardano luoghi sacri ai quali, con inalità diverse, si doveva limitare l’accesso: il battistero (baptisterium semper clausum teneatur) e il cimitero (cimiterium claudatur ne bestiae ingrediantur). il battistero, inoltre, dove- va essere dotato di piramide o ciborio (piramidem pro fonte baptismali ieri iussit); disposizione ribadita nel 1534 (ciborium pro baptismo et quod baptismum interim te- neatur clausum) e ancora nel 1535 (ciborium pro baptismo; voce accanto alla quale altra mano chiosa: de isto ciborio dixit quod si habebit licentias a clericis per dimidia 200 ponsarum ipse faciunt quod homines parochiani faciunt sumptum).

Molto dinamica è la situazione degli altari minori. le prime notizie si hanno con il rettore Prosdocimo che, nel 149712, cita l’altare dei Santi Giorgio e ni-

cola, divenuto capella nel 1507113. nel 1530114 si registra la presenza delle nobili

famiglie Marioni115 e Mona, proprietarie di case e terreni a Marcellise, e si af-

ferma il culto per nuovi santi, che sostituiscono o si aggiungono ai precedenti,

ig. 8 - Altare dell’Immacolata Concezione. Decorazione di Leonardo Manzati (1823). L’altare (1697) è stato adattato alle dimensioni dell’ediicio attuale nel 1819-1827. ig. 9 - Altare del Crociisso o del Rosario, anticamente di proprietà della famiglia Manara, poi Orti Manara. Altare (1657 circa) adattato all’ediicio attuale (1825 circa). La decorazione presenta analogie con l’altare dell’Immacolata Concezione.

Controriforma in campagna (secoli xvi-xviii)

come quello di sant’antonio abate, al quale è intitolato l’altare errigendum a cura dei Mona già completato tre anni dopo116. nel 1541 si aggiunge l’altare del

Crociisso o della Croce della famiglia Marioni. nel 1569 gli altari minori sono quattro: della Vergine, del Crociisso, di Sant’antonio abate e di San Giorgio. dell’ultimo, come già detto, si perderanno le tracce a favore di altre devozioni. infatti, nella visita del 1657 gli altari minori sono ancora quattro: l’altare della Vergine, quello di Sant’antonio abate passato dai Mona alla famiglia Marchen- ti, quello di «Cristo e di San rocco» sempre della famiglia Marioni, e il nuovo altare del rosario, eretto «in solidissima pietra» per iure domini Mathei de Mana- riis. Marioni, Mona, Marchenti, Manara: sono questi gli anni in cui le famiglie nobili cominciano a lasciare tracce consistenti nella chiesa e nel territorio av- viando la costruzione o la riediicazione di alcune delle più signiicative dimore che caratterizzano la vallata117.

Per quanto riguarda le confraternite, la visita del 1529 attesta la presenza della Compagnia della Beata Vergine Maria e dei santi rocco e Sebastiano, ma la sua nascita deve essere anticipata almeno alla ine del secolo precedente, dato che il itto annuo di tre minali di frumento di cui essa gode nel 1529 deri- va da un legato disposto da Ioan Bresan con testamento del 19 maggio 1504118.

nel 1530 il panorama è più articolato. le societas sono tre: la Compagnia del Santissimo Sacramento, la Compagnia della Vergine e dei santi rocco, Seba- stiano e Pietro, la Compagnia della Misericordia associata, parrebbe, all’altare di Sant’antonio. Gli ordinata del 1535 raccomandano che tutte e tre le con- fraternite siano accresciute e diano conto della propria gestione economica (Societas in honore Sacramenti, beatae Virginis et misericordie adaugentur et iant illo- rum ratione ut supra). nonostante gli auspici, la Confraternita della Misericordia non ebbe vita lunga, dato che non viene menzionata in alcuna delle visite suc- cessive. la visita del 1569, inine, conferma che ne esistono due: del Corpo di Cristo e della Beata Vergine Maria. Questi riferimenti alle confraternite laicali attive mostrano come attorno alla chiesa si sviluppino forme di associazionismo di tipo mutualistico. esse non hanno solo inalità devozionali o religiose, ma anche di relazione e di assistenza ai propri associati nei momenti di dificoltà materiale e la loro presenza documenta come la chiesa costituisca un fulcro dell’organizzazione sociale della comunità119.

Sostanzialmente statico per tutto il xvi secolo il panorama degli oratori pri- vati esistenti entro i conini della parrocchia citati nella visita del 1530: la chiesa della Beata Vergine o di Santa Maria, ubicata ai margini del brolo di Pandolfo tramarini (in extremo broili domini Pandulphi Tramarini), e la chiesa di Santa Ma- ria di Belverde dependentem a monasterio Sanctorum Nazarii et Celsi de Verona.

Quest’ultima mantiene un ruolo di primo piano nella vita del paese nono- stante il temporaneo abbandono da parte dei monaci, il conseguente deperi- mento dell’ediicio e una lite sorta tra il rettore della parrocchiale e il cappel- lano nominato dai monaci che mette a repentaglio antiche consuetudini care ai paesani.

nel 1530120, infatti, essa è retta dai capifamiglia (homines loci), perché i mo-

naci non ci sono più. Un novantenne del posto, ser Bernardino, dice al visita- tore diocesano di ricordarsi bene che molti anni prima il monastero era solito tenervi quattro monaci, che vi celebravano. la situazione permane anche nel 1532: i monaci l’hanno del tutto abbandonata (penitus derelicta) e il cappellano di Marcellise talvolta (quandoque) vi celebra messa. la chiesa è in cattivo stato: mancano il pavimento e i vetri alle inestre, il tetto deve essere ricoperto e il cimitero recintato. due anni dopo121 il vescovo dispone che tali lavori vengano

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eseguiti ma soprattutto vieta a chiunque di dirvi messa se prima non si è pre- sentato a lui o al suo vicario.nel 1535122 la condizione della chiesa è addirittu-

ra peggiorata: le porte e le grate non si chiudono e si teme qualche inconve- niente. Vengono perciò ribadite le precedenti disposizioni: fare il pavimento, chiudere il cimitero, mettere i vetri alle inestre e coprire il tetto alla gesuata. Persiste il divieto di celebrare e l’obbligo di presentarsi prima al vescovo. nel 1541123 il visitatore ordina che siano fatte anche le porte. il tetto e la struttura

stessa dell’ediicio devono essere restaurati poiché est multum indigens.

nel 1553 la situazione è cambiata. Già da due anni vi risiede un cappellano nominato dai monaci e il parroco Bartolomeo de Marchi si lamenta con il ve- scovo luigi lippomano per le continue intromissioni di costui nelle questioni che riguardano la cura d’anime: annuncia festa, raccoglie elemosine e celebra ufici per i morti, cose in precedenza mai accadute. aggiunge che era stata eret- ta una confraternita laicale e che i monaci gli proibivano di celebrarvi messe e ufici. il vescovo interroga allora due consiglieri del Comune di Marcellise, i quali riferiscono che nella chiesa di Santa Maria si è soliti seppellire i morti, celebrare ufici, benedire le candele nella festa di Santa Maria Ceriola, pratiche alle quali il rettore della parrocchiale ora si oppone perché in lite con i mo- naci, che a loro volta, «da doi anni in qua», gli impediscono di celebrare nella chiesa. Vengono allora sentiti i massari delle confraternite della Beata Vergine e del Corpo di Cristo, i quali confermano quanto già riferito dai consiglieri e auspicano l’intervento del vescovo perché la lite cessi e si torni alle antiche consuetudini.

dopo questa visita non ce ne saranno altre ino alla prima metà del xix se- colo, quando la chiesa di Santa Maria di Belverde, in seguito alla soppressione del monastero benedettino veronese, passerà in mano privata.

La chiesa di don Alessio Gandini

il Seicento si proila come il secolo caratterizzato dalla igura di don alessio Gandini, parroco dal 1671 al 1709, che promuove un deciso miglioramento del-

ig. 10, 11 - Claudio Ridoli (Verona 1570 c. - Corinaldo 1644) - attribuito, Misteri del rosario. A sinistra l’annunciazione dell’angelo a Maria vergine; a destra l’incoronazione di Maria regina del cielo e della terra.

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le condizioni della chiesa dal punto di vista economico, delle strutture e degli arredi. don alessio appare anche, in sostanza, il prete che porta a compimento, a Marcellise, il percorso dettato dal concilio tridentino. nato intorno al 1629, si forma certamente nel seminario vescovile fondato da agostino Valier nel 1567 attuando uno degli indirizzi fondamentali della Controriforma in materia di for- mazione del clero. Ma prima di arrivare a don Gandini facciamo un passo indie- tro e diamo uno sguardo allo stato della chiesa intorno alla metà del secolo.

nel 1657124 la situazione si presenta con luci e ombre. l’altare maggiore è

privo di reddito; il Comune di Marcellise provvede le cose necessarie, mentre la Confraternita del Santissimo Sacramento pensa alle cere. l’altare di Sant’an- tonio abate, passato dai Mona a luigi Marchenti, è tenuto male e le immagini di sant’antonio e altri santi dipinte sulla parete che lo circonda sono in cattivo stato di conservazione (pro icona imago eiusdem sancti Antonii et aliorum sanctorum parieti depinctae inturnatur sed antiquitate squalidae). l’altare del Crociisso, ora detto di Cristo e san rocco, è sempre della famiglia Marioni, ma indecenter ten- tum est. l’altare della Vergine Maria, invece, è ben tenuto dall’omonima confra- ternita. tutto nuovo, inine, l’altare del rosario, eretto in solidissima pietra per iure domini Mathei de Manariis, che gode di un legato di 20 ducati all’anno, 14 dei quali servono per la celebrazione di trenta messe e gli altri 6 per orazioni a cura della Società del rosario. il vescovo dispone perciò di restituire dignità agli altari di Sant’antonio e del Cristo e san rocco con lavori da svolgere entro tre mesi, pena l’assegnazione ad altra persona. in particolare gli affreschi che li decorano dovranno essere ridipinti o sostituiti da una nuova immagine.

Sollecitato dagli uomini del paese, ma senza averla visitata, il vescovo ordina al rettore di recintare il cimitero della chiesa di Santa Maria «detta Belverde» afinché non vi entrino animali. nel frattempo, è fatto divieto di seppellirvi defunti.

la chiesa «antichissima» (perantiqua) di Santa Maria ora è di proprietà del notaio Francesco Ferro ma, soprattutto, ha cambiato intitolazione assumendo quella di Santa toscana, culto che conosce un notevole incremento a partire dal 1612, quando i Cavalieri di Malta portano a Zevio, paese natale della san- ta, alcune sue reliquie125. Ciò nonostante, si continua a venerare una statua

della Vergine in trono di legno policromo con dorature, collocata in una nic- chia attorniata da igure di santi dipinte sulla parete (Cui pro icona imago beatae Mariae Virginis lignea picturis et aurolenita sedens in loculo sive fornicem inscrivitur, cum imaginibus aliorum sanctorum a lateribus parieti depictis). È la prima citazio- ne dell’apparato decorativo quattrocentesco inora nota126. il tetto necessita di

manutenzione, bisogna sradicare l’edera dai muri e installare reti metalliche alle inestre per impedire l’ingresso di volatili. Presso la corte del marchese e patrizio veneto Bernardino Gherardini, il vescovo visita l’oratorio di San roc- co127, non citato in visite precedenti, ben tenuto ma privo del necessario alla

celebrazione della messa.

nel 1673, a un anno e mezzo dall’insediamento di don alessio Gandini, quando il vescovo Sebastiano Pisani ii giunge in visita alla parrocchia128, la co-

munità conta 719 anime, di cui 419 a comunione. all’altare maggiore provve- de ancora il Comune, a quello di Sant’antonio abate sempre la famiglia Mar- chenti, l’altare di Sant’antonio di Padova è mantenuto dal nobilis dominus eques Marioni, mentre quello del rosario dalla confraternita omonima. non viene menzionato l’altare della Beata Vergine, che certamente esiste. non è cambiata la situazione dell’oratorio di San rocco, che pertanto viene sospeso dall’oficia- tura. Per quanto riguarda quello di Santa toscana, si ordina di provvedere due

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candelieri di oricalco e una pianeta nera e di rimuovere il gocciolamento che cade dalla casa di Paceto disturbando coloro che entrano in chiesa.

la situazione economica della parrocchiale tra la ine del Cinquecento e soprattutto nel Seicento muta favorevolmente. la chiesa di San Pietro, infatti, beneicia in questo arco di tempo di un discreto numero di legati e lasciti testa- mentari129: il legato di Giovanni Battista Bresciani del 2 marzo 1595130, il livello

perpetuo di livia Mona Brenzoni del 6 novembre 1607131, i legati di domenico

Fiorini del 28 febbraio 1613132, di Bernardino Bersan del 23 gennaio 1623133, di

Stefano Piacci del 27 novembre 1639134, il lascito di Paola Bevilacqua Marioni

del 29 agosto 1649135, i legati di Giovanni Girolamo Manara del 7 settembre

1683136 e di Benedetto Zannettini del 2 aprile 1695137.

nel 1679 la situazione economica della chiesa, puntualmente descritta dal parroco Gandini138, è assai più articolata rispetto a quella del 1564, quando po-

teva contare solo sulla porzione della decima di lavagno e Marcellise e sul mo- desto reddito di un piccolo appezzamento di terra. ora, invece, oltre alla con- sueta porzione della decima in frumento, uva, miglio, olio, ‘stroppe’ e agnelli (in ragione di uno ogni dieci), poteva contare anche su quattro livelli o legati perpetui fondati rispettivamente su un arativo «in Marcelise in contrà di Mal- locco detta le Cristane», una casa con orto «in contrà della chiesa del Pian di lavagno», due case con seminativo di cui una «in contrà di San Pietro del Pian di lavagno» e una «in contrà del Pian di lavagno».

il rettore possedeva inoltre cinque appezzamenti di terra: due coninanti con la chiesa, un seminativo «in monte in contrà di San Pietro di Marcellise», uno «in contrà della Sossevena», uno «in contrà della Val Brancuva». a parte quelli attigui alla chiesa, con olivi e gelsi, non si trattava di terreni particolar- mente redditizi: quello di Borgo San Pietro fruttava poco perché era terra «gar- ba e magra», mentre gli altri due erano appezzamenti sterili che non era mai stato possibile afittare né «cavarne alcun utile».

la parrocchia riscuoteva anche nove afitti, di cui quattro per appezzamenti di terra: uno «in contrà delle Varcangiole», uno chiamato «il Canton», uno det- to «la Sortesina in contrà della Carbonara» e uno «in contrà della Sossevena». l’elenco delle spese è mutato di poco rispetto al secolo precedente. il ret- tore paga al Comune di Marcellise 12 lire di cera e l’incenso per tutto l’anno, versa al vescovo 8 lire e 5 soldi per il cattedratico, acquista 10 bacede di olio per mantenere la lampada votiva, paga un minale e mezzo di frumento alla chiesa di San Briccio di lavagno per il chierico che serve alla messa. alle spese per la gestione delle decime si sono aggiunte quelle per la celebrazione delle messe del legato Manara.

il beneicio annuo netto supera di poco i 1042 troni, per cui la chiesa, il 18 marzo 1680, viene stimata lire 10 soldi 6 denari 2. la situazione è di certo migliorata ma non è una chiesa ricca e per riscuotere quanto spetta bisogna battagliare. Per dirla con il precedente rettore, andrea Comerlato, nella poliz- za presentata per l’estimo del 1653 «per ridare felice stato a queste entrade per il più mi convien spender di procuratori et male spese et poi inalmente gettar il tutto al vento»139.

Ciò nonostante, in quegli anni la chiesa si dota, grazie anche all’attività delle confraternite laicali, di molti oggetti d’arte che la caratterizzeranno nei seco- li successivi ino ai nostri giorni. nel secondo registro della Compagnia della Beata Vergine, per esempio, troviamo le registrazioni di pagamento del trono processionale della Madonna realizzato da mistro Vicenzo tra la ine del 1661 e i primi mesi del 1662140.

ig. 12 - Felice Rizzo detto Brusasorzi (Verona 1539/1540- 1605) - attribuito, San Facio, attualmente nella cappella invernale.

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il segno più incisivo lasciato da alessio Gandini141 è il grande lavoro di ri-

ordino dei documenti conservati nell’archivio parrocchiale, la ricognizione di tutte le entrate della chiesa e l’istituzione di registri contabili indispensabili per l’eficiente gestione del beneicio. la centralità delle parrocchie dettata dal concilio di trento si sostanzia anche attraverso questa minuta opera di anno- tazione, riorganizzazione e controllo che fa delle chiese il vero epicentro della vita religiosa e sociale del paese. in qualche misura possiamo vedere in lui il primo cronista di Marcellise anche se non era questo lo scopo della sua azione: il parroco innanzitutto vuole rivendicare e riattivare tutti i redditi spettanti alla sua chiesa. attività che pare diventare uno dei perni della sua azione pastorale.

Ha già passato gli ottant’anni quando, circa l’anno 1711, ha ancora suficien- te vigore per richiamare i suoi parrocchiani, durante l’omelia142 su un passo del

Vangelo di Giovanni (Gv 8,21), ai doveri, anche economici, verso la comunità:

Sentite dunque, o christiani, che per sventar tante bugie che voi havete udito, il Signore vi torna a dire che noi stiamo vigilanti, perché non sapia- mo né il giorno né l’ora, e voi ancora ripiglia: state preparati, perché ap- punto in quell’ora che non stimate, venirà questo dio a strapparvi l’anima dal corpo e venirà come il ladro e venirà quando meno se lo pensiamo. intendiamola dunque tutti, e tu intendi bene, o peccatore, che questi sono avisi che ti manda il tuo dio acciò non ti afidi del tempo, e se è così, quando mai pensi o vechio ostinato di restituir quella robba che non è tua, di pagar le tue decime alla chiesa o a quelli che debitamente si con- vengono, che non solo tanti anni sono che non li dai il suo frutto, ma vai ancora nascondendo li fondi e giustamente vieni scommunicato, che è tanto dire privo di quelle grazie, di quei suffraggi, che potresti conseguir dalla Chiesa?

don alessio aveva iniziato molti anni prima la sua personale battaglia contro questo tipo di inadempienze: nel 1687, infatti, forse stanco della scarsa memo- ria dei debitori, aveva deciso di mettere ordine nell’archivio, di raccogliere in un unico registro tutti gli atti di istituzione di legati che gli capitavano tra le mani e di cercare di ripristinare il pagamento di quelli inevasi. Uomo istruito e dinamico, volle iniziare quest’opera con un autentico coup de théâtre: tornare a riscuotere l’elemosina di Facio di lavagno, che risaliva a quasi tre secoli prima e di cui si era persa non solo la rendita ma anche la memoria. rimaneva, però, quella «pietra lunga rossa» murata sopra la porta principale della chiesa a testi- moniarne l’esistenza e la validità perpetua.

Ci voleva, a questo punto, un intervento forte, con valore quasi di legge, per convincere gli attuali proprietari dei beni vincolati al legato a pagare un debito di cui forse non conoscevano nemmeno l’esistenza. il notaio Giuseppe Branchi giunse a Marcellise il 31 dicembre 1687, lesse l’epigrafe, la trascrisse e rilasciò un documento uficiale: una testimonianza autenticata dal segno di tabellio- nato posta sul primo foglio di un registro che don alessio aveva acquistato per l’occasione143 (ig. 2-3):

Faccio fede io nodaro infrascritto publico del collegio di Verona essermi transferito il giorno di mercordi 31 dicembre 1687, nella villa di Marceli- se, et alla venerabile chiesa parochiale di detto luoco, et ivi haver veduta sopra la porta principale della medesima chiesa, che riguarda verso tra- montana, una pietra lunga rossa, che si estende di lungezza, quanta è la

ig. 13, 14 - Pittore ignoto del XVIII secolo, San Pietro e San Paolo, ora nella cappella invernale.

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largezza di detta porta, la qual pietra contiene la seguente inscritione in caratere longobardo cioè

«1407 indizione decimaquinta adi 5 d’ottobre Faso quondam de Fran- cesco da lavagno, per lo so testamento ordone, e lasce, che lucia sua mugiera e Steffano d’andrea, e Gasparo di Marchioro suoi rexi debbano ogn’anno in la festa di san Pero de fevraro in Marcelise far una limosina di