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I robot a cinematica parallela, meglio conosciuti come PKM (Parallel Kine- matic Machine), sono manipolatori in cui l’end-effector è collegato alla base fissa mediante almeno due catene cinematiche indipendenti.

Se il primo e l’ultimo link sono connessi si dice che la catena cinemati- ca è chiusa, quindi si parla di manipolatore parallelo; generalmente questa categoria di robot è caratterizzata dall’avere almeno una base fissa, una piattaforma mobile ed una serie di arti (o gambe) che congiungono le due piattaforme, realizzando così delle catene cinematiche chiuse.

Figura 3.1: Rappresentazione di un manipolatore parallelo

Come è possibile intuire dalla figura 3.1, i robot a cinematica parallela prevedono giunti attivi (motorizzati) e giunti passivi; la cui configurazione del manipolatore è funzione della posizione assunta istante per istante dai giunti attivi; questo aspetto li differenzia parecchio dai robot seriali in cui tutti i giunti sono motorizzati, cioè ogni link è mosso da un attuatore a esso collegato. Come spesso accade, è possibile posizionare tutti i motori sulla base fissa, permettendo quindi di ridurre le masse in movimento e conse- guentemente, a parità di potenza installata, ottenere delle accelerazioni del end-effector più elevate; inoltre sono manipolatori caratterizzati da l’elevata capacità di carico, che deriva dalla possibilità di suddividere le forze esterne tra tutte le gambe che supportano la piattaforma.

Tutti questi aspetti permettono di ottenere delle strutture snelle con pre- stazioni notevoli in termini di accelerazioni e velocità di lavoro, al contempo caratterizzate da un’elevata capacità di carico (se paragonata a quella dei ro- bot seriali), fino ad ottenere un rapporto carico-peso che può superare anche l’unità (in un manipolatore tradizionale questo indice varia tra 0.01 e 0.15). Inoltre, la precisione di posizionamento all’interno del volume di lavoro è elevata in quanto l’errore dovuto ad un arto non si ripercuote su tutta la catena cinematica come nei robot seriali ma, anzi, ha un’influenza minore sulla posizione della base mobile. In generale i robot paralleli hanno una struttura meccanica piu rigida con frequenze proprie elevate.

Anche dal punto di vista della costruzione meccannica si hanno notevoli vantaggi in quanto questa è relativamente semplice e soprattutto modulare,

anche se le precisioni richieste sono sempre elevate e la progettazione risulta, invece, abbastanza complessa [1].

D’altra parte questa tipologia di robot porta con sè anche degli aspet- ti negativi legati principalmente al volume di lavoro ed a problematiche di tipo costruttivo. Per quanto riguarda il primo aspetto, il volume di lavoro dei PKM è ridotto se paragonato a quello di un robot seriale: il rapporto volume di lavoro/ingombro della struttura è molto basso, mentre per i robot seriali è elevato in quanto riescono a sfruttare molto bene lo spazio che li circonda. Inoltre, all’interno del volume di lavoro, esistono dei punti in cui il robot assume delle configurazioni singolari ossia configurazioni in corrispon- denza delle quali si ha una perdita di mobilità della struttura. Da un punto di vista costruttivo, l’aspetto più critico è rappresentato dalla presenza dei giunti passivi cardanici e sferici che, caratterizzati da giochi ed imprecisio- ni di lavorazione, portano a diminuire la rigidezza teorica della struttura. Gli stessi giunti diventano un componente fondamentale per questo tipo di strutture, in quanto dalle loro caratteristiche (ingombri, campo di mobili- tà, duplicità delle connessioni, ecc.) dipende la rigidità complessiva della macchina. Inoltre le prestazioni delle macchine a cinematica parallela sono fortemente dipendenti dalle dimensioni del robot e dalla sua posa corrente. Per esempio, la rigidezza di un manipolatore è molto diversa se valutata in pose differenti, così come è molto sensibile alla geometria del robot, anche a parità di architettura e di spazio di lavoro. Talvolta, sono necessari strumenti di simulazione molto potenti per poter risolvere già in fase di progettazione i problemi più complessi.

Infine, a differenza dei robot seriali, lo studio della cinematica diretta ed il calcolo del numero di gradi di libertà del manipolatore risultano essere più di cili e meno intuitivi [2].

Tradizionalmente si fa risalire la nascita dei robot a cinematica parallela (PKM, Parallel Kinematic Machines) al 1813, anno in cui il matematico A. Cauchy discusse la possibilità di movimento e studiò la rigidezza di un ottae- dro articolato. Le prime applicazioni di questi robot risalgono alla seconda metà del 1900 ma, il primo disegno di un robot parallelo è datato 1938, ad opera di Willard L.V. Pollard.

Pochi anni dopo, nel 1955, un ingegnere meccanico americano impiegato nell’industria aeronautica, V. E. Gough, ideò e realizzò una struttura pa- rallela con 6 catene cinematiche per eseguire prove su pneumatici per aerei. Questa piattaforma venne poi ripresa e riadattata da Stewart (nel 1965) per realizzare un simulatore di volo.

Un ruolo fondamentale nella storia dei robot paralleli lo ricopre il Delta, progettato e realizzato da Reymond Clavel alla fine degli anni ’80; il pro-

totipo originale era in grado di raggiungere delle accelerazioni di quasi 200 m/s^2. Il gruppo di lavoro del professor Clavel, inoltre, progettò e costruì il manipolatore a cinematica parallela (Delta 270 ) in grado di raggiungere accelerazioni di 500 m/s^2 (ancora oggi è il robot più veloce che sia mai stato realizzato).

I robot paralleli stanno trovando una vasta applicazione come meccanismi di precisione in ambito industriale, medico e meccanico.

3.4.1 Classi cazione dei robot a cinematica parallela

I robot a cinematica parallela, possono essere classificati secondo differenti criteri: numero di gradi di libertà, tipo di moto che compiono, tipo di giunti ed attuatori impiegati, simmetria della struttura, etc. Un metodo ampia- mente accettato è quello proposto da Tsai e Merlet [3], che adotta come criterio di classificazione il tipo di movimento effettuato dal manipolatore ed il numero di gradi di libertà dello stesso.

Si farà riferimento a robot simmetrici, cioè a quella particolare categoria di robot paralleli che rispettano le seguenti caratteristiche:

• il numero di arti è pari al numero di gradi di liberà;

• il tipo, il numero e la sequenza dei giunti è la medesima per ogni arto; .

• i giunti controllati sono gli stessi per ogni catena cinematica.

Nei robot simmetrici è possibile definire una relazione tra il numero di ele- menti che compongono il manipolatore ed il numero di gradi di libertà. Tipi- camente si fa riferimento alla formulazione di Gruber, in cui i gradi di libertà del manipolatore vengono calcolati come la differenza tra i gradi di libertà di ogni singolo link del robot e la sommatoria dei gradi di vincolo imposti dai giunti e dalle catene cinematiche chiuse presenti.

F = λ ∗ (n − j − 1) + j X i=1 fi Dove:

• F = gradi di libertà del robot;

• λ = fattore spaziale: vale 3 nel piano e 6 nello spazio;

• j = numero di giunti;

• fi = gradi di moto relativo permessi dal giunto i-esimo.

Di seguito si riporta una breve classificazione dei robot a cinematica parallela secondo il criterio di Tsai e Merlet:

• robot a 6 g.d.l: hanno la possibilità di posizionare la piattaforma mobile in un punto qualsiasi dello spazio e definirne l’orientamento rispetto ogni direzione. A questa categoria appartengono i cosiddetti esapodi cio`e robot la cui struttura à basata sul principio di funzionamento della piattaforma di Gough;

• robot a 5 g.d.l: le tre gambe di lunghezza fissa sono collegate ad una piattaforma mobile tramite giunti sferici e incernierate all’altra estre- mità su di una guida lineare; in questo modo la base `e in grado di inclinarsi in una qualsiasi direzione e di muoversi longitudinalmente. L’ultimo grado di libertà può essere a dato ad una base sulla quale viene montato il robot;

• robot a 4 g.d.l: generalmente consentono la traslazione della piattafor- ma mobile e la sua rotazione attorno ad un asse;

• robot a 3 g.d.l. rotazionali: consentono rotazioni attorno a tre assi tra loro perpendicolari mantenendo fisso nello spazio un punto della piattaforma mobile;

• robot a 3 g.d.l. traslazionali: la piattaforma è in grado di traslare nello spazio.

Nei prossimi paragrafai poniamo particolare attenzione ai manipolatori a 3 g.d.l. traslazionali, in quanto il manipolatore selezionato per il lavoro di tesi appartiene a questa categoria.

3.5

Manipolatori paralleli a 3 g.d.l. per moto tra-