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P ROPOSTE PER L ’ ORIGINE E LA FUNZIONE DEGLI AFFRESCHI AGIOGRAFICI ICONICO NARRATIVI TOSCAN

Come già detto, i primi affreschi agiografici che ci sono pervenuti non sono anteriori all’inizio del terzo decennio del XIV secolo e si trovano a Firenze, il Sant’Onofrio del Maestro di Figline nella chiesa di Sant’Ambrogio (Scheda 1), e ad Arezzo, la Madonna col Bambino e storie di Anna e Gioacchino di Gregorio e Donato nel Duomo (Scheda 38). Le due opere, entrambe probabilmente pertinenti ad un altare83, pur perfettamente assimilabili ai canoni della tipologia agiografica, presentano tuttavia caratteristiche formali piuttosto diverse. Nel Sant’Onofrio la proporzione tra l’ampio spazio dedicato alla figura del santo e le storie relativamente piccole a destra richiama alcuni precedenti su tavola. Oltre alle pale agiografiche vere e proprie, vengono in mente esempi famosi come le Stimmate di San Francesco di Giotto per la chiesa di San Francesco a Pisa (Parigi, Louvre)84 e il San Ludovico di Tolosa di Simone Martini (1317), conservato presso la Galleria Nazionale di Capodimonte a Napoli85, dove le storie occupano uno spazio molto ridotto rispetto all’immagine principale, di cui costituiscono una sorta di predella [FIG. 33]. Non si tratta in ogni caso di citazioni fedeli poiché il Maestro di Figline ha creato un’opera innovativa rispetto ad esempio alla Santa Maria Maddalena dell’omonimo maestro, proponendo, in luogo della consueta terminazione a cuspide, una forma rettangolare decorata con cornici ad ornamenti fitomorfi e geometrici. L’affresco di Gregorio e Donato ha invece una struttura meno ricercata, in cui la disposizione delle cinque storie piuttosto ampie appare funzionale allo sfruttamento del poco spazio disponibile sulla parete della navata con un piccolo ma chiaro ciclo mariano “condensato”.

Le prime testimonianze di pitture murali agiografiche indicano dunque una tendenza che si sviluppa, contemporaneamente ma separatamente, nell’ambito dei pittori della cosiddetta corrente miniaturista dei primi decenni del XIV secolo86. Una distinzione netta tra l’intento di trasporre in affresco una pala d’altare lignea e la sintetizzazione di un ciclo narrativo esteso non sembra in ogni caso possibile, né del resto necessaria.

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La decorazione della parete retrostante l’altare con pitture murali che non necessariamente si ispirano o simulano prodotti su tavola è rintracciabile in Italia già nel XIII secolo, ad esempio nella chiesa di Santa Balbina a Roma: cfr. S. ROMANO, Eclissi di Roma. Pittura murale a Roma e nel

Lazio da Bonifacio VIII a Martino V (1295-1431), Roma 1992, pp. 65-66; GARDNER, Altars, altarpieces… cit., pp. 15-16, figg. 14-15.

84 F. FLORES D’ARCAIS, Giotto, Milano 1995, p. 120; L. BELLOSI, Giotto e la Basilica Superiore

di Assisi, in Giotto, Bilancio critico di sessant’anni di studi e ricerche, catalogo della mostra (Firenze

2000), a cura di A. Tartuferi, Firenze 2000, pp. 33-54, in particolare pp. 37-38.

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P. LEONE DE CASTRIS, Simone Martini, Milano 2003, pp. 136-154, 349-350.

86 Richard Offner e poi Miklós Boskovits inseriscono in questa cerchia artisti che, pur recependo le

novità giottesche, portano avanti una pittura dagli intenti meno monumentali, come il Maestro della Santa Cecilia, Lippo di Benivieni, Jacopo del Casentino, il Maestro delle Effigi Domenicane, il Maestro del Crocifisso Corsi, il Maestro del Trittico Horne, Pacino di Bonaguida e lo stesso Maestro di Figline, mentre la tavola della Santa Caterina di Gregorio e Donato era stata inserita da Offner nel catalogo degli stretti seguaci del Maestro della Santa Cecilia (R. OFFNER, A critical and historical

corpus of Florentine painting, sez. III, vol. I, Berlin 1931, in particolare pp. XV-XXVII, 66; OFFNER, Corpus… cit. [III, I, 1986], in particolare pp. 19-25, 202-209; BOSKOVITS, Corpus… cit. [III, IX,

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L’intento di ricreare sulla parete un’opera solitamente realizzata su supporto ligneo, in una libera analogia non strettamente mimetica, accomuna il Sant’Onofrio al grande Crocifisso affrescato sulla testata destra del transetto della chiesa di San Francesco a Pistoia dal Maestro del 131087 [FIG. 34]. Le affinità tra queste due pitture sono assai numerose, a cominciare dalla volontà di manipolare i possibili modelli reali sfruttando le potenzialità illusive dell’affresco (nel caso pistoiese riproducendo in grande formato il profilo di una croce di oreficeria in luogo della carpenteria lignea). Ugualmente importante risulta l’impiego della stessa singolare tecnica, che consiste nel realizzare una sinopia a buon fresco sull’intonaco levigato invece che sull’intonachino, con zone anche estremamente rifinite (a fronte di altre invece appena abbozzate, incompiute), in previsione forse di un completamento a secco con una gamma di colori probabilmente limitata. Il rapporto tra i due anonimi maestri, esponenti della cosiddetta “fronda anti-giottesca”, è già stato rilevato dalla critica88, che indica nel Maestro di Figline, permeato di una profonda cultura gotica, la personalità di maggior peso, con cui il Maestro del 1310 riesce tuttavia ad instaurare un dialogo fruttuoso. La presenza nei rispettivi cataloghi di opere tanto vicine per intenti sperimentali, semantici e tecnici e coincidenti nelle proposte di datazione verso l’inizio del terzo decennio del Trecento ne suggerisce un’elaborazione comune. D’altra parte la Croce di Pistoia potrebbe essere intesa come il progetto in scala reale di una croce dipinta vera e propria89, prospettando così anche per il Sant’Onofrio una funzione provvisoria quale schema per una tavola probabilmente mai realizzata: ciò potrebbe spiegare, come per il Crocifisso, le zone non rifinite pur senza sminuirne il ruolo di probabile modello-guida per le conformi opere fiorentine.

La realizzazione a fresco di formati tradizionalmente mobili è del resto un fenomeno diffuso nei primi decenni del XIV secolo, che ha il suo epicentro ad Assisi90, dove in effetti il Maestro di Figline fu certamente attivo negli anni dieci91. Nonostante le loro peculiarità, l’assunto di base del Sant’Onofrio e del Crocifisso sembra in effetti rintracciabile negli pseudo-trittici di Giotto e bottega e di Pietro Lorenzetti per le cappelle Orsini di San Nicola e San Giovanni nella Basilica Inferiore di Assisi raffiguranti la Madonna col Bambino e Santi [FIG. 35], che propongono figure a mezzo busto disposte entro archi senza tuttavia simulare la carpenteria dei polittici reali92, come sarà invece il caso dei numerosi falsi polittici diffusi in Umbria e

87 A. DE MARCHI, Il “Maestro del 1310” e la fronda anti-giottesca: intorno ad un “Crocifisso”

murale, in “Prospettiva”, XLVI, 1986, pp. 50-56.

88 Oltre ad Andrea De Marchi, anche A. BACCHI, Pittura del Duecento e del Trecento nel Pistoiese,

in La Pittura in Italia. Le origini, Milano 1985, pp. 273-282, in particolare pp. 277-278.

89 A. DE MARCHI, Come erano le chiese di San Domenico e di San Francesco nel Trecento? Alcuni

spunti per ricostruire il rapporto tra spazi ed immagini sulla base dei frammenti superstiti e delle fonti, in Il Museo e la città. Vicende artistiche pistoiesi nel Trecento, Pistoia 2012, pp. 13-51, in

particolare p. 19.

90 E. CAMPOREALE, Polittici murali del Trecento e del Quattrocento, un percorso dall’Umbria alla

Toscana, in “Atti e memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere ‘La Colombaria’”, LXXVI,

ser. LXII, 2012, pp. 11-77. Colgo l’occasione per esprimere la mia gratitudine alla Dott.ssa Camporeale per aver condiviso con me alcune sue riflessioni durante l’elaborazione della sua ricerca, i cui risultati rivestono una notevole importanza per la comprensione degli affreschi agiografici toscani.

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Cfr. Scheda 1.

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Toscana tra Tre e Quattrocento, tra i quali spicca per precocità quello realizzato da Taddeo Gaddi nella cappella del castello dei Conti Guidi a Poppi verso la metà del quarto decennio93. Tuttavia non si conoscono ad Assisi e in Umbria esempi di affreschi agiografici che possono aver fornito un modello per il Sant’Onofrio fiorentino (così come non c’è alcun Crocifisso simile a quello pistoiese): sebbene si debba tener conto della possibile perdita di eventuali opere del genere, chi scrive è incline a ritenere che non esistessero opere simili in Umbria94 e in Toscana precedenti al Sant’Onofrio, che pare un’opera del tutto originale.

I motivi della diffusione di simili decorazioni, sembrano doversi rintracciare, almeno in queste fasi precoci, nella sperimentazione assisiate dell’efficacia comunicativa e ornamentale dell’affresco, collaudata nei cicli agiografici della navata della Basilica Superiore e delle cappelle di quella Inferiore. Inoltre l’ampio ricorso nelle due Basiliche ad affreschi agiografici potrebbe aver sollecitato l’impiego di questo tipo di decorazione anche in spazi più esigui95. D’altra parte il ciclo agiografico di San Nicola nel Cappellone del convento di Tolentino e quello meno noto ma altrettanto affascinante di Santa Margherita da Cortona nella chiesa cittadina a lei dedicata contribuiscono a dimostrare l’importanza attribuita all’accostamento di immagini narrative alle figure sacre fin dai primi decenni del XIV secolo96 [FIG. 36].

Basilica di San Francesco ad Assisi. Basilica inferiore, a cura di G. Bonsanti, Modena 2002, pp. 406-

407, 439. La Madonna col Bambino e i Santi Nicola e Francesco del Maestro di San Nicola è databile a cavallo tra Due e Trecento, mentre la Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Battista e Francesco del Lorenzetti verso il 1310-1315.

93 P. P. DONATI, Taddeo Gaddi, Firenze 1966, pp. 15-18. S. CHIODO, Pittura murale, tavole dipinte

e codici miniati in Casentino e Valdarno, in Arte in terra d’Arezzo. Il Trecento, a cura di A. Galli, P.

Refice, Firenze 2005, pp. 57-78. CAMPOREALE, Polittici murali… cit., p. 33.

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In Umbria sono noti solo esempi piuttosto tardivi, quasi tutti riferibili al XV secolo, tranne la Santa

Caterina d’Alessandria in San Domenico a Gubbio (Q. RUGHI, Gubbio. Guida per la visita ai principali monumenti, Gubbio s.a., pp. 24-25) e forse la Santa Teodora di Genova in Santa Giuliana a

Perugia [cfr. FIG: 116]. Si ricordano il Beato Egidio di Mariano d’Antonio Nutolo ora nella Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, proveniente dalla chiesa cittadina di San Francesco al Prato, che presenta la classica struttura con sei storie che affiancano sui due lati il santo centrale; il Sant’Antonio

da Padova e il San Bernardino da Siena in San Francesco a Montefalco, attribuiti al cosiddetto

Espressionista Gozzolesco, i quali però sono atipicamente strutturati in modo che il santo centrale sia affiancato sui due lati da due storie della stessa ampiezza del riquadro principale, non sovrapposta ma disposte l’una accanto all’altra [cfr. FIG: 248]; questa stessa forma ricorre anche nella più tarda decorazione dell’abside di Sant’Antonio di Bereide dedicata dal Maestro del Trittico di Arrone al titolare. Cfr. F. TODINI, La pittura umbra dal Duecento al primo Cinquecento, I, Milano 1989, pp. 64, 201, 207, 346, 359.

95 Joanna Cannon mette in relazione la realizzazione di cappelle come quella di San Martino di

Simone Martini con lo sviluppo delle tavole agiografiche senesi del Beato Agostino Novello e della

Beata Umiltà, oltre che le tavole con Storie di San Nicola realizzate tra terzo e quarto decennio (cfr. supra) per l’impiego di ambientazioni urbane e contemporanee nel racconto agiografico (CANNON,

VAUCHEZ, Margherita… cit., pp. 149, 225).

96 Per un’analisi accurata del ciclo di Tolentino cfr. Arte e spiritualità negli Ordini Mendicanti. Gli

Agostiniani e il Cappellone di San Nicola a Tolentino, Atti del Convegno (Tolentino [MC] 1992), a

cura della Biblioteca Egidiana e del Centro Studi “Agostino Trapè”, Tolentino 1992; in particolare gli interventi contenuti nella parte III: D. BENATI, Gli affreschi nel Cappellone di Tolentino, Pietro da

Rimini e la sua bottega, pp. 325-356; S. ROMANO, Gli affreschi del Cappellone: il programma, pp.

257-270; A. R. CALDERONI MASETTI, Sui percorsi narrativi del Cappellone di San Nicola a

Tolentino, pp. 271-274. Per la proposta di datazione antecedente all’avvio del processo di

canonizzazione del 1326 cfr. F. BISOGNI, Gli inizi dell’iconografia di San Nicola da Tolentino e gli

affreschi del Cappellone, in San Nicola, Tolentino… cit., pp. 255-296; si veda inoltre infra, Scheda 29.

Per la “riscoperta” del perduto ciclo di Cortona e la sua assegnazione ad Ambrogio Lorenzetti verso il 1335 si veda J. CANNON, Il ciclo murale di Margherita attraverso le copie ad acquarello, in

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Per l’analogo rapporto con opere solitamente realizzate su tavola, gli affreschi agiografici vengono spesso messi in relazione con i falsi polittici murali97, ma proprio l’analisi delle caratteristiche di questi ultimi, condotta da Elisa Camporeale, dimostra sostanziali divergenze negli sviluppi e nelle finalità e aiuta a sottolineare caratteristiche specifiche degli affreschi agiografici.

Una peculiarità pressoché imprescindibile dei polittici murali è la realizzazione pittorica della carpenteria, indispensabile per la creazione del necessario effetto illusionistico che permettesse di simulare al meglio la presenza sull’altare di un’opera lignea vera e propria, rispetto a cui i murali sono richiesti dalla committenza come surrogati economici. Gli affreschi agiografici risultano invece privi di intenti mimetici rispetto alle tavole, le cui forme sono solo genericamente richiamate. L’esempio già accennato del San Giovanni Gualberto di Bicci di Lorenzo nella Badia di Soffena (Scheda 45) dimostra che alla citazione fedele dell’iconografia di un’opera agiografica su tavola (in questo caso il trittico di Giovanni del Biondo con lo stesso soggetto) non corrisponde un interesse analogo per la sua struttura. Se si escludono i più vaghi riferimenti degli episodi della Santa Margherita dello stesso Bicci alla tavola di Santa Margherita a Montici (Scheda 16), l’affresco di Soffena risulta l’unico esempio documentabile di un affresco agiografico che faccia diretto riferimento ad un’opera omologa su tavola. Il risultato è in ogni caso un prodotto completamente diverso rispetto al modello, più una citazione consapevole che una vera e propria “copia”. Le eccezioni sono poche e parziali: l’unico caso di simulazione della carpenteria lignea noto a chi scrive è rappresentato da un affresco agiografico umbro con Sant’Antonio da Padova di Mariano d’Antonio in San Francesco a Deruta (Perugia), peraltro piuttosto tardo ed eccentrico rispetto all’area che qui si vuole principalmente considerare98 [FIG. 37]. A Firenze l’imponente affresco di Santa Apollonia (Scheda 12) utilizza le qualità illusive della tecnica a fresco per la creazione dell’effetto di “sfondamento” prospettico della parete e per simulare una struttura lapidea tridimensionale inverosimile, che non ha corrispettivi nelle tavole agiografiche. Infine il San Nicola di Bari di Santa Cristina a Pimonte presso Prato (Scheda 22) presenta un dettaglio di sottile illusionismo che simula un gradino di predella con scene narrative che ha l’effetto di far di poco arretrare in profondità il vero e proprio affresco agiografico che sembra poggiarvi sopra, ma la cui forma non viene in alcun modo alterata per imitare una pala.

Gli affreschi agiografici sono dunque intesi e richiesti, a differenza dei falsi polittici, non come repliche più corsive rispetto alle corrispondenti opere lignee, ma come una tipologia decorativa autonoma, da impiegare anche laddove non si sarebbe mai

L. Corti, R. Spinelli, Milano 1998, pp. 21-32; per una ricostruzione della disposizione delle scene sulle pareti nord e sud del coro e sulla parete dell’ultima campata del fianco sud di Santa Margherita a Cortona cfr. CANNON, VAUCHEZ, Margherita… cit., figg. 201-204).

97 CAMPOREALE, Polittici murali… cit., pp. 61-67. 98

Cfr. E. LUNGHI, La cultura figurativa a Perugia nella prima metà del Quattrocento e la

formazione di Benedetto Bonfigli, in Un pittore e la sua città. Benedetto Bonfigli e Perugia, catalogo

della mostra (Perugia 1996-1997), a cura di V. Garibaldi, Milano 1996, pp. 31-47, in particolare p. 40, fig. 21. La raffigurazione è illusionisticamente collocata entro una falsa nicchia e la forma tripartita della tavola affrescata ricorda la pala tardo duecentesca di San Francesco d’Assisi di Guido di Graziano ora nella Pinacoteca Nazionale di Siena (BELLOSI, Per un contesto… cit., pp. 18-20).

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potuta trovare una tavola, sfruttando le possibilità di adattamento della tecnica murale, come nel caso degli affreschi della Badia Fiorentina, di Montalcino e di Monticchiello, posti piuttosto in alto rispetto al piano di calpestio (Schede 4, 5, 30, 31).

Gli affreschi agiografici, pur non trovando probabilmente mai posto presso gli altari principali delle chiese, così come i falsi polittici, non condividono con questi ultimi la segregazione in ambiti periferici, comprensibile alla luce dalla loro funzione di sostituti a basso costo di opere che in altri contesti potevano essere realizzate in modo tradizionale99. Gli affreschi agiografici invece nascono e si diffondono fin dall’inizio nei maggiori centri della Toscana ed è significativo ad esempio che a Firenze siano frequenti in alcuni dei principali luoghi del culto cittadino e risultino invece molto meno diffusi nelle zone decentrate del contado; ad Arezzo sono impiegati nel Duomo e nelle chiese dei due maggiori Ordini Mendicanti e a Pistoia ricorrono numerosi nella grande chiesa agostiniana di San Lorenzo100. Un movente economico alla base di alcune richieste di opere agiografiche murali non deve tuttavia essere necessariamente del tutto escluso101 ed è piuttosto evidente ad esempio nell’affresco agiografico che meglio di tutti rappresenta una vera e propria simulazione di un’opera reale, la decorazione della tomba della Beata Aldobrandesca Ponzi a Siena, che tuttavia non traduce bidimensionalmente una tavola bensì un rilievo scultoreo (Scheda 37).

99 CAMPOREALE, Polittici murali… cit., pp. 12, 75.

100 Solo in ambito pratese si riscontra una più bilanciata compresenza di affreschi agiografici e falsi

polittici (per cui cfr. CAMPOREALE, Polittici murali… cit., pp. 50-55).

101

Una breve discussione sui diversi costi delle tavole e degli affreschi e anche tra quelli esterni e quelli interni, decisamente più cari, si trova in BOSKOVITS, La pittura… cit., pp. 169-172.

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A

NNOTAZIONI

Pertinenza o meno agli altari e posizione in chiesa

Sono relativamente pochi gli affreschi agiografici toscani che possono essere collegati con qualche sicurezza all’altare di una cappella. I documenti ci soccorrono solo per alcuni casi aretini e pistoiesi e del resto alcuni esempi dimostrano che la pertinenza ad una mensa eucaristica non era una regola fissa.

Alla Madonna col Bambino e Storie dei Santi Cristoforo e Giacomo Maggiore nel Duomo di Arezzo di Andrea di Nerio si collega l’atto di commissione della famiglia Bertoldini al pittore insieme a Francesco Talenti per la parte scultorea (Scheda 39), mentre un documento induce a ritenere che il tardo Sant’Antonio Abate di Fra’ Mariano di Giovanni in San Pier Piccolo fosse stato realizzato a decorazione di una cappella dedicata al santo (Scheda 51). Il Sant’Antonio da Padova in San Francesco invece si trova in una cappella tuttora esistente (Scheda 50). In base all’osservazione delle caratteristiche formali di altri affreschi aretini, affini in particolare all’opera di Andrea di Nerio, si può supporre, pur senza certezza, che già la Madonna col Bambino e Storie di Anna e Gioacchino di Gregorio e Donato in Duomo decorasse una mensa d’altare (Scheda 38) e così anche gli affreschi di Spinello Aretino in San Domenico e i due in Sant’Agostino a Monte San Savino (Schede 41, 42, 46, 47). In generale dunque si può affermare che ad Arezzo e nell’aretino gli affreschi agiografici erano solitamente intesi come decorazione d’altare, con le poche ma significative eccezioni della Santa Monaca di Santa Maria in Campo Arsiccio (Scheda 40), del San Martino di Lucignano (Scheda 43), del San Giovanni Gualberto e del San Biagio di San Salvatore a Soffena (Schede 44, 45), impiegati come semplice decorazione parietale.

Sembrano tutti riferibili ad un altare di patronato privato anche gli affreschi agiografici di San Lorenzo a Pistoia. Per uno di essi, l’Assunzione della Vergine con San Tommaso che riceve la Cintola e Storie di Eva e Maria (Scheda 24), l’informazione viene direttamente da un’iscrizione posta in calce all’immagine principale che la associa ad un sepolcro (e probabilmente, in ultima analisi, ad un altare). Agli altri affreschi sembrano collegabili alcuni documenti relativi alla fondazione o all’ufficiatura di altari secondari dedicati ai santi raffigurati (Schede 25- 27). La testimonianza di questi e altri altari lungo le pareti della navata suggerisce anche per il San Cristoforo un simile impiego (Scheda 28).

A fronte della chiarezza aretina e pistoiese, non restano documenti che attestino la pertinenza ad un altare degli affreschi agiografici fiorentini: una simile destinazione per la cappella di una Compagnia di Laudesi si può ipotizzare per il San Marco di Pietro Nelli (Scheda 10) sulla base di informazioni che purtroppo non è possibile avvalorare con documenti; la pertinenza all’altare di una Compagnia laicale è stato supposto anche per il Sant’Antonio Abate nel convento della Santissima Annunziata (Scheda 9). È tuttavia generalmente complesso stabilire se gli affreschi localizzati sulle pareti laterali degli edifici religiosi fiorentini fossero da riferire alla cappella di una famiglia o di una Compagnia o se facessero parte solo della decorazione votiva promossa da privati ma non legata ad obblighi di un ufficio religioso: è questo il caso, tra gli altri, dei due Sant’Onofrio di Sant’Ambrogio e Santa Maria Maggiore,

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del San Vito di Bellosguardo, del San Francesco di Vicchio di Rimaggio (Schede 1, 3, 11, 15). Va del resto inteso come semplice affresco decorativo il Sant’Antonio

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