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Affreschi agiografici iconico-narrativi in Toscana (1320-1490). 'In ipso pariete expressere memoriam quorumdam miraculorum'.

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(1)

DOTTORATO DI RICERCA IN

Affreschi agiografici iconico

‘In ipso pariete expressere memoriam

Dottorando

Dott.ssa Nicoletta Matteuzzi

DOTTORATO DI RICERCA IN

"Storia dell’Arte"

CICLO XXV

COORDINATORE Prof. Antonio Pinelli

Affreschi agiografici iconico-narrativi in Toscana (1320

‘In ipso pariete expressere memoriam

quorumdam miraculorum’

Settore Scientifico Disciplinare L-ART/01

Tutori

Matteuzzi Prof.ssa Sonia Chiodo Prof.

Anni 2010/2012

DOTTORATO DI RICERCA IN

narrativi in Toscana (1320-1490)

‘In ipso pariete expressere memoriam

Tutori

Prof.ssa Sonia Chiodo Prof. Andrea De Marchi

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1

INDICE

VOL.I

PREMESSA………5

SEZIONEI–INTRODUZIONE………10

PITTURA AGIOGRAFICA IN TOSCANA FRA XIII E XV SECOLO: DALLA PALA D'ALTARE ALLA PITTURA MURALE……….11

Le premesse duecentesche……….11

Il Trecento e la comparsa degli affreschi agiografici iconico-narrativi………….16

GLI AFFRESCHI AGIOGRAFICI ICONICO-NARRATIVI IN TOSCANA: FORME E DIFFUSIONE………23 Firenze………23 Prato………...25 Pistoia……….26 Siena e Grosseto……….27 Arezzo………29

PROPOSTE PER L’ORIGINE E LA FUNZIONE DEGLI AFFRESCHI AGIOGRAFICI ICONICO-NARRATIVI TOSCANI………...32

ANNOTAZIONI………37

SEZIONE II-CORPUSDEGLIAFFRESCHIAGIOGRAFICI ICONICO-NARRATIVITOSCANI………..43

FIRENZE……….44

Scheda1. Maestro di Figline, Sant’Onofrio (Firenze, Sant’Ambrogio)…………45

Scheda 2. Pittore fiorentino della metà del XIV secolo, Sant’Onofrio (Scandicci, Santa Maria a Soffiano)………..53

Scheda 3. Bottega dell’Orcagna, Sant’Onofrio (Firenze, Santa Maria Maggiore)………..60

Scheda 4. Nardo di Cione (?), Sant’Antonio Abate (Firenze, Santa Maria nella Badia Fiorentina)………...66

Scheda 5. Pittore fiorentino della seconda metà del XIV secolo, Sant’Agostino (Firenze, Santa Maria nella Badia Fiorentina)………...72

Scheda 6. Pietro Nelli, Santa Caterina d’Alessandria (Bagno a Ripoli, Santa Caterina all’Antella)………..75

Scheda 7. Pietro Nelli, Sant’Antonio Abate (Bagno a Ripoli, Santa Caterina all’Antella)……….75

(4)

2

Scheda 8. Maestro di Barberino (?), San Biagio (Figline Valdarno,

San Francesco)………...80 Scheda 9. Pittore fiorentino (ambito di Niccolò di Tommaso?), Sant’Antonio

Abate (Firenze, convento della SS. Annunziata)………...83 Scheda 10. Pietro Nelli, San Marco (Firenze, San Marco)………88 Scheda 11. Jacopo da Firenze, San Vito (Firenze, Santi Vito e Modesto a

Bellosguardo)………..95 Scheda 12. Cenni di Francesco, Santa Apollonia (Firenze, ex-convento di

Santa Apollonia)………100 Scheda 13. Cenni di Francesco, San Lorenzo (Firenze, ex-convento di Santa

Apollonia)………..107 Scheda 14. Pittore fiorentino di fine XIV-inizio XV secolo, Sant’Antonio

Abate (Scandicci, Santa Maria a Soffiano)………110 Scheda 15. Bicci di Lorenzo, San Francesco d’Assisi (Bagno a Ripoli, San

Lorenzo a Vicchio di Rimaggio)………...114 Scheda 16. Bicci di Lorenzo, Santa Margherita d’Antiochia (Firenze,

ex-convento di Sant’Onofrio di Fuligno)………..119 Scheda 17. Mariotto di Cristofano (?), Santa Chiara d’Assisi (San Casciano

Val di Pesa, Museo, da Sant’Andrea a Luiano)……….124 Scheda 18. Mariotto di Cristofano (?), San Nicola di Bari (San Casciano

Val di Pesa, Sant’Andrea in Percussina)………...129 Scheda 19. Pier Francesco Fiorentino, Sant’Eustachio (Firenze, Villa Corsini

di Castello, depositi, da San Jacopo tra’ Fossi a Firenze)………….137

PRATO………..145

Scheda 20. Pietro di Miniato, Sant’Antonio Abate (Prato, San Bartolomeo

in via Cava)………...146 Scheda 21. Pietro di Miniato (?), Sant’Antonio Abate (Prato, San Jacopo)…….153 Scheda 22. Pittore fiorentino (ambito di Pietro di Miniato?), San Nicola di

Bari (Prato, Santa Cristina a Pimonte)………..155 Scheda 23. Antonio di Miniato (?), Sant’Antonio Abate (Prato, convento di

San Francesco)………..161

PISTOIA………165

Scheda 24. Pittore pistoiese del 1363, Assunzione della Vergine con San Tommaso che riceve la Cintola e Storie di Eva e di Maria

(Pistoia, San Lorenzo)………...166 Scheda 25. Pittore pistoiese del 1363 (?), Sant’Agostino (?) (Pistoia,

San Lorenzo)……….175 Scheda 26. Pittore pistoiese del 1363 (?), Santa Caterina d’Alessandria

(Pistoia, San Lorenzo)………...177 Scheda 27. Pittore pistoiese del settimo-ottavo decennio del XIV secolo,

Santa Margherita d’Antiochia (?) (Pistoia, San Lorenzo)…………182 Scheda 28. Maestro della Cappella Bracciolini (?), San Cristoforo (Pistoia,

(5)

3

GROSSETO………189

Scheda 29. Pittore senese della metà del XIV secolo, San Nicola da

Tolentino (Massa Marittima, San Pietro all’Orto)……….190

SIENA………197

Scheda 30. Ambito di Jacopo di Mino del Pellicciaio, San Nicola da

Tolentino (Montalcino, Sant’Agostino)……….198 Scheda 31. Pittore senese del sesto decennio del XIV secolo, Beato Gerardo

da Valenza (Monticchiello, Santi Leonardo e Cristoforo)………….206 Scheda 32. Seguace di Jacopo di Mino del Pellicciaio, Beato Gerardo da

Valenza (Asciano, San Lorenzo nel convento di San Francesco)….212 Scheda 33. Seguace di Bartolo di Fredi, Sant’Antonio Abate (Montalcino,

Sant’Agostino)………..216 Scheda 34. Jusafa di Filippo Mei (?), Sant’Antonio Abate (Asciano, San

Lorenzo nel convento di San Francesco)………..224 Scheda 35. Pittore toscano dell’inizio del XV secolo, Sant’Antonio Abate

(Montepulciano, San Giovanni in Poggiolo)……….228 Scheda 36. Seguace di Matteo di Giovanni, San Bernardino da Siena

(Piancastagnaio, San Francesco nel convento di San Bartolomeo)..231 Scheda 37. Guidoccio Cozzarelli, Beata Aldobrandesca Ponzi (Siena,

Pinacoteca Nazionale, da Santa Petronilla degli Umiliati)………...237

AREZZO………243

Scheda 38. Gregorio e Donato d’Arezzo, Madonna col Bambino con Storie di Anna e Gioacchino e di San Giuliano (Arezzo, Duomo)………. 244 Scheda 39. Andrea di Nerio, Madonna col Bambino con Storie dei Santi

Cristoforo e Giacomo Maggiore (Arezzo, Duomo )……….250 Scheda 40. Pittore toscano del settimo-ottavo decennio del XIV secolo,

Santa Monaca (Terranuova Bracciolini, Santa Maria in

Campo Arsiccio a Campogialli)………255 Scheda 41. Spinello Aretino, Madonna col Bambino con Storie di San

Cristoforo (Arezzo, San Domenico)………..258 Scheda 42. Spinello Aretino, Santi Filippo e Giacomo Minore (Arezzo, San

Domenico)……….262 Scheda 43. Pittore senese della fine del XIV secolo, San Martino

(Lucignano, San Francesco)………..266 Scheda 44. Pittore aretino dell’inizio del XV secolo, San Biagio

(Castelfranco di Sopra, San Salvatore nella Badia di Soffena)…….271 Scheda 45. Bicci di Lorenzo, San Giovanni Gualberto (Castelfranco di

Sopra, San Salvatore nella Badia di Soffena)………276 Scheda 46. Ambito di Spinello Aretino, San Lorenzo (Monte San Savino,

Sant’Agostino)………..283 Scheda 47. Giovanni d’Agnolo di Balduccio, San Giovanni Evangelista

(Monte San Savino, Sant’Agostino)………..290 Scheda 48. Giovanni di ser Giovanni detto lo Scheggia, Sant’Antonio Abate

(6)

4

Scheda 49. Bartolomeo della Gatta, Santa Caterina da Siena (Cortona, San

Domenico)……….299

Scheda 50. Lorentino d’Andrea, Sant’Antonio da Padova (Arezzo, San Francesco)………..303

Scheda 51. Fra’ Mariano di Giovanni, Sant’Antonio Abate (Arezzo, San Pier Piccolo)………..308

OPERE PERDUTE………..312

Scheda 52. Pittori lucchesi, Beato Gerardo da Valenza (già Lucca, San Francesco)………..313

Scheda 53. Spinello Aretino, Sant’Antonio Abate (già Arezzo, Sant’Antonio Abate)………315

Scheda 54. Bicci di Lorenzo, Bonaiuto di Giovanni, Stefano d’Antonio, San Giovanni Battista (Firenze, monastero di San Salvatore a Camaldoli)………..316

SEZIONE III - TRECASIESEMPLARI………317

RIFLESSIONI SUL CULTO DI SANT’ONOFRIO A FIRENZE NEL XIV SECOLO……318

Fonti letterarie per le storie di Sant’Onofrio e San Pafnuzio………...318

Ulteriori testimonianze pittoriche di Sant’Onofrio a Firenze………..320

Tintori ed eremiti. Luoghi fiorentini dedicati a Sant’Onofrio………..325

GLI AFFRESCHI TRECENTESCHI NEL CONVENTO DI SANTA APOLLONIA A FIRENZE………329

Storia del monastero (dalla fondazione all'inizio del XV secolo)………329

L’oratorio e i suoi affreschi………..334

La prima fase decorativa………..336

Gli affreschi di Cenni di Francesco: lettura iconografica………339

Ipotesi sulla destinazione originaria e un documento inedito………..347

GLI AFFRESCHI TRECENTESCHI DELLA CHIESA DI SAN LORENZO A PISTOIA…352 Storia dell’edificio………352

Gli affreschi trecenteschi……….360

SEZIONE IV – APPARATI………...380

REGESTO DOCUMENTARIO………..381

TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI………..403

BIBLIOGRAFIA……….404

VOL. II

SEZIONE V – IMMAGINI FIGG.1-709

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5

P

REMESSA

Il titolo di questa ricerca prende spunto dall'esplicito riferimento ad un affresco agiografico iconico-narrativo individuato nelle fonti e nei documenti consultati per la realizzazione di questo lavoro. Si tratta di un passo tratto dalla Vita della beata senese Aldobrandesca Ponzi scritta all'inizio del Cinquecento da un autore ancora senza nome in cui si rammenta la decisione di decorare il nuovo sepolcro della Beata con un affresco che attraverso la raffigurazione di alcuni miracoli tramandasse la memoria delle sue virtù1. L’opera è la più recente tra quelle collazionate ed è tuttora esistente, ancorché mutila, presso la Pinacoteca Nazionale di Siena (Scheda 37). Un altro passo relativo ad un affresco con scene narrative si trova nella Legenda del Beato Gerardo da Valenza scritta da fra’ Bartolomeo degli Albizi nel 1347, in riferimento ad un’opera dedicata al beato nella chiesa di San Francesco a Lucca nel 1346, purtroppo perduta (Scheda 52): “…misit ad expensas suas Pisas duos pictores, qui, forma accepta de figura Sancti Gerardi et de ipsius informati miraculis, reversi Lucam, ipsum in ecclesiam Fratrum Minorum pinxerunt solemniter, ipsam imaginem sexdecim miraculis de patratis per eum mirabiliter accingentes”2.

Questa ricerca riguarda una specifica tipologia di pitture murali: quelle cioè dedicate alla raffigurazione di un santo in posa stante, o più raramente in trono, affiancato da un numero variabile di episodi della sua vita, secondo uno schema che richiama le tavole agiografiche due e trecentesche ed effettivamente ne deriva. Tuttavia il rapporto tra affreschi e tavole che questa ricerca, tra le altre cose, si è prefissa di indagare, si è rivelato meno stringente di quanto inizialmente supposto, poiché i primi acquisiscono fin dalle loro più antiche attestazioni caratteristiche peculiari e il ricorso ai modelli offerti dalle seconde è piuttosto modesto.

Sono state accolte nel corpus anche le opere in cui le scene narrative sono disposte su un solo lato e quelle, liminali rispetto alla categoria principale, che prevedono la presenza di una sola storia su ciascun lato. Sono state invece espunte le pitture in cui le storie trovano posto in basso, in una sorta di predella, perché corrispondenti ad un modello di riferimento che, semplificando, può essere individuato nella "pala da pilastro", diverso dalla tavola agiografica propriamente intesa.

Nel testo che segue ci si riferisce alle opere classificate come “affreschi agiografici iconico-narrativi”, dove il primo termine richiama la presenza dell’immagine del santo al centro, mentre il secondo quella delle storie laterali. D’altra parte, per brevità, nel testo potrà essere usata anche la forma “affreschi agiografico-narrativi” o anche solo “affreschi agiografici”, laddove sia chiaro che non ci si stia riferendo a cicli estesi alle pareti di una chiesa o di una cappella, essi stessi, propriamente, agiografici. Il termine “affresco” viene usato, per comodità, per indicare genericamente le opere del corpus, sebbene un numero minimo di esse non risulti realizzato a buon fresco. Del resto, nelle relative schede si specificano i casi in cui si tratti di pitture murali a secco.

I limiti cronologici della ricerca sono dettati dalle stesse opere raccolte, di cui si

1 La Vita di beata Aldobrandesca di casa Pontii da Siena, Siena 1529; questa Vita è riportata negli

Acta Sanctorum (AA.SS.), Apriliis III, Antverpiae 1675, pp. 466-472 (la citazione è a p. 471).

2

M. BACCI, Le Bienheureux Gérard de Valenza, O.F.M.: images et croyances dans la Toscane du

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segue lo sviluppo dalle loro prime attestazioni verso l’inizio del terzo decennio del XIV secolo, fino al loro esito estremo verso il 1490 con la citata decorazione della tomba della Beata Aldobrandesca. È appena il caso di precisare che una ricerca del genere si basa necessariamente sulle opere superstiti, pur tenendo costantemente conto della possibile, anzi probabile, perdita di alcuni esemplari e non potendo perciò escludere a priori l’esistenza di altri esempi al di là dei limiti cronologici individuati. La ricerca sistematica degli affreschi agiografici iconico-narrativi si è avvalsa, oltre che delle non numerose citazioni di queste opere in testi editi, del supporto offerto dagli Archivi Fotografici e dai Centri di Documentazione delle Soprintendenze toscane, ma anche dell’ampia raccolta della Fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze. Il risultato dell’indagine ha mostrato che questo genere di opere è diffuso quasi esclusivamente nella Toscana centro-orientale, in una zona che comprende Pistoia, Prato, Firenze, Arezzo e Siena. A parte l’affresco di San Nicola da Tolentino localizzato a Massa Marittima (Scheda 29), centro del resto gravitante su Siena fin dalla seconda metà del Duecento, e il perduto affresco del Beato Gerardo da Valenza a Lucca (Scheda 52), la Toscana occidentale risulta, allo stato attuale delle conoscenze, sprovvista di affreschi agiografici iconico-narrativi, nonostante quest’area abbia conosciuto nel XIII secolo un’ampia diffusione delle tavole agiografiche3 [FIG. 1].

Il materiale raccolto è stato suddiviso in base alle attuali Province della Toscana: Firenze, Prato, Pistoia, Grosseto, Siena, Arezzo. All’interno di ciascun insieme, comprendente le opere localizzate nei centri cittadini e nei rispettivi contadi, le opere sono presentate secondo un criterio cronologico. Era stata accarezzata inizialmente l’ipotesi di utilizzare come criterio di partizione l’antica divisione territoriale per Diocesi, ma il progetto è stato abbandonato in favore delle Province perché le aree geografiche da esse circoscritte risultavano più funzionali all’individuazione delle diverse peculiarità stilistiche e formali dei vari gruppi di opere secondo l’influenza fiorentina, senese, aretina e, marginalmente, pistoiese.

In virtù della particolarità delle opere trattate è stata dedicata notevole attenzione ai possibili riferimenti letterari per le narrazioni figurate, anche allo scopo di individuare, dove possibile, in che modo e in quale grado i testi agiografici potessero influire sulle rappresentazioni, soprattutto nei casi in cui i piccoli cicli dimostrano di seguire uno sviluppo narrativo coerente e puntuale. Gli Acta Sanctorum, le raccolte delle vite dei santi pubblicate dai Bollandisti tra il 1643 e il 1940, hanno costituito un

3 Nella Toscana nord-occidentale è noto a chi scrive un solo altro affresco agiografico-narrativo nella

chiesa di Sant’Agostino a Pietrasanta, che si è deciso di non comprendere nel catalogo di questa ricerca perché databile verso la fine del XVI secolo e dunque avulso dallo sviluppo organico di questo genere decorativo. I pochi frammenti superstiti non consentono di individuare il protagonista del piccolo ciclo, che doveva svilupparsi in una serie di quattro storie su ciascun lato dell’immagine centrale e una serie disposta in orizzontale sopra di essa; la chiesa di Sant’Agostino a Pietrasanta e la sua decorazione ad affresco sono state l’oggetto della tesi di laurea specialistica in Storia dell’Arte di Alice Bernieri, seguita da Andrea De Marchi: Pitture murali trecentesche a Pietrasanta, Università degli studi di Firenze, a.a. 2007/2008, pp. 233-242; si veda anche A. BERNIERI, Fra dipinti fuori

contesto e opere poco visibili. Un percorso nella pittura del Trecento a Pietrasanta, in “Predella”, I,

2010, pp. 110-127, LI-LVI. La ricerca sui falsi polittici ad affresco condotta da Elisa Camporeale ser. LXII ha dimostrato l’assenza anche di questo genere di opere nella Toscana nord-occidentale (E. CAMPOREALE, Polittici murali del Trecento e del Quattrocento, un percorso dall’Umbria alla

Toscana, in “Atti e memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere ‘La Colombaria’”, LXXVI,

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7

importante supporto per il reperimento di informazioni biografiche complete sulla maggior parte dei santi raffigurati negli affreschi4. Riferimenti principali ed inevitabili di questa ricerca sono in ogni caso i due testi più largamente diffusi in Toscana a partire dagli ultimi decenni del XIII secolo e i primi del XIV: la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine5 e il volgarizzamento delle Vite dei Santi Padri curato da Domenico Cavalca6, entrambi estremamente popolari in ambienti sia religiosi sia laici e in strati sociali diversificati. Il ricorso a questi testi era vasto e tuttavia non esclusivo, ampiamente integrato dall’utilizzo di testi meno canonici ma ugualmente noti, seppur in aree più ristrette (talvolta assolutamente limitate). In particolare esiste una vasta produzione di destinazione privata o comunitaria di raccolte miscellanee in cui alcuni testi agiografici vengono associati ad altre letture devote7. Le Vite di

4

Cfr. R. GODDING, Bollandistes, saints et légendes. Quatre siècles de recherche, Bruxelles 2007. De

Rosweyde aux Acta Sanctorum. La recherche hagiographique des Bollandistes à travers quatre siècles, Actes du Colloque international (Bruxelles 2007), a cura di R. Godding, Bruxelles 2009.

5 JACOPO DA VARAGINE, Legenda Aurea, edizione critica a cura di G. P. Maggioni, Firenze 1998.

La tipologia testuale della Legenda Aurea, un’ampia raccolta di vite sante e leggende agiografiche redatta prima del 1267, rientra nel novero delle cosiddette legendae novae, racconti incentrati sulle vicende dei campioni della fede riadattati e collazionati in raccolte destinate principalmente all’impiego da parte dei predicatori durante le omelie, per favorire la comprensione dei concetti espressi da parte dei diversi strati della popolazione, a cui questi racconti o exempla edificanti erano indirizzati: cfr. G. PHILIPPART, Les légendiers latins et autres manuscrits hagiographiques, (Typologie des sources du Moyen Age Occidental, 24-25), Turnhuot 1977, pp. 24, 45-48. I primi compilatori di questo genere di leggendari sono i domenicani Jean de Mailly e Bartolomeo da Trento: il primo compose la sua Abbreviatio in gestis et miraculis sanctorum nel 1225, apportandovi poi alcune modifiche nel 1243, dopo l’ingresso nell’Ordine Domenicano. A Bartolomeo da Trento si deve il primo leggendario italiano, il Liber epilogorum de gestis sanctorum nel 1244 (cfr. C. DELCORNO,

Exemplum e letteratura. Tra Medioevo e Rinascimento, Bologna 1989, pp. 80-81; per un’edizione

critica dei due testi cfr. J. DE MAILLY, Abrégé des gestes et miracles des saints, a cura di A. Dondaine, Paris 1947; B. DA TRENTO, Liber epilogorum de gestis sanctorum, a cura di E. Paoli, Tavarnuzze [FI] 2001). Si tratta di testi strutturati secondo il calendario liturgico, che inseriscono la vita dei santi nel giorno della loro festa, corrispondente solitamente a quello della morte. Le opere di questi due autori costituiscono la base di partenza per quella di Jacopo, sia da un punto di vista contenutistico che strutturale; accurate analisi della struttura della Legenda Aurea sono offerta da: A. BOUREAU, La légend dorée. Le système narratif de Jacques de Varagine († 1298), Paris 1984; G. P. MAGGIONI, Ricerche sulla composizione e sulla trasmissione della “Legenda Aurea”, Spoleto 1995; IDEM, Le molte Legende Auree. Modificazioni testuali e itinerari narrativi, in De la santité a

l’hagiographie. Gènese et usage de la Légende dorée, a cura di B. Fleith, F. Morenzoni, Droz 2001,

pp. 15-40. La crescente autorevolezza del testo fin dai primi anni della sua stesura si può dedurre dall’impiego di alcuni suoi passi nelle raccolte di sermoni: è il caso precoce del sermonario del domenicano vicentino Bartolomeo di Breganze, per cui cfr. L. GAFFURI, Du texte au texte.

Réflexions sur la première diffusion de la Legenda aurea, in De la santité… cit., pp. 139-145.

6 D. CAVALCA, Vite dei Santi Padri, edizione critica a cura di C. Delcorno, 2 voll., Firenze 2009.

L’opera del Cavalca, anch’essa dovuta al favore dei Domenicani per la letteratura esemplaristica, si concentra su un numero limitato di agiografie, basandosi sulla raccolta latina delle Vitae Patrum, dedicata alle vite dei padri del deserto, la cui tradizione risale all’incirca al VI-VII secolo. Le Vite dei

Santi Padri, tradotte nel convento di Santa Caterina a Pisa verso il secondo decennio del XIV secolo,

ebbero una immediata e vasta diffusione (anche di testi parziali) in ampi strati sociali, sia religiosi che laici. In particolare la raccolta è attestata a Firenze almeno negli anni trenta del Trecento e anzi il contributo dei copisti fiorentini sembra essere stato rilevante per la stabilizzazione linguistica e contenutistica del testo (cfr. C. DELCORNO, Premessa, in ivi, pp. IX-XIV). A Firenze continua tuttavia anche la diffusione delle Vitae Patrum in latino, come testimoniano i numerosi manoscritti conservati presso la Biblioteca Medicea Laurenziana, per cui cfr. R. E. GUGLIELMETTI, I testi

agiografici latini nei codici della Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze 2007.

7 Gli stessi testi delle Vite dei Santi Padri e della Legenda Aurea potevano essere isolati e trascritti in

questo genere di volumi, tramite i quali trovavano ulteriore diffusione probabilmente anche in ambito laico e privato: cfr. C. DELCORNO, La tradizione delle “Vite dei Santi Padri”, Venezia 2000, pp. 509-532, in particolare pp. 521, 524, 531. Manca purtroppo ad oggi uno studio sistematico di simili

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Sant’Onofrio e di Santa Apollonia analizzate nelle schede relative rappresentano in questo senso due casi esemplari (Schede 3, 12). Si è prestato inoltre attenzione alle Vite e alle Legende dei beati (o “santi novelli”, secondo un’accezione usata anche in questo testo), redatte solitamente in funzione del loro processo di canonizzazione, le quali raccolgono da un lato i fatti più caratterizzanti della loro vita e della loro spiritualità sulla base di racconti di persone che avevano conosciuto il beato, dall’altro una serie di testimonianze variamente rese sui miracoli e gli interventi prodigiosi che si ritenevano operati dal beato in vita o per sua intercessione dopo la morte8.

Il lavoro si struttura in tre sezioni principali, integrate da una sezione di apparati e una di immagini. Nella prima si è inteso offrire una panoramica della produzione delle tavole agiografiche dal XIII al XV secolo, allo scopo di fornire di volta in volta gli elementi per valutare il rapporto con possibili modelli o soluzioni alternative nell'ambito della produzione su tavola. Segue quindi una sintesi di quanto emerso nel corso della ricerca a proposito delle singole aree geografiche, mentre i restanti due capitoli sono dedicati a puntualizzare l’origine e la funzione precipua degli affreschi agiografici iconico-narrativi nel contesto dello spazio sacro e liturgico di un edificio medievale. La seconda sezione è costituita dalla schedatura delle oltre cinquanta opere rintracciate. Ad una breve biografia artistica dell’autore (laddove noto), segue la descrizione dell’opera e la trascrizione delle eventuali iscrizioni; si affrontano poi le vicende storico-conservative e critiche e infine si propone un commento critico. Per brevità le opere vengono indicate col solo riferimento al soggetto principale, sottintendendo la precisazione “e storie della sua vita”; così anche nel caso in cui si tratti di un singolo frammento raffigurante un solo episodio narrativo. Nella parte relativa al commento si sono affrontate questioni di carattere prevalentemente iconografico e stilistico. Nel primo caso si è cercato di rintracciare le fonti delle scene e di ipotizzare possibili integrazioni nei casi in cui la narrazione fosse lacunosa. Da un punto di vista stilistico si è invece cercato di fornire una motivata classificazione critica. La terza sezione è dedicata all’approfondimento in forma di saggio di tre casi esemplari tra le opere schedate. Il primo saggio è incentrato su tre affreschi fiorentini dedicati a Sant’Onofrio e cerca di approfondire il carattere del culto tributato a questo santo nella città in particolare intorno alla metà del Trecento e il rapporto tra opere e testi agiografici. Un oratorio pertinente all’ex-convento di Santa Apollonia a Firenze decorato da affreschi di Cenni di Francesco è invece il tema del secondo saggio. Le particolarità strutturali ed iconografiche dell’ambiente e della sua decorazione sono lo spunto per alcune considerazioni sulla funzione di questo spazio sacro e quindi sul rapporto tra quest'ultimo e gli affreschi agiografici iconico-narrativi, che predominano nella decorazione. Il terzo saggio infine è dedicato alla ex-chiesa di San Lorenzo a Pistoia, dove, diversamente dal caso appena

manoscritti.

8

Si vedano ad esempio i casi di San Nicola da Tolentino e Santa Margherita da Cortona: D. GENTILI,

Le fonti per la conoscenza di San Nicola: il processo, i sommari, la biografia di Pietro da Monterubbiano, in San Nicola, Tolentino, le Marche. Contributi e ricerche sul processo (a. 1325) per la canonizzazione di San Nicola da Tolentino, Atti del Convegno internazionale di studi (Tolentino

1985), Tolentino (MC) 1987, pp. 197-201; J. CANNON, A. VAUCHEZ, Margherita da Cortona e il

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ricordato, gli affreschi agiografico-narrativi sono sempre collegati ad altari (e relative sepolture), per i quali svolgono una funzione assimilabile a quella della pala d’altare. Supporto indispensabile alla ricerca è stata una approfondita ricognizione dei documenti d'archivio editi e inediti conservati presso l’Archivio di Stato di Firenze, oltre che delle fonti a stampa.

La tesi è conclusa da una sezione di apparati: oltre ad una tavola delle abbreviazioni, vi si trova un regesto documentario comprendente una Vita inedita di Sant’Onofrio tratta da un codice conservato presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze (Cod. Ricc. 1316) e documenti relativi a Santa Maria Maggiore e Santa Apollonia a Firenze e a San Lorenzo a Pistoia, tutti reperiti nei fondi dell’Archivio di Stato di Firenze. La bibliografia di fonti edite ed inedite conclude il primo volume.

Il secondo volume contiene la quinta sezione, ovvero l’apparato di immagini, con relative didascalie.

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10

SEZIONE I

(13)

11

P

ITTURA AGIOGRAFICA IN

T

OSCANA FRA

XIII

E

XV

SECOLO

:

DALLA PALA D

'

ALTARE ALLA PITTURA MURALE

Le premesse duecentesche

Ricercando le origini bizantine delle tavole agiografiche occidentali si è soliti rivolgere l’attenzione a un gruppo di icone prodotte presso il monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai a partire dalla prima metà del XIII secolo, considerate i più diretti antecedenti di quelle occidentali. Si tratta di tavole in cui l’immagine del santo, stante o a mezzo busto, è incorniciata sui quattro lati da episodi della sua vita disposti secondo una sequenza cronologica9 [FIG. 2]. I contatti con l’Oriente giustamente individuati alla base della produzione di opere simili in Occidente trovano conferma, oltre che nella chiara analogia formale, nei dati tecnici delle più antiche tavole toscane con scene narrative: alcune opere del senese Maestro di Tressa, come l’antependium del Redentore datato 121510 [FIG. 4] e il paliotto di San Zanobi del Maestro del Bigallo, eseguito entro il 1230 per l’altare del santo in Santa Reparata a Firenze11 [FIG. 5], sono realizzati su tavole “scavate” nel massello, per cui il piano di posa della pittura è un tutt’uno con la cornice a rilievo, secondo un procedimento tipico delle icone bizantine12. La funzione di questi antependia con scene narrative, piuttosto diffusi verso il primo terzo del XIII secolo13, sembra essere stata quella di fornire un supporto visivo alle celebrazioni degli offici liturgici relativi

9

N. PATTERSON ŠEVČENKO, The Vita Icon and the Painter as Hagiographer, in “Dumbarton Oaks Papers”, LIII, 1999, pp. 149-165, in particolare pp. 150-153. Secondo la studiosa si contano circa una dozzina di icone sinaitiche, dedicate ai principali santi della devozione medio orientale come San Nicola di Myra, Santa Caterina d’Alessandria, San Giorgio, San Michele Arcangelo; tuttavia l’icona agiografica più antica pare essere quella frammentaria di Santa Marina da Philoussa, sull’isola di Cipro, risalente verosimilmente al tardo XII secolo.

10 P. TORRITI, La Pinacoteca Nazionale di Siena. I dipinti dal XII al XV secolo, Genova 1977, p. 20. 11 M. BOSKOVITS, A critical and historical corpus of Florentine painting. The origin of Florentine

painting (1110-1270), sez. I, vol. I, Firenze 1993, pp. 90, 292-303. Il santo in trono al centro è

affiancato dai Santi Eugenio e Crescenzio e più all’esterno da quattro storie di suoi miracoli. Si tratta di una particolare tipologia di reliquiario, poichè l'opera è eseguita sul legno dell’olmo miracoloso di Piazza San Giovanni, che, ormai secco, sarebbe rinverdito al contatto col corpo del vescovo Zanobi durante la processione funebre di quest'ultimo.

12 E. BARTOLOZZI, A. SANTACESARIA, Il supporto “scavato” del Dossale di San Zanobi: il

punto di partenza per un’identificazione di una tipologia costruttiva dei dipinti su tavola, in “OPD

Restauro”, XVII, 2005, pp. 273-284. Questo procedimento tecnico, in effetti piuttosto diffuso nel XIII secolo, si riscontra anche in opere che non presentano scene narrative e già a partire dalla seconda metà del XII secolo, come ad esempio nell’icona bizantina con la Vergine Glykophilousa del Byzantin and Christian Museum di Atene e nella pisana Madonna col Bambino di “…nellus” del Museo Nazionale di San Matteo a Pisa della prima metà del Duecento (cfr. M. BACCI e L. CARLETTI, in

Cimabue a Pisa. La pittura pisana del Duecento da Giunta a Giotto, catalogo della mostra [Pisa

2005], a cura di M. Burresi, A. Caleca, Ospedaletto [PI] 2005, pp. 132, 172). Le cornici di questi

antependia, decorate con pastiglie, pietruzze e vetri vogliono simulare la presenza davanti all’altare di

un oggetto di oreficeria e hanno anch’esse un parallelo nell’arte bizantina: cfr. M. FRINTA, Raised

gilded adornment of the Cypriot icons, and the occurrence in the tecnique in the West, in “Gesta”, XX,

1981, pp. 333-347.

13 Particolarmente numerosi sono gli esemplari pervenutici eseguiti dal Maestro di Tressa. Oltre al

paliotto del Redentore, spettano a questo pittore la cosiddetta Madonna dagli occhi grossi, frammento di un paliotto già sull’altare maggiore del Duomo di Siena; il paliotto eponimo con la Madonna col

Bambino e storie dell’Incarnazione (quasi del tutto resecate), proveniente dalla chiesa di Santa Maria

a Tressa presso Siena, ora nel Museo Diocesano di Arte Sacra di Siena; i due paliotti di cui dovevano far parte rispettivamente le tavolette erratiche con storie di Sant’Andrea e Santa Margherita e quelle con Storie della Vera Croce e dell’Incarnazione. Queste opere sono analizzate in V. SCHMIDT, Note

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al soggetto rappresentato, oltre ad un adeguato ornamento dell’altare (fisso o mobile)14.

La tipologia orientale della Vita-Icon trova vasta diffusione nell’ambiente occitano, soprattutto dopo l’instaurazione del Regno Latino di Costantinopoli, seguito alla conquista crociata della città nel 120415. Molte delle icone agiografiche del Sinai si devono a committenti occidentali, come testimoniano le vesti delle figure rappresentate in orazione ai piedi del santo16 [FIG. 3]. Si comprende così la rapida esportazione della tipologia nelle terre d’origine dei committenti e il suo impiego anche in tecniche differenti, attestato dalla decorazione ad affresco del catino absidale di una cappella scoperta nella moschea della Kalendherane Camii a Istanbul, dove l’immagine di San Francesco d’Assisi è affiancata da piccole storie della sua vita e dei suoi miracoli, tra cui si riconoscono almeno le scene della Predica agli uccelli e dell’Esorcismo della donna di Narni [FIGG. 6-8]. I pochi frammenti superstiti rinvenuti nel 1967 si trovano ora nell’Arkeoloji Müzesi di quella città e permettono di ricostruire la disposizione delle dieci scene narrative su tre registri ai lati della figura principale, secondo uno schema che riprende solo in linea generale quello delle icone del Sinai circondate dalle storie e sembra rifarsi più direttamente alla tipologia occidentale, che prevede solo storie laterali17. Benché l’ambito di produzione di questa prima testimonianza di affresco agiografico iconico-narrativo non sia stato ancora del tutto chiarito, la critica è comunque concorde nel ritenere il ciclo opera di un artista occidentale (francese o centro-italiano) attivo in Oriente

14 M. BACCI, The Berardenga antependium and the Passio Ymaginis office, in “Journal of the

Warburg and Courtauld Institutes”, LXI, 1998, pp. 1-16, in particolare p. 16; qui l’autore accerta la provenienza del paliotto del Redentore dalla Badia Berardenga dedicata ai Santi Salvatore e Alessandro sulla base dell’analisi iconografica delle scene delle leggende del Miracolo del Crocifisso

di Beirut, dell’Invenzione della Croce e quella dell’ultima scena col Martirio di Sant’Alessandro con Evanzio in rapporto con la dedicazione dell’abbazia e con l’officio della “Passio Ymaginis”, relativa al

miracoloso crocifisso siriano.

15 Kurt Weitzmann individua nel periodo del Regno Latino di Costantinopoli, che garantì quasi un

secolo di stabile dominazione occidentale in Medio Oriente, il momento di massima diffusione degli stilemi bizantini tra gli artisti ponentini: K. WEITZMANN, Crusader icons and Maniera Greca, in

Byzanz und der West. Studien zur Kunst des europäischen Mittelalters, Wien 1984, pp. 143-170, in

particolare pp. 145-147.

16 PATTERSON ŠEVČENKO, The Vita Icon… cit., pp. 158, 161-165. Ai piedi del San Nicola

proveniente dalla chiesa di San Nicola tes Steges di Kakopetria a Cipro (altro fervente centro di produzione di icone agiografiche, soprattutto verso la fine del XIII secolo), ora nel Museo di Nicosia, si trova l’immagine di un soldato latino. Patterson Ševčenko ha suggerito in effetti che una delle possibili ragioni alla base della diffusione della tipologia agiografica del Duecento si trovasse la comprensibilità universale delle immagini rispetto ai testi, necessaria in un contesto cosmopolita e interculturale come quello dell’Oriente latino (e segnatamente l’area del Sinai).

17 C. L. STRIKER, Crusader Painting in Constantinople: the findings at the Kalenderhane Camii, in

Il Medio Oriente e l’Occidente nell’arte del XIII secolo, Atti del XXIV Congresso Internazionale di

Storia dell’arte (Bologna 1979), a cura di H. Belting, Bologna 1982, pp. 117-121. La cappella di San Francesco dovette essere occultata già poco dopo il 1261; tra il 1968 e il 1979 l’affresco fu sottoposto ad un restauro conservativo curato da Ernest Hawkins, Franca Callori e Mario Lolli Ghetti che operarono lo stacco, la pulitura e l’assemblamento dei frammenti. L’impiego della tipologia agiografica in affresco è testimoniato anche dal San Nicola del tardo XIV secolo nella chiesa dei Carmelitani di Famagosta a Cipro, che conserva almeno una scena in alto a sinistra dell’immagine del santo in cui la presenza di tre figure bendate e inginocchiate e del santo vescovo permettono di identificare il Salvataggio dei tre innocenti: una riproduzione in bianco e nero dell’opera si trova in M. BACCI, San Nicola. Il grande taumaturgo, Roma 2009, fig. 5.10; Michele Bacci ritiene l’affresco opera di un artista greco che si adegua allo stile latino e finalizzato alla fruizione da parte di un pubblico variegato (ivi, pp. 161-162).

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entro il 1261, anno della riconquista greca di Costantinopoli18.

D’altra parte la tipologia agiografica è attestata nell’Oriente bizantino almeno dall’XI secolo, epoca a cui risale un trittico realizzato sul Sinai con San Nicola al centro, affiancato dalle sue storie contenute nei pannelli laterali19. All’influsso di una precoce produzione di opere narrative orientali potrebbe essere collegata la diffusione in Occidente delle croci istoriate con Storie della Passione nei tabelloni laterali, a partire dai primi decenni del XII secolo con la Croce di San Frediano a Pisa, per cui è stata proposta una datazione agli anni dieci20 e la Croce lucchese di Guglielmo del Duomo di Sarzana, datata al 113821. Del resto la presenza latina in Terrasanta ben prima della conquista di Costantinopoli giustifica l’ipotesi di scambi artistici tra Oriente bizantino e Occidente già prima del XIII secolo, resi peraltro possibili anche dai contatti commerciali che ad esempio Pisa intratteneva con Costantinopoli almeno dall’XI secolo22.

La tipologia agiografica tuttavia non viene accolta e riproposta pedissequamente in

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Cecil Striker, seguito da Kurt Weitzmann, rilevando il carattere non totalmente occidentale bensì levantino dell’affresco, aveva proposto di collegare la pittura con lo stile della cosiddetta Bibbia dell’Arsenale di Parigi, miniata da un artista di cultura francese di metà Duecento (STRIKER,

Crusader Painting… cit., pp. 119-120; WEITZMANN, Crusader icons… cit., p. 145). Recentemente

Mariagiulia Burresi e Antonino Caleca, pur concordando con una datazione verso la metà del XIII secolo, hanno invece messo in relazione la pittura costantinopolitana con la produzione di Giunta Pisano, in particolare coi dossali istoriati di San Francesco a lui attribuibili (conservati al Museo Nazionale di San Matteo a Pisa, nel Tesoro della Basilica di San Francesco ad Assisi e nella Pinacoteca Vaticana), propendendo per un’origine pisana dell’autore (M. BURRESI, A. CALECA,

Pittura a Pisa da Giunta a Giotto, in Cimabue… cit., pp. 65-90, in particolare p. 74). Andrea De

Marchi mi suggerisce d’altra parte l’accostamento dei frammenti costantinopolitani con le miniature della cosiddetta Bibbia di Corradino conservata nella Walters Art Gallery di Baltimora, il cui autore è stato ritenuto a volte umbro, siciliano, bolognese, veneziano, pisano, laziale; l’unico opera ubicata è in un codice del Museo Nazionale di San Matteo di Pisa, proveniente da una chiesa pisana, ma la cultura figurativa non è quella tipica di Pisa verso il 1260; grazie agli affreschi della Kalendarhane Camii si può ipotizzare che fosse un artista girovago, attivo nell’Italia centrale e nel regno crociato latino. Per questo miniatore si veda in particolare R. LONGHI, Apertura sui trecentisti umbri, in “Paragone. Arte”, XVII, 1966, 191, pp. 3-17; IDEM, Postilla all’apertura sugli umbri, in “Paragone. Arte”, XVII, 1966, 195, pp. 3-8; A. LABRIOLA, in M. BOSKOVITS, A. LABRIOLA, V. PACE, A. TARTUFERI,

Officina pisana: il XIII secolo, XCIV, 2006, 834, pp. 175-178. Per la Bibbia di Corradino si veda, tra

gli altri, A. RUSSO, Su alcune novità per la Bibbia di Corradino, in “Rivista di storia della miniatura”, V, 2000 (2002), pp. 51-64.

19 WEITZMANN, Crusader icons… cit., p. 154.

20 BOSKOVITS, Corpus… cit. (I, I, 1993), p. 19 nota 14; il deciso arretramento della datazione

dell’opera di circa un secolo è stato possibile in seguito alla scoperta di uno strato pittorico più antico e ben conservato che avvicina questa Croce a quella di Rosano. Risalgono all’inizio del XII secolo anche i Crocifissi pisani delle chiese di San Sepolcro e Santa Cristina a Pisa, quest’ultimo ora nel santuario di Santa Caterina a Siena (ivi, pp. 35-39, 206-217).

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BOSKOVITS, Corpus… cit. (I, I, 1993), p. 13. In Toscana esistono diversi esempi duecenteschi di questa tipologia: la Croce ritenuta opera di un maestro greco operante a Pisa, ora conservata nel locale Museo Nazionale di San Matteo, riferibile al primo decennio del XIII secolo; le Croci di ambito pisano riferibili alla metà del XIII secolo, tra cui quelle di Enrico di Tedice di San Martino a Pisa e San Giovanni a Vicopisano, quella di Michele di Baldovino conservata al Museo di Cleveland e la più tarda croce eponima del Maestro di Santa Marta (cfr. CARLETTI, in Cimabue… cit., pp. 109-110, 136, 140, 174, 198). In ambito fiorentino si possono citare la Croce n. 432 degli Uffizi; la Croce del Museo Civico di Castiglion Fiorentino; l’opera eponima del Maestro della Croce n. 434 degli Uffizi (1240-1245); le due croci coppesche di San Gimignano e del Duomo di Pistoia, riferibili al terzo quarto del XIII secolo (cfr. A TARTUFERI, La pittura a Firenze nel Duecento, Firenze 1990, pp. 9-11, 28-29, 45, 75, 81-82; figg. 1, 9, 10, 63, 69, 79). In alcuni casi le scene narrative sono ospitate anche nei terminali: cfr. E. B. GARRISON, Italian romanesque panel painting. An illustrated index, Firenze 1949, 197-203, in particolare p. 197.

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Occidente. Le tavole con scene narrative si diffondono rapidamente in Toscana e nell’Italia centrale al servizio della predicazione francescana almeno a partire dal 1235, data riportata sulla tavola di San Francesco d’Assisi di Bonaventura Berlinghieri per la chiesa dell’Ordine a Pescia23 [FIG. 9]. Fin da subito vengono inseriti nella narrazione anche episodi miracolosi, assenti invece nelle icone bizantine24. Quest’opera mostra già una struttura di andamento verticale, col santo al centro fiancheggiato (non circondato) da due serie di storie, tipica di molte altre tavole dedicate a San Francesco, tutte databili verso la metà del XIII secolo, come quella di Giunta Pisano conservata presso il Museo Nazionale di San Matteo a Pisa25, quella del Maestro della Croce n. 434 degli Uffizi nel Museo Civico di Pistoia26 e quella attribuita a Coppo di Marcovaldo nella cappella Bardi di Vernio in Santa Croce a Firenze, dove aumenta il numero delle storie, che vengono disposte anche alla base della tavola27 [FIG. 10]. I due dossali attribuibili allo stesso Giunta, conservati nella Pinacoteca Vaticana e nel Tesoro della Basilica di San Francesco ad Assisi28 testimoniano comunque la persistenza della forma orizzontale, sintomo di una dualità che permane anche oltre la fine del secolo.

La novità sviluppata nelle ancone agiografiche occidentali di San Francesco sulla scorta della produzione duecentesca di icone sinaitiche riguarda dunque non tanto l’utilizzo di riquadri narrativi a “commento” e completamento dell’immagine centrale, bensì il loro impiego per illustrare una vicenda diversa da quella di Cristo, enfatizzando l’importanza degli “intermediari” tra Dio e l’uomo, che vanno acquistando in quest’epoca un’importanza sempre maggiore nella vita spirituale dei fedeli, che rivolgono loro preghiere in qualità di intercessori. Le tavole con la Madonna col Bambino e storie dedicate alla vita della Vergine o ai suoi genitori,

23 Per questa tavola e quelle dedicate a San Francesco citate di seguito cfr. P. SCARPELLINI,

Iconografia francescana nei secoli XIII e XIV, in Francesco d’Assisi. Storia e arte, catalogo della

mostra (Assisi 1982), a cura di P. Scarpellini, Milano 1982, pp. 91-106, 116-122; inoltre per la tavola di Pescia: F. FALLETTI, in Capolavori & Restauri, catalogo della mostra (Firenze 1986-1987), a cura di A. Forlani Tempesti, Firenze 1986, pp. 347-349; K. KRÜGER, Der frühe Bildkult des Franziskus in

Italien. Gestalt und Funktionswandel des Tafelbildes im 13. und 14. Jahrhundert, Berlin 1992, pp.

195-196; W. R. COOK, Images of St Francis of Assisi in painting, stone and glass from the earliest

images to ca. 1320 in Italy. A catalogue, Firenze 1999, pp. 165-168 . Una vasta disamina sulle tavole

agiografiche due-trecentesche, con particolare attenzione a quelle umbre e toscane, è stata effettuata da Andrea De Marchi in A. DE MARCHI, La pala d’altare. Dal paliotto al polittico gotico, dispense del corso tenuto nell’a.a. 2008-2009 presso l’Università degli Studi di Firenze, Firenze 2009, pp. 117-128.

24 PATTERSON ŠEVČENKO, The Vita Icon… cit., p. 154.

25 L. CARLETTI, in Cimabue… cit., p. 122; con bibliografia precedente. L’opera proviene dalla

chiesa di San Francesco a Pisa.

26

BOSKOVITS, Corpus… cit. (I, I, 1993), pp. 99-103, 105, 412-427; con bibliografia completa. A. LENZA, in Agli albori della pittura fiorentina. La Maestà del Museo Puškin di Mosca, catalogo della mostra (Firenze 2011), a cura di A. Tartuferi, Firenze 2011, pp. 68-73; dove si prende in considerazione pure la recente proposta di individuare nella tavola anche l’intervento del Maestro di Santa Maria Primerana. Per l’opera viene suggerita una datazione al sesto decennio del XIII secolo, subito a seguito della concessione nel 1249 ai francescani pistoiesi della chiesa poi intitolata a San Francesco, in cui la tavola decorava l’altare della Cappella Bracciolini.

27 BOSKOVITS, Corpus… cit. (I, I, 1993), pp. 472-507. 28

BURRESI, CALECA, Pittura a Pisa… cit., p. 73; CARLETTI, in Cimabue… cit., p. 126. Mariagiulia Burresi, Antonino Caleca e Lorenzo Carletti assegnano le opere a Giunta, come già Boskovits, che vedeva nel dossale vaticano la fase giovanile dell’artista (M. BOSKOVITS, Giunta

Pisano. Una svolta nella pittura italiana del Duecento, in “Arte illustrata”, VI, 1973, pp. 339-352, in

particolare pp. 349-350), tuttavia il dibattito sulla paternità è tutt’altro che risolto. A livello iconografico è interessante rilevare che i due dossali raffigurano quattro miracoli post mortem.

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Anna e Gioacchino, acquisiscono in quest’ottica una posizione intermedia, poiché in un certo senso sono assimilabili alla funzione delle tavole dei santi quando vogliono raccontare una vicenda diversa da quella cristologica, ma d’altra parte questi cicli riguardano una figura eminente nella gerarchia celeste e legata strettamente a Cristo stesso29. Nel caso di San Francesco l’accostamento di un ciclo narrativo alla sua figura aveva il merito di sottolineare per associazione il suo ruolo di alter Christus, ma anche di diffondere attraverso le storie il culto del nuovo santo secondo modalità in seguito costantemente impiegate per la promozione del culto dei santi novelli, cioè mostrando in una fase precoce soprattutto i miracoli da lui operati per dare dimostrazione del suo carisma e del favore divino accordatogli (così infatti nella tavola di Pescia) e successivamente narrandone più diffusamente anche fatti più realistici della sua esistenza terrena. Rimandano a questa funzione anche, ad esempio, le tavole dedicate verso la fine del XIII secolo a Santa Chiara d’Assisi30 e alla terziaria francescana Santa Margherita da Cortona31. Le tavole francescane rappresentano dunque in un certo senso una reinterpretazione semantica, oltre che strutturale, dell’esempio offerto dalle icone bizantine. Se ne comprendono in Occidente le potenzialità “funzionali” e si allarga il loro campo di applicazione non limitandosi più ai soli santi tradizionali. Rimane tuttavia inalterata la volontà di rendere onore al personaggio sacro raffigurato e di enfatizzarne le virtù morali e la santità della vita con l’aggiunta all’immagine “iconica” delle storie narrative, a sancire la dignità celeste del soggetto rappresentato32.

Nella seconda metà del XIII secolo San Francesco perde l’esclusiva sulle tavole agiografiche, su cui si rappresentano ora, coi soliti intenti celebrativi, altri santi. Si devono ricordare la Santa Caterina d’Alessandria attribuita al Maestro di Calci, proveniente da San Silvestro a Pisa e ora nel Museo Nazionale di San Matteo a Pisa33

[FIG. 11], le due tavole con San Nicola e San Verano per San Nicola a Pisa e San

Verano a Peccioli34, il dossale di San Michele Arcangelo realizzato verso il 1260 da Coppo di Marcovaldo per la chiesetta di Sant’Angelo a Vico l’Abate (ora nel Museo di San Casciano)35, il dossale di San Pietro, forse riferibile alla fase matura di Guido

29 Si ricordano in particolare la tavola del Museo Puškin di Mosca attribuita al Maestro della Croce n.

434 degli Uffizi (V. MARKOVA, in Agli albori della pittura fiorentina. La Maestà del Museo Puškin

di Mosca, catalogo della mostra [Firenze 2011-2012], a cura di A. Tartuferi, Firenze 2011, pp. 58-66;

BOSKOVITS, Corpus… cit. [I, I, 1993], pp. 108-110, 157, 470, 506, 646, 741 nota 1, 748-761) e la tavola del Maestro di San Martino proveniente dalla chiesa pisana dedicata al santo cavaliere e ora al Museo Nazionale di San Matteo (CARLETTI, in Cimabue… cit., pp.157-159).

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E. LUNGHI, La decorazione pittorica della chiesa, in M. BIGARONI, H. R. MEIER, E. LUNGHI,

La Basilica di Santa Chiara in Assisi, Ponte San Giovanni 1994, pp. 136-282, in particolare pp.

164-188. L’opera, eponima del suo autore, è datata da un’iscrizione al 1283.

31 L. CORTI, in Margherita da Cortona. Una storia emblematica di devozione narrata per testi e

immagini, a cura di L. Corti, R. Spinelli, Milano 1998, pp. 140-143. Si ricorda anche il tabernacolo del

Beato Andrea Gallerani, che comprende alcuni episodi relativi al pio senese insieme ad altri dedicati a San Francesco e San Domenico: TORRITI, La Pinacoteca… cit., pp. 35-36.

32 PATTERSON ŠEVČENKO, The Vita Icon… cit., p. 149. 33

CARLETTI, in Cimabue… cit., pp. 192-193.

34 CARLETTI, in Cimabue… cit., pp. 182-185. Le due tavole si trovano adesso rispettivamente in San

Verano e alla Pinacoteca di Brera a Milano; per la vicenda attributiva ancora aperta cfr: M. BOSKOVITS, in BOSKOVITS, LABRIOLA, PACE, TARTUFERI, Officina pisana… cit., pp. 169-170.

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di Graziano verso il 128036 [FIG. 12] e la pressoché contemporanea tavola di Santa Maria Maddalena, eponima del suo autore, conservata presso la Galleria dell’Accademia di Firenze37 [FIG. 13]. I formati sono variabili, dal dossale all’ancona verticale38.

Una variante di questa tipologia è rappresentata dalle tavole in cui la Madonna col Bambino è affiancata da due santi, di cui solitamente sono proposte due storie39

[FIG. 14]. Non si esaurisce in ogni caso per tutto il XIII secolo l’impiego delle storie

cristologiche della Passione e dell’Incarnazione, solitamente anch’esse associate all’immagine centrale della Madonna col Bambino40.

Il Trecento e la comparsa degli affreschi agiografici iconico-narrativi

La produzione agiografica è un genere molto frequentato anche nel Trecento. Nei primi anni del nuovo secolo il Maestro della Santa Cecilia esegue la tavola eponima ora agli Uffizi, sviluppata in senso orizzontale, e quella verticale con Santa Margherita d’Antiochia, destinata alla chiesa intitolata a questa santa presso Montici (Firenze)41 [FIGG. 15-16]. Se la forma della prima opera viene riproposta da Gregorio e Donato d’Arezzo per la Santa Caterina d’Alessandria anche nella doppia serie di storie laterali42 [FIG. 17], la forma verticale trova nel XIV secolo una

36 L. BELLOSI, Per un contesto cimabuesco senese: b) Rinaldo da Siena e Guido di Graziano, in

“Prospettiva”, LXII, 1991, pp. 15-28. F. MORI, in Duccio. Alle origini della pittura senese, catalogo della mostra (Siena 2003-2004), a cura di A. Bagnoli, R. Bartalini, L. Bellosi, M. Laclotte, Milano 2003, pp. 88-91. L’opera proviene dalla chiesa senese di San Pietro in Banchi.

37 A. TARTUFERI, in Dal Duecento a Giovanni da Milano. Dipinti, a cura di M. Boskovits, A.

Tartuferi, Firenze 2003, pp. 151-156.

38 Per la tipologia e le funzioni di paliotti, dossali e pale cfr. J. GARDNER, Altars, altarpieces, and art

history: legislation and usage, in Italian altarpieces (1250-1550). Function and design, a cura di E.

Borsook, F. Superbi Gioffredi, Oxford 1994, pp. 5-19; SCHMIDT, Nota su alcuni paliotti… cit.

39 Si possono ricordare a titolo di esempio la Madonna col Bambino e i Santi Pietro e Paolo con storie

della loro vita di Meliore di Jacopo, conservata nella pieve di San Leolino a Panzano in Chianti e la

Madonna col Bambino e i Santi Leonardo e Pietro con storie della vita di San Pietro del Maestro della

Maddalena, ora presso la Yale University Art Gallery di New Haven (TARTUFERI, La pittura… cit., pp. 86, 92).

40 Alcuni significativi esempi sono rappresentati dalla Madonna col Bambino lucchese del quinto

decennio del XIII secolo conservata presso la Galleria dell’Accademia di Firenze alla quale sono collegatetre tavolette con scene della Passione (ma in origine dovevano essere otto), conservate presso la Yale University Art Gallery di New Haven (S. BONINI, in Dal Duecento… cit., pp. 232-235, con proposta di ricostruzione); ma anche la Madonna col Bambino e i Santi Andrea e Giacomo con Storie

della Vita di Cristo del Maestro della Maddalena, ora al Musée des Arts Décoratifs di Parigi e il

tabernacolo di Grifo di Tancredi ora in collezione privata (D. PARENTI e S. CHIODO, in L’arte a

Firenze nell’età di Dante (1250-1300), catalogo della mostra [Firenze 2004], a cura di A. Tartuferi, M.

Scalini, Firenze 2004, pp. 98-99, 114-115). Non è insolito l’inserimento di poche storie, perlopiù relative alla vicenda dell’Incarnazione, a mo’ di predella nelle tavole iconiche della Madonna col Bambino: ne sono un esempio la tavola di Santa Maria Maggiore attribuita all’ambito di Coppo di Marcovaldo (o a Coppo stesso) verso il 1265: BOSKOVITS, Corpus… cit. (I, I, 1993), pp. 570-588.

41 R. OFFNER, A critical and historical corpus of Florentine painting. The Fourteenth century. The

St. Cecilia Master and his circle, a cura di M. Boskovits, sez. III, vol. I, Firenze 1986 (II ed.), pp.

94-113, 138-148. Il dossale di Santa Cecilia proviene dalla chiesa dedicate alla santa, per la quale fu probabilmente realizzato prima dell’incendio che nel 1304 coinvolse l’edificio, ricostruito solo nel 1341. La tavola di Montici è tuttora in loco.

42

Per la Santa Caterina, riferibile all’incirca al 1320 e conservata presso il J. Paul Getty Museum di Los Angeles: OFFNER, Corpus… cit. (III, I, 1986), pp. 202-209; R. BARTALINI, Da Gregorio e

Donato ad Andrea di Nerio: vicende della pittura aretina del Trecento, in Arte in terra d’Arezzo. Il Trecento, a cura di A. Galli, P. Refice, Firenze 2005, pp. 11-56, in particolare pp. 13-14. Un simile

formato con due serie di tre storie su ciascun lato era già stato usato in ambito senese da un artista di probabile origine orientale nel dossale di San Giovanni Battista riferibile alla metà del XIII secolo, ora

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17

maggiore diffusione a partire dal San Miniato di Jacopo del Casentino per la basilica fiorentina dedicata al martire, databile entro il primo trentennio del Trecento, il cui maggiore sviluppo in altezza consente di contenere quattro storie per lato43 [FIG.

18]. La stessa struttura verticale cuspidata è utilizzata per la contemporanea ma più

decentrata pala di Santa Giulia, realizzata per la chiesa della Confraternita omonima di Livorno dal pisano Maestro di San Torpè44.

A questo torno di tempo si possono datare i primi due esempi noti di affresco agiografico iconico-narrativo in Toscana: il Sant’Onofrio del Maestro di Figline nella chiesa di Sant’Ambrogio a Firenze (Scheda 1) e la Madonna col Bambino con storie di Anna e Gioacchino realizzato da Gregorio e Donato nel Duomo di Arezzo (Scheda 38), che disattendono il più consueto collegamento con il santo titolare della chiesa, rimanendo episodi isolati almeno fino alla metà del secolo45.

In quel lasso di tempo anche la pittura agiografica su tavola sembra subire una battuta d’arresto, ad eccezione di Siena, dove invece viene sfruttata da importanti artisti in formati più o meno ortodossi per la celebrazione tipicamente locale di alcuni “santi novelli”. Verso il 1325 Simone Martini realizza la pala del Beato Agostino Novello con quattro miracoli postumi ai lati della figura e decora allo stesso modo, con storie della vita, la perduta cassa-reliquiario per la sepoltura del Santo, posta entro una nicchia sulla parete sinistra della chiesa di Sant’Agostino a Siena: a questa collocazione si deve anche la particolare forma centinata del “trittico”46 [FIG. 19]. Negli stessi anni Ambrogio Lorenzetti realizza invece la perduta pala per la tomba del Beato Andrea Gallerani in San Domenico47. A breve distanza di tempo Pietro

nella Pinacoteca Nazionale di Siena ma proveniente dall’ex convento di Santa Petronilla a Siena: TORRITI, La Pinacoteca… cit., p. 44.

43 M. BOSKOVITS, A critical and historical corpus of Florentine painting. The Fourteenth Century.

The painters of the miniaturist tendency, sez. III, vol. IX, Firenze 1984, p. 57; R. OFFNER, A critical and historical corpus of Florentine painting. The Fourteenth Century, a cura di M. Boskovits, sez. III,

vol. II, Firenze 1987, pp. 381-471; i documenti degli Spogli Strozziani ricordano l’opera sull’altare “sotto le volte” a partire dal 1335. È possibile poi ipotizzare l’esistenza di una tavola agiografica dedicata a San Pietro forse proveniente dalla chiesa fiorentina di San Pier Scheraggio e opera del Maestro del Crocifisso Corsi in base alla sopravvivenza di tre tavolette databili tra il 1315 e il 1320 con l’Incontro tra San Pietro e San Paolo, il Martirio di San Paolo e il Martirio di San Pietro (la prima e l’ultima tavoletta sono conservate nella collezione Corsi presso il Museo Bardini di Firenze e al Museo Horne della stessa città, mentre la seconda si trovava a Perugia in collezione van Marle): una proposta di ricostruzione si deve a R. CALAMINI, in La Collezione Corsi. Dipinti italiani dal XIV al

XV secolo, a cura di S. Chiodo, Firenze 2011, pp. 82-88.

44 C. MARTELLI, Per il Maestro di San Torpè e la pittura a Pisa nel primo Trecento, in “Paragone.

Arte”, XLVII, 1996 (1997), serie III, 5-7, pp. 19-47, in particolare pp. 33-34. L’opera è tutt’oggi conservata nella chiesa di Santa Giulia; l’intervento della bottega per la realizzazione delle storie è sostenuto da Cecilia Martelli in base alla qualità più corsiva delle storie laterali, anche rispetto alle scene nel tabellone del contemporaneo Crocifisso dell’oratorio della villa del Belvedere a Crespina (Pisa).

45 Le tavole agiografiche di cui si conosce o si può ricostruire la provenienza sono relativamente

numerose, ma non consentono ovviamente di ritenere la frequente dedica al titolare della chiesa d’origine una regola assoluta. La deviazione da questa consuetudine da parte degli affreschi agiografici in ogni caso è facilmente giustificabile per la loro collocazione presso altari laterali e dunque in zone della chiesa non destinate al culto specifico del santo titolare.

46

A. BAGNOLI, M. SEIDEL, in Simone Martini e “chompagni”, catalogo della mostra (Siena 1985), a cura di A. Bagnoli, L. Bellosi, Firenze 1985, pp. 56-72. M. SEIDEL, Condizionamento iconografico

e scelta semantica. Simone Martini e la tavola del Beato Agostino Novello, in Simone Martini, Atti del

Convegno (Siena 1988), a cura di L. Bellosi, Firenze 1988, pp. 75-80.

47

R. ARGENZIANO, La prima iconografia del beato Andrea Gallerani fondatore della Domus

(20)

18

Lorenzetti dedica un’imponente macchina d’altare ad un’altra figura non canonizzata ma molto venerata a Firenze, la terziaria vallombrosana Umiltà, fondatrice del monastero femminile di San Giovanni Evangelista in via Faenza, morta nel 1310: per l’altare della chiesa l’artista adatta il racconto agiografico alla struttura di un polittico a cinque stretti scomparti, dove la beata al centro è affiancata su ciascun lato da due serie di tre storie, concluse in alto dalle classiche cuspidi con personaggi biblici48

[FIG. 20]. Anche Ambrogio è attivo a Firenze in quegli anni, quando realizza le

quattro Storie di San Nicola ora agli Uffizi per la chiesa di San Procolo49 [cfr. FIGG.

279-280].

Oltre a queste opere, che costituiscono la sola produzione agiografica senese su tavola fino agli anni ottanta del Trecento, entro il secondo quarto secolo fu realizzato da Francesco Traini il grandioso polittico agiografico di San Domenico, firmato e datato al 1345, per una cappella secondaria della chiesa di Santa Caterina a Pisa50. L’opera ripropone la soluzione strutturale della Beata Umiltà, affiancando all’immagine centrale del santo, come in un pentittico, quattro serie di scene narrative inserite qui entro cornici polilobate. In entrambi i casi si adatta una tipologia, quella agiografica, congeniale alla celebrazione di un unico santo alla grandiosità di una complessa struttura lignea, tipica della produzione dell’epoca. A parte questo caso piuttosto isolato, l’affievolirsi della produzione di opere propriamente agiografiche sembra sfociare verso la metà del secolo in un generale abbandono della tipologia su tavola, fino alla sua riesumazione a Firenze verso la fine degli anni sessanta, a partire dalla pala di San Matteo per il pilastro dell’Arte del Cambio nell’oratorio di Orsanmichele, realizzata tra il 1367 e il 1368 da Andrea Orcagna e, dopo la sua morte, da Jacopo di Cione. Si tratta di una sorta di trittico riquadrato creato per adattarsi alle tre facce visibili del semipilastro presso il tabernacolo della Vergine dello stesso Orcagna51 [FIG 21]. La proposta dei due fratelli, trovò nel decennio successivo un discreto seguito52, principalmente nelle

all’Arciconfraternita della Misericordia, a cura di M. Ascheri, P. Turrini, Siena 2004, pp. 52-63.

48 C. VOLPE, Pietro Lorenzetti, a cura di M. Lucco, Milano 1989, pp. 174-186. 49

C. CANEVA, in Gli Uffizi. Catalogo generale, a cura di L. Berti, I, Vicenza 1979, pp. 340-341.

50 E. CARLI, Il Museo di Pisa, Pisa 1974, pp. 72-74.

51 R. OFFNER, K. STINWEG, A critical and historical corpus of Florentine painting. The Fourteenth

Century. Jacopo di Cione, sez. IV, vol. III, New York 1965, pp. 17-26. Il documento di commissione

dimostra che in un primo momento l’Arte del Cambio aveva richiesto un trittico a tre figure, per poi optare per la pala agiografica. L’opera fu rimossa da Orsanmichele nel 1402, quando fu attuata una campagna di sistematizzazione della decorazione dei pilastri con la realizzazione di più uniformi affreschi con santi e loro storie in predella: il dipinto fu trasferito nella chiesa dello spedale di San Matteo di pertinenza del Cambio e da qui in Sant’Egidio, da cui è passato nella Galleria degli Uffizi; le storie si leggono in senso orario a partire da quella in basso a sinistra: la Chiamata di San Matteo,

San Matteo sconfigge due draghi, San Matteo resuscita il figlio del re Egippo, il Martirio di San Matteo.

52

Presso la Galleria dell’Accademia di Firenze è conservata una tavoletta databile verso la metà dell’ottavo decennio raffigurante l’Elemosina di Sant’Antonio Abate ai poveri, attribuita a Matteo di Pacino, artista influenzato soprattutto da Nardo e Jacopo di Cione: la tavoletta, a venatura verticale, faceva certamente parte di un complesso più vasto, probabilmente proprio di un’opera agiografica tradizionalmente composta da un’immagine del santo affiancata da alcune scene della sua vita. Cfr. L. MARCUCCI, Gallerie nazionali di Firenze. I dipinti toscani del secolo XIV, Firenze 1965, p. 96; M. PALMERI, in Dipinti. Dal Duecento a Giovanni da Milano, a cura di M. Boskovits, A. Tartuferi, Firenze 2003, pp. 169-171; S. CHIODO, A critical and historical corpus of Florentine painting.

Painters in Florence after the “Black Death”. The Master of the Misericordia and Matteo di Pacino,

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