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Il ruolo della giurisprudenza come fonte normativa tra civil law e common law

Sommario: 1. Rilievi preliminari – 2. La dicotomia delle fonti nel diritto inglese e i caratteri del case law – 3. L’overruling e la tendenziale stabilità dell’interpretazione legislativa nell’approccio dei giudici inglesi – 4. L’approccio della Corte di cassazione – 5. La natura dichiarativa dei precedenti: dalla stessa premessa, due conseguenze diverse – 6. Riflessioni conclusive

1. Rilievi preliminari

Il ruolo del giudice nella formazione del diritto costituisce da sempre uno dei nodi più spinosi e complessi della riflessione giuridica, in quanto

giunge al cuore dei rapporti del diritto con le sue “fonti” di produzione1.

Nella vicenda evolutiva delle esperienze giuridiche occidentali sono identificabili due principali modi di pensare la produzione del diritto, come derivante, rispettivamente, dalla espressione della volontà di soggetti istituzionali, oppure dalla graduale accumulazione di regole in una determinata collettività. La prima concezione assume l’esistenza di una società politica quale dato precedente alle leggi che essa si dà, mentre la seconda assume, al contrario, l’anteriorità del diritto nei confronti della

stessa organizzazione politica2.

Come è noto, la rottura rivoluzionaria dell’assetto di poteri dell’antico

1 «La domanda se i giudici nel pronunciare le sentenze creano diritto o semplicemente lo

dichiarano è stata dibattuta da generazioni di studenti nelle università di tutto il mondo e continuerà ad essere così, perché non c’è una risposta unica e assoluta» («The question whether judges in giving judgments make law or simply declare existing law is one that has been debated by generations of law students in universities and law schools across the globe. It will continue to be so. There is no single and absolute answer», National Westminster

Bank plc v. Spectrum Plus Limited and others and others, [2005] 3 WLR 58, per Lord Scott

of Foscote, n. 124). Alcuni recenti studi testimoniano, da noi, l’interesse per il tema: cfr. ad esempio A. Pin, Precedente e mutamento giurisprudenziale. La tradizione angloamericana e il

diritto sovranazionale europeo, Padova, 2017, nonché G. Franza, Il valore del precedente e la tutela dell’affidamento nel diritto del lavoro, Torino, 2019.

regime e l’avvento del giuspositivismo sono all’origine di una concezione, ben salda nei diritti continentali a partire dal XIX secolo, secondo cui il diritto trova la sua unica fonte nella legge, rispetto alla quale il giudice assume una posizione radicalmente subordinata. Oltre Manica, invece, le teorie giuspositivistiche non hanno mai condotto ad identificare il diritto con la fonte legislativa (statute law), rimanendo intatta la caratteristica dicotomia delle fonti, sicché il case law si affianca a quello legislativo, in posizione autonoma rispetto ad esso.

Su queste basi, gli studiosi di diritto comparato, impegnati a organizzare e proporre una mappa dei sistemi di diritto, hanno identificato, nel secolo scorso, una netta linea di confine tra gli ordinamenti cd. a diritto codificato e gli ordinamenti della tradizione anglo-americana.

Senonché, le ricerche condotte da Gino Gorla a partire dagli anni ’50 dello scorso secolo hanno ampiamente dimostrato che la lettura in chiave di contrapposizione tra civil law e common law è il frutto di una profonda rimozione della memoria storica. I due sistemi di diritto, infatti, costituiscono le maggiori espressioni di una comune storia giuridica europea. L’espressione “Diritto comune e comparato”, da lui coniata, indica che nel periodo che va dal XVI al XVIII secolo si registra una sostanziale somiglianza di tecniche interpretative e argomentative, oltre che di ambienti professionali e istituzionali, che davano vita ad una convergenza di regole e principi in molti settori dell’esperienza giuridica

in ambito europeo3.

Il richiamo a questa esperienza dei secoli di ancien régime, lungi dal costituire un auspicio per un ritorno al passato, consente piuttosto di trarre da essa una serie di riferimenti a tecniche e concezioni alla base di un atteggiamento “comunicante” del giurista, di cui oggi si avverte sempre più il bisogno. Inoltre, essa conduce a relativizzare la divisione- contrapposizione tra sistemi di civil law e sistemi di common law, che è il riflesso dei nazionalismi di stampo politico e giuridico alla base della frammentazione degli ordinamenti in sistemi chiusi.

Ai nostri giorni, nella letteratura comparatistica viene evocata in modo sempre più ricorrente la necessità di archiviare la ricostruzione in termini oppositivi delle due tradizioni giuridiche. Tuttavia, ciò non avviene in ragione di una maggiore consapevolezza storico-comparatistica, bensì come conseguenza della massiccia proliferazione della legislazione che caratterizza da tempo tutta la tradizione giuridica occidentale. Questo

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fenomeno ha eroso, negli ordinamenti di civil law, la centralità dei codici, le cui norme sono ormai sommerse da deroghe ed eccezioni di ogni tipo, esaltando il ruolo creativo dei giudici; mentre, negli ordinamenti di common law, le norme di fonte legislativa invadono anche quei settori del diritto che erano, fino a qualche tempo fa, appannaggio quasi esclusivo del diritto giurisprudenziale, con l’effetto di burocratizzare il ruolo dei

giudici, sempre più impegnati nell’interpretazione di norme di legge4.

Le riflessioni che seguono muovono da un senso di disagio rispetto a simili ricostruzioni.

Anzitutto, da un medesimo fenomeno (incremento della legislazione) scaturirebbero effetti del tutto opposti: in capo ai giudici di civil law, l’incremento del potere di creazione del diritto, che però starebbe progressivamente svanendo nella common law. C’è qualcosa che sfugge nella tesi secondo cui le differenze tra le due tradizioni si sono ormai

definitivamente assottigliate5.

In secondo luogo, se è vero che, nel contesto del cambiamento d’epoca che stiamo attraversando, i confini e le differenze nazionali si indeboliscono e la distanza tra i sistemi e le tradizioni giuridiche si fa sempre più sfuggente, rimettendo in discussione la possibilità (e l’utilità) di tracciare rigide contrapposizioni, è altrettanto vero che basta muovere dalla propria esperienza per avvedersi che nel dialogo con giuristi provenienti dal mondo di civil law e di common law emergono delle differenze che rivelano la resistenza di approcci diversi, sicché quando si parla di precedente o di interpretazione della legge si evocano temi e problemi che vanno contestualizzati, per essere correttamente intesi.

In terzo luogo, è fuori discussione che negli ordinamenti di civil law il diritto giurisprudenziale ha assunto un ruolo considerevole, di pari passo con l’accentuarsi della frammentazione dell’ordinamento e della

connessa perdita di centralità del (dei) codice(-i) nel sistema delle fonti6.

La stessa manualistica tradizionale registra ormai comunemente questo dato, fino a dare atto che la giurisprudenza, pur essendo esclusa in via formale dall’elenco delle fonti del diritto, tuttavia svolge una funzione primaria, contribuendo a creare, in punto di fatto se non di diritto,

regole di condotta7. Anche le numerose riforme in materia processuale

4 Da ultimo, v. M. Siems, Comparative Law, 2nd ed., Cambridge, 2018, p. 78 ss. e passim.

5 Cfr. sul punto Moccia, op. ult. cit., p. 861 ss.

6 Aa.Vv., La création du droit par le juge, in Archives de philosophie du droit, n. 50, Paris, 2007. 7 F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, 18 ed., Napoli, 2017, p. 36. V. altresì A.

Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, 24a ed., Milano, 2019, p. 48 ss.,

emanate nell’ultimo decennio si sono prestate ad essere lette, nel loro complesso, proprio nel senso di aver riconosciuto un valore più stringente

al precedente giudiziale, rispetto a quanto avveniva in passato8.

A ben vedere, però, a fronte di questo generale riconoscimento, resta del tutto oscuro il ruolo che il diritto giurisprudenziale assume all’interno del sistema delle fonti. Come ha efficacemente stigmatizzato di recente un Autore francese: «la giurisprudenza è una fonte del diritto, pur non

essendolo, benché lo sia. Tutto ciò non è molto chiaro»9.

Da quanto sin qui osservato è allora evidente che ci si trova di fronte ad un fenomeno complesso, rispetto al quale appare quanto meno riduttivo, e forse fuorviante, trarre argomento per concludere nel senso di una convergenza tra l’esperienza di civil law e di common law. Di qui l’interesse per tracciare un quadro di riferimenti di “contesto”, che consentano di svolgere alcuni spunti di riflessione sul tema del ruolo normativo della giurisprudenza nelle due tradizioni giuridiche.

2. La dicotomia delle fonti nel diritto inglese e i caratteri del case law

Nell’esperienza inglese (e dei paesi di common law) il sistema delle fonti fa perno sulla classica bipartizione in diritto scritto (statute law) e diritto non scritto (case law): il primo trae sussistenza dal fatto di essere promulgato e dettato in forma imperativa; il secondo è contenuto nella casistica giudiziaria e non è stabilito in forma imperativa. Si tratta di fonti che hanno una diversa natura, cui corrisponde una diversa concezione del diritto, giacché il diritto scritto scaturisce dalla volontà del legislatore, mentre il diritto giudiziale muove dalla base argomentativa delle decisioni dei singoli casi e si riconnette

8 Il riferimento, in particolare, è alle modifiche del giudizio di cassazione che si sono

succedute negli ultimi anni, a partire dal d. lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006 e, poi, dalla l. 18 giugno 2009, n. 69 (su cui sia consentito rinviare a E. Calzolaio, Riforma del processo

di cassazione e precedente giudiziale: riflessioni nella prospettiva della comparazione “civil law- common law”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, p. 1003 ss.), fino al d.l. 22 giugno 2012, n.

83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134 che ha nuovamente modificato l’art. 360 c.p.c. n. 5, nonché alla disciplina organica del processo amministrativo (denominata, appunto, codice del processo amministrativo: d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104), che pure contiene interessanti novità circa il ruolo delle sentenze rese dalla adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

9 «La jurisprudence est donc une source de droit, tout en ne l’étant pas, bien qu’elle le

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a «principi che non sono mai ridotti in formule testuali autentiche»10.

Il sistema di diritto a base casistica implica che il giudice chiamato a pronunciarsi su un caso è obbligato ad avere riguardo a precedenti decisioni, secondo regole precise e connesse anche all’assetto organizzativo e gerarchico delle Corti. I precedenti giudiziali possono dunque avere valore vincolante, come norme di legge, ma la loro qualificazione in termini di diritto non scritto sta proprio ad indicarne la differenza rispetto al diritto di fonte legislativa, formulato in modo generale ed astratto, mentre i precedenti conservano la struttura di decisioni di casi particolari e hanno natura argomentativa: «le parole di una sentenza, per quanto precisamente formulate, sono sempre una esposizione del diritto e non il diritto stesso. Soltanto il principio esposto e applicato dal giudice è diritto; le parole in cui

esso viene dispiegato non sono vincolanti per nessuno»11. Ne discende che

l’autorità del precedente si riferisce al principio su cui poggia la decisione e il cui testo rappresenta solo una esemplificazione illustrativa.

Quanto al rapporto tra le due fonti, in termini formali il diritto legi- slativo prevale sui precedenti, ma ciò non intacca l’autonomia dell’attività giurisprudenziale, nel senso che i principi che formano il diritto giurispru- denziale hanno un autonomo fondamento rispetto alle leggi dello Stato.

Il case law, inoltre, si sviluppa nel contesto di una estrema selezione dei casi decisi dall’organo giurisdizionale di vertice. Con riferimento all’esperienza inglese, resta ben fermo, anche dopo l’istituzione della Supreme Court for

the United Kingdom12, che il diritto all’impugnazione è soggetto ad una

espressa autorizzazione (cd. permission to appeal), sulla base di una istanza che va presentata, dapprima, dinanzi alla Court of Appeal e, solo in caso di diniego, alla stessa Supreme Court, che la esamina attraverso un collegio

composto da tre giudici13. Ciò risponde alla esigenza che la Corte concentri

la propria attenzione su un ristretto numero di casi, che sollevano questioni

10 Così F. Pollock, A First Book of Jurisprudence, 6th ed., London, 1929, p. 253, cit. in

Moccia, op. ult. cit., p. 423, cui si rinvia per l’ampia trattazione del tema.

11 Ivi, p. 416. In argomento, v. anche S. Whittaker, Precedent in English Law: A View

from the Citadel, in Eur. rev. priv. law, 2006, p. 705 ss., 709.

12La UK Supreme Court ha sostituito, dal 1 novembre 2009, il Judicial Commitee della

House of Lords, a seguito della definitiva attuazione del Constitutional Reform Act 2005.

Cfr. amplius Moccia, op. ult. cit., p. 383 ss.

13 La materia dell’autorizzazione all’impugnazione è disciplinata da numerose disposizioni

legislative, tra cui in particolare l’Access to Justice Act 1999 sec. 54, che rinvia ai Regolamenti adottati dalle varie Corti (cd. Rules of Court); per dettagli sulla procedura cfr. le Practice Directions n. 3 (Applications for Permission to Appeal), emendate nel 2018, https://www.supremecourt.uk/docs/practice-direction-03.pdf. Per riferimenti sul tema, cfr. ancora Moccia, op. ult. cit., p. 360 ss.

giuridiche «di importanza pubblica generale»14. Si spiega, così, la ragione

del numero particolarmente ridotto delle sentenze pronunciate dall’organo di vertice della giustizia inglese. Negli ultimi anni della sua attività la House of Lords pronunciava circa 70 sentenze l’anno e questo dato è costante

anche dopo l’istituzione della Supreme Court15. Solo per avere un termine di

paragone, le sezioni civili della nostra Corte di cassazione pronunciano oltre 30.000 sentenze, sicché il nostro ordinamento assorbe in un solo anno tante sentenze del giudice di vertice quante quello inglese impiega quattro secoli ad emanare. Si tratta, evidentemente, di un profilo di rilievo, perché quando si parla di precedente nell’esperienza inglese va tenuto bene a mente che ci si muove in un contesto profondamente diverso dal nostro e caratterizzato, appunto, da una estrema selezione di decisioni.

Un ulteriore elemento di contesto che colpisce il giurista che si affaccia a considerare il sistema di giustizia inglese è il numero dei giudici che siedono nelle corti superiori: la UK Supreme Court è composta (come già in precedenza la House of Lords) da appena 12 giudici. Ciò testimonia la natura elitaria del corpo dei giudici superiori inglesi, che vengono peraltro reclutati tra i ranghi dell’avvocatura, secondo procedure improntate ad una estrema selettività, che fanno perno su requisiti di professionalità dimostrata sul campo di un lungo esercizio di attività forense, riconosciuta nell’ambiente

professionale inglese16.

Va poi considerato che la regola del precedente si sviluppa oltre Manica nell’ambito di un sistema giurisdizionale che vede al vertice una unica Supreme Court, cui sono attribuite competenze che, negli ordinamenti di civil law, sono invece ripartite tra vari organi giurisdizionali (per restare all’esempio italiano, basterà citare, oltre alla Corte di cassazione, la Corte costituzionale, il Consiglio di Stato, il Tribunale superiore delle acque pubbliche). Ciò implica una notevole unitarietà del sistema: benché si sono affermati ormai settori ben precisi nel case law (costituzionale, amministrativo, civile), tuttavia essi continuano a non essere distinti in

modo istituzionale dal diritto giurisprudenziale inglese nel suo complesso17.

Un ultimo profilo merita di essere evidenziato. Contrariamente a quanto

14 R. v. Secretary of State for Trade and Industry, ex p. Eastaway, [2000] All E.R. 27. 15 Nel periodo tra il 1 aprile 2018 e il 31 marzo 2019 sono state pronunciate 64 sentenze.

Cfr. Judicial Statistics (Annual Report), https://www.supremecourt.uk/docs/annual- report-2018-19.pdf.

16Ciò contribuisce in modo netto alla notorietà dei giudici anche presso l’opinione

pubblica, tanto che i più eminenti tra essi sono divenuti delle figure emblematiche del mondo di common law.

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avviene da noi e, in genere, negli ordinamenti di civil law, ove la sentenza è atto dell’organo giudicante, che non lascia alcuno spazio a motivazioni dissenzienti, le sentenze inglesi sono caratterizzate dal principio di personalità della decisione giudiziale; in caso di collegio giudicante, ciascun giudice può concorrere con una propria “opinion” alla decisione del caso. Essa può consistere anche nella semplice adesione alla opinion pronunciata da un altro giudice che siede nel collegio e, in questa ipotesi, ora si è affermata la prassi di incaricare uno dei giudici a redigere l’opinion. Molto spesso, invece, ciascun giudice redige una opinion separata, ricostruendo puntualmente i fatti di causa e svolgendo una analisi dettagliata dei precedenti rilevanti a sostegno della propria decisione.

Ciò assume una rilevanza centrale nella individuazione della ratio decidendi del caso e cioè di quella parte della sentenza che costituisce il fondamento della decisione. Non è questa la sede per scendere in un’analisi dettagliata della distinzione tra ratio decidendi e obiter dictum, quanto mai complessa e sfuggente, né della sulla sua effettiva rilevanza quale elemento fondante della regola del precedente. Preme rilevarne, tuttavia, l’aspetto centrale, costituito dal fatto che la ratio di un caso riguarda le questioni di diritto trattate nella sentenza con riferimento ai fatti di causa e cioè a quegli elementi della situazione concretamente sottoposta all’esame del giudice all’esito del modello di processo più sopra evocato. I fatti di causa giocano

un ruolo decisivo nella individuazione di ciò che costituisce precedente18

ed è interessante rilevare che la ratio decidendi è ricercata dal giudice successivamente investito della decisione di un caso analogo e non da quello

che pronuncia la sentenza che costituisce precedente19. Stante il carattere

discorsivo delle opinions, la precisa individuazione della ratio decidendi non è fondata su criteri rigidi, essendo sempre aperta la possibilità per i giudici successivi di scoprire la “vera” ratio di quel caso.

3. L’overruling e la tendenziale stabilità dell’interpretazione legislativa nell’approccio dei giudici inglesi

Si passerà ora a dare conto del fenomeno dell’overruling, cioè la possibilità di modificare un precedente, che è riservata esclusivamente all’organo giurisdizionale di vertice e quindi, nell’esperienza inglese, alla

18 Ivi, p. 718. 19 Ibidem.

Supreme Court e solo ad essa.

Il power to overrule ha origini piuttosto recenti e trova la sua fonte non già in una norma di legge, bensì in una dichiarazione adottata dalla stessa House of Lords nel 1966 – resa nella forma di un Practice Statement – nella quale, dopo aver ribadito che l’uso del precedente è un indispensabile fondamento per stabilire qual è il diritto e deciderne l’applicazione ai singoli casi, si riconosce tuttavia che un’aderenza troppo rigida ad esso può condurre a soluzioni ingiuste e a limitare lo sviluppo del diritto. Donde l’annuncio che, a partire da quel momento, la Corte avrebbe valutato la possibilità di

recedere da una precedente decisione «nei casi in cui appaia giusto farlo»20.

Il significato e la portata del Practice Statement sono ben sintetizzati in una sentenza della House of Lords del 1973: «il mutamento della nostra prassi, in base al quale le precedenti decisioni di questa Corte non sono più ritenute assolutamente vincolanti, non significa che ogni volta che riteniamo che la precedente decisione è errata dobbiamo recedere da essa. Nell’interesse generale di certezza del diritto dobbiamo essere sicuri che esista un’ottima ragione prima di procedere in tal senso (…) Ritengo che per quanto possa essere errata o anomala una decisione, essa deve comunque esser tenuta ferma ed applicata a casi ragionevolmente analoghi, a meno che (o fino

a che) non sia alterata dal Parlamento»21.

Ciò mostra che il power to overrule è stato percepito, sin dal primo momen-

to, come del tutto eccezionale ed esso è stato poi esercitato molto raramente22.

20 [1966] All ER 77. Cfr. R. Cross, J.W. Harris, Precedent in English Law, 4th ed.,

Oxford, 1991, p. 105. Dall’inizio della sua attività, la Supreme Court non ha formalmente emanato un nuovo Practice Statement, ma ha precisato più volte che quello pronunciato dalla House of Lords nel 1966 continua ad avere lo stesso valore e le medesime implicazioni. Cfr. Austin (FC) v. Mayor and Burgesses of the London Borough of Southwark, [2010] 3 WLR 144, per Lord Hope (n. 25).

21 «Our change of practice in no longer regarding previous decisions of this House as

absolutely binding does not mean that whenever we think that a previous decision was wrong we should reverse it. In the general interest of certainty in the law we must be sure that there is some very good reason before we so act (…). I think that however wrong or

anomalous the decision may be it must stand and apply to cases reasonably analogous unless