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IL RUOLO DELLO PSICOLOGO NELLA CONSULENZA ALLE COPPIE INFERTIL

ASPETTI PSICOLOGICI DELL’INFERTILITA’

FECONDAZIONE ASSISTITA

2.10 IL RUOLO DELLO PSICOLOGO NELLA CONSULENZA ALLE COPPIE INFERTIL

Se partiamo dall’assunto che nell’infertilità non è possibile separare il fattore medico da quello psicologico possiamo comprendere il significato dell’inserimento delle consulenze psicologiche nei centri che si occupano di infertilità.

La figura dello psicologo clinico, laddove presente, si è dimostrata di grande utilità nell’équipe che prende in carico la coppia infertile. Non essendo però ancora legalmente riconosciuta in Italia la situazione generale è molto varia. La possibilità di usufruire di questa figura professionale specializzata varia a seconda del centro a cui la coppia si rivolge.

Molte coppie non sono a conoscenza del fatto che potrebbero trovare nell’équipe anche uno psicologo in quanto si rivolgono ad un centro per l’infertilità per un problema fisico e può accadere che solo in seguito diventino consapevoli che la loro problematica possa coinvolgere anche aspetti psicologici.

Una delle prime questioni da approfondire per uno psicologo clinico è quella di come una coppia decida di rivolgersi ad un centro della riproduzione.

Consideriamo innanzitutto che la decisione di ricorrere ad una fecondazione medicalmente assistita non è nè semplice né immediata per una coppia e mette in crisi un rapporto vissuto fino a quel momento come diade dove si va ad inserire un terzo, rappresentato non dal figlio, così come una coppia in genere si aspetta, ma da una figura medica, portatrice di tecniche artificiali.

La figura dello psicologo risulta essere fondamentale non soltanto per quanto riguarda le infertilità idiopatiche ma in molti altri casi.

Per quanto riguarda il rapporto medico-paziente, che si va ad instaurare in questo specifico ambito della medicina riproduttiva, può accadere che il medico colluda con la coppia per quanto riguarda le aspettative magiche di un figlio, come può accadere che si dimentichi di approcciare la persona nella sua interezza parlando soltanto di sperma, ovociti e parti del corpo, correndo il rischio di far sentire le persone frammentate anche nella loro identità.

I pazienti alle volte sono indotti ad attribuire al medico onniscienza e onnipotenza e tendono a cedergli completamente la gestione della cura assumendo nei suoi confronti una posizione dipendente e passiva. Laddove però la coppia adotti nei confronti del medico un tale atteggiamento questo rapporto sembra essere a rischio. Qualora le grandi speranze venissero frustrate infatti si può innescare nella coppia rancore e rabbia.

Un atteggiamento che da subito informi la coppia sulle reali difficoltà del percorso e sulla vera funzione del medico protegge dalle eventuali idealizzazioni e può aprire la possibilità ad una sana alleanza terapeutica. Informare ed aiutare i pazienti in questo percorso di consapevolezza è uno dei compiti dello psicologo clinico.

Nei colloqui clinici con lo psicologo viene fatto riferimento alla storia personale e familiare dell’individuo e viene individuata la motivazione che ha portato la coppia alla decisione di intraprendere un

percorso di fecondazione assistita. In particolare, durante l’incontro, si va a esplorare come i soggetti si rapportano all’idea di genitorialità e cosa significa per loro avere un figlio. Inoltre viene presa in analisi la rete sociale della coppia e la capacità di sostegno emotivo su cui i singoli partner possono contare. Un’altra area che risulta importante da tenere presente è come è stata vissuta la scoperta della propria infertilità. Accade spesso che nelle risposte della coppia ci sia una tendenza a porre il problema in termini di un corpo mancante, difettoso e portatore di handicap. La rigidità e la risolutezza con cui queste coppie sembrano portare avanti il progetto terapeutico (scarsa attenzione per la scelta dell’adozione e lunghi pellegrinaggi in diversi centri di PMA) fa sì che queste coppie più che spinte dal desiderio di genitorialità talvolta sembrino spinte dalla necessità di ripristinare il loro funzionamento a livello fisico. A questo proposito più che di oggetto perduto potremmo far riferimento ad un oggetto danneggiato che la coppia chiede al medico, considerato in questo caso l’esperto, di riparare attraverso il recupero della propria capacità riproduttiva.

Durante i colloqui con lo psicologo viene indagato se è stata presa in considerazione l’ipotesi di una risoluzione del problema attraverso vie alternative quali, ad esempio, l’adozione. E’ infatti importante capire se l’eventuale adozione sarebbe vissuta come un fallimento del percorso intrapreso precedentemente o come una ulteriore opzione di scelta. Relativamente a questo aspetto teniamo presente che la tendenza all’adozione degli anni ‘70 è stata soppiantata ultimamente dalla tendenza a provare prima ad aver un figlio con tecniche artificiali e solo come ultima ipotesi a pensare all’adozione.

In Italia è possibile accedere soltanto alla fecondazione omologa, ma nel resto del mondo non è così e sappiamo che molte coppie, o almeno quelle che possono farlo, si rivolgono all’estero.

Nel caso della fecondazione eterologa lo psicologo oltre a affiancare la coppia e aiutarla a esaminare e comprendere le proprie motivazioni esponendo i problemi e facendo emergere le contraddizioni dovrà affrontare il “fantasma del donatore”, una “presenza” che potrebbe rivelarsi scomoda.

Anche le ovodonazioni in Italia non sono legalmente possibili ma in altri Paesi assistiamo a questa possibilità. A tale proposito alcuni autori fanno notare che la donna che riceve l’ovocita tende a rimuovere questa donazione e si sente realizzata e gratificata dal portare avanti la gestazione.

I dati raccolti dalla ricerca commissionata dall’Unione Europea sui bambini nati con fecondazione assistita riportano che ai figli nati in vitro viene spesso detta la verità perché i genitori considerano il concepimento solo un dettaglio tecnico che non intacca i rapporti biologici. Per quanto riguarda invece la fecondazione eterologa si preferisce in genere mantenere il segreto. Secondo la Vegetti Finzi (1997) e altri Autori i segreti di famiglia come può essere quello sulla propria origine lasciano delle lacune nell’identità dei figli perché si tratta quasi sempre di segreti vulnerabili. Il non detto finisce per emergere tramite vie non verbali: sguardi, imbarazzi e lapsus.

2.11 L’ATTEGGIAMENTO DELLA COPPIA DI FRONTE AL