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Il saggio medio dell’interesse

CAPITOLO II L’INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE DELLA CRISI GRECA

3.2 L A NATURA ISTITUZIONALE DEL TASSO DELL ’ INTERESSE IN M ARX

3.2.1 Il saggio medio dell’interesse

Possiamo ora concentrare la nostra attenzione sull’analisi delle determinanti del tasso dell’interesse sviluppata da Marx nel Capitale, analisi che costituirà la base teorica della nostra interpretazione della crisi greca. Nell’occuparsi delle circostanze che determinano il tasso dell’interesse, Marx riferisce chiaramente questo stadio dell’analisi allo studio del ‘saggio medio dell’interesse’. Per Marx, infatti, la parte del profitto che prende il nome di

interesse “dipende dall’entità del saggio medio dell’interesse.”98 In generale l’autore afferma che:

“Il saggio medio dell’interesse predominante in un paese – a differenza del saggio di mercato che varia continuamente – non può assolutamente essere determinato da alcuna legge. Non esiste così

un saggio naturale dell’interesse, nel senso in cui gli economisti parlano di un saggio naturale del profitto e di un saggio naturale del salario.” (Marx, 1894, p. 501, corsivo nostro.)

Posta l’inesistenza di un saggio normale dell’interesse, ossia di una grandezza teorica persistente e dunque capace di rappresentare un centro di gravitazione della grandezza di mercato, la grandezza teorica del saggio d’interesse di mercato assurge ad elemento determinante nella definizione del livello assunto dal saggio dell’interesse non solo giorno per giorno, ma anche entro intervalli di tempo più ampi. La grandezza teorica rilevante, che Marx sostituisce all’inesistente saggio naturale dell’interesse, diviene pertanto il saggio medio dell’interesse, che non è altro se non la media dei saggi dell’interesse di mercato che si osservano nel tempo. Ma se la grandezza teorica oggetto dello studio diviene il saggio medio dell’interesse, le sue determinanti coincideranno con le determinanti del saggio dell’interesse di mercato.

Pertanto, secondo Marx, il saggio medio dell’interesse risulta determinato dall’interazione tra domanda e offerta di capitale monetario:

“Il capitale si presenta come merce *…+ in quanto la ripartizione del

profitto in interesse e profitto vero e proprio viene regolata dalla domanda e dall’offerta, ossia dalla concorrenza, esattamente come i prezzi di mercato delle merci.” (Marx, 1894, p. 492, corsivo nostro.)

Marx prosegue la sua argomentazione spiegando che questa particolarissimo “prezzo di mercato” che è l’interesse sul capitale99 ha un

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significato totalmente differente da quello attribuibile al prezzo di mercato delle merci:

“Ma la differenza qui balza agli occhi al pari dell’analogia. Se la domanda e l’offerta si equilibrano, il prezzo di mercato della merce corrisponde al suo prezzo di produzione; ossia il suo prezzo, in tal caso, appare regolato dalle leggi interne della produzione capitalistica, indipendentemente dalla concorrenza, poiché le oscillazioni della domanda e dell’offerta non spiegano altro se non le deviazioni dei prezzi di mercato dai prezzi di produzione, deviazioni che si compensano a vicenda, di modo che i prezzi medi di mercato, in certi periodi abbastanza lunghi, sono uguali ai prezzi di produzione. Quando l’offerta e la domanda si equilibrano, queste forze cessano di agire, si annullano a vicenda, e la legge generale della determinazione del prezzo si manifesta allora come legge del caso singolo; il prezzo di mercato corrisponde allora già nella sua esistenza immediata, e non solo come media del movimento dei prezzi di mercato, al prezzo di produzione, che viene regolato dalle leggi immanenti del modo di produzione stesso. *…+ Diversamente stanno invece le cose per quanto riguarda l’interesse del capitale monetario. La concorrenza non determina qui le deviazioni da una legge, poiché qui non esiste una legge della ripartizione all’infuori di quella imposta dalla concorrenza, non esiste, infatti, come vedremo meglio in

99 Sull’interesse inteso come prezzo del capitale monetario Marx afferma che: “Come il prezzo

esprime il valore della merce, l’interesse esprime dunque la valorizzazione del capitale monetario ed appare quindi come il prezzo che viene corrisposto a chi lo cede in prestito.” (Marx, 1894, pp. 490-1) Tuttavia l’autore è ben conscio dell’ambiguità di un simile linguaggio: “Il capitale monetario anzitutto non è altro che una somma di denaro, o il valore di una determinata massa di merci fissata come somma di denaro. *…+ Il prezzo del capitale si riferisce perciò al capitale come somma di denaro *…+. Come potrebbe ora una somma di valore avere un prezzo oltre al proprio prezzo, oltre al prezzo espresso nella sua stessa forma monetaria? Il prezzo è appunto il valore della merce (e ciò vale anche per il prezzo di mercato, che si distingue dal valore non qualitativamente, ma solo quantitativamente, solo per quanto riguarda la grandezza del valore), che si distingue dal suo valore d’uso. Un prezzo che differisca qualitativamente dal valore è una contraddizione assurda.” (Marx, 1894, p. 490) Pertanto Marx precisa che: “Se si vuole chiamare l’interesse il prezzo del capitale monetario, si tratta di una forma irrazionale del prezzo, assolutamente in contraddizione con il concetto del prezzo della merce.” (Marx, 1894, p. 489) Dunque, nel caso del tasso dell’interesse concepito come un prezzo particolare, Marx può affermare: “Il prezzo è qui ridotto alla sua forma puramente astratta e priva di contenuto, secondo cui esso è una somma di denaro determinata, che viene pagata per qualunque cosa appaia in un modo o nell’altro come valore d’uso; mentre, secondo il suo concetto, il prezzo è uguale al valore di questo valore d’uso espresso in denaro. Interesse come prezzo del capitale è a priori un’espressione del tutto irrazionale.” (Marx, 1894, pp. 489-90, corsivo nostro.)

seguito, un livello “naturale” del saggio dell’interesse. Per saggio

naturale dell’interesse s’intende invece il saggio determinato dalla libera concorrenza. Non vi sono limiti “naturali” del saggio

dell’interesse. Dove la concorrenza non determina solo le deviazioni e le oscillazioni, dove quindi, con l’equilibrio delle forze operanti in senso opposto, cessa in generale ogni determinazione opposta, ciò che deve essere determinato è di per sé qualcosa di arbitrario, che non è soggetto a nessuna legge.” (Marx, 1894, pp. 492-3, corsivo nostro.)

L’assenza di un centro di gravitazione dei saggi d’interesse di mercato che si producono, giorno per giorno, sui mercati finanziari rende, a detta di Marx, l’entità del saggio medio dell’interesse “qualcosa di arbitrario” rispetto al processo di produzione in sé. Ciò significa che la concorrenza (tra coloro che detengono la proprietà del capitale e coloro i quali lo chiedono in prestito per conseguire un profitto) non muove un processo di gravitazione intorno ad un prezzo normale, ma diviene essa stessa la circostanza determinante il valore normale del tasso dell’interesse; e lo diviene poiché la spartizione del profitto tra le due classi di capitalisti avviene al di fuori del processo produttivo, e dunque al di fuori di quelle leggi – ad esso intrinseche – che determinano, posto un saggio del salario reale, il corrispondente saggio generale del profitto e quell’unico sistema di prezzi normali capace di assicurare l’uniformità del profitto in ciascun settore. Questa maniera di organizzare lo studio del tasso dell’interesse crea lo spazio per concepire una influenza determinante dei fattori istituzionali: dal momento che quella variabile distributiva risulta dall’interazione tra i flussi di domanda ed offerta che si confrontano sul mercato monetario, appare possibile concepire il governo di quei flussi e delle loro interazioni, dunque l’autorità monetaria, come il fattore decisivo nella determinazione del tasso di interesse.

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