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CAPITOLO 1 : IL COMPETITIVE BALANCE NEL MONDO SPORTIVO

1.3 I possibili interventi attuabili per migliorare l’equilibrio competitivo

1.3.3 Salary Cap

Il “salary cap” è un sistema utilizzato nel mondo professionistico statunitense che determina un tetto salariale, ovvero un massimo ammontare di denaro che una franchigia può pagare per gli stipendi dei propri giocatori in rosa nella stagione sportiva39. Tale regola è adottata al fine di ottenere vari benefici, quali garantire un maggiore equilibrio alla competizione impedendo alle società economicamente più ricche di accaparrarsi tutti i migliori giocatori. Inoltre così facendo si può operare un controllo dei costi di gestione delle società, evitando spese folli nel breve periodo a scapito della sostenibilità finanziaria nel medio-lungo termine della franchigia e della Lega stessa di conseguenza. È palese che una Lega poco equilibrata rende poco attraente

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l’investimento di un finanziatore in una squadra debole, in quanto viste le possibilità di vittoria basse vengono preferiti altri tipi di investimento in altre squadre o leghe.

Soggetto a molte critiche soprattutto da parte dei migliori giocatori, il cap impone un limite anche nello stipendio massimo percepibile da un’atleta. Gli stipendi dei singoli atleti sono comunque oggetto di trattative individuali, dovendosi però mantenere all’interno dei parametri minimi e massimi stabiliti collettivamente. Il tetto salariale complessivo è stabilito di anno in anno a seconda dei ricavi della Lega della stagione precedente, ed è motivo di serrate trattative tra la Lega e il sindacato dei giocatori. Il pericolo che costantemente si corre è quello di stabilire un limite salariale troppo debole, con le squadre economicamente più facoltose in grado di violare il provvedimento a fronte del pagamento della tassa sanzionatoria, anch’essa da stabilire in maniera adeguata.

I modelli più diffusi sono essenzialmente due, denominati “soft salary cap” e “hard salary cap”.

Nel soft salary cap, oltre al tetto massimo, è fissata anche una soglia minima, al fine di evitare che le squadre possano abbassare troppo i loro stipendi e costi per massimizzare l’utile. Le squadre eccedenti il tetto massimo sono generalmente costrette a pagare delle tasse. Questi importi vengono poi redistribuiti tra le squadre che rispettano il cap, oppure sono utilizzati per altri fini promozionali o benefici. Nella prassi possono essere istituite alcune eccezioni, che consentono di sforare il monte ingaggi in situazioni particolari, come nel caso di infortuni o giocatori veterani.

L’hard cap, poco usato per la sua rigidità, prevede che il tetto salariale non possa essere in nessun modo superato. Le sanzioni sono ben più considerevoli, con l’eventualità di una squalifica dalla competizione o una possibile esclusione dal diritto di partecipare al draft.

Va evidenziato che questo strumento di regolazione è difficilmente utilizzabile nella realtà europea, dove coesistono più tornei nazionali ed internazionali. In un contesto europeo caratterizzato dalla libera circolazione dei giocatori, imporre una soglia massima di spesa in una competizione nazionale significherebbe penalizzare questi club rispetto a quelli dove non vi è alcun limite. La logica conseguenza sarebbero trasferimenti in massa dei migliori giocatori nei campionati dove la remunerazione è più elevata e non è soggetta ad alcun limite. Una soluzione potrebbe essere l’applicazione di un salary cap uniforme a livello europeo, ipotesi tuttavia ad oggi lontana dal realizzarsi.

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L’applicazione più conosciuta di salary cap è quella relativa alla NBA40. Istituito per la prima volta nella stagione 1946/1947, viene subito abolito, lasciando per quasi 40 anni libertà di spesa ai team. Viene successivamente reinserito nella stagione 1984/1985 con una soglia di 3.6 mln di dollari, proprio al fine di garantire un controllo dei costi ed un maggior equilibrio competitivo. Tutte le regole sui contratti e sulle tasse sono stabilite da un contratto collettivo, stipulato tra la Lega e il sindacato dei giocatori. Nei casi in cui le trattative non vadano a buon fine, come nel 1998 e nel 2011, si arriva allo scontro (“lockout”),41 con partite annullate e notevoli conseguenze in termini di perdite economiche.

Nella NBA il salary cap42 è composto da uno schema specifico che porta a restrizioni o agevolazioni a seconda del livello di spesa nei salari pagati ai propri atleti:

Minimum cap: è una quota minima di stipendi da corrispondere, fissata al 90% del salary cap stabilito nella stagione. Nell’annata 2014/2015 il monte salari minimo di ogni franchigia è fissato a 56.759 mln di dollari.

Soft cap: è quella situazione in cui una franchigia si trova tra la quota minima salariale (minimum cap) e la quota massima (salary cap). In questo frangente la franchigia non ha limitazioni nella firma dei cosiddetti free agent, non ha bisogno di sfruttare le numerose eccezioni esistenti, e soprattutto non paga tasse ma anzi ne riceve una quota dalle squadre che pagano la luxury tax. Per la stagione 2014/2015, il soft cap è nell’intervallo compreso tra i 56.759 e i 63.065 mln di dollari (7.5% in più rispetto all’annata precedente).

Hard cap: è una zona in cui non si pagano tasse ma si subiscono restrizioni sul mercato. Ad esempio non è possibile firmare free agent se non tramite alcune eccezioni, mentre è possibile offrire il minimo salariale ai veterani, così come si possono effettuare scambi di mercato. Questa soglia nella stagione 2014/2015 corrisponde all’intervallo tra i 63.065 mln di dollari del salary cap e i 76.829 mln del luxury cap.

Luxury cap: oltre tale livello, fissato a 76.829 mln di $, si entra nella zona luxury tax e si è costretti a pagare tasse per ogni dollaro speso oltre la soglia. Ciò significa che ad ogni dollaro pagato in più ai giocatori, bisogna corrisponderne un altro alla Lega. Il meccanismo prevede poi un inasprimento delle tasse in base

40 http://www.gazzetta.it/Nba/09-07-2014/nba-salary-cap-luxury-tax-801188534378.shtml 41 http://archivio.panorama.it/sport/Basket-cos-e-il-lockout-Nba

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all’importo in eccesso e agli anni in cui ci si trova oltre il consentito. Se una squadra è molto al di sopra della luxury tax e per più anni consecutivi quindi, non dovrà pagare un dollaro di multa, bensì un importo assai più elevato a causa del moltiplicatore corrispondente. Le squadre oltre la luxury tax nella stagione 2013-14 hanno dovuto pagare rispettivamente: Brooklyn 90,5 milioni, New York 36,3 milioni, Miami 14,4, i Lakers 8,9 e i Clippers 1,3. Le squadre che sono rimaste al di sotto del luxury cap hanno incassato invece ben 3,03 milioni dalla redistribuzione delle precedenti sanzioni. Le franchigie costrette a pagare le sanzioni subiscono inoltre grosse restrizioni in termini di free agency, ma hanno ancora la possibilità di sfruttare alcuni dei numerosi cavilli ed eccezioni esistenti.

Tramite questo meccanismo quindi si vuole salvaguardare il benessere collettivo, cioè l'interesse dei tifosi verso una competizione incerta. A rimetterci in parte è l’interesse individualistico delle singole società, che vorrebbero ottenere vittorie a qualsiasi costo. Inoltre da un punto di vista economico, il tetto salariale corregge un fallimento di mercato dovuto al fatto che le società sportive non tengono conto dell’equilibrio competitivo della Lega quando prendono decisioni sul talento di gioco della loro squadra, contendendosi i migliori giocatori offrendo remunerazioni senza regole. La critica solitamente avanzata al salary cap è basata sul fatto che, imponendo tali limiti, non sono massimizzati i ricavi e le entrate. Tale opinione è però in contraddizione con il principio generale che solamente una maggiore incertezza della competizione suscita un grande interesse nei tifosi.