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Salute e sicurezza sul luogo di lavoro: l’art 2087 c.c.

Nel documento Mobbing e rapporto di lavoro (pagine 60-68)

2. La responsabilità contrattuale

2.1. Salute e sicurezza sul luogo di lavoro: l’art 2087 c.c.

L’Art. 2087 c.c. costituisce la “norma-principio”55 per l’individuazione della responsabilità contrattuale del datore di lavoro che, attraverso condotte vessatorie, provoca nella vittima un costante stato d’animo di sofferenza e persecuzione tanto da non permettergli di svolgere le proprie mansioni con serenità e tranquillità. Il mobbing56 si presenta nel caso in cui il datore tenga una condotta sistematica e costante nel tempo dalla quale deriva una lesione dell’integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro, valori garantiti dall’Art. 2087 c.c. il quale fa riferimento sia all’integrità fisica che psichica, elementi che non possono essere considerati disgiuntamente e che rientrano entrambi nella definizione costituzionale e più generale del concetto di “salute”57.

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L. MONTUSCHI, Ambiente, salute e sicurezza, Giappichelli editore, 1997

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In questo caso ci riferiamo in particolare alla tipologia di mobbing

verticale.

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P. ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, Giuffrè Editore,2008

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L’integrità fisica trova il suo più alto livello di tutela nella Costituzione all’Art. 32 in cui si individua la salute, intesa in senso ampio, come un “fondamentale diritto dell’individuo”58; la personalità morale, e dunque l’integrità psichica, rientra all’interno dei diritti inviolabili dell’individuo ex Art. 2 Cost., nel nostro caso si tratta di una garanzia riconosciuta all’uomo nei luoghi in cui si svolge la sua personalità, ovvero in ambito lavorativo59. Le garanzie riconosciute attraverso questa disposizione sono riconducibili ad un più ampio concetto di dignità umana che deve essere riconosciuta al singolo come persona, ma anche come parte di una formazione sociale, questo ci porta a concludere nel senso di rappresentare l’Art. 2087 c.c. come un vero e proprio limite alla libera iniziativa economica privata ex Art. 41 comma 2 Cost. Tuttavia è possibile rinvenire un collegamento anche con l’Art. 3 Cost. il quale, alludendo alla “pari dignità sociale” ci chiarisce che la dignità in sé presuppone sia una uguaglianza e una parità tra soggetti, sia la libertà di questi ultimi di sviluppare pienamente la propria personalità60; premesso ciò è evidente che nel caso in cui venga violata la dignità sociale automaticamente ed implicitamente si va a ledere non solo il principio di uguaglianza, ma anche la libertà di chi subisce il danno principiale. La norma che stiamo analizzando funge da ponte di collegamento tra l’ordinamento costituzionale e il diritto civile, così da far assumere alla dignità maggior

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Art. 32 Cost. cit.

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P. ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, Giuffrè Editore, 2008: “In tal senso appare corretto ritenere che la chiave di

lettura della personalità morale ex Art. 2087 c.c. sia proprio da rinvenire nella dignità come valore giuridico e come fondamento dei diritti inviolabili della persona ex Art. 2 Cost.”

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importanza nei rapporti datore-prestatore.

Particolari ipotesi di mobbing si presentano quando il datore si rende responsabile attraverso comportamenti materiali indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali: l’illecito, e dunque la lesione del bene protetto, si realizza nel momento in cui c’è un’idoneità offensiva della condotta del datore riconducibile alla sistematicità delle sue azioni e alla loro costante durata nel tempo. Si pone, dunque, a carico dell’imprenditore l’obbligo di adottare in ogni momento e in ogni dove le misure idonee a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore: tali cautele possono essere individuate espressamente dalla legge oppure possono essere oggetto di previsione contrattuale nel caso in cui le mansioni da svolgere richiedano un’attenzione più specifica. Il datore, in qualità di responsabile della sicurezza nei luoghi di lavoro, è tenuto costantemente ad effettuare controlli affinché sia i lavoratori sia eventuali preposti rispettino la normativa in modo tale da evitare che vengano ad instaurarsi prassi di lavoro scorrette61.

Da questo ne deriva che al lavoratore è pienamente riconosciuta la facoltà di astenersi dal portare a termine particolari operazioni il cui svolgimento, anche solo ipoteticamente, potrebbe determinare pericoli alla salute connessi al non corretto

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Corte di Cassazione, sentenza 16 gennaio 2004 n 18638: “Il datore di

lavoro deve controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi "contra legem", foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di lesione colposa aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche"

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adempimento da parte del datore degli obblighi di tutela delle condizioni lavorative che gravano a suo carico, in questi casi è coinvolto un diritto fondamentale costituzionalmente protetto che deve dunque necessariamente essere tutelato in maniera preventiva. Gli obblighi riconducibili all’Art. 2087 c.c. sono essenzialmente due: da un lato “un generale dovere per il datore

di lavoro…di tutela della salute del lavoratore…e di prevenzione dei possibili rischi sul luogo di lavoro”, e dall’altro “un dovere di introdurre le misure necessarie per una adeguata tutela della salute e della sicurezza del lavoratore da adempiersi con la massima diligenza richiesta dall’attività esercitata”62; sarà

dunque necessario tenere presenti non solo le caratteristiche soggettive del prestatore, ma anche le condizioni oggettive delle mansioni che questo svolge in modo da approntare le adeguate misure di sicurezza. L’obbligo di sicurezza si identifica come un obbligo sia di fare che di non fare in quanto oltre ai doveri attivi appena citati si ricava anche un obbligo in negativo di astensione del datore dal mettere a rischio gli stessi beni che vengono tutelati attraverso l’obbligo principale di facere in positivo. La responsabilità del datore, tuttavia, è esclusa qualora questi abbia adottato tutte le cautele atte a proteggere e difendere l’integrità fisica del prestatore d’opera ma, nonostante ciò, sia comunque insorta una malattia di quest’ultimo, la quale però non potrà essere imputata al datore in quanto non si può ricollegare a questi alcun comportamento colposo63; il limite della

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L. MONTUSCHI, Ambiente, salute e sicurezza, Giappichelli editore, 1997.

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Corte di Cassazione, sez. lav., sentenza 1 settembre 1997 n. 8267: con questa sentenza la Corte ha cassato la pronuncia del tribunale che negò il risarcimento del danno biologico richiesto da un lavoratore al proprio datore per l’infarto subito a causa dello stress accumulato per eccessivo lavoro,

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responsabilità contrattuale del datore di lavoro, dunque, si identifica nella prevedibilità dei danni.

Un ampio dibattito si è aperto sul carattere dell’Art. 2087 c.c., ovvero sulla possibilità di qualificarlo quale norma generale o meno. Dobbiamo premettere che la c.d. norma generale individua una particolare modalità di tecnica legislativa, “una

tecnica di conformazione della fattispecie legale opposta al metodo casistico”64, si tratta di una norma in cui la fattispecie anziché descrivere le singole specifiche ipotesi cui fa riferimento, si limita ad individuare una generalità di casi in via riassuntiva che andrà a disciplinare. Questa tecnica permette all’organo giudicante, che si trova a dover applicare la norma in questione, di avere un ampio margine di discrezionalità, che tuttavia non potrà mai permettergli di innovare il diritto o integrarlo a suo piacimento, il giudice non sarà mai una figura onnipotente e dovrà attenersi comunque al dettato normativo; la particolarità sta nel fatto che è il dettato stesso a non dare indicazioni precise agli operatori del diritto, per cui la discrezionalità, sebbene non possa mai tradursi in libero arbitrio, rappresenta comunque elemento peculiare che caratterizza la categoria delle c.d. clausole generali. Ciò premesso non appare corretto riconoscere all’Art. 2087 c.c. il carattere di clausola generale, le tesi a sostegno di questa teoria si basano sul fatto che questo permette alla norma di godere costantemente anche di un altro carattere, quello dell’attualità in quanto grazie alla clausola generale è sempre possibile adeguare sostenuto attraverso straordinari in via continuativa e rinuncia alle ferie; il datore di lavoro avrebbe invece dovuto impedire il deterioramento di tale situazione.

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L. MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in riv. crit. di diritto privato, 1986

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la legge alle rapide e imprevedibili evoluzioni della realtà socio- economica.

La teoria della clausola generale, dunque, non convince del tutto, cerchiamo di capirne i motivi; la clausola generale, è vero, rappresenta una disposizione che consente di attingere a determinati valori, spesso attraverso un riferimento agli standards sociali, ma resta necessario poi vagliare la scelta in rapporto all’intero ordinamento giuridico, le clausole generali hanno la funzione di creare dei modelli cui il giudice potrà attingere per argomentare e motivare la propria decisione. Di conseguenza, se volessimo interpretare la disposizione dell’Art. 2087 c.c. come

clausola generale si rende necessario precisare che essa non può,

tuttavia, eguagliarsi ad uno standard sociale proprio per “non

limitare l’attività giurisdizionale ad una funzione meramente ricognitiva di norme sociali di condotta sociale”65. La disposizione deve considerarsi, invece, una norma generale nel senso che da essa discendono una serie di norme speciali le quali, tuttavia, non necessariamente vanno a derogare la prima ma si limitano a dettare - per esigenze di differenziazione - l’applicazione più specifica di quella disposizione con riferimento a particolari casi già inclusi in via generale nella fattispecie principale. In questo modo, attraverso un “dialogo” tra norme generali e speciali si garantisce una corretta configurazione dell’obbligo di sicurezza; il rapporto tra norma generale e norma speciale ha come funzione quella di integrare sempre di più la portata del dovere che grava sul datore sotto due profili, quello quantitativo e quello qualitativo. Nel primo caso è evidente che, dal momento in cui la norma speciale introduce

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delle specifiche disposizioni per casi particolari, essa non fa altro che arricchire il valore dell’obbligo espresso nella norma generale donandogli maggiore concretezza; a livello qualitativo, invece, il fatto stesso di creare norme speciali comporta una maggiore esposizione esterna dell’obbligo di sicurezza e del suo adempimento66.

Un interessante e adeguato cambio di tendenza, riguarda l’interpretazione della locuzione “misure che…sono necessarie” per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore riportata nell’art. 2087 c.c.: in un primo momento dottrina e giurisprudenza interpretavano tale obbligo nel senso di un dovere di adottare la massima sicurezza tecnologicamente possibile, per cui il datore avrebbe dovuto “adottare tutte quelle misure che

siano idonee, secondo le acquisizioni delle più avanzate scoperte scientifiche o della migliore tecnologia, a eliminare o, se questo non è possibile, a ridurre i rischi per la salute dei lavoratori (o per la loro dignità)”67, con la non secondaria conseguenza che l’imprenditore si trovava costretto ad un perpetuo adeguamento di tali standard al progredire della scienza e della tecnica. In un secondo momento, tuttavia, la Corte Costituzionale ha specificato il senso di quella disposizione in particolare per

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P. ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, Giuffrè Editore,2008: “Quello fra norma generale e norme speciali è dunque

un sistema circolare: la norma generale imprime una particolare direzione alle norme speciali offrendo un criterio imprescindibile di inquadramento; le norme speciali arricchiscono di una serie di specificazioni l’obbligo di sicurezza, specificazioni che rinvigoriscono la portata prevenzionale dell’obbligo e ne proiettano l’essenza in una pluralità di contesti.”

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M.T. CARINCI, Il mobbing: alla ricerca della fattispecie, in Mobbing,

organizzazione, malattia professionale (Quaderni di diritto del lavoro e delle relazioni industriali), Utet, Torino, 2005.

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limitare la discrezionalità dell'interprete, e con una pronuncia del 199668 ha precisato che per “misure necessarie” devono intendersi quelle precauzioni le quali, a seconda delle peculiarità dei diversi settori in cui si opera, corrispondono ad accorgimenti generalmente praticati in modo tale da rendere censurabile solo chi deliberatamente si discosta da tali standard di sicurezza. In conclusione, ciò che realmente impone l'art. 2087 c.c. è il rispetto di tali livelli di “sicurezza generalmente praticata”, richiedendo che l'azienda si conformi a quanto normalmente applicato nel settore di riferimento.

Infine, un’ulteriore e particolare ipotesi di violazione della disposizione di cui all’art. 2087 c.c. che comporta una responsabilità del datore si configura nel caso in cui i comportamenti illeciti e vessatori siano realizzati da parte di un lavoratore ai danni di un altro, si tratta della tipica ipotesi di

mobbing orizzontale: queste situazioni sono riconducibili alla

mancata predisposizione, da parte dell’imprenditore, delle misure di sicurezza sufficienti e necessarie ad evitare certi atteggiamenti tra i dipendenti colleghi. Si ritiene che in tal caso la responsabilità cadrà in capo al datore qualora egli fosse stato a conoscenza del clima intimidatorio creatosi all’interno dell’azienda, e ciononostante non si sia attivato per impedirne il protrarsi

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Corte Costituzionale, sentenza 25 luglio 1996 n. 312: “[…] là dove parla

di "misure concretamente attuabili" il legislatore si riferisca alle misure che, nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni, corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti, sicché penalmente censurata sia soltanto la deviazione dei comportamenti dell'imprenditore dagli “standards” di sicurezza propri, in concreto ed al momento, delle diverse attività produttive […]”.

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divenendo quasi “complice” di chi direttamente è l’autore di tali condotte.

Nel documento Mobbing e rapporto di lavoro (pagine 60-68)