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Straining: un’ipotesi di mobbing attenuato

Nel documento Mobbing e rapporto di lavoro (pagine 121-125)

Come abbiamo visto nel capitolo precedente uno dei principali “punti deboli” della fattispecie è quello relativo all’onere probatorio: per far valere un diritto al risarcimento è necessaria l’allegazione di documenti che dimostrino la sussistenza di particolari atti vessatori nonché la loro permanenza e costanza nel tempo, solo così potranno ritenersi effettivamente esistenti casi di

mobbing; il problema sta proprio nella difficoltà di tale

allegazione e in tali casi, quando ad esempio non si riesce a dimostrare la permanenza e ripetizione degli atti persecutori nel tempo, è possibile fare ricorso ad un’ulteriore fattispecie molto simile al mobbing: lo straining135. Anche lo straining è una

categoria coniata dalla psicologia del lavoro, la sua particolarità è che affinché essa si reputi integrata non è necessario che le molestie siano continuative, ma è sufficiente una singola azione (anche isolata) posta in essere dal responsabile nei confronti della vittima designata con un intento comunque persecutorio e diretto

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H. EGE,Oltre il mobbing. Straining, stalking e altre forme di conflittualità

sul posto di lavoro, franco angeli editore, 2005.

lo psicologo del lavoro H. Ege definisce lo straining come un insieme di

“conflitti organizzativi non rientranti nel mobbing ma comunque comprendenti situazioni lavorative stressanti, ingiuste e lesive, quali per esempio la dequalificazione o isolamento professionale”.

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a causare un disturbo al regolare svolgimento delle attività lavorative. In assenza di una siffatta categoria capitava spesso che le ipotesi di stress lavorativo patologico che venivano a crearsi in un ambiente (e che nettamente superavano le soglie di stress connaturato all’essenza stessa di qualsiasi lavoro) rischiavano di non avere un riconoscimento a livello giudiziale, per cui tali vittime non avevano alcuna possibilità di sostenere le proprie ragioni in tribunale né di vedersi riconosciuto il relativo risarcimento del danno.

In tal senso una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione136 ha riconosciuto integrata la categoria di straining per quei trattamenti ostili e svilenti che il primario del reparto di neurologia dell’ospedale di Brescia ha tenuto nei confronti di una neurologa sua sottoposta; attraverso una consulenza tecnica venne accertato, dal Tribunale territoriale, un danno biologico del 10% consistente in disturbi dell'adattamento, ansia e umore depresso che ha comportato l’accoglimento della domanda e la definizione della situazione sotto il nome di mobbing. In grado di appello la sentenza viene confermata, ma viene modificata la qualificazione dei trattamenti subiti dalla vittima identificati ormai con il nome più specifico di “straining”; tale orientamento viene poi ripreso anche dalla Cassazione che definisce questa più recente categoria come: “una situazione

lavorativa conflittuale di stress forzato, in cui la vittima subisce azioni ostili limitate nel numero e/o distanziate nel tempo (quindi non rientranti nei parametri del mobbing) ma tale da provocarle una modificazione in negativo, costante e permanente, della

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condizione lavorativa”137. Come ben si capisce la nozione di straining si concentra prevalentemente sulle conseguenze che tale

comportamento provoca in modo diretto nei confronti dell’ambiente lavorativo in generale, in quanto elemento imprescindibile è rappresentato dalla citata “situazione lavorativa

conflittuale di stress forzato”, per cui a differenza delle ipotesi

classiche di mobbing - in cui non è solo la conseguenza ad essere determinante, ma anche l’atto in sé e soprattutto l’intento persecutorio - qui l’influenza è data in particolar modo dalle modificazioni negative, costanti e permanenti che le azioni di molestie comportano nei confronti dell’ambiente esterno. In questo modo, ovvero dando un riconoscimento formale a tale categoria, ottengono rilevanza tutte quelle ipotesi in cui non era possibile richiamare il mobbing in quanto non si era in presenza di un progetto “a lungo termine”; adesso, invece, è possibile tutelare anche quelle situazioni di demansionamento o di isolamento (sebbene sporadiche e apparentemente casuali) del lavoratore tenute dal datore con il fine di provocare una situazione di costante stress. Ciò che intendiamo per straining, dunque, rappresenta una condizione psicologica che si colloca a metà tra il mobbing tradizionale e il mero stress occupazionale tipico di ogni organizzazione lavorativa. La fattispecie appena

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Corte di Cassazione, sentenza 12 febbraio 2016 n. 3291: “Il suddetto

“stress forzato” può essere provocato appositamente ai danni della vittima con condotte caratterizzate da intenzionalità o discriminazione […] e può anche derivare dalla costrizione della vittima a lavorare in un ambiente di lavoro disagevole, per incuria e disinteresse nei confronti del benessere lavorativo; è sufficiente, come si è detto, anche un’unica azione ostile purché essa provochi conseguenze durature e costanti a livello lavorativo, tali per cui la vittima percepisca di essere in una continua posizione di inferiorità rispetto ai suoi aggressori.”

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descritta ha in comune con il mobbing il fatto che in entrambi i casi la tutela risarcitoria è la stessa, per cui oltre a poter chiedere la condanna del datore di lavoro a cessare gli atti vessatori e discriminatori, nonché l’obbligo di adottare le misure necessarie per evitare il protrarsi di tali situazioni, il lavoratore-vittima può ottenere anche il risarcimento dei danni che ha subito in quanto persona: patrimoniali e non patrimoniali.

In conclusione, dunque, aver riconosciuto non solo in termini di psicologia, ma anche nella giurisprudenza la sussistenza di una categoria di illecito assimilabile al mobbing – sebbene in forma attenuata – ha avuto l’effetto di ampliare le ipotesi in cui è possibile garantire una tutela risarcitoria al lavoratore nei casi in cui non siano integrati i rigidi presupposti necessari per far sì che si reputi sussistente la più complessa fattispecie di mobbing in senso stretto.

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CAPITOLO IV

"UN CASO DI STUDIO: FRA MOBBING E BOSSING"

Sommario: 1. Bossing: cenni al mobbing pianificato – 2. Un caso di studio: presentazione – 2.1. Esposizione del caso – 2.2. Analisi e commento – 3. Vero mobbing? – 4. Il problema dell’onere della prova

Nel documento Mobbing e rapporto di lavoro (pagine 121-125)