I numerosissimi studi teorici ed empirici sulla sostenibilità hanno più volte toccato la problematica della definizione della scala di analisi. Questo perché, se è vero che la scala può essere vista come un continuum fra micro e macro (Meyer et al., 1992), nella pratica i processi che guidano e configurano la sostenibilità tendono ad organizzarsi tipicamente su alcune scale piuttosto che su altre (Wilbanks, 2003). Questa discretizzazione fra micro e macro fa sì che l’approccio geografico più comunemente adottato per lo studio della sostenibilità sia costituito da unità territoriali più piccole che si innestano all’interno di altre di maggiori dimensioni, per formare un sistema a mosaico (Costanza et al., 2000).
La rilevanza della questione della scala all’interno della tematica della sostenibilità viene evidenziata essenzialmente sotto due aspetti. Da un lato c’è una questione empirica, che riguarda la dimensione spaziale a livello della quale è possibile misurare la sostenibilità di un sistema. Dall’altro lato il problema della scala viene affrontato dal
punto di vista politico, riflettendo la necessità di individuare i territori all’interno dei quali sia possibile applicare le strategie di sviluppo sostenibile.
Per quanto riguarda il primo aspetto, Mascarenhas e colleghi riportano una serie di esperienze in cui indicatori di sostenibilità sono stati utilizzati su una scala locale (Mascarenhas et al., 2010). Tali iniziative si inquadrano per lo più nel controllo e nella valutazione del raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità previsti da Agenda 21, un programma che, infatti, sostiene l’utilizzo della dimensione locale nell’approccio alla questione della sostenibilità attraverso lo slogan “think globally, act locally”. Ciò si traduce, anche in ambito strettamente scientifico, nella diffusione dell’utilizzo di un approccio su piccola scala nella valutazione del livello di sostenibilità ambientale, sociale ed economica di un sistema territoriale.
In particolare, nella valutazione dell’impatto ambientale delle attività umane, finalizzata all’identificazione delle migliori strategie di conservazione e gestione delle risorse naturali, si segnalano alcune esperienze di utilizzo di indicatori su scala locale. Mineur (2007) riferisce della costruzione di un sistema di 25 indicatori, misurati su scala locale, per monitorare e confrontare le performance ambientali delle municipalità svedesi. Meno specifica, ma ugualmente calata sulla piccola scala, è l’esperienza di adattamento alla dimensione locale della misurazione dell’impatto delle attività umane sull’ecosistema tramite l’Impronta Ecologica (Wackernagel & Rees, 2000), operata da Bagliani e colleghi sulla provincia di Siena (Bagliani et al., 2006).
Anche a livello sociale, la necessità di prendere in considerazione la rete di attività che caratterizza una comunità ha spinto molti studiosi a concentrarsi sulla scala locale per tentare di misurare empiricamente il livello di sostenibilità dei sistemi. Ciò è avvenuto, da un lato, trasferendo su dimensioni spaziali ridotte indicatori già applicati a livello nazionale, come nel caso dei “Regional Quality of Life Counts” operativi nel Regno Unito, descritti da Custance (2002), che prendono in considerazione elementi socio- economici, quali l’istruzione, la salute, la sicurezza, etc., per valutare la sostenibilità sociale delle regioni. Dall’altro, si sono registrate esperienze legate alla misura della sostenibilità sociale come livello di capitale sociale all’interno di una comunità locale; interessante, a questo riguardo, è il lavoro di Beekman e colleghi che hanno misurato empiricamente il grado di fiducia e il senso di appartenenza dei cittadini di diverse regioni europee (Beekman et al., 2009).
Infine, per quanto riguarda il problema della misura empirica della sostenibilità economica, la scala più comunemente adottata è quella nazionale. Infatti, in questo caso, l’elemento determinante per la scelta della dimensione geografica dell’analisi sembra essere la disponibilità di dati economici che, tipicamente, è più ampia a livello degli stati nazionali.
Tornando invece alla seconda questione, quella della dimensione spaziale all’interno della quale le azioni strategiche e politiche devono essere attuate, dal dibattito scientifico emergono diverse prospettive.
Da un lato si collocano gli scienziati politici, interessati per lo più agli aspetti della governance della sostenibilità su scala globale; dall’altro lato troviamo, invece, gli scienziati sociali e gli antropologi che focalizzano la propria attenzione sulla conoscenza del fenomeno a livello locale (Cash et al., 2006; Reid et al., 2006).
Una sintesi di questi approcci deve basarsi sull’individuazione analitica degli aspetti del problema che sono noti con sufficiente sicurezza. Wilbanks, in un lavoro del 2007, tenta proprio questa strada per cercare di fornire un contributo alla discussione. Egli identifica tre punti fondamentali che vanno tenuti in considerazione nel dibattito sulla scala territoriale della sostenibilità (Wilbanks, 2007).
1. Il meccanismo di decision-making, riguardo ai temi della sostenibilità, richiede un processo di interazione che è enormemente influenzato dalle modalità di comunicazione fra le persone. Laddove tale meccanismo di interazione beneficia della prossimità spaziale, va riconosciuta l’esistenza di limiti di estensione della scala alla quale si può ottenere il consenso sociale. In questo senso, sono soprattutto i processi decisionali partecipativi a possedere una forte componente territoriale.
2. Molti dei sistemi, processi e fenomeni importanti per la sostenibilità sono caratterizzati da una componente dimensionale. I sistemi coinvolti nei cambiamenti globali generalmente operano a diverse scale geografiche e temporali (Clark, 1985). Poiché le strategie di sostenibilità sono specifiche dei sistemi, è la scala di tali sistemi che va considerata, piuttosto che la scala globale che produce i cambiamenti osservati.
3. Generalmente l’organizzazione geografica basata sui confini amministrativi non è la dimensione giusta per l’analisi della sostenibilità (Swart & Raes, 2007), perché la sua definizione nasce da altre esigenze.
All’interno di questo complesso quadro, nel quale convivono mosaici apparentemente incompatibili, è evidente che scale differenti tendono ad avere ciascuna specifiche potenzialità e limitazioni. Con un’estrema semplificazione si potrebbe dire che le scale locali offrono grandi opportunità di partecipazione, flessibilità e innovazione, mentre scale più ampie permettono di mobilizzare quantità maggiori di risorse e di generare economie nei costi di applicazione delle strategie (Wilbanks, 2007).
Ovviamente la migliore soluzione sarebbe l’integrazione delle due scale, ma nella pratica ciò è impedito da aspetti decisivi come l’autonomia decisionale, finanziaria e l’identificazione del bacino dei beneficiari delle politiche di sostenibilità.
Vi è tuttavia, fra gli accademici che si occupano del tema, chi propende per una dimensione piuttosto che un’altra. Ad esempio, Mascarenhas e colleghi, pur rilevando una maggiore efficacia dell’approccio locale alle politiche per la sostenibilità, identificano nella scala regionale, amministrativamente definita, la migliore dimensione territoriale delle azioni di policy (Mascarenhas et al., 2010). Infatti, dato che gli obiettivi di sostenibilità sono definiti per lo più a livello istituzionale, il loro inquadramento all’interno di una dimensione geografica chiaramente delimitata permette di valutare l’impatto delle politiche sul loro raggiungimento.