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La scelta vegetariana e vegana

Il numero di vegetariani e vegani è in rapida crescita secondo dati Eurispes.129 Si stima che in Italia circa l'8% della popolazione sia vegetariana o vegana,130 ed in continuo aumento: nel 2013 si parlava di 3,7 milioni di persone, nel 2014 di 4,2 milioni, per una crescita media che si aggira intorno al +15% l'anno. E non è oramai considerabile come una moda transitoria, tutt'altro: diversi studi, come quello del Stokholm

127 http://www.theguardian.com/environment/2010/jun/02/un-report-meat-free-diet 128 http://www.theguardian.com/environment/2010/jun/02/un-report-meat-free-diet 129 http://www.leurispes.it/vegetariani-vegani-alimentazione-futuro/

International Water Institute, ipotizzano che intorno al 2050 potremmo

dover diventare tutti vegetariani. Secondo questo studio infatti, pubblicato sul The Guardian, il principale quotidiano britannico, stiamo consumando le risorse ad una tale velocità ed al contempo aumentando in numero di individui che ne richiedono, che non saremmo più in grado di sfamare tutti con le diete a cui oggi siamo abituati.

Si diventerà vegetariani quindi non per scelta, ma per mancanza di alternativa visto l'uso erroneo che avremmo fatto fino a quel momento delle risorse rimaste. Nel 2050 poi la popolazione mondiale passerà dai 7 miliardi attuali a circa 9 miliardi di individui, aggravando ancora di più la situazione.

Sempre secondo il Stokholm International Water Institute, sarà necessario passare dalla dieta attuale, che prevede in media il 20% di proteine derivanti da prodotti di origine animale, ad una dieta nel quale ve ne siano al massimo un 5%. Naturalmente il rapporto non mira a ipotizzare una futura dittatura a base di prodotti vegetali, ma solamente a cercare di sensibilizzare la popolazione per un uso più intelligente delle risorse che al momento dispongono, ma che entro breve tempo inizieranno a scarseggiare.

Sarebbe irrealistico ipotizzare che tutto il mondo smetta dall'oggi al domani di consumare questi tipi di prodotti, ma nel concreto le alternative esistono, a prezzi ormai abbordabili e con una vastissima scelta di prodotti vegetali alternativi, da sostituire quantomeno ogni tanto a quelli classici.

Per cercare di comprendere quanto la nostra alimentazione può fare la differenza, uno studio americano ha messo a punto questo grafico, basandosi su date ERS.131 In tali figure viene messa in confronto la carbon

footprint relativa a ciascuna dieta: diete ad alto consumo e medio consumo

di carne, una dieta senza manzo, dieta vegetariana e vegana.

In tale studio132 si dimostra che le emissioni del sistema alimentare

131 http://shrinkthatfootprint.com/food-carbon-footprint-diet

132 http://www.annualreviews.org/eprint/EBIXxM7sNxrBJyuRYgki/full/10.1146/annurev-environ-

potrebbero rappresentare circa un quarto di tutte le emissioni umane, e sono dunque di notevole impatto e importanza.

L'impronta di carbonio di un vegetariano è circa due terzi rispetto a quella di un consumatore di carne ad alti livelli, ancora meno per un vegano. La dieta media di un americano (come già mostrato in precedenza nel paragrafo 3.1.2) porta a circa 2,5 tonnellate di emissioni di CO2 pro capite all'anno, in media. Nello specifico invece un mangiatore assiduo di carne crea un impatto che sale a 3,3 tonnellate, un vegetariano a 1,7, un vegano a 1,5.

CONCLUSIONI

L'informazione e la consapevolezza sono la chiave di qualunque cambiamento: finché non si conosce la gravità di una certa situazione, non vi sarà mai una spinta, una volontà sufficiente per decidere di modificarla.

La schiavitù, i totalitarismi, o qualunque altra delle miriadi di ingiustizie che l'uomo è stato in grado di compiere sono passate inosservate per lungo tempo, passivamente accettate dalla popolazione. Fino a che qualcuno non ha iniziato a parlarne, a diffondere informazioni, a cercare di far comprendere al mondo l'ingiustizia che continuava a perpetrarsi lontano dagli occhi e dalle coscienze. La stessa identica cosa vale per gli allevamenti intensivi.

Per questioni etiche, ambientali, salutistiche. Da qualunque fronte si guardi questa realtà, il risultato è il medesimo: è una realtà sbagliata, che deve essere modificata.

Il concetto chiave però sul quale è doveroso soffermarsi è che non è una scelta, è una necessità: se tutto il mondo adottasse uno stile alimentare pari a quello occidentale, il pianeta non lo sopporterebbe. Non c’è semplicemente abbastanza spazio né vi sono abbastanza risorse per sfamare tutta popolazione a base di carne o altri prodotti di origine animale. Il cambiamento della domanda alimentare di cui siamo spettatori, dovuto allo sviluppo di alcuni Paesi che ora portano ad un loro consumo di carne pari a quello occidentale,133non è matematicamente sostenibile.

In un rapporto ONU, l’Assemblea Generale stessa ha invitato la popolazione a seguire una dieta vegana, in quanto questa sarebbe la migliore soluzione per la salvezza del pianeta.134 In questo Rapporto

l’Assemblea sostiene che:

133 http://www.unwater.org/worldwaterday/downloads/WWD2012_BROCHURE_IT.pdf

"Impacts from agriculture are expected to increase substantially due to population growth increasing consumption of

animal products. Unlike fossil fuels, it is difficult to look for alternatives: people have to eat. A substantial reduction of impacts

would only be possible with a substantial worldwide diet change, away from animal products.”135

Continua poi sostenendo che le produzioni di prodotti animali inquinano più che le produzioni industriali, sottolineando l’insostenibilità di una tale alimentazione, ed i benefici a livello salutistico.136

L’uomo rispetterebbe per primo i suoi diritti: alla salute, alla sicurezza, all’acqua, ad un ambiente più salubre, e più in generale al proprio benessere, oltre che quello degli animali. Inoltre vi sarebbe una notevole svolta verso la sostenibilità, con un’immensa riduzione dell’inquinamento, di spreco di territorio e risorse, una diminuzione della fame nel mondo, una conversione dell’economia verso la produzione di alimenti più sani e nettamente più sostenibili.

L’uomo ha alterato in maniera abnorme e irreversibile il pianeta in cui vive nel corso degli anni. Ha disboscato, bonificato, costruito, cambiando profondamente il territorio per renderlo più utile e produttivo. Ha creato nuove specie grazie al processo di selezione, facendo nascere animali che potessero crescere sempre più in fretta, e produrre più latte, più uova, più carne di quello che la natura aveva previsto. E ha provocato disastri ambientali sbilanciando gli ecosistemi, inquinando l’aria, il suolo e l’acqua.

Siamo giunti ad un punto in cui continuare come si è sempre fatto, senza preoccuparsi delle conseguenze, non è più possibile. Quantomeno sarebbe corretto che ciascun cibo di origine animale abbia un prezzo adeguato al costo ambientale che è stato necessario per produrlo: l'internalizzazione dei costi è un argomento spesso discusso ma che nella realtà non è per nulla messo in pratica, considerando i prezzi imbarazzanti

135 http://www.theguardian.com/environment/2010/jun/02/un-report-meat-free-diet

136 http://www.theguardian.com/environment/2008/sep/07/food.foodanddrink?guni=Article:in

a cui carne, uova e latticini vengono venduti.137

Un cambiamento radicale incoraggiato in maniera decisa dagli Stati e dalle Organizzazioni Internazionali è necessario, ma ognuno di noi, nel nostro piccolo, può realmente fare la differenza e cambiare le cose.

Ciò che manca non è un'alternativa: ciò che più manca è la consapevolezza. E non solo a causa della società, che cerca di mettere in ombra aspetti che potrebbero economicamente danneggiarla.

Manca sopratutto da parte dell'uomo, in grado oggi di poter conoscere qualunque cosa grazie ad internet, raggiungendo una molteplicità di informazioni nel giro di qualche secondo e, se vuole, conoscere. Guardare con i propri occhi le realtà degli allevamenti intensivi è alla portata di tutti ormai, tramite miriadi di video, di articoli, di testimonianze. Chiunque più decidere di informarsi e andare al di là del gusto di un determinato alimento, e chiedersi come è stato prodotto, quanto inquinamento ha arrecato al pianeta, cosa, o chi, sta realmente mangiando. Il problema è che la conoscenza comporta una presa di posizione, una scelta fatta con la consapevolezza di sapere i pro e i contro della propria azione: scoperta la realtà dei fatti, non è più possibile fare finta di nulla, è doveroso scegliere da che parte stare, oppure decidere incoerentemente di non scegliere, fingendo di non sapere. E spesso purtroppo è semplicemente più facile voltare lo sguardo che prendere attivamente parte ad un mutamento magari difficile, ma necessario.

Non viene messa in dubbio la difficoltà di una tale presa di posizione, soprattutto considerando che il tema trattato è il cibo, elemento profondamente radicato nella cultura di ogni individuo. Ma il progresso in passato ha portato spesso al cambiamento di abitudini fino a quel momento ritenute essenziali, ed è appunto per questo che viene chiamato

progresso, dal latino progredior, ossia “andare avanti”.

Nel momento in cui sussistono le condizioni per cambiare in meglio, è doveroso farlo: per le stesse ragioni, per fare degli esempi, non bruciamo

più al rogo le presunte streghe, non vengono più utilizzate le sanguisughe per curare le persone, utilizziamo il denaro anziché il baratto, e così via. Eppure ai tempi erano abitudini scontate, gesti considerati assolutamente sensati e logici. Henri Frèdèric Amiel sosteneva che “mille cose avanzano,

novecentonovantanove regrediscono: questo è il progresso”.

Progresso infatti significa anche capacità di lasciarsi alle spalle ciò che non è più necessario, specialmente se un'azione simile porterebbe ad una diminuzione delle ingiustizie e della crudeltà umana.

“Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi. È l'indifferenza dei buoni”

Martin Luther King

Le Scienze per la Pace, che dovrebbero vedere chiaramente questo collegamento, spesso si limitano a considerare solamente il benessere dal lato umano, la pace tra individui, limitando il concetto stesso di pace. Ma se l'obiettivo finale è cercare di giungere il più possibile ad una situazione di armonia, nonviolenza e rispetto, per quale ragione il concetto di pace non dovrebbe essere esteso anche agli altri esseri viventi?

È necessario, se non doveroso, che la parte di popolazione più sensibile a tali temi ampli il proprio raggio d'azione, facendo proprie anche quelle cause che fino ad ora sono state considerate secondarie, e che secondarie non lo sono affatto. Non solo per empatia nei confronti di altri esseri viventi: soprattutto per empatia nei confronti dell'uomo stesso.

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