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Le scelte della Convenzione di Varsavia

3. C ONVENZIONE DI V ARSAVIA DEL 1929

3.1 Le scelte della Convenzione di Varsavia

Lo sviluppo del traffico aereo rendeva ormai indispensabile una regolamentazione uniforme128, ci si trovava allora di fronte all‟amletico dubbio tra la

tendenza dei sistemi di common law (soprattutto quello inglese) a fissare una somma forfetaria, e la tendenza dei sistemi di civil law a risarcire il danno quale esso fosse nel singolo caso. Come si è già avuto modo di dire, anche grazie agli influssi della dottrina tradizionale, legata al principio di “nessuna responsabilità senza colpa”129, si

optò per una responsabilità contrattuale, basata sulla colpa presunta del vettore, limitata ed inderogabile.

All‟art. 17 in testo della Convenzione indicava infatti che il vettore rispondeva di tutti i danni in caso di morte o lesioni subite dal viaggiatore durante il trasporto o le operazioni di imbarco e sbarco. Era una versione certamente di equilibrio tra l‟Avant-project del Citeja, ove si estendevano i confini della responsabilità del vettore dal momento di ingresso nell‟aeroporto di partenza al momento dell‟uscita da quello di destinazione130, e le richieste di alcune

«Quando si dice, perciò, che ragioni di tutela e di sviluppo delle imprese aeronautiche consigliano l‟adozione di un principio di ius singulare (quale è certamente quello della limitazione legale della responsabilità) si dice anche che queste ragioni sono di schietto carattere giuridico.» AMBROSINI, Responsabilità aeronautica, 1930 U.S.I.L.A. Roma, pag. 47.

128 «[…] il viaggiatore nell‟aria con enorme velocità passando in breve tempo da Stato a

Stato rende necessario ed attuabile il concetto di norme comuni.» DA PASSANO, Il diritto privato

internazionale aeronautico, in Dir. comm. 1926, 85.

129 BENTIVOGLIO, La crisi del sistema di Varsavia ed il problema della responsabilità del vettore aereo,

in Annali aeron. 1969, 11.

130 Critiche furono rivolte su due aspetti: il primo riguardava l‟impotenza del vettore nel

delegazioni131 di far rispondere il vettore solo “du moment où les voyageurs ont pris place à bord”. Già da queste contrapposizioni si delineavano le posizioni di due blocchi, o

correnti di pensiero, l‟una tendente a privilegiare il vettore, l‟altra a proteggere il passeggero.

Esaminando la discussione attorno agli articoli che più qui ci interessano, si vede come la limitazione del debito, prevista all‟art. 22 al. 1, fosse sostanzialmente accettata da tutte le delegazioni, vertendo infatti le proposte di emendamento presentate solamente sul riferimento alla legge francese sul franco-oro (c.d. Franco Poincarè) e sulla diminuzione dei limiti proposti dal Citeja; l‟I.A.T.A.132 espresse

comunque la sua contrarietà al testo definitivo perché riteneva i massimali troppo elevati. La delegazione della Gran Bretagna propose emendamenti apparentemente solo stilistici133: si voleva che dalla Convenzione trasparisse chiaramente che il limite

di responsabilità andava applicato ad ogni caso particolare, il che equivaleva a dire che in realtà il limite globale del debito del vettore era dato dalla moltiplicazione del massimale per il numero dei passeggeri imbarcati134.

Nell‟articolo immediatamente successivo, si prevedeva la nullità di ogni patto tendente ad escludere o limitare la responsabilità del vettore. Un‟isolata, e non accolta, proposta del Giappone mirava a conferire ai legislatori statali, se l‟avessero ritenuto necessario, la facoltà di autorizzare delle eccezioni alla inderogabilità del regime di responsabilità previsto dalla Convenzione all‟art. 23; sosteneva la delegazione nipponica che «dans l‟état actuel de la navigation aérienne, en vue des conditions

extrêmement différentes existant dans les divers pays du monde, il est pratiquemente impossible d‟appliquer les dispositions de l‟article 23 d‟une manière uniforme», ma questo avrebbe

significato porre nel nulla proprio la prima esigenza che aveva portato alla conferenza diplomatica: la necessità di una regolamentazione uniforme! Si sarebbe certamente finiti col ridurre la Convenzione ad una cornice attorno a conflitti di legislazioni e responsabilità dai nebbiosi contorni, senza tenere conto delle

a gestire lo scalo. Il secondo ordine di obiezioni riguardava l‟indefinitezza dei confini della responsabilità laddove non fosse possibile stabilire con esattezza il perimetro dello scalo: es. idroscali, aerodromi in pieno deserto. C‟è pure da segnalare che, spesso, l‟aerodromo non è formato solamente dalla pista e dalle strutture di controllo, ma vi sono anche ristoranti e talvolta alberghi, come può il vettore rispondere per il solo fatto che il passeggero è ancora all‟interno del perimetro dell‟aeroporto? E in caso di atterraggio di emergenza fuori da uno scalo, fin dove risponde il vettore?

131 Per esempio il Brasile.

132 L‟I.A.T.A. (International Air Traffic Association) è l‟associazione internazionale che

riunisce le imprese di trasporto aereo.

133 Avant-project art. 23: «La responsabilité du transporteur est limitée à la somme de vent-

cinq milles francs par voyageur».

Proposta Inglese: «La responsabilité du transporteur envers chaque voyageur est limitée à la somme de vent-cinq milles francs par voyageur».

134 Questo per evitare interpretazioni errate della Convenzione, basate più su canoni

ermeneutici legati a scelte del passato, invece che alla vera intenzione del diritto pattizio: si veda infatti come nella legge tedesca del ‟22 i massimali previsti andassero divisi tra i vari aventi diritto nel caso di “morte o lesione di più individui cagionate da un unico evento”.

implicazioni “protezionistiche” che avrebbero potuto assumere certe deroghe nei confronti dei vettori nazionali.

L‟art. 24 infine, indica che i limiti di responsabilità valevano qualunque fosse il titolo su cui si basava l‟azione di responsabilità al preciso fine di impedire, ove gli ordinamenti lo concedessero, di aggirare un principio cardine della Convezione con un cumulo di azioni contrattuali ed extracontrattuali, ottenendo un risultato più favorevole di quello possibile.

Come ebbe modo di dire il Da Passano «tale sistema, non bello, non elegante, non giuridico, riconosco che tuttavia è pratico, nel senso che darà alle assicurazioni la possibilità di completare in cifre le responsabilità massime e quindi stabilire con giustizia il valore dei premi»135, si giunse quindi ad un regime meno

rigoroso di quello previsto dalle varie legislazioni nazionali, soprattutto grazie alla limitazione della responsabilità, tanto che sempre l‟Autore concluse che la Convenzione fu «la vittoria del commercio e del produttore, diciamo così, sopra il viaggiatore o consumatore, ed io riconosco che se si vuole che la industria aeronautica prosperi bisogna nei limiti possibili diminuirne le responsabilità»136.

Non mancò comunque chi, come Romanelli137, indicò vantaggioso138 il

sistema per il passeggero: per i vettori infatti era prassi stipulare un‟assicurazione contro gli infortuni (o il decesso) del trasportato, pur se la Convenzione non facesse obbligo alcuno un‟assicurazione per la responsabilità, limitandosi solo a caldeggiarla, in considerazione dei rischi e delle incognite che ancora il volo presentava. Si sosteneva, giustamente, che fino alla cifra limite per l‟avente diritto al risarcimento era “praticamente” in vigore un regime di responsabilità oggettiva, mentre per oltrepassare tale limite si doveva dare la prova del dolo o della colpa equivalente al dolo secondo la lex fori, perorando la tesi con l‟osservazione che i contenzioni non riguardavano la responsabilità del vettore, bensì le ipotesi di superamento del limite, non l‟an dunque, ma il quantum. Ci si permetta però di appuntare che parlando di una limitazione, e quindi di una quantificazione, dibattere sul quantum significa toccare il cuore del problema, non un semplice dettaglio: un limite troppo basso obbligherà comunque il danneggiato ad adire il giudice per tentare di dimostrare il dolo o la colpa grave139, probatio diabolica se si pensa che nei casi più gravi aereo ed equipaggio

vengono persi assieme ai passeggeri! Quindi, se da un lato il vettore praticamente non potrà opporre la propria prova liberatoria di aver adottato tutte le misure necessarie (o la loro impossibilità) per evitare il fatto dannoso, sia per la complessità

135 DA PASSANO, La responsabilità del vettore aereo nei rapporti internazionali, in Dir. comm. 1928,

184 ss.

136 DA PASSANO, La responsabilità del vettore aereo nei rapporti internazionali, in Dir. comm. 1928,

184 ss.

137 ROMANELLI, Il trasporto aereo di persone, Cedam, Padova, 1959, pag. 190.

138 «Tali i requisiti formali della convenzione di Varsavia, che (come è stato esattamente

osservato) ha avuto il grande merito di aver trovato una formula felice, che concilia la tutela dell‟utente con quelle delle imprese aeree, il diritto anglo-sassone con quello continentale.» ROMANELLI, Il trasporto aereo di persone, Cedam, Padova, 1959, pag. 164.

139 Tale è, infatti, nel nostro ordinamento la “colpa equiparabile al dolo secondo la legge del

di individuare esattamente la causa del sinistro, sia per l‟interpretazione restrittiva datane dalla giurisprudenza140 (specialmente americana); se, d‟altro canto, il

danneggiato ugualmente sarà nella pratica impossibilità di fornire una prova della colpevolezza del vettore che gli permetta di superare il limite141, sarà gioco forza

quest‟ultimo a stabilire, con il suo proprio ammontare, gli equilibri tra danneggiato e danneggiante (seppur incolpevole).