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Scienze sociali e processi di innovazione tecnologica

3. Il progetto DIMMER

3.1 Scienze sociali e processi di innovazione tecnologica

Mai come in questi ultimi anni mi è capitato di essere identificato come ingegnere. Anzi, che io ricordi non mi era mai capitato. Per essere preciso dovrò dire che in realtà non sono mai stato direttamente nominato in quanto tale (“le presento l’ingegner Arrobbio”), ma cionondimeno mi veniva chiesto se fossi ingegnere (“tu sei/lei è un ingegnere?”), più o meno con lo stesso tono che usa chi chiede “tu sei una Bilancia, vero?” detto da chi crede di avere raccolto già abbastanza indizi sulla tua personalità da potere azzardare un’ipotesi che comunque sa che verrà molto probabilmente confermata. Questa domanda, che alcuni ritenevano quindi retorica, mi veniva posta, sia chiaro, in situazioni esterne al progetto di cui parlerò in questo capitolo e in momenti in cui parlavo di ciò che in esso stavo facendo. In situazioni di interazione inerenti al progetto il mio presentarmi come sociologo suscitava invece una reazione che univa in espressioni facciali stupore e interesse. Non sono diventato un ingegnere, anche se così sembrava a chi spiegavo il tema del quale mi stavo occupando e anche se un dubbio potrà venire a chi leggerà queste pagine. Un tale dubbio quale scarsa considerazione esprimerebbe degli ingegneri! “Cosa c'entra la sociologia con questo?”, mi è stato chiesto da profani, ingegneri e sociologi. Non sono diventato un ingegnere così come compiere uno studio presso i Nuer non fa diventare Nuer chi lo compie, figuriamoci se potrà diventarlo chi sui Nuer ha solo letto testi scritti da altri. Questa metafora, che alcuni (fra cui chi scrive) potranno ritenere audace, sventurata o elementare, ha nondimeno fornito la base per parte delle mie riflessioni ed è per questo motivo che non la elimino dal testo. Avrei potuto svolgere il mio lavoro nel progetto senza preventivamente dare una sbirciata ad altri campi del sapere? Questa tesi avrebbe potuto essere migliore – intendendo più “sociologica” - se non avessi dovuto perdere tempo dietro a vocaboli e concetti a me sconosciuti e che con la sociologia non hanno niente a che fare?

Nei programmi di finanziamento della ricerca a livello europeo, quali il Settimo Programma Quadro e l’attuale Horizon 2020, alle scienze sociali viene dato uno spazio maggiore, o semplicemente uno spazio, all’interno di quei progetti che possono essere definiti “tecnologici” (Gangale et al., 2013). In base alla mia esperienza dirò che i compiti degli scienziati sociali sono stati ampiamente aumentati e li dividerò tra compiti di:

- Ricerca sociale: si tratta dei compiti “classici” degli scienziati sociali, ovvero di portare a una maggiore conoscenza del mondo “sociale”;

- Accompagnamento sociale: rimuovere barriere o ostacoli nell'accettazione da parte degli utenti di una soluzione tecnologica, ma anche accompagnare gli utenti in un processo di innovazione;

- Co-design: permettere la convergenza di sforzi di progettisti e utenti (comuni o professionisti) nella costruzione di un prodotto innovativo;

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Ho elencato queste caratteristiche per mettere in luce il fatto che quella che sto facendo all’interno del progetto DIMMER è un'esperienza per me nuova, dove alla “semplice” attività di ricerca si sommano le difficoltà e le gratificazioni di un lavoro svolto in un contesto internazionale e multidisciplinare. Non si è trattato di un lavoro di sola ricerca (ammettendo che possa esistere una lavoro di “sola ricerca”), nel senso che mi sarei anche occupato (e mi sto occupando) di aspetti operativi, linguistici e organizzativi all'interno del progetto. Soprattutto metterei in risalto il fatto che in questo progetto noi, intendendo il gruppo di ricerca di cui faccio parte, fungiamo da rappresentanti di un campo del sapere con il quale gli altri partner, in gran prevalenza ingegneri e informatici, entrambi di varie specializzazioni, hanno avuto pochi o nessun contatto. Sotto questo aspetto si tratta quindi di un'esperienza nuova anche per buona parte di loro e una consistente quantità di lavoro viene ad essere dedicata alla mutua comprensione. Due aspetti che derivano da quest'ultimo punto vorrei mettere in risalto. Uno riguarda la “leggerezza” con la quale i nostri partner identificavano (e identificano) gli attori umani del processo. La mia reazione di fronte all'uso che viene fatto di certi termini credo possa assomigliare a quella che hanno gli informatici quando qualcuno usa la parola software al posto di hardware e viceversa: è vero che alla fine si capisce cosa si voleva dire, ma intanto bisogna fare uno sforzo interpretativo e, in alcuni casi, correttivo. Nelle lunghe riunioni di coordinamento tra tutti i partner capitavano momenti in cui, visto l'argomento di competenza di altri54, ci si poteva rilassare un po'. Ma quando veniva pronunciata la

parola “users” era chiaro che si stava cercando la nostra attenzione o, perlomeno, le nostre antenne si alzavano. Noi ci siamo sentiti in alcuni casi come se fossimo visti come gli ingegneri degli users. C'è chi si occupa di sensori, chi di interoperatività, noi di users. Si è trattata di una responsabilità di un certo rilievo. Tra scienziati sociali capita di essere ritenuti credibili e autorevoli portavoce di un gruppo sociale che si è studiato, ma capita raramente di essere ritenuti indiscutibili portavoce di tale gruppo. La responsabilità è ancora maggiore se si considera che con il termine “users” si sono di volta in volta e a seconda delle occasioni, intesi: coloro che usano le reti energetiche (quindi tutti, quindi un sinonimo di people), coloro che usano l'energia (gli utenti finali generici, end-users), coloro che usano l'energia (nei soli edifici campione), coloro la cui attività è legata ad uno degli edifici campione, coloro che lavorano o vivono all'interno di uno degli edifici campione (building users), coloro che potrebbero usare i sistemi sviluppati da DIMMER (target users), coloro che potranno usare in futuro i sistemi sviluppati da DIMMER (DIMMER users) e altre cose di questo tipo. Tale responsabilità è inoltre complicata dal fatto che non sempre è così chiaro capire se i nostri partner parlino di users in carne ed ossa, soprattutto se si considera il fatto che alcuni attanti venivano identificati dalla funzione che svolgono e non dalla loro natura (umana o artificiale). Ora, è capitato, è vero, che qualcuno abbia trovato, anche a causa di queste scarse chiarezze, le nostre

54 Che un argomento fosse o meno di competenza di altri è emerso con sempre maggiore chiarezza durante

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analisi o interpretazioni banali o errate, ma ciò non è stato sufficiente a mettere in dubbio nell'intero consorzio le nostre specifiche competenze. Anche perché nessuno poteva, o voleva, prendere il nostro ruolo. Un altro importante aspetto di questa divisione di sfere di competenza è da mettere in luce. Gli esseri umani e le relazioni sociali sono come macchine: dati certi input si ottengono certi output. Non è tanto una posizione ideologica, quanto una deformazione professionale, credo io. Il punto però è che se sono macchine possono essere aggiustate qualora si rompano. Chi può farle funzionare a dovere o aggiustarle? Penso non ci sia bisogno di rispondere a questa domanda. Allo stesso tempo si tratta di macchine che sono più o meno tutte uguali, quindi perché fare ricerca negli specifici distretti?

L'impressione era che si trattava (e in effetti lo è) di un progetto a prevalente componente tecnologica, e in cui la componente “sociale” era stata inserita nell'architettura del progetto da chi non aveva della sociologia e dei suoi metodi una conoscenza approfondita. O forse gli architetti del progetto avevano già fatto esperienza, in altri progetti, dell'applicazione di alcuni metodi sociologici che erano però, a noi, poco familiari. Ad ogni modo ci trovammo nell'esigenza di decostruire l'architettura del progetto. Il che non era possibile se non cercando prima di capire quale fosse il contenuto tecnologico del progetto. Prima di poter giudicare irrilevanti ai nostri scopi alcuni dei suoi dettagli, avremmo dovuto semplicemente capire in cosa questi consistevano. E fu così – ed è così – che campi del sapere a noi fino ad allora sconosciuti ci si pararono innanzi. Alcuni subito, altri successivamente. Abbiamo fatto domande, alcune delle quali – chissà – saranno parse ingenue ai nostri partner “tecnici”. Un altro aspetto ha riguardato il comprendere quanto, fra la componente tecnologica del progetto, fosse innovativo o finanche rivoluzionario, e quanto fosse invece “standard” rispetto alla specifica disciplina a cui un determinato contenuto poteva essere collegato.

Strana sensazione quella che provo. Mi sento più sociologo di prima, nonostante mi diano dell'ingegnere (sul fatto che invece non mi abbiamo mai ritenuto un informatico ci sarebbe da riflettere, ma sarà per un'altra occasione), ma temo che la commissione che dovrà giudicare se e quanto io faccia parte della comunità dei sociologi potrebbe avere dei dubbi al riguardo. Forse si tratta appena di una delle modalità con le quali si può manifestare il timore di un esaminando, o forse si tratta del timore di chi decide di situarsi in uno dei due lati di un dibattito teorico potenzialmente conflittuale. Latour (2005, p. 5) individua due modi di intendere la sociologia. Nel primo la sociologia è la “scienza del sociale”, nel secondo la sociologia si occupa del tracing of associations, dello studio e della ricostruzione di come elementi eterogenei, umani e non umani, si associano e si aggregano.

“[…] I’m going to define the social not as a special domain, a specific realm, or a particular sort of thing, but only as a very peculiar movement of re-association and reassembling.” (p. 7)

Si tratta di una delle sue più tarde riflessioni a cui è giunto nel tentativo di schematizzare e ridefinire i contorni di quella che è conosciuta come Actor-Network Theory (ANT), teoria dell'attore-rete. Lavorando per il progetto DIMMER ho avuto modo di sperimentare il

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significato della seconda interpretazione data da Latour al termine “sociologia”. Ma la descrizione della mia esperienza non è completa se non prendendo in mano quanto scritto da un altro esponente della ANT, Michel Callon (1987), definisce così gli ingegneri:

“[...] engineers who elaborate a new technology as well as all those who participate at one time or another in its design, development, and diffusion constantly construct hypotheses and forms of argument that pull these participants into the field of sociological analysis. Whether they want to or not, they are transformed into sociologists, or what I call engineer-sociologists.”(p. 83)

Possono le innovazioni tecniche essere sufficienti? Possono portare a miglioramenti, ma è meno chiaro se siano anche sufficienti oppure no. Sappiamo che non tutti i nuovi prodotti tecnologici, e in generale i nuovi prodotti, servizi e oggetti hanno avuto, ed hanno, successo. Non tutti gli ingegneri sono ingegneri-sociologi allo stesso livello o non sono affatto sociologi. Le innovazioni possono essere perfettamente funzionanti, ma non nel mondo al di fuori del laboratorio. Compito delle scienze sociali è quello di avvicinare il laboratorio al mondo esterno. Da ciò discenderebbe un'altra importante conseguenza: l'efficacia degli scienziati sociali viene ad essere valutata anche in base a quanto il laboratorio e il mondo esterno sono stati effettivamente avvicinati, ovvero da quanto il prodotto innovativo è entrato a far parte di pratiche o è stato venduto e poi apprezzato sul mercato. Nel progetto non ho visto molti preparati ad essere ingegneri-sociologi. E non vale solo per gli ingegneri. Vale anche per noi o, senz'altro, per me. Avrei cercato, nel corso del progetto, di tenere a mente che l'efficacia del mio lavoro sarebbe stata valutata non solo attraverso il numero di pubblicazioni o di partecipazioni a conferenze (indicatori di performance di questo mestiere), ma anche attraverso l'efficacia degli strumenti che dal progetto sarebbero emersi: Vengono usati/acquistati? Vengono usati correttamente? Hanno portato al raggiungimento di obiettivi desiderati? Se la risposta è “sì” a tutte e tre queste domande allora potremo dire: “Funziona”. Per gli ingegneri, quelli che non sono ingegneri-sociologi, è possibile dire “Funziona” anche quando io non lo direi. Quando i sociologi, quelli che non sono sociologi-ingegneri, dicono “Funziona” non stanno necessariamente parlando della stessa cosa di cui parlo io.

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