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La scommessa nell’etica protestante

Capitolo V: La logica del rischio

5. La dinamica del rischio

5.1 La scommessa nell’etica protestante

Il tema del rischio è stato affrontato nel corso dell’XIX secolo da numerose discipline: in particolare l’antropologia culturale, grazie agli studi di Mary Douglas209. Oltre

all’antropologia, anche l’economia ha condotto riflessioni importanti sul concetto di rischio. In verità è proprio dal campo economico che viene una riflessione importante sul rapporto tra rischio e condotta umana.

L’antropologo indiano Arjun Appadurai210 nella sua opera Il futuro come fatto culturale211 si

occupa nei capitoli, “Lo spirito di Weber” e “La macchina finanziaria”, di riproporre un’interpretazione weberiana della nascita dello spirito capitalismo e dell’economia finanziare proprio a partire dal concetto di rischio. Queste riflessioni solo in apparenza sembrano allontanarci dal percorso intrapreso fino a qui; in realtà l’analisi dei sistemi economici e sociali globali non può che implicare una riflessione più intima sull’uomo e la

208 Ivi, p. 46.

209MARY DOUGLAS, Rischio e colpa, Il Mulino, Bologna 1996.

210 È bene fin da subito sottolineare come l’interpretazione che Appadurai compie del pensiero weberiano si rifaccia ad una comprensione parziale dello stesso. Infatti lo stesso Weber, all’interno della sua opera, si interroga sulla correttezza della sua interpretazione dello spirito del capitalismo inteso a partire dall’etica calvinista. Il filosofo tedesco sarà prudente nel sottolineare il carattere ipotetico della sua intuzione. 211ARJUN APPADURAI, Il futuro come fatto colutrale, Raffello Cortina Editore, Milano 2014.

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sua realtà; è proprio su questo livello che la filosofia interviene ed è in grado di ampliare il campo di comprensione del problema. L’antropologo indiano ripercorre brevemente il testo fondamentale di Max Weber L’etica protestante e lo spirito del capitalismo212. Scrive

Appadurai:

Weber mette in rilievo che la difficoltà del credente calvinista è che, in conseguenza della sua fede nella potenza di Dio, nella grazia e nel piano prestabilito circa la salvezza dell’uomo, non c’è modo alcuno, per l’uomo, di alterare la decisione divina circa chi sarà salvato e chi non lo sarà. Inoltre, non c’è modo di distinguere coloro che sono salvati da coloro che non lo sono. Questo produce un’immensa forma di solitudine e la sistematica e metodica dedizione della propria vita all’accumulo di beni è solo un segnale verso se stessi di una vita che assomigli al tipo di vita che può mettere in risalto la gloria divina, a prescindere dal fatto che si faccia parte o meno degli eletti […] Questo modello di vita […] è di fatto una scommessa sulla grazia di Dio. Ma è una scommessa di genere speciale. Non è la scommessa su un esito. È una scommessa di secondo grado, cioè la scommessa su una scommessa.[…] Cioè la metodicità economica calvinista nel perseguimento del benessere terreno risulta una scommessa sulla buona riuscita di un comportamento213.

Lo slancio iniziale dell’economia capitalistica prenderebbe avvio da questa scommessa del credente calvinista. Questa scommessa, a ben vedere, diverge profondamento dall’impianto della scommessa pascaliana. Prima di tutto poiché colui che la compie ha una credenza religiosa, nel senso pragmatico che abbiamo visto precedentemente, molto forte; in secondo luogo perché a differenza, dello scommettitore di Pascal, che impegna la sua vita a favore dell’esistenza di Dio senza poter averne la certezza, l’uomo che si rifà all’etica calvinista impegna la sua vita non tanto a favore dell’ipotesi dell’esistenza di Dio,

212MAX WEBER, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, BUR biblioteca universale Rizzoli, 1991. 213A.APPADURAI, Il futuro come fatto culturale, pp. 324-325.

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che sembra in questo modo esclusa dal dubbio, quanto della possibilità di essere o meno tra coloro che hanno ricevuto la Grazia. Il concetto di Grazia torna, anche in questa parte del nostro lavoro, ad avere un ruolo importante per la comprensione della dinamica del rischio. È proprio il rischio a segnare la distanza maggiore tra l’approccio etico che risulta dalla scommessa pascaliana e l’approccio etico del “capitalista” calvinista di cui ci parla Appadurai. Colui che si trova ad affrontare il pari fa precedere alla sua credenza una scelta che porta con sé un forte impegno pratico. Il calvinista, invece, a partire da un nucleo preciso di credenze, conduce la sua vita; da una prospettiva pragmatica si potrebbe dire che, nel caso del primo scommettitore abbiamo un atteggiamento che affronta il dubbio e si apre alla dinamica del rischio sulla veridicità o meno della propria credenza. Nel caso del “calvinista” abbiamo solamente in apparenza, questo atteggiamento di apertura al rischio. In una pagina essenziale della sua opera Weber mostra l’essenza dello spirito del capitalismo. Scrive Weber:

Il “summum bonum” di quest’etica, il guadagno di denaro e di sempre più denaro, è così spoglio di ogni fine eudemonistico o semplicemente edonistico, è pensato in tanta purezza come scopo a se stesso, che di fronte alla felicità ed all’utilità del singolo individuo appare come qualche cosa di interamente trascendente e perfino irrazionale. Il guadagno è considerato come scopo della vita dell’uomo, e non più come mezzo per soddisfare i suoi bisogni materiali214.

Questa prospettiva etica, che soggiace al modo all’azione del calvinista, è ben diversa da quella che Pascal propone, che in qualche modo cercava di coniugare la dottrina della grazia giansenista con quella ortodossa della Chiesa di Roma. La dottrina di Calvino, incarnata da questi proto- capitalisti, è rimasta nelle fibre del capitalismo successivo.

Questa assenza di rischio della prospettiva calvinista, considerata nella sua accezione weberiana quale spinta iniziale per l’insorgere del capitalismo, ci dice molto della forma

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che lo stesso capitalismo ha assunto nel secolo XIX. Poiché la scelta che muoveva l’azione dei primi imprenditori non era vitale, inevitabile, ma assumeva i tratti dell’indifferenza rispetto all’esito finale, non stupisce il fatto che il prosieguo del capitalismo nella sua versione attuale della finanziarizzazione abbia via via perso ogni sorta di sfondo etico e abbia mantenuto il medesimo approccio nei confronti del rischio; o meglio, e qui sta l’intuizione profonda di Appadurai, abbia trasformato il rischio da problema a risorsa. Così scrive Appadurai:

Il periodo a partire dai primi anni Settanta, che può essere visto come l’inizio della finanziarizzazione complessiva del capitalismo non è in realtà un momento di rischio incontrollato […]. Vorrei suggerire invece che si tratta di un periodo nel quale lo spirito di incertezza è stato risvegliato in relazione a una formalizzazione/astrazione/commercializzazione senza precedenti del meccanismo del rischio stesso215.