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Gli scontenti del Protocollo di Kyoto: voci diverse da campi opposti.

Le critiche al Protocollo di Kyoto, il primo accordo internazionale di riduzione delle emissioni dei gas serra, sono avanzate proprio da coloro che negano l’esistenza del problema del Cambiamento Climatico.113

La prima critica riguarda l’efficacia del Protocollo di Kyoto considerato poco impegnativo, giacchè l’unico effetto sarebbe quello di ridurre le emissioni di almeno il 5% di quei Paesi che l’hanno ratificato. Se questo fosse vero e, considerando la crescita delle emissioni degli altri Stati come Cina, India e Brasile, si avrebbe un aumento delle emissioni globali rispetto ai livelli del 1990.

Il punto è che l’effetto del Protocollo non riguarda solo le limitazioni delle emissioni, ma impone di cambiare tecnologie, stili di vita e di consumo, aspetti che coinvolgono anche i Paesi non direttamente impegnati dal Protocollo stesso. A ciò va aggiunto l’avvio dei meccanismi flessibili che permettono di favorire il trasferimento delle tecnologie a basso consumo di CO2 verso Paesi in Via di Sviluppo. Infatti, il Clean Development Mechanism è una strategia utilizzata da molti Paesi con significativi impatti sulle politiche energetiche in favore dell’efficienza energetica e dell’utilizzo di fonti rinnovabili: a Settembre 2007 erano stati registrati 780 progetti CDM in 48 Paesi e circa 1300 altri progetti dovranno essere approvati nei prossimi anni.114 L’Emission Trading invece ha avuto come risultato quello di tenere sotto controllo più del 50% delle emissioni dei grandi impianti, soprattutto europei.

Un’ulteriore critica riguarda la possibilità di spendere i soldi destinati alle politiche per rispettare gli impegni del Protocollo per altre priorità, come ad esempio la lotta contro la povertà, la fame nel mondo o per dare accesso all’acqua potabile a milioni di persone. La cosa sorprendente è che sembra che gli unici soldi che si possono spendere per raggiungere tali nobili obiettivi siano quelli impiegati per combattere il Cambiamento Climatico.

Una delle critiche su cui i negazionisti climatici sono tutti d’accordo concerne l’eccessivo costo per l’economia mondiale e per le singole economie nazionali del

113

Per maggiori informazioni sull’argomento si veda il paragrafo dal titolo Il movimento negazionista

in Italia, capitolo primo in questa trattazione.

114

Cfr. V. Ferrara e A. Farruggia, Clima: istruzioni per l’uso. I fenomeni, gli effetti, le strategie, ed. cit., p. 145.

Protocollo di Kyoto. Per tutti il Protocollo costa tanto, ma non vengono forniti

dettagli su tale valutazione: se si tratta di costi annui o complessivi, oppure se sono spese da sostenere oggi o in tempi lunghi.

E’ importante evidenziare che cambiare le tecnologie o convertire gli impianti industriali comporta ingenti spese, ma anche i benefici diretti e indiretti possono essere quantificati in termini economici. Si pensi ad esempio al notevole risparmio sulle bollette dell’elettricità, qualora si utilizzino moderni sistemi di isolamento termico per le abitazioni o sistemi di riscaldamento ad energia solare.

Per non parlare dei benefici per la salute umana e soprattutto per il clima derivanti dall’ammodernamento dei settori energetico e industriale: i soldi spesi per le cure sanitarie o per attenuare il riscaldamento globale potrebbero essere usati per altre necessità.

Secondo recenti stime, il costo per rispettare il Protocollo di Kyoto per l’Europa (15 Stati) si aggira da 1 a 3,5 miliardi di euro l’anno. In particolare, per l’Italia i costi ammontano ad un cifra compresa fra i 600 milioni e i 2,5 miliardi di euro: valori che derivano dalla sostanziale inerzia del Governo italiano in tema di riduzione delle emissioni.115

L’Italia dal 1 Gennaio 2008 ha un costo giornaliero di 4.111.000 € per il mancato raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto. L’Italia sta accumulando dunque un debito di oltre 4 milioni di euro al giorno per l’aumento delle emissioni di CO2 (oltre 75 milioni di tonnellate) rispetto agli impegni previsti dal Protocollo: si sono superati già i 320 milioni di euro (Marzo 2008) che diventeranno quasi 1,5 miliardi di euro a fine 2008.116 I cambiamenti climatici rappresentano per il nostro Paese un’emergenza in termini economici, di immagine e di mancate opportunità.

A livello mondiale, il Quarto Rapporto dell’IPCC ha fornito una stima dei costi globali da sostenere entro il 2030 per stabilizzare le emissioni. Lo scenario prevede una riduzione del PIL mondiale di circa il 3% per una stabilizzazione delle emissioni compresa tra 445 e 710 ppm.

Il rapporto stilato dall’economista Sir Nicholas Stern per il Governo inglese afferma chiaramente che se non si interverrà immediatamente per diminuire le

115

Ibidem, p. 147.

116

emissioni i costi dell’inazione si aggireranno tra il 5 e il 20% del PIL mondiale.117 Dal momento che ogni ulteriore ritardo comporterà costi crescenti sarà fondamentale che i Paesi mettano al centro delle politiche nazionali la questione climatica, con conseguenti scelte oculate su efficienza energetica, utilizzo delle fonti rinnovabili e nei settori della produzione e dei trasporti.

Mitigare le interferenze sul clima causate dall’attività antropica; sostenere la capacità dei sistemi naturali di adattarsi ai cambiamenti climatici: strategie fondamentali.

I recenti eventi catastrofici quali lo tsunami nel sud-est asiatico nel 2004 o la stagione record degli uragani nel 2005 con Katrina, Rita e Wilma che hanno causato gravi conseguenze in America centrale o ancora l’uragano Kyrill nel 2007 che ha colpito l’Europa del Nord ed infine l’uragano Nargis nel Maggio 2008 che ha devastato il Sud dell’ex Birmania hanno portato all’attenzione il problema della prevenzione dei rischi e delle conseguenze negative di tutti quei fenomeni naturali definiti estremi, poiché rari e violenti. L’urgenza di contenere gli effetti dei cambiamenti climatici è emersa quindi inequivocabilmente.

Già nel 1992 con la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui

Cambiamenti Climatici (UNFCCC), incentrata sui principi di precauzione e

prevenzione, si è cercato di affrontare il Global Warming agendo sia sulle cause di origine antropica che sulle conseguenze che si potrebbero verificare in modo da minimizzare gli aspetti negativi e i possibili danni all’ambiente. Si parla infatti di strategie di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici.

La mitigazione consiste nell’attenuare le possibili interferenze causate dalle attività umane sugli andamenti naturali del clima e poiché la maggiore interferenza è causata dall’emissioni di gas serra, il termine mitigazione è in pratica diventato sinonimo di riduzione delle emissioni dei gas serra che provocano il surriscaldamento del Pianeta, attraverso azioni che limitino gli sprechi e i consumi inutili.118 Sono necessarie dunque tecnologie più efficienti per produrre e consumare energia, tecnologie in grado di produrre la stessa energia, ma con meno emissioni di CO2. Ciò

117

Per maggiori informazioni sul rapporto Stern si veda nota n. 49, capitolo primo.

118

La definizione di mitigazione che fornisce l’IPCC è la seguente “an anthropogenic intervention to

reduce the anthropogenic forcing of the climate system; it includes strategies to reduce greenhouse gas sources and emissions and enhancing greenhouse gas sinks”. Si veda il glossario dell’IPCC

significa rivoluzionare i nostri sistemi di produzione, di trasporto e di costruzione (edilizia) con un sempre maggiore utilizzo delle fonti rinnovabili.

Inoltre, va sottolineato che le possibili conseguenze dell’accumulo di gas serra in atmosfera non avvengono immediatamente, ma hanno tempi più o meno lunghi che possono andare da uno o più decenni (con estremizzazione dei fenomeni meteorologici, minor disponibilità delle risorse idriche, ecc.) fino a tempi più lunghi come un secolo o oltre (innalzamento del livello del mare, desertificazione). L’etica e l’equità verso le future generazioni, nonché una programmazione a lungo termine di uno sviluppo socio-economico sostenibile sono punti cardine della strategia di mitigazione, tanto più validi e necessari se si considera che le generazioni future non possono né intervenire, né influenzare le decisioni di oggi, ma ne subiranno solamente le conseguenze.

Nel Protocollo di Kyoto la strategia di mitigazione è stata suddivisa in due fasi: la prima fase si conclude nel 2012 e riguarda solo i Paesi industrializzati che hanno maggiori responsabilità in quanto sono i principali soggetti inquinanti ed una seconda fase che inizia dopo il 2012 e che interessa tutti i Paesi del mondo. Gli interventi prioritari, gli obiettivi per ciascun Paese e le modalità di attuazione della prima fase di mitigazione sono contenute nel Protocollo, mentre la seconda fase dovrà essere definita durante il processo del post-Kyoto con il coinvolgimento dei Paesi in Via di Sviluppo.

L’elaborazione di una strategia a livello internazionale è basata sugli scenari definiti dall’IPCC che si possono raggruppare in tre ipotesi. Tali scenari si riferiscono principalmente all’anidride carbonica, poiché è il gas serra più pericoloso per il

Global Warming e quello che deve essere messo sotto controllo. Deve essere

considerato anche che le proiezioni dell’IPCC sono a loro volta basate su una serie di ipotesi tra cui quella della crescita della popolazione mondiale (secondo le proiezioni dello United Nation Development Programme – UNDP) fino a 8 miliardi nel 2025, a 9 miliardi nel 2050 e toccherà i 9,5 miliardi prima del 2100 e della crescita media del PIL mondiale di circa il 2-2,5%. Le tre ipotesi dell’IPCC sono le seguenti:

-ipotesi minimale: si ipotizzato concentrazioni di CO2 comprese tra 400 e 450 ppm con un aumento della temperatura media globale di un valore fra 0,4 e 1°C. Con questa situazione vi sarà un incremento della variabilità climatica, ma le conseguenze sugli ecosistemi saranno limitate. Gli impatti negativi sarebbero localizzati in aree determinate come ad esempio le regioni subtropicali, ove si avrebbe una maggiore

manifestazione degli eventi estremi.

I Paesi industrializzati non subirebbero grosse conseguenze, al contrario i Paesi in Via di Sviluppo andrebbero aiutati nella prevenzione e nel ripristino dei danni derivanti dai mutamenti del clima.

Per poter mantenere le concentrazioni di CO2 intorno ai 400 ppm, le emissioni dovranno essere tagliate del 60% al 2015. Tuttavia, in assenza di un’alternativa energetica all’uso dei combustibili fossili, un taglio così drastico delle emissioni in pochi anni non sembra realistico e fattibile.

-ipotesi intermedia: si prevedono concentrazioni di CO2 comprese fra 450 e 650 ppm con un aumento della temperatura media globale di un valore tra 0,8 e 2,6°C. In questa situazione la variabilità climatica sarà alta e il potenziale degli eventi estremi sarà distruttivo. Il rischio di impatti fortemente negativi sarà esteso a gran parte delle aree del Pianeta con modifiche irreversibili degli ecosistemi e l’estinzione di numerose specie.

In questo scenario i Paesi industrializzati, possedendo risorse finanziarie e tecnologiche adeguate, avrebbero la possibilità di far fronte alla situazione con interventi di adattamento. I Paesi più poveri dovrebbero essere aiutati in maniera massiccia per attuare misure di adattamento idonee.

Per mantenere le concentrazioni di CO2 in atmosfera al di sotto dei 650 ppm

occorre che le emissioni a partire dal 2050 dovranno essere portate allo stesso livello degli assorbimenti di CO2, ovvero il taglio dovrà essere di circa il 60% rispetto al 1990 se si considerano i trend delle emissioni annuali recenti.

-ipotesi massima: si ipotizzano concentrazioni di CO2 comprese tra 650 e 1000 ppm con un incremento della temperatura media globale di un valore fra 1,4 e 5,8°C. In questa situazione la variabilità del clima sarà molto alta e il potenziale degli eventi estremi sarà significativamente distruttivo. Si potrebbero avere fenomeni improvvisi come l’interruzione della Corrente del Golfo o il collasso dei ghiacci della Groenlandia e dell’Antartide.

Modifiche così importanti del clima in tempi brevi non permetterebbero un adattamento naturale per la maggior parte degli ecosistemi naturali che subirebbero estinzioni di massa e non consentirebbero ai Paesi di adottare misure adeguate in quanto le conseguenze di una siffatta situazione climatica sarebbero catastrofiche. Questo è uno scenario che si potrebbe verificare attorno al 2100 se non si interverrà in modo efficace.

A livello internazionale non è ancora stata compiuta una scelta su quali di queste tre ipotesi si debba prendere come riferimento per una strategia comune di diminuzione delle emissioni, non è stato fissato alcun livello di stabilizzazione delle concentrazioni in atmosfera di CO2 e non è stato elaborato un piano operativo con cui suddividere le quote di riduzione fra i diversi Paesi. Con la scadenza nel 2012 del

Protocollo di Kyoto sarà necessario decidere in merito alle tematiche sopraccitate.

Nel Quarto Rapporto dell’IPCC, inoltre, il Terzo Gruppo di lavoro ha elaborato una rassegna di tutte le strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici, con analisi della maturità delle diverse tecnologie, dei relativi costi e delle politiche necessarie.

Il Terzo Gruppo di lavoro ha dedicato inoltre un paragrafo alle pratiche non tecnologiche, come il cambiamento dello stile di vita e dei tipi di comportamento che essendo trasversali, hanno un ruolo positivo e possono contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici in tutti i settori.

E’ da sottolineare anche l’importanza data allo sviluppo di programmi di educazione, formazione e di divulgazione delle informazioni che possono aiutare a superare le barriere del mercato all’accettazione dell’efficienza energetica e al cambiamento delle tipologie culturali che possono orientare le scelte dei consumatori verso un’economia equa e sostenibile. Infine, si evidenzia il riferimento alle pratiche di gestione nel settore dei trasporti e dell’industria che includono la formazione dello staff, la creazione di sistemi incentivanti, tecniche di educazione che possono migliorare l’organizzazione interna e favorire scelte sostenibili.

Questa tabella mostra le principali tecnologie e pratiche di mitigazione per settore. I settori e le tecnologie sono elencate senza un ordine particolare. Le pratiche non tecnologiche, come il cambiamento dello stile di vita, che sono trasversali, non sono incluse in questa tabella.

Questa tabella illustra le politiche, azioni e strumenti selezionati per settore, che si sono dimostrati efficaci dal punto di vista ambientale nei rispettivi settori in almeno un numero significativo di casi a livello nazionale.

Fonte tabella e didascalia: IPCC, WGIII Quarto Rapporto di Valutazione, 2007.

L’argomento principale contro le politiche di mitigazione è quello del conflitto fra una politica climatica e una politica di sviluppo, intendendo con questo termine l’uscita dalle condizioni di miseria e di incapacità di soddisfare i bisogni primari. Ciò non considerando che saranno i più poveri a essere maggiormente colpiti e vulnerabili ai cambiamenti climatici.

La responsabilità, l’etica, come principi, e la cooperazione, come strumento, sono i presupposti indispensabili perché la strategia di mitigazione abbia successo.

Bisogna essere consapevoli che nessuno può sottrarsi al dovere di operare verso un’economia e uno sviluppo di tipo sostenibile, sia a livello internazionale che a livello di amministrazione locale.

Tuttavia, anche ipotizzando che le prioritarie e fondamentali azioni per la mitigazione dei cambiamenti climatici siano poste in essere con vigore e su cala internazionale, non si riuscirà a far sì che i mutamenti del clima già innescati possano essere riassorbiti o cancellati: il taglio delle emissioni richiede infatti tempi assai lunghi per determinare concreti effetti positivi sul clima. Il mondo appare dunque già destinato a ulteriori innalzamenti delle temperature a causa delle dinamiche negative oramai in atto nel sistema climatico globale e del citato sfasamento temporale delle azioni di mitigazione: pertanto fino a tutta la metà del XXI° secolo sarà prioritario adottare anche una efficiente strategia di supporto alle capacità dei sistemi naturali di adattarsi ai cambiamenti climatici.

A tal proposito nella sintesi del Quarto Rapporto dell’IPCC, contributo del II°

Gruppo di Lavoro sugli Impatti dei Cambiamenti Climatici, l’Adattamento e la Vulnerabilità viene affermato che: “Even the most stringent mitigation efforts cannot avoid further impacts of climate change in the next few decades, which makes adaptation essential, particularly in addressing near-term impacts. Unmitigated climate change would, in the long term, be likely to exceed the capacity of natural, managed and human systems to adapt.”119

Vi è dunque la richiesta di unire le misure di mitigazione con quelle di adattamento affinchè si possano ridurre in maniera efficace i rischi associati ai mutamenti del clima e fronteggiare le difficoltà dei sistemi naturali di adattarsi ai cambiamenti climatici. 120

119

Citazione tratta da: Climate Change 2007: Impacts, Adaptation and Vulnerability. Summary for

policymakers Contribution of Working Group II to the Fourth Assessment Report of the

Intergovernmental Panel on Climate Change (6 aprile 2007), p. 20.

120

A livello europeo è stata recentemente riconosciuta la necessità di affrontare l’adattamento al Cambiamento Climatico. Infatti, la Comunicazione della Commissione Europea n. 35 del 9 Febbraio 2005 dal titolo Winning the Battle Against Global Climate Changei, oltre a dedicare un capitolo specifico all’adattamento, evidenzia il ruolo che l’Unione Europea debba rivestire nella riduzione della vulnerabilità e nella promozione dell’adattamento. La Commissione ha quindi istituito un Gruppo di lavoro dedicato a questo scopo che ha recentemente prodotto il Green Paper on Climate Change and

Adaptation, presentato al pubblico il 3 Luglio 2007. Obiettivo di questo studio è fornire una prima

serie di analisi e soprattutto un approccio metodologico per pervenire alla valutazione economica degli impatti dei cambiamenti climatici e delle relative misure di adattamento. Il Green Paper costituisce la prima iniziativa politica esaustiva sull’adattamento a cura della Commissione e può quindi considerarsi

Infatti, la strategia di adattamento non deve essere intesa come un’alternativa a quella della mitigazione, poichè più efficace sarà la strategia di mitigazione e minori gli effetti dei cambiamenti climatici, tanto maggiore sarà la capacità di adattamento dei sistemi naturali stessi.121

La possibilità di sostenere le capacità dei sistemi naturali di adattarsi ai mutamenti del clima richiede dunque l’elaborazione di programmi e di misure finalizzate a minimizzare le conseguenze e i danni derivanti dai cambiamenti climatici.

Le capacità di adattamento del sistema umano dipendono dal livello di sviluppo di un popolo o una comunità e di conseguenza esse sono maggiori per i Paesi industrializzati e minori per i Paesi in Via di Sviluppo. Le disparità nella capacità di adattarsi ai cambiamenti climatici sono sempre più evidenti e si misurano in termini di capacità di pianificazione e di implementazione nei settori dell’informazione, della ricerca, delle infrastrutture e nella progettazione di programmi di tutela sociale.122

una pietra miliare. Il messaggio chiave del documento è il seguente: per rispondere ai cambiamenti climatici l’Europa deve non solo ridurre notevolmente le emissioni di gas serra (mitigazione), ma anche mettere in atto misure per adattarsi agli impatti presenti e futuri dei cambiamenti climatici (adattamento) per ridurre gli effetti negativi del riscaldamento globale sulla popolazione, l’economia e l’ambiente. E’ il concetto di complementarietà tra mitigazione e adattamento.

Il Green Paper individua 4 azioni prioritarie:

-azione immediata per sviluppare strategie di adattamento in aree in cui si hanno già conoscenze sufficienti;

-integrare le necessità di adattamento globale nelle relazioni esterne dell’Unione Europea e costruire una nuova alleanza con gli altri Paesi nel mondo;

-colmare le lacune conoscitive sull’adattamento attraverso la ricerca a livello europeo e lo scambio di informazioni;

-stabilire un Advisory Group europeo sull’adattamento ai cambiamenti climatici, che analizzi strategie e azioni coordinate.

Il Green Paper conclude che è necessario che i progressi negli sforzi per l’adattamento vengano fatti a tutti i livelli e siano ben coordinati. Un’azione immediata ed efficiente di adattamento ai cambiamenti climatici, infatti, potrebbe portare benefici economici ed evitare disordini sociali, anticipando i danni potenziali e minimizzando le minacce agli ecosistemi, alla salute dell’uomo, a proprietà e infrastrutture. Entro la fine del 2008 verrà redatta dalla Commissione una Comunicazione sull’adattamento ai cambiamenti climatici. Per ulteriori informazioni si veda il sito internet http://ec.europa.eu/environment/climat/adaptation/index_en.htm.

121

A tal proposito si riporta la definizione di “capacità di adattamento” fornita dall’IPCC: “the ability

of a system to adjust to climate change (includine climate variability and extremes) to moderate potential damages, to take advantage of opportunities, or to cope with the consequences.” Cfr. Climate Change 2007: Impacts, Adaptation and Vulnerability. Summary for policymakers, Contribution of

Working Group II to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change (6 aprile 2007), p. 21.

122

Come si è detto, il problema dell’adattamento coinvolge in maniera particolare i Paesi in Via di Sviluppo e quelli particolarmente vulnerabili ai cambiamenti del clima. A tal proposito, la

Convenzione Quadro raccomanda che per tali Paesi vengano predisposti gli aiuti necessari affinché

acquisiscano le capacità necessarie per affrontare i problemi derivanti dai mutamenti del clima e per realizzare interventi idonei sui loro territori. Inoltre, con la COP-11 tenutasi a Montreal nel 2005 è