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Senza il piano di adattamento al Cambiamento Climatico: l’Italia.

Il ritardo che l’Italia sta accumulando sia sulle misure di mitigazione con il taglio delle emissioni di anidride carbonica che sulle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici rischia di aumentare enormemente se non si adotteranno con urgenza scelte di “messa in sicurezza del Paese”.

L’Italia, infatti, è uno dei Paesi maggiormente a rischio per ciò che concerne il riscaldamento globale e dovrebbe assumere la leadership in Europa per spingere verso un accordo internazionale che porti ad una forte diminuzione delle emissioni. In realtà sono gli altri Paesi europei come Regno Unito, Francia o Norvegia che hanno dato vita a strategie di riduzione delle emissioni e piani di adattamento

efficaci. Basti citare il Climate Change Bill125 (pubblicato nel Marzo 2007 e presentato al Parlamento nel Novembre 2007) con il quale il Regno Unito mira ad abbattere, mediante azioni nazionali ed internazionali, le emissioni di anidride carbonica del 60% entro il 2025 e nel medio termine del 26% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990 e lo UK Climate Impacts Programme,126 un programma che dal 1997 aiuta le organizzazioni pubbliche e private a valutare la loro vulnerabilità agli impatti dei cambiamenti climatici e a sviluppare le più adeguate risposte di adattamento.127

I cambiamenti climatici sono già in atto in Italia e stanno provocando significativi impatti sul nostro territorio, nonché destabilizzando attività produttive ed economie locali. Accanto alle misure di mitigazione per rallentare il fenomeno, sono necessarie azioni coordinate e tempestive per prepararsi alle conseguenze inevitabili del Global Warming. E’ indispensabile, nonchè urgente una specifica normativa che consenta un piano d’azione, posto nel contesto di una strategia nazionale, focalizzato sull’adattamento agli impatti dei mutamenti climatici.

Il Comitato Scientifico del WWF, sulla scorta delle esperienze acquisite negli ultimi anni, ha presentato nel Marzo 2007 il documento “Per un Piano di adattamento al cambiamento climatico in Italia”. Dalla perdita della Biodiversità alla crisi delle risorse idriche, all’impatto sul turismo fino ai rischi per il sistema dei trasporti, dell’industria e dell’energia, sono 15 i settori esaminati dai migliori esperti italiani e già messi a dura prova dai mutamenti del clima.

Il Piano, elaborato alla luce dei recenti scenari di cambiamento del clima in Italia, individua nel ripristino del territorio e degli habitat naturali la strategia migliore per rafforzare la capacità dei sistemi naturali di resistere ed adattarsi ai cambiamenti già in atto. Infatti, molti dei processi naturali sono stati stravolti dalle attività umane, impedendo così agli habitat di reagire in maniera spontanea. Basti

125

Per maggiori informazioni si veda il sito internet www.defra.gov.uk/environment/climatechange/uk.

126

Per maggiori informazioni sul programma si veda il sito internet http://www.ukcip.org.uk/index.php.

127

L’elenco dei Paesi europei già impegnati nell’affrontare il problema dell’adattamento ai mutamenti climatici prosegue con la Francia che nel 2001 ha visto la nascita di un Observatoire National sur les

Effets du réchauffementclimatique che ha prodotto il documento Stratégie nationale d’adaptation au changement climatique pubblicato nel 2007. Inoltre in Spagna, il Consiglio dei Ministri ha approvato

nell’Ottobre 2006 il Plan Nacional de Adaptación al Cambio Climático messo a punto dal Grupo

Interministerial de Cambio Climático. In Germania, l’Agenzia Federale per l’Ambiente e il Potsdam Institute for Climate Change Research hanno completato alla fine del Giugno 2005 uno studio sulla

vulnerabilità della Germania ai mutamenti climatici e sull’adattamento dei settori più a rischio. E’ importante citare anche l’Accordo per il Corridoio Verde del Basso Danubio, un piano firmato nel 2000 da Bulgaria, Moldavia, Romania e Ucraina per il ripristino degli habitat degradati e la protezione delle aree alluvionali. Uno dei maggiori risultati è stato lo sviluppo di una rete di aree protette che copre circa il 70% del bacino del basso Danubio.

pensare ai sistemi fluviali che, a causa della captazione delle acque per scopi industriali o agricoli, del taglio indiscriminato dei boschi con la conseguente riduzione della capacità di assorbire le acque piovane, della impermeabilizzazione degli argini e la relativa riduzione dei sedimenti portati al mare, rappresentano uno degli ambienti più degradati e pertanto estremamente vulnerabili ai cambiamenti del clima.

E’ importante sottolineare che un elemento fondamentale della strategia di adattamento è la partecipazione della società civile e dei soggetti interessati, soprattutto istituzionali (si pensi agli Enti locali e alle Regioni) sia nella consultazione sulle strategie e misure da intraprendere che nella fase di attuazione del Piano stesso. Le indicazioni di seguito riportate128 dovrebbero inoltre essere parte integrante dei processi decisionali che interessano direttamente o indirettamente trasformazioni dell’ambiente, in particolare attraverso una corretta e completa applicazione della Valutazione Ambientale Strategica (VAS).

Il Piano presentato dal WWF dovrebbe aiutare il Governo italiano a tracciare le linee guida per un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, ovvero quell’insieme di strategie che già gli altri Paesi europei hanno elaborato da diverso tempo. Ci si auspica che in breve tempo il Governo preveda finanziamenti adeguati per l’adattamento e che proceda per la messa in sicurezza del territorio, in quanto opera prioritaria per il Paese.

SETTORE RISCHI AZIONI

BIODIVERSITA’ - Alterazioni delle biocenosi e perdita di biodiversità a causa della

modifica dei regimi idrologici e climatici.

- Spostamento altitudinale e verso nord delle specie animali e vegetali; gli ecosistemi che le ospitano saranno però condannati a un processo di progressiva disgregazione per la rapidità del cambiamento climatico.

- Pericoli per le comunità ittiche costituite da numerose specie endemiche e subendemiche.

-Aumentare la resilienza degli ecosistemi.

- Migliorare la protezione e la gestione delle aree protette designate.

- Consolidare e ampliare “Core areas” e creare zone buffer e corridoi ecologici per favorire la continuità territoriale e combattere la frammentazione del territorio e lo sprawl urbano.

- Garantire le condizioni vitali nei corsi d’acqua.

- Realizzare piani specifici per la tutela delle specie endemiche.

- Rafforzare i programmi di monitoraggio e di ricerca a lungo termine.

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RISORSE IDRICHE - Modifica dei regimi idrologici. - Periodi di siccità prolungata soprattutto nel sud Italia e nelle isole.

- Incremento delle specie aliene. - Scomparsa di fiumi e torrenti in tali territori con conseguente modifica delle biocenosi, perdita di habitat e biodiversità.

- Rischio desertificazione.

- Attuare la gestione integrata dei bacini idrogeologici attraverso percorsi di partecipazione pubblica per raggiungere il “buono stato dei corpi idrici” (Dir. 2000/60/CE).

- Ridurre gli sprechi e ottimizzare i consumi idrici.

- Ridurre drasticamente le perdite nella rete di distribuzione idrica.

- Migliorare l’efficienza nella gestione

del ciclo dell’acqua.

- Limitare gli usi non prioritari dell’acqua (es. innevamento artificiale, acque minerali in bottiglia).

- Attuare campagne mirate di educazione all’impiego responsabile dell’acqua.

- Incrementare i controlli verso le captazioni abusive soprattutto in area mediterranea.

ASSETTO

IDROGEOLOGICO DEL TERRITORIO

- Modifica dei regimi idrologici. - Eventi estremi idrogeologici. - Aumento di frane e inondazioni. - Erosione dei suoli.

- Danni agli insediamenti urbani e industriali.

- Rischio vite umane.

- Attuare la gestione integrata dei bacini idrogeologici.

- Rispondere all’aumento degli eventi estremi idrogeologici riducendo la vulnerabilità e ripristinando, ove possibile, la funzionalità ecoidrogeologica del territorio (es. riduzione dell’impermeabilizzazione, aumento delle aree di esondazione naturale, ripristino e tutela della capacità di ritenzione delle acque nelle aree montane, riforestazione nelle aree montane).

- Messa in sicurezza delle aree a maggior rischio, per esempio, avviando azioni mirate ad impedire l’edificazione in aree a rischio, e delocalizzazione delle strutture presenti in aree a rischio.

FORESTE - Cambiamenti nella fisiologia delle specie forestali e della loro variabilità genetica con aumento della loro sensibilità ad eventi estremi.

- Incremento della diffusione di specie aliene.

- Probabile spostamento altitudinale e verso nord delle specie vegetali.

- Aumentato rischio di incendi e siccità.

- Progressiva disgregazione degli ecosistemi forestali, dei quali solo poche componenti potranno migrare in aree più adatte ai mutati scenari climatici, mentre la maggior parte di esse saranno destinate all’estinzione, almeno a livello locale.

- Identificare e rafforzare la protezione delle aree di rifugio.

-Rafforzare i programmi di monitoraggio e ricerca ecologica a lungo termine (ad esempio il CONECOFOR, Controllo degli Ecosistemi Forestali, curato dal Corpo Forestale dello Stato).

- Favorire e proteggere la variabilità genetica.

AGRICOLTURA - Aumento dei consumi idrici. - Riduzione di areali di coltivazione di specie.

- Riduzione delle produzioni unitarie con danni a produzioni agro-alimentari strategiche e tipiche.

- Introduzione di colture e nuove produzioni destinate a diventare non-sostenibili nel medio

periodo.

- Favorire tecniche di gestione agricola in grado di ridurre gli input e

ottimizzare l’uso delle risorse. - Favorire e supportare la crescita di filiere produttive sostenibili garantendo un equilibrato rapporto fra aree coltivate e aree set-aside.

- Avviare politiche di risparmio idrico attraverso le migliori pratiche di irrigazione e/o promuovendo colture meno idroesigenti e più compatibili con le diverse regioni climatiche.

- Adeguare il sistema di concessioni per le acque alle attuali condizioni di disponibilità.

- Difendere i prodotti tipici italiani, dal vino all’olio, creando un’“alleanza” tra piccoli produttori agricoli di qualità per far fronte al rischio climatico.

ZONE UMIDE - Modifica dei regimi idrologici e conseguente alterazione delle biocenosi delle zone umide.

- A rischio habitat importanti per la biodiversità (torbiere montane, sorgenti, paludi perifluviali, ecc.). - Difficoltà per gli uccelli migratori di trovare rifugio durante i loro spostamenti.

- Scomparsa di specie vegetali. - Danni economici al turismo nelle aree protette (es. Delta del Po, Bosco della Mesola, Parco del Circeo, Bosco di Policoro).

- Pianificare la politica di tutela delle zone umide all’interno della gestione integrata del ciclo dell’acqua, e in particolare per i bacini idrogeologici, attraverso percorsi di partecipazione pubblica per raggiungere il “buono stato dei corpi idrici” (Dir. 200/60/CE). - Ridurre gli impatti sull’utilizzo delle acque.

ZONE DI MONTAGNA

- Modifica dei regimi idrogeologici e climatici.

- Ritiro dei ghiacciai alpini, riduzione delle precipitazioni nevose, aumento di temperatura. - Degenerazione degli ecosistemi alpini, con incremento delle specie vegetali più adattate all’aridità e agli stress e parallela diminuzione di quelle più adattate a maggiore disponibilità idrica, basse temperature e maggiore innevamento.

- Incremento della diffusione di specie aliene.

-Probabile spostamento altitudinale e verso nord delle specie animali e vegetali.

- Danni al turismo invernale.

-Spostamento di specie più mediterranee verso l’alta quota, progressiva scomparsa di specie vegetali adattate all’ambiente alpino.

- Attuare la gestione integrata dei bacini idrogeologici.

- Rispondere all’aumento degli eventi estremi idrogeologici riducendo la vulnerabilità e ripristinando, ove possibile, la funzionalità

ecoidrogeologica del territorio (es. riduzione dell’impermeabilizzazione, aumento delle aree di esondazione naturale, ripristino e tutela della capacità di ritenzione delle acque nelle aree montane - ad esempio con la riforestazione).

- Identificare e rafforzare la protezione delle aree di rifugio.

-Rafforzare i programmi di monitoraggio e ricerca ecologica a lungo termine.

- Moratoria di almeno 5 anni per l’edificazione di nuove stazioni sciistiche in attesa di definire piani turistici partecipati che tengano conto delle mutate condizioni climatiche. - Incoraggiare un turismo meno legato alle esigenze sciistiche ma più consapevole del patrimonio naturalistico della montagna.

- Promuovere il valore della montagna come ecosistema.

CACCIA E PESCA CONTINENTALE

- Riduzione e spostamento di selvaggina e comunità ittiche. - Penetrazione e introduzione di specie non indigene e capaci di successo nella competizione con le specie native.

- Eliminare dall’elenco delle specie cacciabili quelle che possono risentire maggiormente degli effetti dei cambiamenti climatici.

- Ridurre l’uso industriale di acque correnti per garantire sempre il flusso minimo vitale per fiumi e torrenti. - Ridurre la costruzione di barriere lungo l’asta fluviale.

- Gestire il territorio inserendo le eventuali aree di caccia affinché risultino sostenibili con la salute degli ecosistemi e le dinamiche delle popolazioni.

- Applicare il principio di precauzione all’introduzione di specie aliene, monitorare le invasioni e mitigarne l’effetto.

ZONE COSTIERE - Salinizzazione delle falde. - Danni alle infrastrutture portuali e turistiche (laguna di Venezia, porto di Civitavecchia, ecc.).

- Aumento dei livelli del mare.

- Migliorare la gestione dei pozzi in aree costiere.

- Realizzare infrastrutture “naturali” di contenimento.

- Disegnare mappe di pericolosità per gli insediamenti urbani e industriali. - Ripristinare l’apporto terrigeno fluviale e identificare e fermare le cause antropiche di

subsidenza.

PESCA E ECOSISTEMI MARINI

- Modificazioni nella produttività dei mari italiani; i cambiamenti stanno già influenzando molte categorie di organismi fitoplancton, zooplancton, pesci e alghe) alterando le reti trofiche marine. - Mutamenti nella distribuzione di numerose specie sia pelagiche che bentoniche con aumento della biomassa e della distribuzione delle specie termofile.

- Aumento del numero di specie non indigene penetrate

dall’Atlantico e dal mar Rosso e successo competitivo delle specie non indigene subtropicali e tropicali, sia penetrate che introdotte volontariamente o involontariamente, sulle specie native.

- Adeguare la quota di pescato. - Eco-labeling.

- Combattere l’introduzione di specie non indigene e monitorare e mitigare l’effetto delle invasioni.

- Informare e sensibilizzare le comunità di pescatori.

- Sviluppare attività di pesca artigianale multispecifica, polivalente e selettiva in grado di recuperare le antiche

caratteristiche di stagionalità, opportunismo e adattamento.

SALUTE UMANA - Ondate di calore ed epidemie influenzali. - Diffusione di agenti patogeni e allergenici.

- Introduzione e penetrazione di specie animali e vegetali, marine e terrestri, tossiche e velenose. - Maggiore permanenza di insetti tipici di periodi primaverili-estivi (quali diverse specie di zanzare).

- Monitorare la diffusione degli agenti patogeni.

- Incentivare gli studi sulle relazioni tra cambiamenti climatici e salute umana. - Promuovere presidi sanitari per far fronte alle crisi climatiche.

TRASPORTI - Rischi legati soprattutto agli eventi estremi, precipitazioni violente e improvvise, regime dei venti, nebbie.

- Produzione di una cartografia degli impatti previsti e dei possibili

adattamenti per i settori terrestre, aereo e marittimo relativa alle infrastrutture e alle operazioni di messa in sicurezza dei trasporti (es. monitorare la rete

ferroviaria e stradale, soprattutto nelle zone costiere a rischio erosione marina).

INDUSTRIA ED ENERGIA

- Aumento della domanda di energia elettrica a fronte di una diminuzione della disponibilità dell’energia idroelettrica.

- Ridurre i consumi di energia. - Sviluppo di energie rinnovabili

compatibilmente con le disponibilità (soprattutto nel caso dell’idroelettrico) in relazione al mantenimento di condizioni vitali di corsi d’acqua. -Adeguare il sistema di concessioni per la derivazione/captazione delle acque, soprattutto per scopi idroelettrici, alle attuali condizioni di disponibilità idrica. - Incentivare lo sviluppo di tecnologie pulite nelle produzioni industriali.

TURISMO - Crisi del turismo in alta montagna per le mancate precipitazioni nevose e nelle zone costiere per l’innalzamento dei mari e il rischio della mancanza di

approvvigionamento idrico.

- Diversificare l’offerta. - In alcuni casi riconversione dell’attività.

URBANESIMO E COSTRUZIONI

- Problemi con centri estensivamente urbanizzati dovuti alla poca dispersione del calore.

- Temperature elevate in città. - Alto consumo di energia per la climatizzazione e perdita di acqua a causa di una rete idrica non efficiente.

- Rischio per opere d’arte e patrimonio artistico delle città.

- Ripensare le costruzioni in modo da proteggere la popolazione dal calore e dalla penetrazione dei raggi solari con doppio beneficio: aumentare il comfort generale diminuendo il rischio di catastrofi sanitarie e limitare la spesa energetica dovuta alla climatizzazione attiva.

- Ripensare anche gli agglomerati urbani con maggiori zone di verde (parchi e giardini) che favoriscono l’abbassamento delle temperature in città.

- Monitoraggio e intervento sui beni culturali.

L’Unione Europea nella lotta al Cambiamento Climatico: il mercato