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SCRITTI DI LINUCCIA SABA

Umberto Saba – Pierantonio Quarantotti Gambini, Il vecchio e il giovane. Carteggi 1930-1957, a cura di Linuccia Saba, Milano, Arnoldo Mondadori Editore 1965

Prefazione

Questo piccolo libro, questo carteggio, eà nato (un poco come mi eà successo con l’Epistolario di mio Padre) dal mio desiderio, o bisogno, di trattenere vicino a me una persona cara o scomparsa. Mi eà fiorito in mano pochi giorni dopo la sera in cui, ascoltando il telegiornale, fra il notiziario politico, i congressi e il tempo di domani, con l’immagine

Bruno Vasari pubblicati sulla rivista «Lettera ai compagni»: Vive l’opera di Linuccia (1980) e Carlo Levi oggi (1999). Seguono il corredo iconografico (un ritratto di Linuccia Saba dipinto da Carlo Levi, riprodotto in un articolo di Bruno Vasari, cfr. p. 00; una fotografia di Bruno Vasari; una fotografia della casa di Bruno Vasari a Roma, esterno; una fotografia della casa di Bruno Vasari a Roma, interno; i loghi della Fondazione Carlo Levi, e la riproduzione in facsimile dell’atto notarle con cui viene istituita la Fondazione Carlo Levi.

famigliare, sorridente e chiusa di Pierantonio Quarantotti Gambini,107 una voce disse della sua

morte.

Mi aggiravo, in quei giorni, per casa (ero stata cosìà male da non poter partire per Venezia per partecipare ai suoi funerali) ripensando al passato lontano e a quello vicino, sentendo che il mio mondo si era fatto piuà piccolo, misurando dal dolore il bene che gli volevo. Prima, non ci avevo mai pensato. Pierantonio faceva parte della mia vita; eravamo, in qualche modo, parenti, allevati, tutti e due, all’ombra della stessa cultura: quella di mio Padre, e nella stessa cittaà, bambini negli stessi anni. E Pierantonio era una delle ormai rare persone che ricordavano Saba come lo ricordo io: con gli stessi occhi. Sono certa che quando dicevamo: «Saba in libreria» vedevamo, tutti e due, la stessa persona, vista con veritaà e amore. E quando parlavo con lui i nostri ricordi si integravano, aggiungendovi lui, sempre, la precisione del narratore che registra i particolari contemporaneamente ai fatti piuà importanti.

Passavano a volte mesi senza che ci vedessimo, ma questo non voleva dire nulla. Me ne andavo accorgendo proprio dopo averlo perduto. In quelle squallide ore mi sono ricordata che avevo un pacco di lettere di Quarantotti a Saba, chiuse [in] un cassetto (insieme a quelle di altri amici), ritrovate nella camera di mio Padre, e non mai lette percheé non a me indirizzate. Ma la morte mi autorizzava (o almeno mi parve) ad aprire il pacco. Vi trovai le lettere qui riprodotte. Ci sono tutte: mancano soltanto (credo) quelle scritte dal ragazzo Pierantonio prima della guerra. Saba allora aveva abbandonato la sua casa in fretta: i tedeschi entravano a Trieste, e vi aveva lasciato tutto, anche le sue carte, i suoi libri, e, naturalmente, le lettere degli amici. Ma anche con quelle che avevo in mano, unite a quelle di mio Padre, era un libro. La rara amicizia fra un vecchio poeta pieno di nascosto amore, assetato di parlare sapendosi ascoltato, bisognoso di stimare chi amava, e il nascente (poi nato, poi fatto adulto) scrittore, intimo e pudico dei suoi sentimenti, risultava chiaramente. L’affetto si sente nel tono, nella libertaà della reciproca critica, mai detto e sempre espresso. Non parlavano mai della loro vita privata ma solo del loro lavoro: eppure il discorso eà quello di un padre a un figlio, di un padre che spera nel figlio l’erede.

Seppi che avevo ragione quando, qualche giorno dopo, andai a Venezia ad abbracciare finalmente la madre di Pierantonio. Nel suo studio, dove tutto eà intatto, c’erano i segni della sua devota amicizia per Saba e l’impronta della sua persona, il suo ordine, la cura con cui aveva fatto rivivere l’antico palazzetto veneziano che tanto gli somiglia, e c’erano tutti i suoi ancora attoniti, e sua madre, fiera e modesta, che mi disse: «Io non devo piangere. Ho avuto il privilegio di vivere per cinquant’anni accanto a mio figlio».

107 Pierantonio Quarantotti Gambini (1910-1965), scrittore e giornalista, fin dagli anni

dell’universitaà scrisse su «La Stampa» e su «Solaria». Istriano, trascorse l’infanzia e l’adolescenza tra Pisino d’Istria (Pola), dove era nato, Semenella dove trascorreva le vacanze, e Capodistria e in queste terre spesso ambientoà le sue opere. Trasferitosi a Trieste alla fine degli anni Venti, ne diresse la biblioteca civica tra il 1942 e il 1945; qui conobbe Virgilio Grotti, Gianni Stuparich e Umberto Saba, cui si legoà profondamente; dovette peroà lasciare la cittaà nel 1945 e si stabilìà prima a Udine e in seguito a Venezia, nella casa avita in San Cassiano, che fece restaurare e dove abitoà fino alla morte, avvenuta il 22 aprile 1965. Fu autore di numerosi romanzi e racconti lunghi, tra i quali si ricordano La luna rossa (1937); Amor militare (1945, ripubblicato nel 1964 con il titolo di L’amore di Lupo); L’onda dell’incrociatore (1947) con cui vinse il premio Bagutta e che il regista francese Claude Autant-Lara tradusse nel film Les reégates de San Francisco; Il cavallo Tripoli (1956); La calda vita (1958); I giochi di Norma (1964) con cui vinse il premio Puccini-Senigallia; e, pubblicati postumi, Le redini bianche e La corsa di Falco. Scrisse anche versi (Racconto d’amore e Al sole e al vento), un libro in cui narra del suo viaggio in Russia (Sotto il sole di Russia, 1963) e un volume in cui ricorda i quaranta giorni (1 maggio – 12 giugno 1945) dell’occupazione di Trieste da parte delle truppe di Tito (Primavera a Trieste, 1951).

In quella antica casa restaurata per rispetto del passato, dove tutto, il lavoro e gli affetti, sono sotto il segno dell’intimitaà, dove seppi che per un atto di inimicizia Pierantonio era morto, sentii, ancora piuà che nella mia casa, che questo carteggio, che incornicia ed isola un’amicizia cosìà rara, eà giusto che sia stampato, e anche, spero, letto con amore.

Linuccia Saba

Carlo Levi. Disegni 1920-1935 (Venezia, Palazzo Querini Stampalia, maggio-giugno 1980), Testi di Linuccia Saba e Ugo Ruggieri, con una lettera di Carlo Levi dal carcere di Torino alla madre, Venezia, Corbo e Fiore 1980.108

Guardare per far vedere

Carlo Levi amava parlare con le persone, guardarle mentre lo ascoltavano, non aveva della gente, e del modo alcun timore (al contrario di Umberto Saba che scriveva, rispondeva alle lettere, a tutte, per parlare col mondo pur rimanendo solo), ma solo interesse e curiositaà. Cercava gli incontri al punto che quando saliva su un treno, come prima cosa, lo percorreva tutto, alla ricerca di un amico, un conoscente, qualcuno con cui poter conversare, e ricorreva ai

108 La lettera di Carlo Levi, qui trascritta dopo il testo di Linuccia, eà stata ripubblicata da

Daniela Ferraro in C. Levi, EÈ questo il “carcer tetro”? Lettere dal carcere 1934-1935, a cura di D. Ferraro, Genova, Il Melangolo 1991, n. XXVIII, pp. 92-94.

contatti epistolari solo quando vi era costretto dalle circostanze, quando era nell’impossibilitaà di comunicare direttamente. E mai queste circostanze erano cosìà assolute come i periodi passati in carcere, neé certamente scrisse mai tante lettere come allora. Poi, col passare degli anni, si fecero sempre piuà rare, diradarono, quasi scomparvero. Fra i pochi gruppi di lettere che si sono ritrovati ci sono quelle indirizzate alla madre dal carcere di Torino, nel ’34 e poi nel ’35, quando era in attesa del processo che lo doveva condannare al confino. Sono lettere particolari, forse difficili da capire a chi non ha vissuto durante quegli anni particolari quando la censura epistolare era in uso, soprattutto quella dei carcerati politici. Bisognava, allora, imparare a scrivere non solo sui modesti foglietti di carta che la prigione consentiva ma anche a mascherare il proprio pensiero, dicendo delle bugie destinate ai censori e delle veritaà truccate per farsi capire dai destinatari.

Quando la Querini Stampalia mi ha cosìà gentilmente domandato se potevo trovare un inedito di Carlo Levi da inserire nel catalogo dei disegni che si stanno esponendo – disegni scelti fra i primi fatti dall’adolescente pittore fino a quelli del ’35, data dell’ultimo esposto – mi sono ricordata di questa lettera, questa breve lettera che porta proprio la data del ’35, e che eà cosìà densa e piena di pensieri da essere, in realtaà, un testo inedito.

Indirizzata alla madre, cosìà definitivamente amata, inizia con parole di fiducioso affetto e di totale apertura e continua poi parlando di quello che era allora il suo momentaneo orizzonte, dei suoi rimpianti, dei suoi desideri. Fra i rimpianti il piuà acuto, il piuà doloroso resta quello per la pittura, la sua prima forma di espressione, la piuà immediata e piuà profondamente sentita: non era immaginabile una vita senza pennelli, senza una tela, particolarmente toccante per noi. Quando, querelandosi con la madre di questa privazione, dice che, se in prigione fosse concesso dipingere, si sarebbe costretti a farlo senza vedere gli oggetti, e naturalmente pensa a come sarebbe quella pittura e come bisognerebbe guardarla e giudicarla, noi non possiamo non ricordare quello che quasi quarant’anni dopo sarebbe stato costretto a fare ma per un’altra e ben piuà dolorosa prigionia: una malattia agli occhi che lo ha obbligato a tenerli ermeticamente bendati per piuà di tre mesi. In quelle condizioni ha saputo vedere dentro di seé, e far vedere agli altri, le sue immagini interiori, riportandole fedelmente sulla carta con matite, pennarelli, pastelli: 140 incredibili visioni. Nei modi con cui, malgrado il piuà radicato pudore, il giovane carcerato parla alla madre dei quadri che la sua condizione di prigioniero gli impedisce di dipingere, si sente un’amarezza, una mutilazione troppo difficile da sopportare, infinitamente piuà pesante di tutte le altre.

Ma non vuole pesare con la sua malinconia sulla madre e abbandona la pittura per parlare di quello che vorrebbe leggere, per dire ai censori quanto vorrebbe far loro credere, per ricordare la vita che sembra scorrere allegra in famiglia fra le giovani sorelle e il fratello, vita alla quale si ripromette di partecipare assai presto. Ma sono, tutti questi, puri argomenti di conversazione. L’anima della lettera, il suo punto vero, rimane il desiderio di dipingere, di guardare per far vedere. E quando, con ingegnosi trucchi, riusciraà ad avere qualche pezzo di carta, qualche matita, del blu di metilene (per curarsi un inesistente mal di gola), vedremo, guardando quelle opere, quanto il suo desiderio era reale e quanto era – eà sempre stato – totalmente aderente alla sua persona.

Linuccia Saba

31 maggio ’35 Mamma cara,

Ecco il primo giorno di vero sole e di vera primavera, e ecco la tua cara lettera del 28, con il tuo sereno e confortatore elogio della solitudine come preparatrice di ore e di quadri piuà belli per il futuro. Sono felice che tu sia cosìà forte: quanto a me, sta certa che sono pieno di vita, e sicurissimo che nessun male o privazione saraà capace di diminuirmi, e che anzi me ne serviroà, come tu dici, per le pitture di domani. Diroà come un celebre poeta spagnolo del ’600 (il Gongora, mi pare): «Ogni catena che per mia speranza / la sorte foggeraà, trascineroà / nel canto espresso, e la sua risuonanza / saraà strumento cui mi accorderoà». Forse l’immagine del canto intonato al rumore delle catene ti parraà un po’ troppo barocca: ma eà certo che, come tu scrivi, anche quest’ozio forzato, e questa solitudine libresca e riflessiva, possono avere una loro utilitaà. Tuttavia, cara mamma, non esageriamo con le consolazioni della filosofia: di questo gratuito e immeritato riposo non avevo alcun bisogno; e assai piuà di quello che si guadagna di concentrata riflessione, si perde di viva esperienza, quando tutto eà ridotto ai, sia pure vastissimi e beati, campi della memoria. Quello della pittura, eà un linguaggio che si crea facendolo, crescendo sopra se stesso quasi per una propria interna misura, e l’esperienza ne eà solo un presupposto: per questo l’ozio eà una vera privazione. Certo, se si potesse dipingere qui in prigione, non ci sarebbe rischio di lasciarsi sedurre dalla grazia e dagli affetti delle cose, ma, forzato a cavar tutto di dentro, senza soccorsi veristici, ne nascerebbe forse una pittura condensata e allucinata e infiammata, come quella del Greco o di Van Gogh; e l’affettuosa grazia non starebbe in questa pittura se non come ricordo, desiderio e aspirazione. Ma se qualche acuto critico d’arte vorraà, fra qualche secolo, studiare l’influenza della prigione sulla mia pittura, badi di non farsi trarre in inganno. Se l’anno scorso (soprattutto in un quadro di fiori, fatto appena uscito, e in un grande nudo maschile) se ne potevano vedere i segni di una certa nobile e distaccata aridezza in una difficoltaà di aderenza agli oggetti che li rendeva percioà ancor piuà oggettivi e distinti, ho idea che questa volta saraà invece tutto l’opposto. Veramente si cambia con gli anni, e nulla si ripete identicamente. Non mi disgusta affatto leggere l’Inferno e il Purgatorio, e non mi attrae particolarmente il Paradiso. Mi interessa assai meno dell’anno scorso tutta la parte religioso-sentimentale delle Confessioni di Sant’Agostino, che eà un libro che si rileggerebbe cento volte. (A proposito, mi divertirei a leggere una Vita di Santa Monica, la famosa madre di Agostino, che ha scritto Ambroise Vollard, il grande mercante di quadri, uomo spiritosissimo). Quanto alle vicende esterne che mi riguardano, non ne so piuà nulla, e aspetto: spero, per me e per la giustizia, che la minaccia del confino non si realizzeraà, e che saroà liberato. Se penso che, in piena buona fede si sospetta che io sia un “politicante pericoloso”! Eppure sarebbe cosìà facile convincersi della veritaà, che eà evidente per tutti coloro che mi conoscono; che cioeà io sono sempre stato del tutto alieno dalla politica, e che la mia sola partecipazione alla vita del nostro paese, che eà la mia arte, eà un contributo positivo e benefico. Ma spero che la veritaà riesca infine a avere, per se stessa, forza di persuasione. Avrei assistito con tanto piacere alle danze di Lelle: una danza da sedute dev’essere abbastanza umoristica, come una specie di corsa nei sacchi. Quando usciroà di qui faremo dei balli bellissimi. Mille baci affettuosi

RICHIESTE DI VARIE CITTA’ CHE DESIDERANO OSPITARE UNA SEDE DELLA

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