La prima presenza significativa di Picasso in Italia
2.3. Il secondo viaggio in Italia:
Come abbiamo visto in precedenza Picasso era già stato in Italia nel 1917, in occasione della rappresentazione di Parade, spettacolo di cui aveva realizzato le scenografie. Questo primo viaggio era stato davvero importante per il pittore e anche la sua arte aveva subito l’influenza di questa scoperta dal vivo delle grandi opere del passato.
Di quel viaggio se ne è parlato molto e le testimonianze sono numerose, a partire dai suoi “compagni di viaggio” fino agli artisti e critici italiani che egli ha incontrato.
Non c’è, invece, alcuna pubblicazione, ad oggi, che tratti in modo approfondito il secondo viaggio italiano del Maestro, quello avvenuto fra il 30 ottobre e il 2 novembre 1949, seppur sia certa la sua presenza in Italia.
Il 1949 fu un anno molto importante per l’Europa intera. L’anno precedente gli intellettuali di tutto il mondo si erano raccolti a Wroclaw, in Polonia, per dare vita al Movimento dei Partigiani della Pace, contro la bomba atomica e ogni forma di guerra. Da quel momento, per tutto l’anno successivo, si erano susseguiti congressi in tutte le maggiori città europee, a partire da Parigi dove, il 20 aprile, nasceva ufficialmente il Comitato mondiale dei partigiani della Pace, che aveva lo scopo di stabilire obiettivi da perseguire per ottenere la pacificazione mondiale. Di fianco a questo intento pacifista, tuttavia, vi era anche la volontà, da parte dei vertici sovietici, da cui era nato il movimento, di «estendere l’influenza dei partiti comunisti occidentali su vari strati e gruppi della popolazione non legati al movimento comunista e per indebolire il mondo capitalista»199 Vi era, quindi, un chiaro intento politico a sostenere questa campagna di lotta per la pace che «diventò il mezzo “di esportazione e di diffusione dell’antiamericanismo in occidente”».200
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Elena-Aga Rossi, “PCI e URSS nel periodo staliniano (1944-1953)”, in I partiti politici nell'Italia repubblicana: atti del Convegno svoltosi a Siena, 5-6 dicembre 2002, a cura di Gerardo Nicolosi, p.113
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Ma è meglio non addentrarsi in questioni politiche e tornare alla figura di Picasso. Anche a Roma, quindi, si tenne una riunione del Consiglio per la Pace, evento a cui Picasso, fautore del simbolo adottato dal congresso, la Colomba della Pace, non poté certo mancare.
Il primo a parlare di questa seconda presenza italiana dell’artista è Antonello Trombadori in un articolo apparso sull’Espresso, nel quale racconta l’episodio, sottolineando come proprio in quell’occasione avesse iniziato a prendere forma l’idea di organizzare in Italia una mostra dedicata alla sua arte. I ricordi del critico d’arte, tuttavia, ad un’attenta analisi appaiono piuttosto confusi e, in alcuni casi, proprio inesatti.
L’articolo201, composto in occasione della morte del Maestro, si apre parlando della mostra romana del 1953 che egli, erroneamente anticipa al 1951, generando equivoci fin dalla prima frase. La continuazione del resoconto di questa esposizione lo vedremo in modo approfondito nel prossimo capitolo, mentre ora mi concentrerò su quanto scrive relativamente al secondo viaggio in Italia.
Come dicevamo, quindi, il critico si concentra sull’incontro del 1949, di cui riporto un breve estratto: «Egli [Picasso] venne a Roma, per la prima volta e l’unica volta nel dopoguerra, per la riunione importante del Consiglio mondiale dei Partigiani della Pace […] In quell’occasione ero in qualche modo diventato per tramite di Guttuso suo amico».202 Che questo sia stato l’unico viaggio in Italia di Picasso nel dopoguerra, è stato smentito da un recente articolo di Maurizio Calvesi, apparso sulla rivista Storia dell’Arte. Secondo quest’ultimo, infatti, Picasso si sarebbe recato in Italia anche nel 1953, in occasione della mostra romana.203
Il resto dell’articolo è un lungo, interessante resoconto dei luoghi visitati e dei personaggi incontrati. Picasso si sarebbe fermato tre giorni a Roma, durante i quali, insieme a Trombadori, Guttuso ed altri amici, avrebbe visitato i Musei Vaticani, restandone, tuttavia indifferente. Scrive, infatti: «Rimase proverbiale fra
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Antonello Trombadori, in L’Espresso, 22 aprile 1973. Riportato in Picasso in Italia, catalogo della mostra, Verona, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Palazzo Forti, Mazzotta, Milano, 1990, pp.175-180
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Antonello Trombadori, “1949- Il secondo viaggio italiano di Picasso”in Picasso in Italia, catalogo della mostra, Verona, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Palazzo Forti, Mazzotta, Milano, 1990, p. 176
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Maurizio Calvesi, “Tre e non due i viaggi di Picasso in Italia”, in Storia dell’Arte, Roma, n. doppio 116-117, 2006, pp. 257-264
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di noi il ricordo della sua distratta attenzione a tutto, come se tutto già conoscesse».204 (fig. 20a - 20b)
Effettivamente, stando a quanto visto nel capitolo precedente, era la seconda volta che il pittore spagnolo si recava in questi sacri luoghi dell’arte e, probabilmente, lo stupore della prima volta era già svanito.
Trombadori, tuttavia, sembra non esserne sicuro e scrive: «[…] C’è chi dice, anche mio padre mi raccontava così, che nel 1917 era già venuto a Roma per mettere a punto le scene e il sipario di Parade […] e che si era avvalso dell’aiuto del pittore Carlo Socrate perché parlava spagnolo ed effettivamente c’è una fotografia che attesta l’avvenimento, ma quando glielo chiesi Picasso rispose di non ricordare affatto».205
Questo comportamento di Picasso, il suo non ricordare, può essere spiegato soltanto dal fatto che fosse un atteggiamento costruito. Così facendo, infatti, esprime la volontà di “cancellare” la deviante esperienza romana del 1917, matrice della svolta classica che, dopo le persecuzioni naziste contro l’arte “degenerata”, egli rifiuta, vedendo nella classicità e nell’accademismo dei valori politici negativi di schiavitù e limitazione dell’arte. 206
Secondo Trombadori il viaggio poi proseguì per Arezzo fino a giungere a Firenze, «per le vie che portano dal lungarno Acciaioli fino a piazza della Signoria e al Mercato nuovo dove [Picasso] mise le mani come un bambino sotto l’acqua che schizza dalla bocca del cinghiale di bronzo».207 (fig. 21a - 21b) E interessante è l’osservazione che riporta in seguito: «Aspirava Firenze con la stessa avidità con cui buttava giù il fumo delle Gauloises, ma era stufo dei musei»208 e ciò è un aspetto che si ripete nei suoi viaggi: anche nel 1917, nei suoi taccuini non aveva riportato alcun accenno a musei, come se Picasso si lasciasse rapire dal fascino, i colori, le forme delle città e della vita reale e che da esse traesse l’ispirazione per
204
Antonello Trombadori, “1949- Il secondo viaggio italiano di Picasso”, op. cit, p. 177
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ibidem
57 Antonello Trombadori, “1949- Il secondo viaggio italiano di Picasso”,op. cit., p. 177
206 Maurizio calvesi,“Tre e non due i viaggi di Picasso in Italia”, p. cit. p.263 207
Antonello Trombadori, “1949- Il secondo viaggio italiano di Picasso”,op. cit., p. 177
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rinnovare sempre il suo linguaggio, piuttosto che dagli esempi d’arte racchiusi in gallerie e musei.
Come accennato nel capitolo precedente, anche Kahnweiler riporta una conversazione avuta con Picasso il 17 novembre 1949, nella quale il pittore esprime i pensieri e le emozioni provate davanti ai grandi capolavori italiani: «Picasso parla del suo viaggio in Italia dove è andato ad assistere ad un congresso della Pace, a Roma. Ha visto finalmente la Cappella Sistina. Gli piace, “ma è come un grande schizzo di Daumier”. Non gli piacciono molto le Stanze di Raffaello, che giudica troppo accademiche, ma gli piacciono i suoi quadri a Firenze».209 E il mercante continua: «Trova molto belle le opere di Piero della Francesca ad Arezzo: “Tuttavia, è come l’opera blu, non meglio”. Ha visto i Masaccio della Cappella Brancacci? Non sembra: non è ben sicuro. L’avrebbero colpito, ne sono certo. Parla bene, ma senza entusiasmo, degli affreschi di Giotto ad Assisi. Parla di sculture caldee ed anche di Apolli greci arcaici come di cose molto più belle: “Là, c’era gente che sapeva. Il resto è sempre solo il talento del pittore”».210
Tocca poi, ancora a Trombadori, parlare del loro arrivo a Vallauris e del momento in cui vide, per la prima volta, i due grandi pannelli de La Pace e La Guerra.211 Queste opere, però, furono realizzate soltanto nel 1951 e ciò ci induce a pensare che il racconto di Trombadori sia da riferirsi ad un terzo viaggio italiano del pittore, successivo alla realizzazione di queste opere e del quale parlerò nel prossimo capitolo.
Interessante testimonianza di questo viaggio è l’articolo di Augusto Livi che, a Firenze, intervistò Picasso, per conto del “Nuovo Corriere”. Lo scritto in questione risulta davvero profondo e prezioso se ci si vuole avvicinare al pittore, alle sue idee, alla sua personalità. Esso, infatti, come scrive l’autore stesso, risulta essere: «Un’intervista sui generis […] che riguardava assai meno il suo e il mio
209 Mario De Micheli “Pablo Picasso. Scritti” Milano, 1998, p.77. colloqui apparsi per la prima
volta in inglese sull’Observer, Londra, 8 dicembre 1957
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mestiere che non i fatti Spirituali, le cose viste, le impressioni – diciamo così – messe in comune».212
È interessante anche perché, a differenza di Antonello Trombadori, che alza dei dubbi sul primo viaggio italiano del pittore nel 1917, l’intervista dà voce proprio a Picasso che afferma: «Conosco l’Italia dal 1917. Venni anche a Firenze».
E il Maestro continua, facendo delle riflessioni sull’Italia: «Meraviglioso Paese – dice con forza – vorrei passare qui a Firenze qualche settimana per riposarmi. E l’arte classica italiana? – incalza – Pensate che possa avere influenza su quella moderna? Certamente – risponde- ma non sono queste le cose più importanti».213 Ed, infatti, poi, guardando le rovine al di là dell’Arno aggiunge: «Pensavo a Michelangelo, ma più di tutto agli altri come lui che sarebbero nati o nasceranno o sono nati e la guerra li ha schiacciati e travolti con queste rovine. Questa è la cosa più importante di tutte oggi, salvare l’uomo e le sue opere, salvare la pace».214
E l’articolo si conclude con una riflessione dell’autore che, dopo aver lasciato Picasso sulla porta degli Uffizi, scrive: «Ma bisogna dire che l’Europa e il mondo devono molto di più, in ogni senso, a questo vecchio signore, il quale lotta per la pace e la sopravvivenza della specie umana e delle sue opere».215
Anche Ugo Pirro, nel suo libro “Osteria dei Pittori”, parla della venuta del Maestro in Italia, «che per gli artisti romani era la grande occasione di conoscere Picasso, di parlargli. Di convincerlo a visitare gli studi».216