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La XXV Biennale di Venezia:

La prima presenza significativa di Picasso in Italia

2.4. La XXV Biennale di Venezia:

Nel 1948, come abbiamo visto all’inizio del capitolo, la Biennale di Venezia, rinata dopo alcuni anni di pausa, aveva impresso un’importante svolta nel suo programma espositivo.

212

Augusto Livi, “A colloquio con Picasso”, ne Il Nuovo Corriere, Firenze, 3 novembre 1949

213 Ibidem 214 Ibidem 215 Ibidem

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La mostra degli impressionisti aveva fatto conoscere ad un più vaso pubblico il movimento dal quale, si può dire, era partita la rivoluzione di tutta l’arte contemporanea. La mostra di Picasso e della Collezione Guggenheim, poi, aveva permesso di dare uno sguardo, seppur limitato, a tutti quei movimenti che fecero da tramite tra l’impressionismo e l’arte degli anni ’50.

Grandi esclusi, però, erano stati i Fauves che, al pari del cubismo, erano stati decisivi e fondamentali per il progresso dell’arte. A tale mancanza si porrà rimedio nella successiva Biennale, nel 1950.

Prima di parlare delle opere e degli orientamenti rappresentati alla manifestazione, bisogna, però, soffermarsi su questioni “amministrative” legate all’Ente. Già nel 1949 si erano levate le prime voci contrarie alla gestione della Biennale e le proposte di rinnovamento non si erano fatte attendere. Interessante a tale proposito è lo scambio di “lettere aperte” tenutosi ne L’Avvenire d’Italia, tra il giornalista Alessandro Vardanega e l’on. Giovanni Ponti, allora Commissario Straordinario della Biennale.

Il 12 Novembre il collaboratore del giornale, propone un nuovo Regolamento, che soddisfi la sua visione di come dovrebbe organizzarsi l’Ente dal punto di vista amministrativo in modo da essere il più corretto e obiettivo possibile.

Egli scrive, innanzitutto, lo scopo da perseguire: «A base […] sta il principio che ogni professionista si senta difeso […] da ogni ingerenza di elementi direttivi estranei agli artisti, in virtù solo dei quali le Opere d’Arte, e le mostre quindi, sono possibili». 217 E continua elencando le regole, a suo avviso, da seguire: «1) Ogni artista collaudato tale da almeno cinque esposizioni internazionali, non solo d’Italia, ma anche dell’estero, abbia il diritto di esporre un’opera, quale la sua educazione artistica gli abbia saputo tradurre […] 2) Tutti gli altri artisti che desiderino esporre, dovranno inviare le loro opere all’esame di una Giuria Internazionale, eletta interamente dagli artisti concorrenti».218 Le cose che, quindi, stanno più a cuore all’autore sono la salvaguardia del ruolo dell’artista, che deve essere preminente rispetto a critici o personalità politiche, e l’attenzione all’arte tutta, senza lasciarsi condurre da simpatie, moda o influenze di gusto personale.

217

Alessandro Vardanega “Per una disciplina normativa della Biennale Veneziana”, in L’Avvenire d’Italia, 12 novembre 1949

218

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La risposta dell’On. Ponti non si fa attendere: il giorno seguente, infatti, sulla stessa testata, appare un articolo, in cui spiega la propria posizione. Egli, in modo calmo ma deciso, sottolinea come sia facile criticare una situazione senza conoscerne in modo approfondito i retroscena e dice: «Egli crede che i critici d’arte partano da un punto di vista particolaristico nel formulare il giudizio sull’opera […] e nemmeno suppone che proprio gli artisti, per il fatto stesso di essere creatori, sono quanto mai particolaristici nel giudicare e quanto mai alieni da una visione obiettiva».219 Giustamente, infatti, nell’edizione precedente Pallucchini aveva costituito una Commissione formata da critici e artisti in numero uguale, in modo da fornire le migliori garanzie di obiettività. E continua Ponti: «Per quanto riguarda il secondo punto, voglio ricordare a Vardanega che quest’anno la Commissione della XXV Biennale ha per l’appunto proposto che sia dato spazio maggiore che negli anni passati agli artisti ammessi attraverso giuria: giuria che verrà eletta direttamente ed esclusivamente dagli artisti concorrenti».220

Per quanto riguarda le intenzioni in campo artistico, poi, estremamente chiarificatrice è l’intervista fatta a Rodolfo Pallucchini, allora Segretario Generale, apparsa sempre nell’Avvenire d’Italia. Egli, dapprima, si sofferma sui criteri culturali adottati nella XXV edizione dell’esposizione: «I principi fondamentali ai quali la Commissione per le Arti Figurative della XXV Biennale si è attenuta nell’organizzazione della prossima mostra sono due: 1) necessità d’informazione del pubblico italiano dello sviluppo dell’arte contemporanea; 2) massima selezione dei valori, per quanto riguarda la sezione italiana, puntando sul concetto della qualità piuttosto che su quello delle tendenze»221 per addentrarsi, poi, nella descrizione del materiale che sarebbe stato esposto, da giugno, nella grande rassegna internazionale. È importante, a mio avviso, notare come il fine principale della Biennale fosse quello di educare, informare il pubblico, renderlo consapevole e partecipe dell’evoluzione dell’arte, intento non di certo scontato se

219

Giovanni Ponti, “Lettera dell’On. Ponti a proposito della Biennale” in L’Avvenire d’Italia, Venezia, 13 novembre 1949

220

ibidem

221

P.R. “Fauves, Cubisti, Futuristi e importanti “Personali”, in L’Avvenire d’Italia, Bologna, 28 gennaio 1950

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si pensa al periodo storico in cui questa Biennale, come anche quella precedente, si tennero.

La guerra, infatti, era stata un periodo in cui si era cercato di attutire quanto fosse circolazione di idee, conoscenza di fatti culturali ed artistici degli altri paesi. Il governo di Mussolini, seguendo la scia della campagna intrapresa dal governo nazista contro l’“arte degenerata”, per quanto riguarda la cultura, era stato guidato da un principio nazionalistico ed autarchico: le edizioni della Biennale tenutesi negli anni che precedettero la guerra rappresentarono «un panorama accademico e stagnante»,222 totalmente ostile e chiuso nei confronti delle novità rappresentate dall’arte straniera.

La Biennale del 1948, quindi, era stata la prima ad imporsi come manifestazione “libera”, in un mutato clima politico e culturale, alla quale faceva seguito, con le stesse finalità di conoscenza e divulgazione, questa XXV edizione.

Ma è giunto il momento di tornare a parlare della manifestazione dal punto di vista esclusivamente artistico. Come dicevamo, il 1950 rappresenta una continuazione del lavoro iniziato due anni prima dalla Commissione per le Arti Figurative, continuazione che si concretizza con la realizzazione di tre importanti mostre dedicate ai Fauves, ai Cubisti e ai Futuristi, accompagnate da numerose personali di alto livello qualitativo: «Aver dato questo anno a Venezia una compendiosa ma più che sufficiente raccolta del periodo iniziale delle due massime correnti del secolo [Fauvismo e Cubismo] è il merito maggiore di questa XXV Biennale».223

Importante, per il mio lavoro, è la Sala V dei “Quattro Maestri del Cubismo”, che presentava opere di Picasso, Braque, Gris e Léger, selezionate ed ordinate da una Commissione composta da Carlo Carrà, Jean Cassou, Douglas Cooper, Daniel- Henri Kahnweiler, Maurice Raynal e Lamberto Vitali.224

In un articolo del 24 gennaio, dedicato a questo movimento, definito «uno dei fenomeni più interessanti e più decisivi per l’evoluzione dell’arte del nostro

222

P. R. “Fauves, Cubisti, Futuristi e importanti “Personali”, in L’Avvenire d’Italia, Bologna, 28 gennaio 1950

223 Remigio Marini, “Fauvismo e Cubismo alla XXV Biennale”, in Alto Adige, Bolzano 13

ottobre 1950

224

Elenco opere completo nel Catalogo della XXV Biennale, seconda edizione, Venezia, luglio 1950, pp. 51-55

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secolo» si può leggere: «La Mostra, che la XXV Biennale dedicherà ai cubisti, documenterà le origini del cubismo attraverso le opere dei suoi creatori, Picasso, Braque, Léger, Gris, comprese tra il 1907 e il 1914».225

L’ufficialità dell’invito a Picasso arriva il 26 gennaio 1950, data in cui l’On. Ponti scriveva al Maestro spagnolo: «Cher Maître, Nous avons le plausi et l’honneur de

vous annone que la XXVème Exposition Biennale Internationale d’Art qui aura lieu à Venise au cours de l’été 1950, dans le but de continuer le programme historique et culturel de la Biennale, sur la proposition de la Commission pour les Arts figuratifs, organisera une ex position consacrée au Cubisme»,226 per

richiederne la partecipazione ed il permesso di esporre le opere selezionate dalla Commissione ordinatrice. (fig. 22) Nello specifico erano esposte 13 opere di Picasso.227 Importanti sono, anche, le numerose lettere inviate a collezionisti italiani e stranieri ai quali, veniva richiesto il prestito di opere. Ad Umbro Apollonio, assunta la carica di Conservatore dell’Archivio Storico d’Arte Contemporanea, spetterà il compito di mandare le missive che, dal dicembre del 1949, raggiungono le più importanti collezioni europee. (fig. 23)

Visionando i numeri dei periodici editi quell’anno, mi sono imbattuta in numerosi articoli relativi alla XXV Biennale, nei quali i giornalisti sottolineavano la sua portata intellettuale e la sua importanza dal punto di vista artistico. Ho trovato, soprattutto, considerazioni generali legate alle sale più importanti e alcuni articoli di carattere più “tecnico” nei quali erano riportati il numero di visitatori e l’impatto della mostra sul mercato dell’arte.

Per quanto riguarda questo aspetto interessante, ad esempio, è l’articolo apparso sulla Voce Adriatica il 2 ottobre 1950, nel quale si legge: «Dal primo settembre a tutto ieri oltre trentacinquemila persone si sono avvicendate nei vari padiglioni della Biennale[…] solo nella giornata di domenica, ad esempio, si è avuto il più largo afflusso di visitatori che la Biennale abbia registrato quest’anno. Oltre quattromila persone […]nel settore delle vendite, mentre sono tutt’ora in corso

225

Una mostra del cubismo alla XXV Biennale di Venezia”, articolo non firmato in Il giornale del popolo Bergamo, 4 gennaio 1950

226

lettera di Giovanni Ponti, indirizzata a Pablo Picasso, Venezia-Vallauris 26 gennaio 1950, oggi in Asac, serie Arti Visive, Atti relativi alla XXV Biennale

227

Elenco opere completo nel Catalogo della XXV Biennale, seconda edizione, Venezia 1950, pp. 51-55

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numerose trattative, […] sono state vendute, finora, 359 opere […] Le cifre suesposte sono tanto più notevoli, in quanto si deve tener conto che tra le opere [sono più numerose] quelle invendibili, perché prestate da Musei o da collezionisti privati, che non quelle poste in vendita».228 Da questo articolo si può notare come il successo sia universale, sia per l’affluenza di visitatori, che per l’importanza delle vendite, aspetto da non sottovalutare, visto la notorietà degli artisti esposti, e gli alti costi conseguenti.

Per quanto riguarda la specifica presenza di Picasso, ho trovato pochi articoli che affrontino la questione, e primo tra tutti vi è quello di Domenico Maselli, che scrive: «In Picasso […] è potente il desiderio di impadronirsi delle regioni più elevate dello spirito […] ha ascoltato soprattutto il rumore tumultuoso della vita d’oggi, con tutte le sue passioni ed i suoi antagonismi, e, con sintesi fulminea, ha dato a questi una forma che non è pittura e nemmeno scultura; è come sempre un’idea ch’egli comunica attraverso piccoli punti di contatto col mondo reale».229 E l’autore, poi, fa una riflessione sull’influenza di Picasso sui giovani artisti, sui cosiddetti “picassismi”: «Il fascino singolare esercitato da Picasso sui giovani ha maturato solo in pochissimi alcune nobili risultanze; in molti invece, che hanno preso per oro colato i lati negativi dell’arte picassiana, ha provocato errori capitali che sono particolarmente rilevabili in parecchi pittori contemporanei che hanno smarrita la loro serenità».230 Da quanto letto si può comprendere come Picasso sia un “fenomeno” complesso: un insieme di arte, personalità e idee, difficilmente replicabile. Chi si accosta alla sua arte, con l’idea, magari, di copiarne il linguaggio, raramente riesce a far sua la profondità e la molteplicità di significati che il Maestro spagnolo, invece, pone nelle sue opere. Il suo sguardo sul presente, infatti, il suo modo di interpretare la realtà, è unico, inimitabile.

Anche la rivista Emporium dedica un articolo alla Biennale, nel quale si possono leggere delle considerazioni sull’opera di Picasso e sul suo ruolo di capostipite della “scuola cubista”: «L’avventurosa personalità di Picasso assume un posto preminente nel movimento, che si fa iniziare nel 1907, quando Picasso,

228

“Successo di pubblico e vendite alla XXV Biennale”, articolo non firmato in Voce Adriatica, Ancona, 2 ottobre 1950

229

Domenico Maselli, “Dai neoimpressionisti ai «Fauves» dai cubisti ai futuristi” nella Gazzetta del Mezzogiorno, Bari, 12 luglio 1950

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abbandonato il trascendentale simbolismo del suo “periodo rosa”, dipinge, per influenza dei ritmi di piani taglienti della scultura negra, Le Damoiselles

d’Avignon».231 L’articolo, poi, continua, dando uno sguardo più approfondito alle

opere esposte in questa occasione: «Il proto-cubismo di Picasso è rappresentato a Venezia da uno dei numerosi studi per Les Demoiselles d’Avignon (dipinto di compatta e raffinata elaborazione pittorica, degna di un antico) e dal Paesaggio, un monocromato scultoreo del 1908. L’estremo razionalizzarsi delle composizioni geometriche del cubismo analitico è espresso dal Poeta e il nuovo aprirsi all’immagine del cubismo sintetico da una serie di opere, compreso il noto

Lacerba del 1914».232 Si può, quindi, riconoscere l’importanza di questa esposizione: far conoscere al pubblico l’opera cubista del Maestro, una fase importante della sua produzione.

Con piccoli passi l’Italia, quindi, sta recuperando la grave arretratezza nella quale si trovava, prima di queste due esposizioni della Biennale, rispetto alla conoscenza di Picasso e della sua Arte.

Si può dire che queste due occasioni, sostenute dalle mostre del 1949, siano state il punto di partenza di quell’impulso verso la modernità e la ricerca culturale che culminerà, ma non si fermerà, con le grandi mostre del 1953, che vedremo nel prossimo capitolo.