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Segue Il trattenimento negli hotspot: una nuova forma di detenzione

2. Rilevamento delle impronte digitali

2.2 Segue Il trattenimento negli hotspot: una nuova forma di detenzione

Le situazioni nelle quali il migrante si trova ad essere trattenuto per più di 48 ore sono da attribuire ad una pluralità di fattori: il rifiuto opposto nel rilasciare le impronte, l’arrivo di un ingente numero di immigrati oppure episodi di autolesionismo che oggettivamente rendono difficili le procedure di identificazione e per questo motivo i migranti vengono costretti a rimanere nel centro per un termine indefinito, sine die.

La Roadmap del Ministero dell’Interno non prevede che gli hotspot siano strutture aperte, quindi, di fatto, viene impedito ai migranti di potersi allontanare liberamente e nel contempo, le Sop prescrivono che le procedure di identificazione debbano avvenire nel rispetto del quadro normativo vigente e nel più breve tempo possibile. Tuttavia, accade che nella realtà alcuni migranti, compresi soggetti vulnerabili come i minori, siano stati sottoposti al fermo per più di 72 ore70 senza alcuna convalida dell’autorità giudiziaria, ponendo dei problemi de facto, per le modalità di trattenimento e de iure, perché al di fuori di una previsione di legge. Il trattenimento sine die senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria, in condizioni talvolta precarie, sulla base di un modello di accoglienza che non presta adeguata attenzione alle esigenze dei soggetti più vulnerabili, configura un’ipotesi di detenzione arbitraria non contemplata dall’ordinamento. Si può quindi affermare che sul versante nazionale, tale stato di cose appare in palese contrasto con gli artt. 13 e 3 della Costituzione, ma anche con riferimento alla Cedu una

dolori forti, scosse elettriche tramite manganelli elettrici e umiliazione sessuale e inflizione di dolori ai genitali»

70 Camera dei deputati, 29 aprile 2016, Interpellanza urgente n. 2-01354

dell’On. Donatella Duranti ed altri sulla situazione degli Hotspot presenti sul territorio italiano, nel quadro delle politiche di accoglienza dei migranti. http://www.interno.gov.it/sites/default/files/duranti_on._n._2- 01354.pdf

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recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, nel caso

Khlaifia v. Italia71 vede l’Italia soccombere. I fatti oggetto del ricorso sono da ricondurre all’ondata di sbarchi di migranti avvenuta nel 201172, in particolare il caso di tre cittadini tunisini e delle condizioni di trattenimento al centro di soccorso e di prima accoglienza (CSPA) di Lampedusa – attualmente trasformato in hotspot – e del loro rimpatrio nei paesi d’origine. In estrema sintesi la Grande Camera ha condannato l’Italia, tra gli altri motivi, per la violazione dell’art 5 CEDU per il trattenimento in luoghi come il CPSA di Lampedusa e poi sulle navi «Vincent» e «Audacia» in «assenza di un’idonea base legale» e per la mancanza di informazione circa le ragioni del trattenimento che avrebbe impedito di fatto la possibilità di un ricorso effettivo. Ciò che appare rilevante è che in concreto essi siano stati privati della loro libertà perché impossibilitati ad allontanarsi dalla strutture che erano costantemente sorvegliate da forze di polizia, diversamente da quanto prevede la legge italiana che definisce i CPSA come luoghi di accoglienza e non di detenzione. Tale situazione è assimilabile a quella degli attuali hotspot, luoghi recintati e video sorvegliati, da cui non è possibile allontanarsi.

La questione del trattenimento è affrontata dalle fonti interne, anche se con finalità diverse all’identificazione in oggetto, nel d.lgs n. 286/1998 all’art 14, co. 1, in cui si prevede che uno straniero, in vista dell’espulsione possa essere trattenuto anche per ragioni di identificazione. Inoltre il d.lgs n. 142 del 18 agosto 2015 prevede che il «richiedente è trattenuto, ove possibile in appositi spazi, nei centri di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sulla base di una valutazione caso per

71 Corte EDU Causa Khlaifia e altri c. Italia (Ricorso n. 16483/12), 1°

Settembre 2015. Un’altra pronuncia della Corte EDU sui trattenimenti arbitrari Abdolkhani e Karimnia c. Turchia, n. 30471/08, § 125, 22 settembre 2009

72 Con riguardo ai flussi migratori conseguiti a una serie di proteste e di

agitazioni cominciate tra il 2010 ed il 2011 che coinvolse i paesi del Nord Africa, del vicino oriente e del Medio Oriente, definiti nel gergo giornalistico come “primavera araba”.

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caso» quando alla lett. d) si prescrive che «sussiste rischio di fuga del richiedente».

3. Hotspot e Cpsa la storia si ripete?

Un’ulteriore forma di detenzione praticata nell’immediatezza dell’arrivo in Italia degli stranieri è quella che fa capo ai cd. centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA).

La normativa italiana, diversamente da quella degli altri paesi europei, non indica con precisione il limite temporale del periodo di permanenza nei centri indicati come CPSA, né definisce le modalità di trattenimento e i diritti delle persone ivi presenti.

Attualmente il sistema dei centri per l’immigrazione può dirsi costituito da due gruppi, entrambi coordinati dal Ministero dell’Interno e dal Dipartimento di libertà civile per l’immigrazione.

Il primo è riconducibile ai cd. “centri governativi”, suddivisibile in quattro diverse tipologie: Cpsa, Cda (Centri di accoglienza), Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) i quali secondo la Roadmap saranno progressivamente trasformati in Hub; e infine i Cie (Centri di identificazione ed espulsione).

L’altro gruppo, invece, viene ricondotto alla rete Sprar ovvero il Sistema di protezione per rifugiati e richiedenti asilo, gestito a livello regionali degli enti locali.

Con l’adozione della Roadmap in conformità con le richieste avanzate in ambito europeo dall’Agenda europea sulle migrazioni, si è delineata una parziale ridefinizione dei centri destinati all’accoglienza degli stranieri, nel ruolo che essi assumono e nelle loro caratteristiche. Stando a quanto viene dichiarato nella tabella di marcia le strutture destinate a diventare i futuri centri di accoglienza nelle aree Hotspot sembrano assimilabili, per la natura detentiva e le funzioni svolte, alle già esistenti strutture CPSA. Invero, anche in queste strutture, come avviene nelle aree Hotspot, sono state perpetrate numerose violazioni dei diritti dei migranti, a partire dai tempi lunghi di trattenimento senza

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alcun provvedimento normativo, sulla base di ordini impartiti da vertici gerarchici sotto forma di circolari o documenti interni73. Allo stesso modo, così come sta avvenendo con l’approccio Hotspot, negli CPSA si erano consolidate alcune prassi secondo le quali i migranti venivano selezionati in base alla loro provenienza e venivano trattati con procedure differenziate a seconda che fossero di nazionalità subsahariana e quindi meritevoli di protezione internazionale o di nazionalità “maghrebina” e quindi destinati ad essere internati in un Cie. Questa suddivisione veniva ad essere operata su base arbitraria dai funzionari di polizia.

Dunque, i CPSA fin dal momento della loro instaurazione hanno assunto le caratteristiche di veri e propri centri di limitazione della libertà personale dello straniero irregolare nella totale assenza di una base legale che disciplinasse questa fase immediatamente successiva all’arrivo dei migranti alla frontiera74. La legge all’art. 23 del Regolamento attuativo del T.U. Imm. prevede che “le attività di accoglienza, soccorso ed assistenza,

connesse al soccorso dello straniero, possono essere svolte anche al di fuori dei CIE, per il tempo strettamente necessario all’avvio dello stesso in un CIE o all’adozione dei provvedimenti occorrenti per l’erogazione di specifiche forme di assistenza”. Tale ipotesi riguarda specificamente la

situazione nella quale il migrante, destinatario di un “respingimento differito da parte dell’autorità di polizia, si ritrovi ad essere ammesso sul territorio dello Stato in via temporanea “per necessità di pubblico soccorso” (art. 9 comma 2, lett.b). La previsione del regolamento si collega alla legge Puglia del 30 ottobre 1995 n. 451 che decreta l’apertura di centri di accoglienza lungo le coste pugliesi per far fronte alle esigenze di primo soccorso ed accoglienza, creando il primo “embrione” dei centri di accoglienza per migranti. Questa legge è servita ad arginare una

73 F.V.Paleologo, Diritti sotto sequestro, dall’emergenza umanitaria allo

stato di eccezione. Aracne, Roma, 2012

74 Si veda ad esempio la Francia che da più di vent’anni si è dotata di una

legge per disciplinare le c.d. “zones d’attente”, prevedendo un controllo dell’autorità giurisdizionale sulla possibilità di privare lo straniero della libertà personale. Cfr. G. Campesi, La detenzione amministrativa degli stranieri. Storia, diritto, politica, Carocci editore, Roma, 2013

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situazione emergenziale propria di quel periodo storico e che in ogni caso non contiene alcun altro riferimento. La stessa legge, come si vedrà, è presa come riferimento dal decreto n.13/2017 per regolamentare gli Hotspot.

Con l’incombenza in questi ultimi anni di flussi migratori sempre maggiori ed in virtù della consapevolezza di non voler più trattare il fenomeno migratorio basandolo su provvedimenti di natura emergenziale, lo Stato italiano non ha in effetti provveduto ad adeguare il sistema normativo del sistema di accoglienza e di trattenimento dei migranti agli standard di uno stato di diritto, ciò vuol dire che non esiste attualmente una base legale che disciplini il trattenimento nei CPSA. Anzi con il nuovo approccio Hotspot la storia sembra ripetersi e forse anche acuirsi, con l’entrata in scena degli attori europei nella gestione delle frontiere.

C

APITOLO III

I CENTRI

DI PERMANENZA

PER IL RIMPATRIO

1. I riflessi in Italia dell’Agenda europea sulla migrazione

nelle politiche dei rimpatri.

Le riforme messe in atto dal d.lgs. n.13 del 22 febbraio 2017 sembrano stagliarsi in continuità con gli impegni presi dall’Italia nella tabella di marcia (I cap. §1.4) del settembre 2015 ponendosi come

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soluzione alla proposta del Consiglio75 di elaborare misure adeguate per migliorare la capacità, la qualità e l’efficienza del sistema italiano nei settori dell’asilo, prima accoglienza e rimpatrio.

Secondo la Roadmap il Governo italiano si sarebbe impegnato, tra le tante cose, a migliorare la propria politica di rimpatrio, ponendo maggiore attenzione al ritorno volontario assistito (RVA), nel senso di incentivare campagne di informazione nei centri di accoglienza per richiedenti asilo, dove il numero di richiedenti denegati fosse molto alto. Allo scopo di rendere più stimolante tale opzione, vengono concessi dei contributi finanziari per il reinserimento socio-economico dei migranti nel contesto nazionale d’origine. Il RVA è una misura che permette ai migranti di ritornare nel proprio paese in condizioni di sicurezza ed in modo volontario e consapevole e supportati da programmi individuali di orientamento ad una reintegrazione sociale e lavorativa.

Questo tipo di progetti consente, in molti casi, di prevenire situazioni di marginalità per quei migranti che scappano da condizioni di povertà e su cui molto spesso la famiglia o un’intera comunità avevano fatto un investimento. Situazioni di emarginazione sociale possono verificarsi invece nel caso di un ritorno forzato in patria, spesso con gravi conseguenze psicologiche.

D’altra parte una tale politica è pienamente conforme a quanto viene raccomandato dalla “Direttiva rimpatri” (Direttiva n. 115/2008) nel senso di preferire, qualora “non vi sia motivo di ritenere che ciò possa compromettere la finalità della procedura di rimpatrio” un ritorno volontario ad uno forzato, prevedendo una maggiore assistenza e consulenza sfruttando le possibilità di finanziamento del Fondo europeo per i rimpatri.

L’altra modalità attraverso la quale l’Italia nella Roadmap intende affrontare l’efficienza dei rimpatri di persone irregolari è nell’attuazione di misure finalizzate al rimpatrio forzato.

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Il Governo italiano risponde alle raccomandazioni del Consiglio sostenendo che una politica di rimpatrio forzato sostenibile ed efficace implicherebbe l’aumento del numero di posti nei Centri di Identificazione ed Espulsione che al momento dell’emanazione della Roadmap erano in numero di 7 con una capienza totale di 872 posti, trascurando di considerare tale opzione come un estremo rimedio.

A distanza di due anni dall’emanazione dell’approccio hotspot il Governo adotta il decreto Minniti – sprovvisto, tra l’altro secondo molti, dei requisiti costituzionali e legislativi di necessità ed urgenza76-

considerando come opzione risolutiva del problema dell’immigrazione irregolare l’aumento del numero dei Cie sul territorio nazionale, in aperta antitesi con il passato recente e con la normativa europea in tema di rimpatrio dei migranti.

2. Il ritorno in auge della “detenzione amministrativa”

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Se da una parte si sono aperte le frontiere interne dell’Unione europea per la libera circolazione delle persone nello spazio Schengen, dall’altra si è investito sulle frontiere esterne di tutta Europa accentuando sempre più la differenza tra cittadini Ue e cittadini extracomunitari78. Il rafforzamento delle frontiere esterne ha comportato l’accentuarsi di politiche restrittive nei confronti dell’immigrazione cd. irregolare ed il miglioramento dei sistemi nazionali d’espulsione. La conseguenza - in particolare per gli Stati

76 “Perché contiene sia norme di non immediata applicazione, sia norme

eterogenee.” Per approfondire: Asgi analisi del D.L. 13/2017 http://www.meltingpot.org/IMG/pdf/2017_asgi_dl13-17-analisi.pdf

77 A. di Marino, “Centri, campi, Costituzione. Aspetti d’incostituzionalità

dei CIE, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2014, pp. 22-25

78 Cfr. C. Mazza La prigione degli stranieri, i Centri di Identificazione e

di Espulsione. Ediesse 2013, Roma, p. 21. Per un approfondimento

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membri alle frontiere esterne – è stata quella di aver investito su un sistema di detenzione che permettesse di agevolare il lavoro di indagine e di controllo da parte delle forze di polizia nell’identificazione degli immigrati irregolari, arginandone il rischio di fuga. A ben vedere l’adozione di tale orientamento politico è stato incoraggiato dalle richieste contenute negli accordi Schengen di garantire una maggiore

protezione delle frontiere.

Alla fine degli anni Novanta ogni paese membro aveva infatti istituito delle strutture di trattenimento per stranieri in attesa di espulsione, arrivando ad istituire circa duecento centri in tutta Europa79.

L’istituzione dei Cie ha trovato da sempre l’avallo dei governi, con una tendenza sempre maggiore a ricorrere allo strumento del trattenimento degli stranieri fino a farla diventare una pratica di controllo ordinaria80, malgrado non sempre se ne fosse riconosciuta l’utilità81.

Tuttavia, la costante vigilanza degli organismi internazionale e una spiccata sensibilità dell’opinione pubblica hanno nel tempo contribuito ad accrescere l’attenzione rivolta al problema del trattenimento82 che ha portato progressivamente ad una diminuzione delle strutture detentive esistenti. Le lotte portata avanti dagli stessi migranti ivi trattenuti, supportati dai movimenti della società civile, hanno portato ad una riduzione dei termini massimi di detenzione, fino a tre mesi.

79Carte des Camps 2016, MIGREUROP- Observatoire des frontières

http://www.migreurop.org/IMG/pdf/carte_camps_fr.pdf

80 G. Campesi, La detenzione amministrativa degli stranieri. Storia, diritto,

politica, Carocci editore, Roma, 2013

81 Cfr. ad esempio il Rapporto della Commissione de Mistura del 31

gennaio 2007, in cui nelle conclusioni la Commissione afferma che i Cpt non risultano una risposta adeguata alla complessità del fenomeno migratorio, che non consentono una gestione efficace dell’immigrazione irregolare, che non appaiono idonei alla tutela dei diritti dei migranti, e che comportano “disagi” per le forze dell’ordine e per le persone trattenute.

82 Per una ricostruzione storico-politica cfr. L. Einaudi, Le politiche

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È sembrato dunque che il Governo italiano avesse ceduto la presa ed avesse considerato l’ipotesi di ridurre il ruolo dei centri di detenzione rendendola di fatto una misura residuale nel processo di rimpatrio dei migranti, in luogo di altre misure meno afflittive, così come vuole la

legge

europea.

Ciò nonostante, la direzione intrapresa dall’Italia a partire dall’emanazione dell’Agenda Europea sulle migrazioni ha vanificato le politiche di disinvestimento degli ultimi anni. L’increscente aumento dell’immigrazione irregolare ha indotto gli attori europei a considerare un potenziamento della capienza nei centri di detenzione per stranieri in attesa di essere espulsi, mettendo l’Italia in condizioni di procedere in controtendenza rispetto al passato spingendola ad aprire altri centri di detenzione per stranieri. La Commissione, in alcuni documenti di accompagnamento all’attuazione dell’Agenda europea ha espressamente invitato l’Italia ad aumentare la rete dei centri di detenzione per stranieri rivedendo le norme sui termini massimi di detenzione: “Italy should ensure full use of the existing detention

capacity to ensure compliance with the rules on identification and should open further places in detention centres to provide the capacity needed for an effective identification and return process. […]Italy should consider reforms of existing norms concerning detention, to ensure that longer-term detention is possible where this is essential for identification to be completed in difficult cases. 83

“In the light of the fact that the proportion of migrants that are not in need

of international protection among the arrivals in Italy is steadily increasing (at this point over 50% according to the Italian authorities), it

83Commnication from the Commission to the European Parliament and the

Council. Managing the refugee crisis: State of Play of the Implementation of the Priority Actions under the European Agenda on Migration.

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can be considered that the current detention capacity in Italy (some 604 places in total) is already insufficient”84.

La risposta dell’Italia non si è fatta attendere. Già nel 2015 nella Roadmap del Ministero dell’Interno, nella sezione dedicata al rimpatrio

forzato, si annunciava la riapertura del Cie di Milano e di Gradisca

d’Isonzo per una capienza complessiva di 1252 posti. Il 12 aprile 2017 la camera ha approvato il decreto Minniti-Orlando sull’immigrazione, un testo di legge che sancisce l’aumento della rete nazionale dei cie con la previsione di istituirne uno per ogni regione – oltretutto, si noti, la modalità con la quale è stato approvato il testo di legge non ha dato la possibilità di apportare emendamenti, in quanto proposto con decretazione d’urgenza e “blindato” dalla questione di fiducia posta dal Governo.

3. Genealogia del trattenimento dei migranti irregolari in

Italia. In breve.

I centri di identificazione ed espulsione (inizialmente denominati Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza, CPTA) sono stati creati nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano (l. n. 40/98) con l’idea che la limitazione della libertà personale dello straniero in attesa dell’allontanamento fosse uno strumento efficace di contrasto all’immigrazione «clandestina».85 La

legge prevedeva il trattenimento dello straniero soltanto nei casi di grave pericolo per l’ordine pubblico; l’intenzione originaria era quella di limitare l’utilizzo del trattenimento a pochi casi, coinvolgendo soltanto «i clandestini recidivi con l’unico scopo di identificare lo straniero e rimpatriarlo nel più breve tempo possibile»86. La legge tuttavia non aveva

84 Commnication from the Commission to the European Parliament and

the Council. Progress Report on the Implementation of the hotspots in Italy. COM(2015) 679 final

85 A ben vedere il cd. «decreto Dini» (d.lgs. n. 489/95) aveva introdotto

l’obbligo di dimora per gli stranieri in attesa di rimpatrio.

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sufficientemente regolamentato i centri omettendone di precisare le modalità del trattenimento. Le successive leggi in tema di immigrazione intensificano le misure volte a contrastare l’immigrazione irregolare: con la cd. Bossi-Fini (L. n. 189/2001) la figura dell’espulsione con accompagnamento coatto diventa l’ipotesi principale, viene aumentato il numero dei giorni del trattenimento, si estendono le ipotesi di trattenimento anche ai richiedenti asilo che avessero cercato di eludere le frontiere, ma trascurando ancora una norma che individuasse le caratteristiche di questi centri. Il giro di vite si stringe con l’introduzione del cd. «pacchetto sicurezza» del governo Berlusconi87

che ha previsto l’introduzione del reato di immigrazione «clandestina» disciplinato all’art 10-bis del testo unico immigrazione. Il nuovo reato è di competenza del giudice di pace e deve essere giudicato con rito direttissimo.

Con la legge in materia di pene detentive non carcerarie (l. n. 67/2014), si prevede all’articolo 2 una delega al governo per la riforma della disciplina sanzionatoria. Tra i criteri direttivi da adottare per l’esercizio della delega vi è anche l’abolizione del reato di «clandestinità» e la sua trasformazione in illecito amministrativo. Tuttavia la violazione del divieto di reingresso sul territorio italiano è ancora un reato penalmente sanzionabile, pertanto se è stato adottato un provvedimento di allontanamento nei confronti della persona straniera presente in Italia, il reato non decade.

di Permanenza Temporanea e Assistenza, gennaio 2004, pp. 47 – 48.

87 Con il decreto legge del 23 maggio 2008 n. 92 diventato legge il 24

luglio dello stesso anno (l. n. 125 del 2008) e con la legge n. 94 del 15 luglio 2009

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3.1 Segue. Il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione alla luce del D.Lgs. 17 febbraio n. 13 (cd. Decreto Minniti)

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