dello Stato alle offerte di senso provenienti dalle varie comunità presenti
al suo interno. Al contrario, uno Stato come il nostro, connotato pure da
una dimensione di laicità-accoglienza (positiva o attiva
90), oltre a lasciare
p. 229. Sulla complicata interazione fra differenti diritti religiosi e ordinamenti secolari all’interno di una comunità politica, si veda, da ultimo, il numero speciale 2013 (Daimon) dei Quad. dir. pol. eccl., su Persone e status nei diritti religiosi, cit., ove, fra l’altro, si segnala che “il quadro è reso ancora più complesso dalla interazione in un unico contesto di più diritti, che può dare luogo a dinamiche di conflitto o assimilazione non solo tra regole sostanziali ma anche tra le categorie che le accompagnano. Si tratta oramai della situazione normale per tutti i sistemi giuridici. Questa interazione può avvenire tra diritti religiosi che vengono osservati in una stessa società, ad esempio diritto hindu e diritto islamico nel contesto indiano, tra diritti statali che vengono in contatto attraverso fenomeni di circolazione giuridica, tra diritti statali e diritto di matrice internazionale, e naturalmente tra diritti laici e diritti religiosi. Questo numero di Daimon si propone anche l’obiettivo di elaborare una mappa delle categorie riferite alle persone fisiche e delle conseguenze normative collegate. I diritti religiosi, così come tutti i diritti, hanno elaborato una serie di distinzioni relative alle persone fisiche da cui trarre conseguenze giuridiche a seconda di status definiti sulla base di diversi criteri (ad es. minore età, genere, anzianità, appartenenza a determinate famiglie, caste, relazioni di parentela, condizioni fisiche e mentali, ecc.). Le categorie sviluppate nei diversi diritti non sono coincidenti”: R. ALUFFI, D. FRANCAVILLA, Introduzione, cit., p. 9.
89 Cfr. G. DALLA TORRE, Considerazioni sull’attuale problematica in materia di libertà religiosa, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 24 del 2014, p. 5 s. Più in generale,
fra le monografie recenti, si può vedere C. DEL BÒ, La neutralità necessaria. Liberalismo e
religione nell'età del pluralismo, ETS, Pisa, 2014. Sembra opportuno segnalare in questa sede
AA. VV., Constitutional Secularism in an Age of Religious Revival, a cura di S. Mancini, M. Rosenfeld, Oxford University Press, Oxford, 2014. Si veda pure P. DE CHARENTENAY,
Une politique hibride de développement, in Études, n. 4213 (février 2015), p. 19 ss., in specie p.
28, dove afferma: “Une action purement laïque concernant un problème social spécifique risque de ne pas être comprise par une population qui tient à sa religion et à sa culture”.
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che i vari gruppi etico-sociali si dotino di norme autonomiche, vigenti solo
per gli appartenenti, in virtù del diritto inviolabile di libertà di coscienza
costituzionalmente garantito all’art. 19, si serve anche della loro opera di
produzione assiologica per fare proprio ciò che esso non può: diffondere
nella società valori etici, affinché la rendano più viva e umana (art. 2 Cost.)
e contribuiscano al suo progresso spirituale (art. 4 Cost.). Inoltre, questo
plurale e dinamico ethos sociale innerva le scelte giuridiche della polis,
mantenendo vitale l’apporto che l’etica civile fornisce al diritto
(complementarità). Così, per esempio, ognuna di queste tavole morali
particolari potrebbe rivelarsi, ex post, come anticipatrice o prodromica di
soluzioni legislative future valide erga omnes. In tal caso, tuttavia, le
qualificazioni promananti dall’ordine etico, proprio in virtù del principio
di distinzione degli ordini o di non identificazione (costituzionalizzato
espressamente in Italia agli artt. 7, co. 1, e 8, co. 2), possono proporsi solo
come frutto di scelte autonome, operate ex novo dal legislatore, anche sulla
base di considerazioni diverse da quelle ispiratrici dell’ordine etico
specifico
91. Per esempio, ciò che è ritenuto peccato da una comunità
religiosa può diventare reato per la comunità politica non perché il
disvalore preso in considerazione è scritto nel testo sacro e declinato in
uno statuto confessionale o in un codice etico, bensì perché, analizzato con
il filtro della Costituzione, è oggettivamente (laicamente) riprovevole
anche per la generalità dei consociati
92. In questo processo di
connessioni, cit., p. 90, che auspica “una sorta di neutralità attiva dello Stato, non
disinteresse, attenzione, ma neutralità attiva nel senso di creare le condizioni perché poi la libertà di coscienza possa essere effettivamente praticata”.
91 Circa il congruo rapporto di complementarità che, anche nella sfera pubblica, deve
sussistere fra gli autonomi ambiti etici e l’ordinamento giuridico generale della polis, S. BERLINGÒ, Spazio pubblico e coscienza individuale: l’espansione del penalmente rilevante nel
diritto canonico e nel diritto ecclesiastico, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 6 del
2014, p. 3, ritiene che a esiti deprecabili condurrebbe “una enfasi illimitata concessa alla libertà di autodeterminazione, qualora la si riconducesse, senza residui, all’ambito del
non droit, alla sfera (intangibile per il diritto) della morale soggettiva. Così operando,
infatti, la si sottrarrebbe a ogni confronto con l’ethos sociale collettivo, e quindi a ogni controllo del diritto, che su quell’etica s’innesta, pure in essa non esaurendosi, con la conseguenza della riduzione del giuridico – privo di ogni apporto di etica civile – a una mera funzione difensiva della privacy o, ancor peggio, degli interessi economicamente più rilevanti, in una prospettiva strettamente mercantile o dominicale”. A tal proposito è auspicabile che la società sostituisca la sua attuale logica patrimonialistica, di antica radice romana, che determina il ruolo della persona a partire dalla proprietà delle cose – e perfino di altre persone –, con un diverso modello sociale inclusivo e dialogico, intessuto da relazioni umane che attribuiscano maggior peso ai valori etici, religiosi e culturali, anziché alle transazioni economiche.
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