2. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle
2.1 Uno sguardo d'insieme
La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo è un organismo istituito dall'art 19 della CEDU, che ha lo scopo di vigilare sull'attuazione ed il rispetto della stessa da parte dei vari Stati membri firmatari, e di giudicare i ricorsi che le vengono sottoposti, nei quali viene lamentata la violazione di tali diritti e libertà. La Corte, entrata in funzione per la prima volta nel 1959 e sottoposta nel tempo a vari cambiamenti, è composta da giudici che vengono eletti dall'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, selezionati fra un alveo di nomi che vengono proposti alla stessa dai rispettivi Stati. Il numero degli Stati membri è passato dall'iniziale numero di 10 a quello attuale di 47 (28 dei quali facenti anche parte dell'Unione Europea), il quale rende il Consiglio d'Europa la più grande organizzazione internazionale a livello europeo, il cui campo d'azione privilegiato abbraccia la tutela dei diritti fondamentali nel rispetto dei principi democratici e dell'identità culturale europea5. Possiamo quindi
3 Questa sezione racchiude essa stessa varie tematiche riguardanti la ricognizione e l'autorizzazione di organizzazione religiose, i rapporti fiscali riguardanti tali organizzazioni, la presenza e tutela di organizzazioni di tendenza all'interno dello Stato.
4 La suddivisione da me operata è ispirata dall' opera di Jacob, White and Ovey “The European Convention on Human Rights”, Sixth edition, Oxford University Press.
notare, per quel che concerne l'ambito di questa tesi, che nel primo periodo in cui si è trovata a svolgere le sue attività, la Corte, per quanto riguardava l'art. 9 e, più in generale, la tutela della libertà religiosa, operasse in un contesto europeo culturalmente omogeneo, caratterizzato politicamente da democrazie d'ispirazione liberale, mentre dal punto di vista religioso dalla netta predominanza della religione cristiana, pur nelle sue due declinazioni cattolica e protestante. Questa situazione ha fatto sì che, come nota Silvio Ferrari, “nell'interpretare l'art. 9, la Corte abbia potuto avvalersi della sostanziale sintonia che si era stabilita tra la concezione di libertà religiosa elaborata all'interno della tradizione di pensiero liberal-democratica e quella prevalente nelle Chiese Riformate e, dopo il Concilio Vaticano II, anche in quella cattolica”6. È a partire dal
crollo del muro di Berlino, con il seguente collasso del sistema sovietico, che la geografia politica e religiosa del Consiglio d'Europa è destinata a cambiare notevolmente, con l'ingresso di paesi usciti da poco da esperienze totalitarie e dalle tradizioni religiose differenti da quelle degli altri storici Stati membri, in particolare con l'inserimento di numerosi paesi di religione cristiano-ortodossa insieme all'aumento di quelli cattolici e musulmani. Con la perdita dell'omogeneità culturale europea, la Corte Europea ha dovuto, e deve tutt'oggi, far fronte alla sfida lanciata, da un lato, da quei Paesi che non condividono la nozione di libertà religiosa adottata nella sua interpretazione della Convenzione e da chi non sostiene la necessità di una netta separazione fra sfera politica e religiosa all'interno delle strutture ed organizzazioni pubbliche, e, dall'altro, dalla sempre più marcata multiculturalità delle società stesse, in cui, a causa dell'immigrazione e della libera circolazione delle persone che l'Unione europea ha sancito, sempre più persone appartenenti a religioni, credi e persino filosofie contrapposte si trovano a convivere e a dover esprimere sé stessi negli stessi spazi pubblici. Proprio questa è, a mio parere, la più grande sfida che la Corte, ma nel suo insieme il Consiglio d'Europa, si trova ad affrontare: applicare la CEDU in un Europa sempre più eterogenea culturalmente, evitando gli opposti pericoli, da una lato, dello svilimento dell'identità nazionali e culturali in favore di un appiattimento che svilisce le diversità, e, dall'altro, di un' acritica difesa delle stesse, che finisca per minare lo scopo per il quale la Convenzione è stata stipulata, ossia la difesa e la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali di ogni individuo residente sul territorio europeo.
organizzazione si veda Anna Giusti “Il Consiglio d'Europa e la tutela delle libertà fondamentali, in Diritto dell 'Unione Europea,Diritto Internazionale, Rivista online IUS IN ITINERE, 2018, reperibile su www.iusinitinere.it.
6 Vedi S. Ferrari, “La Corte di Strasburgo e l'art. 9 della Convenzione Europea: un'analisi quantitativa della Giurisprudenza”, pg 28-29, in “Diritto e Religione” a cura di Roberto Mazzola, Il Mulino, 2012.
Passando ad una analisi quantitativa di tali pronunce riguardanti l'art. 9, salta subito agli occhi la netta prevalenza di casi riguardanti Paesi dell'Est Europa, appartenenti all'ex blocco sovietico: sulle 30 sentenze prese in esame, appena 7 riguardano Stati appartenenti alla sfera culturale e d'influenza occidentale, mentre le restanti 23 hanno tutte come convenuti Stati dell'Europa orientale entrati a far parte della Consiglio, come già detto, solo recentemente ed in seguito alla Caduta del muro di Berlino7. Seguendo la divisione tematica presentata all'inizio
del capitolo, si può osservare come più della metà dei ricorsi presentati riguardino, in particolare, due materie: da un lato vi sono i casi riguardanti le dinamiche fra potere pubblico e le varie Chiese o confessioni religiose, ad esempio per quanto concerne il mancato riconoscimento o la dissoluzione imposta d'autorità di enti o gruppi religiosi8; mentre, dall'altro, vi sono quelli attinenti alla violazione della
libertà religiosa di persone rinchiuse in istituti di pena, correzione, cura o, più in generale, sottoposti ad una misura restrittiva della libertà personale. Per quanto riguarda i casi riguardanti quest'ultimo tema, si può notare come essi non solo rappresentino da soli quasi il terzo dei ricorsi totali presi in esame (6 su 23) nel periodo di tempo fra 2013 e 2018, ma che essi siano localizzati esclusivamente nei paesi orientali, mostrando che la difficile transizione da un sistema di governo antidemocratico ad uno liberale e l'estensione delle garanzie e libertà tutelate dalla CEDU ai gruppi ed agli individui che prima ne erano privi, abbia trovato una particolare resistenza nel far sì che i principi a tutela
7 L'unica eccezione è costituita dalla Turchia, entrata a far parte del Consiglio e divenuto il 13esimo Stato ad aderire alla Convenzione il 13 Aprile del 1950. Per molti versi, infatti, la situazione turca si distacca da quella degli altri paesi appartenenti all'Oriente Europeo, in virtù della diversa e peculiare evoluzione storica e culturale che la rendono un unicum a livello europeo. Per un approfondimento sui rapporti fra la Turchia e libertà religiosa si veda A. Moreira e N. Marchei,“Simboli religiosi sul corpo e ordine pubblico nel sistema giuridico turco. La sentenza Ahmet Arslan e altri c. Turchia ed i confini del principio di laicità”, in “Diritto e Religione in Europa”, a cura di Roberto Mazzola , Il Mulino, 2012, pg. 117 ss.
8 Si veda ad esempio il “Case of Biblical Centre of the Chuvash Repubblic vs
Russia”, riguardante lo scioglimento di organizzazione di stampo religioso; il “Case of Church of Scientology of S. Peterburg vs Russia” basato sul rifiuto,
ritenuto illegittimo, delle istituzioni russe di riconoscere tale organizzazione come ente legale; infine, il “Case of Dimitrova vs Bulgaria”, riguardante l'annullamento del riconoscimento legale da parte del Governo Bulgaro ad una organizzazione religiosa.
della libertà religiosa fossero garantiti anche a quelle persone sottoposte a misure limitative della libertà, ed il cui esito ha portato alla condanna dello Stato convenuto nella maggioranza dei casi9.
Un altro dato preoccupante che concerne i paesi dell'Est europeo, è quello riguardante i casi di discriminazione ed intolleranza verso esponenti di gruppi ed organizzazioni religiose minoritarie (4 casi su 23), dove, nella maggior parte dei casi, tali azioni sono state accompagnate a veri e propri episodi di violenza ed aggressione verso gli stessi. Fra i gruppi religiosi più colpiti, si segnalano i Testimoni di Geova, i quali, in paesi come Russia e Georgia, sono costretti a svolgere la loro attività in un clima di crescente ostilità, nella sostanziale indifferenza, quando non risultante addirittura in una partecipazione attiva, delle stesse autorità pubbliche10. Per quanto riguarda gli Stati coinvolti, possiamo vedere che
nel quinquennio 2013-2018 i principali ricorsi sono stati esperiti contro la Russia (6) e la Turchia (3), con a seguire altri paesi come la Georgia (2), la Romania (2), l'Ungheria (2), la Bulgaria (2), l'Ucraina (1), la Grecia (1), l'Armenia (1), la Bosnia Erzegovina (1), la Lituania (1) e la Repubblica ex-jugoslava della Macedonia(1). Questa disamina ci mostra le difficoltà che hanno i paesi ex-sovietici, provenienti da un sistema politico di stampo autoritario, ad implementare le tutele previste dalla CEDU, in quanto in vari casi si trovano ad operare democrazie giovani, non ancora rodate dal punto di vista istituzionale e con una scarsa tradizione di rispetto ed attenzione verso i diritti umani. Un altro fattore che sicuramente influenza l'elevato numero di ricorsi esperiti, specialmente nell'ambito dell'art. 9 e della libertà religiosa, è costituito dalla prevalenza, in quei paesi, di una tradizione cristiana di stampo
9 Si possono citare, a titolo esemplificativo, il caso Vartic vs Romania, riguardante