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Kingdom, riguardante il rifiuto, ritenuto in contrasto con l'art. 9 dai richiedenti,

da parte delle autorità britanniche di concedere l'esenzione fiscale prevista per gli edifici di culto alla chiesa dell'organizzazione; od il caso Klein and others vs

Germany dove i richiedenti ritengono violare l'art. 9, da solo od in congiunzione

all'art. 14, del sistema di escussione fiscale in favore delle Chiese Protestanti previsto dalle normative pubbliche.

Francia si conferma il paese con più procedimenti relativamente a tale materia, e, infatti, la metà dei casi sul tema dei simboli religiosi riguarda lo Stato francese14. Il tema in esame, si conferma come uno dei più

ricorrenti e discussi dalla Corte a partire dal nuovo millennio e anche uno dai risvolti più problematici, vista la sua forte connotazione politica, cosa che può giustificare la grande prudenza con la quale gli organi di Strasburgo sono soliti affrontare queste situazioni: su 4 ricorsi riguardanti la tematica dei simboli religiosi nel periodo fra il 2013 ed il 2018, solo 1 si conclude con il riconoscimento della violazione dell'art. 9, mentre gli altri 3 si concludono con una sentenza di mancata violazione dell'art.9 ed il riconoscimento, agli Stati interessati, di un ampio margine d'apprezzamento.

Da ultimo, se guardiamo al totale delle condanne e delle mancate violazioni riconosciute dagli organi di Strasburgo nel periodo di tempo in esame, vediamo che 21 dei 30 casi si sono conclusi con il riconoscimento di una violazione relativa all'art. 9, mentre i restanti 9 con il riconoscimento da parte della Corte di un ampio margine ai paesi interessati, con il conseguente mancato accoglimento del ricorso15. Anche

qui, la differenza di situazioni che la Convenzione e le istituzioni che la applicano si trovano ad affrontare in relazione ai diversi paesi europei, soprattutto in relazione al già citata differenza fra i paesi ex sovietici e quelli “occidentali”, emerge con prepotenza dall'analisi dei dati: tutte le 21 violazioni riconosciute in questo arco di tempo dalla Corte Europea hanno come convenuto un paese dell'Est Europa, mentre, all'opposto, la totalità dei casi riguardanti i paesi di tradizione occidentale si sono conclusi con il rigetto del ricorso e la conseguente valutazione di legittimità delle posizioni sostenute dai vari Stati16. Possiamo, quindi,

14 Rimando ai dati citati da S. Ferarri in “La Corte di Strasburgo e l'art. 9 della Convenzione Europea: un'analisi quantitativa della Giurisprudenza”, pg 28-29, in “Diritto e Religione” a cura di Roberto Mazzola, Il Mulino, 2012. L'unica eccezione fra i paesi occidentali , per quanto riguarda il periodo di tempo preso in considerazione, è costituita dal Belgio nel caso Dakir vs Belgium. E' interessante notare come la fattispecie sia, come vedremo, per molti aspetti simile a quella dei casi francesi, segno che la problematica del porto dei simboli religiosi in luoghi pubblici, sopratutto di quelli che rendono difficoltoso il riconoscimento dell'identità personale, si stia diffondendo e sia affrontata in modo simile anche in altri paesi europei.

15 Tengo a sottolineare che tale conteggio tiene conto delle sole violazioni relative all'art. 9 dato che, in molti ricorsi, la tutela della libertà religiosa costituisce solo uno degli aspetti o dei diritti sui quali il richiedente lamenta una condotta contraria alla Convenzione da parte degli Stati convenuti. Dal conteggio sono, quindi, stati estromessi le richieste inter alia relative ad altri articoli e le decisioni relativamente ad essi prese dalla Corte.

16 Dei 9 casi in cui la Corte riconosce come legittimo l'operato dello Stato Nazionale, solo 2 hanno come convenuto un paese dell'Est Europa e sono, nello

evidenziare due aspetti: da un lato, ciò conferma la particolare difficoltà da parte degli Stati Orientali ad allinearsi alla linea espressa dagli Organi di Strasburgo per quanto riguarda la tutela dei diritti e delle libertà religiose, cosa che genera un maggior numero di violazioni e di cui la quasi totalità si risolve in una condanna; dall'altra, la Corte stessa sembra essere tendenzialmente più incline a condannare ed a ritenere violato il margine d'apprezzamento quando, come convenuto, vi è uno Stato dell'Est, ponendo in questa casi una particolare attenzione alla tutela dei diritti in paesi con un scarsa tradizione in difesa degli stessi e provenienti da esperienze politiche in contrasto con la democrazia, la quale, è importante ripetere, è ritenuta l'unica forma di Stato compatibile con la Convenzione e la tutela dei diritti umani17. Per quanto riguarda gli 8 casi

riguardanti i paesi dell'Europa Occidentale, invece, la Corte ha sempre ritenuto non violati i dettami della Convenzione, riconoscendo in tutti i casi un ampio margine d'apprezzamento: questo, a mio parere, denota come le presunte violazioni che interessano tali Paesi siano tendenzialmente più lievi e di come le tematiche interessate riguardino ambiti, come ad esempio quella dei simboli religiosi, dove la giurisprudenza della Corte è incline a riconoscere un ampio margine di apprezzamento, sia perché riguardanti tematiche con forti risvolti politici, dove si è più inclini a riconoscere la “better position”, sia perché la sua giurisprudenza non esprime indirizzi univoci in tali materie, non essendosi ancora manifestato un “consensus standard” europeo nell'affrontare tali problematiche.

In conclusione, e prima di analizzare questo aspetto nell'esame successivo dei vari casi specifici, possiamo notare come il margine si confermi uno strumento principe con il quale la Corte affronta la difesa dei diritti umani, in particolare religiosi. Tale strumento costituisce, in moltissimi casi, uno dei fattori fondamentali sui quali la Corte si interroga e la sua espansione o restrizione, in base alle fattispecie del caso concreto, influenzano l'esito del procedimento, che si può risolvere o in una condanna, se il margine è stato violato, od in un rigetto, se invece lo Stato nazionale ha operato all'interno del suo spazio discrezionale. Interessante notare che, relativamente a quest'ultimo punto, in tutti i casi nei quali la Corte non ha riconosciuto la violazione della Convenzione da parte dello Stato, gli Organi di Strasburgo hanno fatto costantemente riferimento e concesso un ampio margine d'apprezzamento ai vari paesi Membri, segno del perdurare di un rapporto inversamente proporzionale, già evidenziato nel precedente

specifico, i casi Greek Church Luperi Catholich Partisi vs Romania e Suveges vs

Hungary.

17Vedi P. Tanzanella, “Il margine d'apprezzamento”, in “I diritti in azione”, a cura di M. Cartabia, pg 150, Bologna, 2007.

capitolo, fra ampiezza del margine d'apprezzamento e intervento della Corte in senso sanzionatorio.

Dopo questa analisi con una funzione introduttiva al tema specifico, passiamo ad esaminare i singoli casi riguardanti l'art. 9 che sono stati decisi dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ,seguendo la distinzione tematica da me precedentemente illustrata18.

2.2 a) La tutela della libertà religiosa per individui sottoposti a misure limitative della libertà personale

I casi decisi dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nel periodo di tempo che fa dal 2013 al 2018 riguardanti la tutela della libertà religiosa per persone sottoposte a misure limitative della libertà personale sono 6, tutti riguardanti paesi dell'Europa Orientale entrati a far parte del sistema della CEDU successivamente alla caduta del muro di Berlino. Nella quasi totalità di questi casi, non ci si concentra solo sulla violazione dell'art. 9, ma quest'ultima fa parte di una serie di altre richieste, principalmente relative all'art. 3 e 8, ossia il divieto di trattamenti inumani e degradanti e la tutela della vita familiare, che il richiedente ritiene violate durante la sua permanenza in strutture detentive o, comunque, durante una misura limitativa della libertà personale, quale ad esempio l'arresto domiciliare.19

Nel caso Vartic vs Romania del 17 Dicembre 2013, il richiedente lamentava che, durante la sua detenzione nel Rahova Prison in Romania, gli fosse stato impedito di poter usufruire di una dieta vegetariana all'interno del carcere, in violazione della Convenzione ed integrando, quindi, una condotta discriminatoria per il suo credo religioso, essendo lui buddista; inoltre, lamentava anche la violazione dell'art. 3 CEDU, ritenendo che non gli fossero state corrisposte cure mediche adeguate al suo stato di salute, in quanto malato di epatite B, malattia che riteneva, 18 La distinzione operata è ispirata dal lavoro di Jacob, White and Ovey in “The European Convention on Human Rights”, Sixth edition, Oxford University Press. Vedi nota 4 Capitolo 2.

19 Come sottolineato nel precedente paragrafo, la mia analisi si limiterà ad i punti riguardanti il tema stesso di questa tesi, ossia la violazione dell'art. 9 e la libertà religiosa, a meno che prendere in considerazione altri elementi si riveli necessario ai fini dell'analisi.

oltretutto, di aver contratto durante la sua permanenza in carcere a causa delle scarse misure e standard igienici. 20

L'attore era stato condannato a 25 anni di prigione nel 1999 e stava scontando la sua condanna nella Rahova Prison. Dal 2006, lo stesso aveva fatto più volte richiesta alle autorità carcerarie e al Servizio Nazionale Carcerario21 di poter usufruire di una dieta vegetariana, sia

essendo la stessa accordo con il suo credo buddista, sia perché ritenuta la più indicata in relazione alle sue condizioni di salute. Il 14 Giugno 2007, le autorità della prigione informavano il sig. Vaaric che, secondo le disposizioni rilevanti in materia, la richiesta di una dieta vegetariana non poteva essere accolta, facendo notare la possibilità di alcune alternative, fra cui quella di usufruire della dieta del digiuno praticata dai detenuti cristiani ortodossi, la quale esclude alcuni tipi di carne ed alcuni cibi di origine animale oppure di seguire la dieta per i detenuti in stato di malattia. In seguito a ciò, il richiedente proponeva reclamo alle autorità giudiziarie responsabili, lamentando un comportamento discriminatorio da parte delle autorità oltre a varie altre negligenze22. Ritenendo i giudici

dell'esecuzione le richieste avanzate come infondate23, quest'ultimo si

rivolgeva alla Corte del Distretto di Bucarest, ricevendo, anche qui, un rigetto per manifesta infondatezza della richiesta. Quest'ultima, inoltre, precisava che, in relazione alle sua richiesta, l'ordine ministeriale regolante la materia non prevedesse alcuna disposizione riguardante diete interamente vegetariane e come al detenuto fosse stata corrisposta la dieta più adeguata alla sua situazione religiosa ed al suo stato di salute. Il richiedente, quindi, ritenendo esauriti i rimedi interni e di non poter essere ascoltato altrimenti, si rivolge alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, lamentando, la violazione dell'art. 3 sui trattamenti inumani e dell'art. 9 per quanto riguardava la tutela della sua libertà religiosa. Per quanto riguarda quest'ultima, il richiedente afferma che il rifiuto oppostogli dall'autorità, rappresenti una violazione della sua libertà