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SUBCOGNIZIONE, ANALOGIA E SIMBOLI ATTIVI: VERSO UNA NUOVA TEORIA DEI CONCETT

4.1 Uno sguardo retrospettivo

Il capitolo conclusivo di questo lavoro è dedicato alla ripresa e alla valutazione dell’approccio allo studio dei processi di pensiero esposto nei precedenti capitoli, definito “subcognitivo”, con un’attenzione particolare ai suoi presupposti e alle implicazioni sia dal punto di vista filosofico sia dal punto di vista dell’IA e delle scienze cognitive. Prendiamo lo spunto ripercorrendo la strada compiuta sin qui.

Nel primo capitolo sono state illustrate alcune questioni teoriche di cornice. Le domande che ci siamo posti riguardano uno dei problemi che hanno interessato più da vicino l’impresa dell’IA come disciplina volta allo studio dei molteplici fenomeni mentali in cui sono implicati il significato e la conoscenza, prendendo come punto di riferimento la nozione di intelligenza. È possibile che una macchina esibisca un comportamento intelligente? In che modo? Quali sono le condizioni che ci permettono di attribuire intelligenza a una macchina? Turing ha provato a fornire una risposta filosofica e pratica al tempo stesso a queste domande, proponendo il famoso gioco dell’imitazione e dando l’avvio, con ciò, alla sua controparte più tecnica, la teoria della simulazione in ambito cognitivo. Le idee di Turing sono state più volte riprese nel corso della seconda metà del Novecento, fino a essere criticate all’interno di un apparato teorico-filosofico, quello di Searle, volto alla sconfessione della ricerca in IA, in particolare quella simbolica, prevalente ai tempi in cui tale critica è stata formulata.

Il problema posto da Searle, indipendentemente dalle conclusioni cui arriva, è di ampio respiro. Comunemente viene inteso in questo modo: come è possibile che una macchina sia dotata di una capacità semantica? Una formulazione più appropriata potrebbe essere la seguente: se ascriviamo a un uomo una determinata capacità che chiamiamo “semantica”, a quali condizioni possiamo considerare una macchina dotata della stessa capacità? La proposta che abbiamo fatto in quella sede è stata quella di volgere la nostra attenzione non tanto al modo in cui il linguaggio, inteso come sistema di segni, è dotato di significato, per poi andare a cercare ciò che manca ai linguaggi, cioè ai simboli, utilizzati da una macchina per potersi dire dotati di significato. Piuttosto, ci è sembrato più

giusto porre il problema dal punto di vista delle abilità percettive e rappresentative, e del modo in cui esse possono essere simulate su un sistema. La portata della domanda si è perciò allargata, così come si sono diversificate le risposte che le scienze cognitive hanno cercato di fornire in merito a tali questioni negli ultimi decenni. In che modo, sembra più giusto chiedersi infatti, è possibile costruire un sistema artificiale che simuli le capacità percettive umane “di alto livello”, ovvero connaturate con i fenomeni cognitivi di categorizzazione, concettualizzazione, creazione di analogie, i quali sembrano implicare tanto l’apporto di informazione esterna al sistema, quanto la modificazione dell’informazione che detiene il sistema e la creazione di nuova informazione? Ciò implica necessariamente la comprensione del modo in cui il sistema viene approntato e non soltanto la stima della corrispondenza fra le sue risposte e quelle di un essere umano. Affrontare tali questioni ci è sembrata una strada obbligata per aggirare l’impossibilità di capire dove sta, per dirla con Leibniz, la vera natura della macchina percettiva, che si confronta con l’ambiente in cui agisce e che produce azioni dotate di significato in merito a specifici compiti, visto che, potendo osservare i pezzi della macchina che produce percezione, non siamo in grado di indicare con precisione il pezzo (fisico) che la produce.

Le risposte a queste domande chiamano in causa, necessariamente se si vuole una spiegazione, la comprensione dell’organizzazione funzionale dei meccanismi del pensiero, nonché una serie di quesiti sulla loro dipendenza/indipendenza dai meccanismi fisici che li rendono materialmente possibili, ma anche il riconoscimento del livello che si è disposti ad accettare come esplicativo. A tale proposito non si può prescindere dalla nozione di “funzionalismo”, che, in modo onnicomprensivo (Cordeschi, 2002), è alla base delle discipline simulative, perché costituisce la condizione necessaria della loro valenza esplicativa.

L’approccio funzionale allo studio dei processi di pensiero che abbiamo introdotto nel secondo capitolo non trascura la possibilità che la spiegazione dei fenomeni mentali possa essere vista nella strutturazione di sistemi complessi, che riproducono aspetti di livello intermedio fra mente e cervello, perché avvengono al di sotto del livello dell’attenzione cosciente. La prospettiva individuata è stata così definita, dagli studiosi che l’hanno adottata, “subcognitiva” e riguarda il modo in cui la mente attua i processi percettivi compresi in uno spettro molto vasto che va dalla categorizzazione alla mappatura concettuale e alla produzione di contenuti di pensiero che sublimano, in complesse strutture concettuali, la distinzione fra categorie e processi.

Nel corso del terzo capitolo abbiamo passato in rassegna diversi modelli computazionali volti a questo scopo, sottolineando come il problema della rappresentazione della conoscenza in un modello vada di pari passo con il problema del modo in cui quel modello è in grado di

rappresentarsi la realtà, cioè il dominio, in cui interagisce. Abbiamo anche visto come, nella

prospettiva subcognitiva, la fusione di aspetti concettuali e materiale percepito è ciò che deve essere spiegato, quanto alle condizioni della sua attuazione, per capire in che modo la mente arriva a

dotarsi di contenuti significativi e allo stesso tempo a dotare i contenuti stessi di significato. I due

processi non possono essere scissi, pena il ricadere nelle anomalie teoriche evidenziate da Searle. In questo ultimo capitolo, riprenderemo il discorso da un punto di vista più generale, innanzitutto cercando di individuare le idee implicate dall’approccio che abbiamo preso in considerazione. Ricostruiremo poi la teoria del sistema mente/cervello che soggiace all’approccio subcognitivo. In seguito, considereremo l’aspetto più significativo della teoria computazionale espressa dall’approccio subcognitivo all’IA, il pensiero come risultato emergente dell’interazione dell’attività di micro-agenti. Ne vedremo i collegamenti con una teoria non subsimbolica dei processi di pensiero e concluderemo il discorso analizzando in che modo queste idee e la loro implementazione gettano luce sul problema, che riguarda anche la filosofia e la psicologia, della natura dei concetti, attraverso la proposta di una teoria che li vede come analogie.

Il discorso sarà introdotto affrontando in via preliminare alcune questioni epistemologiche riguardanti la ricerca nelle scienze cognitive e la difficoltà di valutare i suoi prodotti, questione che riguarda da vicino l’approccio preso in considerazione in questo lavoro proprio per il massiccio ricorso, a fini esplicativi, a un apparato funzionale apparentemente senza un esplicito riferimento simulativo, così come lo sono stati i neuroni per i nodi delle reti neurali e i termini e i costrutti linguistici per i programmi basati su formalismi logici di rappresentazione ed elaborazione della conoscenza.