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La stanza fra linguaggio e percezione

L’interpretazione che si è data dell’argomento di Leibniz vuole essere coerente con l’idea che non bastano le leggi causali che governano le componenti del cervello a spiegare determinati fenomeno cognitivi. Come nel caso degli esperimenti mentali presi in considerazione più sopra,

41 Che le percezioni, cioè le rappresentazioni, abbiano un ruolo funzionale nello svolgimento del pensiero, nel senso

proprio di veicolare informazioni e di causare altre rappresentazioni, è questione che oltrepassa i limiti di questo discorso. Per rimanervi dentro, basti considerare che l’argomento del mulino riguarda essenzialmente il modo in cui un individuo può affermare di avere o possedere una particolare percezione.

42 Indipendentemente dal fatto che essere costituiscano o meno a loro volta macchine ulteriormente analizzabili. Nella

visione di Leibniz non c’è nulla che vada contro l’ipotesi secondo la quale ogni livello contiene, in relazione a quello immediatamente inferiore, le proprie ragioni esplicative meccaniche e strutturali.

43 Un altro indizio a favore di questa intepretazione può essere visto in quelle petites perceptions di cui Leibniz parla

nella Prefazione ai Nuovi saggi sull'intelletto umano e che determinano, in modo inconscio e, a quanto si può capire, attraverso una modalità interattiva complessa, la percezione cosciente: «Queste piccole percezioni sono [...] di più grande efficacia di quanto si pensi. Sono esse che formano questo non so che, questi gusti, queste immagini delle qualità dei sensi, chiare nell’insieme, ma confuse nelle parti; queste impressioni che i corpi circostanti producono e che racchiudono l’infinito, questo legame che ciascun essere ha con tutto il resto dell’universo. Si può anche dire che, in conseguenza di queste piccole percezioni, il presente è pieno dell'avvenire e carico del passato, che tutto è conspirante [...]» (Leibniz, 1705/1982, p. 49).

anche qui ci troviamo di fronte a una situazione in cui variazioni apposite producono uno stato di cose solo idealmente esperibile, il quale può essere considerato, mutatis mutandis, come l’esperienza di visualizzare singoli neuroni, o insiemi di neuroni di grandezza crescente, che scaricano a una velocità rallentata fino al punto che possiamo percepirli attraverso i nostri sensi nell’atto di produrre la percezione. Con la sua operazione argomentativa, Leibniz vuole veicolare l’idea che conoscere il modo in cui i singoli pezzi si muovono, le leggi dell’eccitazione e della scarica, non è sufficiente per una spiegazione completa di questo fenomeno mentale. Occorre avere anche una visione d’insieme dell’intero meccanismo. Questa è la risposta del sistema, che sembra implausibile fino a che si consideri il sistema, come fa Searle, soltanto una mera giustapposizione di parti differenti44 e non una struttura relazionale organizzata.

L’avere affrontato il tema della percezione in relazione all’argomento della stanza ci permette un’ultima riflessione. È abbastanza evidente che le due mosse cui si è accennato in precedenza non sono applicabili alla situazione immaginata da Leibniz. Non si può avere una prova esteriore dell’avere una percezione, se non attraverso un resoconto linguistico o una constatazione operativa delle azioni e del comportamento del sistema. Non è tanto questo, però, che Leibniz intende sottolineare con il suo argomento, quanto piuttosto individuare il livello adeguato e le categorie concettuali adatte per poter dare un resoconto esplicativo del fenomeno. L’aspetto formalistico non viene preso in considerazione, né potrebbe esserlo, a meno che non si voglia attribuire un significato formale alle “ragioni meccaniche” che governano il movimento dei pezzi del mulino. La stanza di Leibniz differisce da quella di Searle, e, dunque, differiscono anche le conclusioni che se possono trarre in merito ai due fenomeni coinvolti. Con quali conseguenze?

Nella sua analisi dell’argomento della stanza cinese Chalmers arriva a esiti analoghi a quelli cui siamo giunti in queste pagine, vale a dire che non siamo in presenza di un argomento stringente contro il computazionalismo tout court e la possibilità di implementare la comprensione e i fenomeni coscienti in generale (Chalmers, 1996, p. 332). Tuttavia, è proprio il generalizzare l’argomento a qualunque tipo di esperienza cosciente45 a non sembrare attuabile. L’argomento della stanza cinese funziona se è sotto esame la comprensione linguistica, e solo quella, in quanto capacità cognitiva da implementare in un programma. Questo è dovuto al fatto che solo il linguaggio, o, meglio, una specifica lingua culturalmente e storicamente determinata quale insieme di simboli fonetici e grafici, si presta all’operazione effettuata Searle per comprovare e rafforzare le sue tesi contro il computazionalismo dei fenomeni mentali. Naturalmente questo vale a fortiori per qualsiasi linguaggio formale specifico, ma l’argomento rappresenterebbe in questo caso una

44 «L’idea è che, mentre una persona non comprende il cinese, in qualche modo la combinazione di quella persona e di

pezzi di carta potrebbero, insieme, capire il cinese: non è facile per me immaginare che qualcuno (che non fosse nella stretta di un’ideologia) potrebbe trovare l’idea in qualche modo plausibile» (Searle, 1980, p. 53). In qualunque modo si voglia valutare questa affermazione, rimane il fatto che il suo grado di plausibilità è esattamente lo stesso dell’argomento della stanza cinese.

45

«Si prenda un programma che è supposto catturare qualche aspetto della coscienza, come comprendere il cinese o avere la sensazione di rosso» (Chalmers, 1996, p. 329, [corsivo mio]).

situazione banale. È ovvio, infatti, che un linguaggio formale possa essere trattato in maniera meccanica; é così per definizione. Non è ugualmente chiaro in che modo e fino a che punto è possibile trattare meccanicamente il linguaggio naturale e proprio da questa discrepanza trae forza l’argomento della stanza cinese. In altri termini, ciò che è sotto indagine è il grado di formalismo, cui un linguaggio naturale deve essere ridotto o con cui deve essere analizzato, per poter essere implementato meccanicamente. Questo appare anche più evidente se si considera che gli stessi linguaggi di programmazione sono linguaggi formali ai quali si adatterebbe molto di più un trattamento simile a quello riservato al cinese all’interno della stanza, anche se in misura sempre minore man mano che si risale la scala gerarchica dei linguaggi da quello macchina fino a quello naturale, utilizzato per la formulazione della pre-struttura algoritmica di un programma.

Chalmers stesso, nell’esposizione della sua versione dell’argomento, sembra confermare il fatto che la stanza cinese funzioni soltanto se riferita alla comprensione del linguaggio e non a qualunque aspetto della coscienza. Nella sua descrizione, infatti, ripropone lo schema originario di Searle, adoperando come esempio “paradigmatico” la (non) comprensione della lingua cinese. In realtà, non c’è nulla di paradigmatico, bensì si tratta di un’esclusività dovuta all’effettivo darsi, di volta in volta in una forma concreta parlata o scritta, della natura squisitamente simbolica del linguaggio, una forma che è storicamente, socialmente o convenzionalmente – si pensi ai linguaggi formali e ai linguaggi di programmazione – determinata. Perciò, al di là della disputa se questo argomento si riferisca soltanto all’intenzionalità o anche alla coscienza, che qui ci interessa solo marginalmente, mi pare che il modo in cui Charlmers ricostruisca l’argomentazione mostra che non si possono mettere sullo stesso piano linguaggio e percezione (intesa come categorizzazione di una sensazione) e che c’è una profonda differenza fra la stanza cinese e il mulino senziente descritto da Leibniz: il primo è un argomento contro una spiegazione formalistica, che però non esaurisce tutte le forme di computazionalismo, dell’attività cognitiva, mentre il secondo è un caveat nei confronti del corretto atteggiamento esplicativo da impiegare nel dare resoconti dei processi del pensiero.

La tendenza ad assimilare l’IA e le scienze cognitive precedenti l’affermazione del punto di vista connessionista ad una ricerca che ha come esclusivo costituente del pensiero una concezione modulare e sintattico-manipolativa dei contenuti della mente è a metà strada tra l’essere adeguatamente e approssimativamente realistica. Di certo, l’IA dei primi quaranta anni non può essere ridotta soltanto allo studio del Linguaggio del Pensiero, delineato da Fodor. Tuttavia, questo ne è stata una componente fondamentale. La versione forte del computazionalismo sottesa alla modularità della mente e al Linguaggio del Pensiero ha influenzato profondamente il campo di studi delle scienze cognitive, in alcuni casi apportando benefici proprio attraverso l’affermazione dogmatica e perciò provocatoria di questi due assunti teorici. In particolare, l’idea di un Linguaggio del Pensiero ha posto l’attenzione sul ruolo centrale che hanno i concetti, interpretati come “le parole del pensiero” soprattutto a causa della plausibilità di una loro connotazione unitaria e stabile

produzione del linguaggio, l’apprendimento, la percezione. Le critiche a questa concezione hanno favorito la nascita di una nuova impostazione di ricerca nelle scienze cognitive, che dopo pochi decenni lascia ancora aperti numerosi problemi relativi alle attività cognitive di alto livello, sia per quanto riguarda la nozione di rappresentazione, sia per quanto riguarda la spiegazione di fenomeni come la percezione e la produzione e comprensione del linguaggio.

Nei prossimi capitoli la nostra attenzione si volgerà, perciò, a un’impostazione della ricerca all’interno delle scienze cognitive che non si propone di eliminare del tutto la parte simbolica del pensiero, ma che attua una profonda revisione nel proporre un differente approccio alla modellistica computazionale cognitiva, indagando aspetti tradizionalmente lasciati da parte dall’IA simbolica, quelli subcognitivi, e mettendo al centro la questione della rappresentazione della conoscenza e della modellizzazione dei concetti. Le riflessioni proposte in questo capitolo saranno il puntello d’appoggio in questo percorso per arrivare a nuove riflessioni epistemologiche nella parte finale di questo lavoro, tenendo ben presente che, ogni volta che il tentativo è quello di produrre un sapere scientifico e oggettivo, la validità di certe obiezioni non può essere cancellata attraverso il semplice stravolgimento degli obiettivi e il cambiamento delle metodologie impiegate. Questo vale anche, e in special modo, per tutte quelle discipline scientifiche che, volentieri o meno, devono fare i conti con la scomoda e ingombrante nozione di “mente”.

Capitolo 2

L’APPROCCIOSUBCOGNITIVOALL’INTELLIGENZA

ARTIFICIALE