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3.1 Condivisione e Peer-2-Peer definizioni e caratteristiche

La questione della regolamentazione e di un controllo più ampio degli affitti brevi, in realtà, è solo la punta dell’enorme iceberg dietro il quale si cela un sistema ben più ampio e complesso di quello che pensiamo quando parlia-mo di piattaforme di affitto online: esse, infatti, scaturiscono dallo sviluppo e l’espansione sempre più rapida e radicale di un sistema di relazioni, di eco-nomie di mercato, di cultura, di azioni e di pensiero che possiamo tradurre brevemente con il termine di sharing economy, che cela sotto di sé concetti e astrazioni molto più complesse del semplicistico significato di “economia del-la condivisione”. Sentir pardel-lare di sharing economy diventa, oggi, sempre più comune nonché d’importanza fondamentale nel comprendere i meccanismi che generano e movimentano gran parte dei fenomeni e degli eventi che si dispiegano quotidianamente nelle nostre vite: la maggior parte delle nostre azioni giornaliere, dei nostri pensieri e delle nostre volontà sono influenzate, direttamente o indirettamente, da un modo di vivere “condiviso”, anche sempli-cemente quando ci colleghiamo ad un social network ed entriamo in contatto con una rete più o meno ampia di persone che osservano e partecipano alle nostre azioni, oppure quando utilizziamo il web per ordinare cibo d’asporto, prenotare le nostre vacanze su siti che comparano le migliori offerte presenti sul mercato o spostarci utilizzando metodi e strumenti più sostenibili anche economicamente, usufruendo ad esempio, di mezzi di trasporto a noleggio utilizzabili da chiunque abbia una connessione ad Internet. Tutte queste azioni sono, per noi, oggi, quasi scontate ma possibili grazie proprio all’espansione di un sistema socio-economico che ha rivoluzionato il modo di agire e di pensare della popolazione, sviluppandosi rapidamente su scala mondiale. L’espressione sharing economy, infatti, nasce riferendosi agli scambi cosiddetti peer-to-peer (P2P) - ovvero tra soggetti alla pari - di risorse, beni, competenze e servizi, attraverso delle piattaforme digitali che hanno contribuito alla coniazione del termine web 2.0, riferendosi alla creazione di tutte le reti sociali nate con l’av-vento e lo sviluppo di Internet in tal senso (Smorto, 2017). Con il passare degli

anni, il fenomeno ha aggiunto al proprio vocabolario una serie di termini ed espressioni utilizzati spesso come sinonimi, come “collaborative economy”,

“collaborative consumption”, “P2P economy”, generati dalle molteplici defini-zioni che i diversi teorizzatori, che si sono dedicati allo studio del tema, hanno dato (ibidem). Non esiste ancora una definizione unitaria e universalmente ac-cettata per definire la sharing economy: Rachel Botsman, ad esempio, autrice, insieme a Roo Rogers, del libro What’s mine is yours: the Rise of Collaborative Consuption (Botsman, Rogers, 2010) definisce questo tipo di sistema come «un modello economico basato sulla condivisione di risorse sottoutilizzate, dagli spazi alle competenze agli oggetti, per benefici monetari o non monetari», insistendo sulla positività e nobiltà del fenomeno che ha contribuito a dare una visione più sostenibile dell’utilizzo delle risorse per il pianeta. In maniera più generale, invece, Benita Matofska, fondatrice del movimento People Who Share, definisce il fenomeno, come «un ecosistema socio-economico costru-ito intorno alla condivisione di risorse umane e materiali che comprende la condivisione di creazione, produzione, distribuzione, commercio e consumo di beni e servizi da parte di persone ed organizzazioni differenti» (Matofska, 2016), inserendo le parole commercio e consumo, che oggi, probabilmente, meglio si adattano al concetto di sharing economy, sviluppatasi nel corso degli anni fino a trasformarsi in un sistema molto più complesso e ampio, comprendente non solo l’aspetto economico, ma anche quello sociale, culturale, organizza-tivo. L’esistenza di tante definizioni diverse, che fanno riferimento ora ad un ambito del sistema, ora all’altro, non aiutano a comprendere il fenomeno nella sua globalità e totalità, soprattutto considerato il fatto che esso si allarga e si espande continuamente, assumendo profili sempre nuovi e innovativi: Marco Pedroni, in “La Sharing economy non esiste”, sostiene che «più che un concetto, sharing economy è una keyword del senso comune (anche di quello scien-tifico) capace di catturare un insieme di esperienze di produzione e di consumo rese possibili dalle tecnologie digitali (che abilitano la possibi-lità di condivisione), la cui varietà è però troppo ampia perché sharing eco-nomy funzioni come efficace categoria» (Pedroni, 2019, p.15), trasferendo

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un concetto semplice, come quello della condivisione, su cui il sistema si basa, ad uno più complesso, comprendente diverse sfere di significato e prendendo forma in nuove modalità di pensiero e azione. A questo proposito, ci è sicura-mente utile comprendere l’ambito in cui la sharing economy ha preso piede e si è espansa velocemente in tutto mondo, rivoluzionandolo: l’evento probabilmente più importante in tal senso è rappresentato dalla crisi economica mondiale del 2008, che ha mandato allo sbaraglio tutta una serie di certezze economiche, sociali e culturali, facendo nascere uno scetticismo condiviso e la necessità di ripensare ai valori su cui si è poggiata la società occidentale per come l’abbiamo sempre conosciuta (Bernardi, 2015). Per questo motivo, molti considerano la

(fig. 3.1) La sharing economy permette lo scambio e la con-divisione globale di risorse e servizi tra soggetti attraverso la tecnologia e il web.

nascita della sharing economy come alternativa al sistema capitalistico globale, la cui stessa ragion d’essere si basava sul possesso, sul reddito e sull’individua-lismo, ponendo l’accento sulla necessità, in primis, di salvaguardare il pianeta attraverso delle politiche di sostenibilità, in cui ben si inserisce l’esistenza di un sistema economico fondato sulla condivisione delle risorse, spesso sottoutiliz-zate, di ogni singolo individuo. Inoltre, lo sfrenato individualismo perseguito dalla società capitalistica ha generato delle conseguenze negative a livello so-ciale, portando l’individuo a isolarsi in un mondo consumistico fatto di averi personali (ibidem). Le reti sociali create dall’economia della condivisione, han-no permesso all’individuo, almehan-no in senso teorico, di riscoprire l’importanza delle relazioni con gli altri e di far parte di una sfera comunitaria, influenzando, in questo modo, l’evoluzione di un sistema che non agisce solo a livello eco-nomico, ma anche e soprattutto a livello sociale e relazionale, in cui la fidu-cia reciproca assume, spesso, connotati fondamentali (Luise, Chiappini, 2017).

3.2 L’importanza della tecnologia

E’ impossibile pensare alla sharing economy come un concetto che possa pre-scindere dalla presenza di Internet e da dispositivi elettronici: la sua principale caratteristica è proprio quella di essere nata, sviluppata e diffusa grazie all’a-vanzare delle nuove tecnologie, che hanno permesso agli individui di entrare in contatto tra loro, scambiarsi opinioni, conoscenze, beni e competenze (Suther-land, Jarrai, 2018). I social network, le “app” e le piattaforme online che permet-tono la condivisione di infinite categorie di file diversi, sono nati da un modo di ragionare che prevedeva che tutti entrassero in possesso delle conoscenze e di ogni tipo di bene esistente e scaricabile dal web, spostando l’attenzione sull’im-portanza dell’accesso piuttosto che del possesso, ed in effetti, oggi, ci basta cliccare su una delle icone che aprono i vari browser di Internet e digitare sulla relativa barra di ricerca ciò a cui stiamo pensando per avere accesso alla cono-scenza del mondo e condividerlo con chiunque noi vogliamo (Pedroni, 2019).

A tal proposito Pedroni sostiene: «La cultura della condivisione è parte costitu-tiva del web 2.0: share non è forse un «bottone» tipico dei social network? Un bottone che genera una logica d’uso: l’invito a condividere opinioni, pensieri, foto, video, preferenze, gusti, esperienze – in breve, l’intero lifestyle dell’uten-te» (ibidem, p. 3), immerso completamente in un sistema in cui la community assorbe gran parte del suo tempo, rendendo anche quest’ultimo parte inte-grante della condivisione. La sharing economy vive di tecnologia e viceversa, insieme influenzano e scandiscono i nostri ritmi, il nostro lavoro, i nostri pen-sieri, immersi come siamo in un mondo più “smart” ed è difficile, ormai, se non impossibile, pensare ad un mondo senza la presenza delle due cose, grazie alle quali ci sentiamo, in qualche modo, come si è detto, parte di una collet-tività più ampia, che sia o meno calata nel web, e che ci permette di allargare i nostri orizzonti in termini di interessi, passioni, conoscenze (Bernardi, 2015).

Partendo da questo concetto sono nate molte community e piattaforme che non solo hanno permesso a milioni di utenti di entrare in contatto tra di loro, ma alcune ci hanno costruito sopra delle vere e proprie imprese che, sulla base dei principi della sharing economy, hanno fatto in modo - ed è questo, forse, l’aspetto più sorprendente - da riuscire ad influenzare e cambiare anche i mer-cati tradizionali, cambiando le consuete modalità del fare business: spuntano sempre più spesso, infatti, piattaforme e imprese che si servono dei concetti basilari della collaborative economy per fare soldi e accaparrarsi quote di mer-cato sempre più grosse, dando vita, a volte, a dei veri e propri colossi capaci di generare enormi profitti e far circolare grandi quantità di denaro, appellandosi a principi di condivisione che vedono spesso esclusivamente l’intermediazione dei consumatori (Slee, 2016). Sono questi ultimi, infatti, in molti casi, a fornire il servizio ad altri consumers, in cambio di corrispettivi in denaro (tra queste rien-tra anche Airbnb), sfruttando le risorse delle aziende stesse, le quali poggiano la capacità di generare consenso su criteri di qualità e affidabilità dati da fee-dback e recensioni lasciate dagli utilizzatori (Schor, 2014). Queste fanno sì che si creino rapporti di fiducia tra gli utenti anche dietro ad uno schermo, renden-do quanto più affidabile possibile la piattaforma agli occhi della popolazione

e divenendo, così, le macchine che tengono in vita questi sistemi.

3.3 Forme della sharing economy

Data l’ampiezza, la complessità e la pluralità degli aspetti che caratteriz-zano l’economia della condivisione e che rendono arduo dare una defi-nizione universale ed esplorare il fenomeno in maniera completa, alcu-ni studiosi hanno cercato di categorizzare i vari aspetti, concentrando l’analisi ora sulle modalità di scambio dei beni, ora sulle tipologie di piatta-forme digitali che ne venivano fuori. Le organizzazioni Nesta e Collaborati-ve Lab, ad esempio, che operano e sviluppano da anni studi sul tema dell’e-conomia collaborativa, hanno individuato, a tal proposito, quattro sistemi di erogazione di beni e servizi a seconda di come avvengono gli scambi:

1) Il primo e più comune è il già accennato sistema peer-to-peer (P2P), lette-ralmente “pari a pari”, il quale prevede che dei soggetti con la stessa posizione gerarchica (alla pari) scambino beni e servizi in cambio di denaro o altri servizi.

Su questo sistema si basano, ad esempio, piattaforme come il servizio di car pooling BlaClaCar, che mette in contatto soggetti che hanno la necessità di di-rigersi verso una determinata direzione con soggetti diretti nello stesso luogo e che possiedono posti liberi nella propria auto, condividendo le spese di viaggio allo scopo di ridurle;

2) Altro sistema individuato è quello business-to-consumer (B2C), nel quale entrano in relazione consumatori e aziende. Queste ultime erogano prodot-ti e servizi ai primi attraverso delle piattaforme digitali create appositamente, sulle quali l’azienda mette in mostra i prodotti offerti ai consumatori, i quali pagano un corrispettivo in denaro per utilizzarli. Un esempio d’eccellenza è costituito dalle piattaforme di car sharing o bike sharing, che nelle grandi cit-tà raccolgono un consenso di pubblico sempre più ampio e arrivano, spesso,

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a farsi una concorrenza spietata;

3) Il terzo sistema delineato è quello business-to-business (B2B), in cui le azien-de forniscono servizi o prodotti ad altre azienazien-de, lo scambio avviene unicamen-te online e permetunicamen-te ad esse di condividere qualunque tipo di informazione;

4) Infine, il quarto sistema individuato è quello consumer-to-business (C2B),