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La singolarità francescana

«È una contesa [quella tra filosofia e poesia, ndr] che affonda le radici nella struttura stessa del mondo spirituale,

perciò essa può riaccendersi in qualunque momento (lo vedremo nel Trecento italiano), e ogni volta resterà alla filosofia l’ultima parola; la poesia infatti non le replica, possiede la sua propria saggezza».

Ernst Curtius1

«Perciò è grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi abbiano compiuto queste opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il semplice raccontarle!».

Francesco d’Assisi2

«Fare un evento, per quanto piccolo sia, è la cosa più delicata del mondo, il contrario di fare un dramma, o di fare una storia».

Gilles Deleuze3

0.

La tea tralità di Francesco consiste in una incredibile varietà di azioni poetiche, che sarebbe riduttivo definire “rappresentazioni” e il cui scopo è quello di realiz- zare una trasformazione individuale e collettiva, Il complesso di figure apparte- nenti tanto al cattolicesimo quanto all’immaginario medievale cui Francesco fa riferimento si riuniscono in una inedita allegoria che nel segno della ricerca di una felicità autentica rifugge dalla scrittura come espressione della asseverazione dottrinaria. In un certo senso il suo si potrebbe definire un tea tro estatico, in quanto la trasformazione si ottiene tramite una uscita da sé, un viaggio dei sensi e della

1 E. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, (1948), a cura di Roberto Antonelli, La Nuova

Italia, Firenze 1992, p. 229.

2 Ammonizioni, vi, 3, in Fonti francescane – Editio Minor – Scritti e biografie di San Francesco d’As-

sisi, Cronache e altre testimonianze del primo secolo francescano, Scritti e biografie di santa Chiara d’Assisi, Editrici Francescane, Assisi 1986 [d’ora in poi ff], p. 81

mente, ma d’altra parte si deve riconoscere che ciò avviene attraverso una creazio- ne di forme, ossia di una poetica tanto povera per i mezzi impiegati quanto animata da una grandiosa creatività. Un ulteriore aspetto rilevante sta nel fatto che non tutti i partecipanti a questo tea tro sono chiamati a realizzare il medesimo grado di esperienza e di concettualizzazione (“catarsi”), ma, al contrario, ognuno vive una esperienza propria e unica, divenendo in tal modo un “personaggio” attivo tra gli altri che popolano l’opera. Tale varietà origina da una scelta mimetica che oggi è definibile soltanto con il termine «performance» nell’accezione delineata da Jerzy Grotowski.

In effetti di Francesco non resta una vera e propria storia ma un insieme di leggende, un mito disomogeneo, contraddittorio, al quale contribuiscono fatal- mente, data la singolarità del personaggio, anche coloro che vorrebbero darne una immagine realistica, puramente umana. Un mito è vivo se funziona, se mette in moto pensieri e azioni. Nel xx secolo con Francesco ciò è accaduto. Però se si

vuole guardare al di là della storia di questo mito che nel tea tro ha ispirato, tra l’al- tro, l’opera di Jacques Copeau o di Luigi Pirandello,4 la cosa più urgente da fare è

riflettere sull’idea originaria francescana e confrontarla con i suoi esiti immediati o lontani, ma soprattutto con l’irrequietezza della ricerca tea trale contemporanea nella sua dimensione filofisica. Per fare ciò, bisogna lasciarsi alle spalle ogni deter- minismo filologico e concentrarsi sull’euristica del mito, della immensa allegoria sfrangiata costruita da tanti autori diversi, e ciò senza speranza e progetto di trarne un ricettario ideologico, nonché assumendosi l’onere di interpretazioni almeno in un primo momento manifestamente individuali. In particolare è interessante mette- re in relazione la performatività francescana con la ben nota controversia tra le istanze delle avanguardie e quelle dello spettacolo, pervenendo così, tra l’altro, a una visione di Francesco assai diversa da quella, oggi vulgata, del patrono dell’in- genuità e di un blando ecologismo.

L’opposizione tra filosofia e poesia riproposta da Curtius come una costante della storia occidentale, si manifesta anche negli atteggiamenti degli storici dell’ar- te. Quello di Thode, più di quello di Sabatier, si presenta come un testo esaltante ma anche esaltato e fuori misura, motivato dall’intenzione di rompere clamorosamente con il riduttivo francescanesimo vulgato e prefigurare l’aspetto “spirituale” delle rivoluzioni che avrebbero infiammato il xx secolo. In ciò sia Sabatier che Thode

sono figli del loro tempo: entrambi scrivono testi poeticamente propulsivi e non

4 Circa le fonti e il paradigma gnostico di quest’ultimo, per il quale la figura di Francesco è d’im-

portanza fondamentale, cfr. U. Artioli, Pirandello allegorico – I fantasmi dell’immaginario cristiano, Laterza, Bari 2001. Un contributo più recente, consonante con quelli di Artioli e di approfondimenti in varie direzioni è quello di Roberto Tessari, Come un angelo di fuoco. Verità, immaginario e scenotec-

sempre filologicamente inoppugnabili e per questo la loro efficacia è anche il segno della loro inattualità e dell’oblio cui sono stati confinati negli ultimi decenni.

Si vedrà come anche in questa prospettiva di speculazione sulle forme, quando si vogliano comprendere le loro condizioni generative e i motivi della loro affer- mazione o sconfitta, sia necessario tenere presenti sullo sfondo le questioni di valo- re, dunque ideologiche e politiche, che determinano quegli esiti. Il sentimento del mondo francescano, certamente partecipe dell’umanesimo ma non antropocentri- co, fondato com’è su una “politica dell’esserità” e sul valore d’uso di tutte le cose, non avrebbe potuto essere compreso e integrato che a prezzo di decisive correzioni da parte di una civiltà che, assieme all’accumulazione di immense ricchezze nelle mani di pochi, stava fondando e sviluppando un sistema giudiziario e di segregazio- ne (di fatto riservato ai più poveri) per tutte quelle situazioni e quei comportamenti che, dalla malattia fisica e mentale fino all’omosessualità e oltre, rappresentavano uno scarto dalla norma. Il «pazzo di Dio» non poteva essere accettato, l’ossimo- ro doveva essere scisso: la pazzia da una parte e la santità dall’altra; soltanto la ricchezza, ossia la partecipazione al processo di accumulazione, poteva garantire la monade ortodossa, eventualmente anche scrigno, per i più privilegiati, di qualche deviazione secondaria e clandestina.

Una prova dell’importanza assunta dalla Vita di Paul Sabatier è data dalla quan- tità e dalla tempestività delle sue traduzioni, mentre il volume di Henry Thode ha visto la luce in lingua italiana soltanto dopo un secolo dalla prima pubblicazione e il suo influsso è in ogni caso circoscritto alla cerchia degli storici dell’arte (anche se resta curiosa la circostanza della sua villa venduta al “francescano” Gabriele d’Annunzio e il fatto che il Vittoriale degli italiani conservi a tutt’oggi la biblioteca e la fototeca dello storico tedesco).

Thode individua le radici del Rinascimento nel Duecento, il secolo che comin- cia ad accogliere le nuove aspirazioni del nascente Terzo Stato, e ritiene significati- vo il fatto che il revival francescano si manifesti alla fine del xix secolo, quando il

Quarto Stato si sta affacciando alla ribalta della storia per determinarne un nuovo corso, come afferma profeticamente l’autore. Un ruolo decisivo, sottolinea ancora, sarà quello svolto dalla committenza artistica degli ordini mendicanti tra il xii e il xiv secolo. Non poche sono le obiezioni che si possono muovere alle sue tesi, sia su

varie attribuzioni e altre questioni di storia dell’arte, sia sull’interpretazione enfati- ca di un francescanesimo di cui non si prendono in considerazione le contraddizioni interne; ma si deve riconoscere anche l’importanza capitale di alcune rivalutazioni di Thode, per esempio quella di Cimabue o quella delle Allegorie Francescane nella Basilica inferiore: letture che hanno dato il via a svolte decisive nella storia dell’ar- te. Comunque sia, lo stesso Thode individua nell’opera di Sabatier il culmine del rinascimento francescano (naturalmente a quell’altezza di tempo) e, nella prefazio- ne all’edizione ampliata (1904) del suo Francesco d’Assisi e le origini dell’arte del

Le obiezioni che gli si possono muovere circa l’incomprensione di una discon- tinuità tra Francesco da una parte e Giotto, Bonaventura e gli altri protagonisti del movimento dall’altra, non può cancellare l’apprezzamento per il fatto che egli offra alcune pagine considerevoli sugli influssi del francescanesimo nella poesia e persino nell’affermazione della lingua italiana. E resta il fatto che il suo lavo- ro è stato per lungo tempo ignorato non tanto a causa dei suoi aspetti discutibili, ma proprio per la singolarità dell’indagine morfologica e interdisciplinare condot- ta dall’autore, alla quale gli studi successivi hanno preferito il culto del riscon- tro documentale, indubbiamente pervenendo anche ad alcune decisive correzioni critiche. Oggi però è difficile non condividere nuovamente il suo sentimento circa l’inadeguatezza delle scienze tradizionali nel riconoscere «quell’insieme organico in ogni campo del divenire umano» che «forma un grande insieme ricco di connes- sioni» e la sua invocazione di una «osservazione storica del genere umano nella sua globalità»,5 dunque, si direbbe con termini attuali, una visione olistica del mondo

e una concezione della conoscenza come rete. L’incomprensione che circonda gli autentici innovatori è dunque messa da Thode nel conto del divenire storico e lo studioso, opponendosi a quella toccata a Francesco, mostra di comprendere anche le ragioni della propria. L’idea dell’appartenenza di entrambi alla poesia piuttosto che alla filosofia o alla scienza in senso stretto lo porta alla considerazione che «il progresso artistico» precede la «realizzazione del nuovo ideale in campo poli- tico e scientifico».6 Ciò non gli impedisce di riconoscere la vertenza politica di

Francesco, ossia la sua conquista del diritto a “predicare” a modo proprio, di cui avrebbe beneficiato soprattutto il popolo, nonché di porre l’accento su «l’azione liberatrice»7 della mistica francescana, distinta da quella, definita troppo sbrigati-

vamente «amabile eccentricità», di tanti altri religiosi, domenicani in testa. Proprio a causa di questo sentimento di libertà, Francesco cerca di comprendere le ragioni degli «eretici» e di instaurare un dialogo con loro, anziché schierarsi ciecamente dalla parte di Roma.

Lo studioso tedesco gli attribuisce una «follia divina» (la theia mania plato- nica), tra virgolette;8 in base a essa Francesco proclama l’uguaglianza di tutti gli

esseri viventi davanti a Dio e il rapporto diretto e personale di ogni individuo con il suo Creatore, proposte fino a quel momento assolutamente eretiche. La tesi fonda- mentale di Thode consiste nell’affermazione che «il Rinascimento […] è comin- ciato nel xiii secolo».9 L’anticipo storico dell’arte rispetto al sociale sarebbe dovuto

5 H. Thode, Francesco d’Assisi e le origini dell’arte del Rinascimento in Italia, (1885 e 1904), a cura e

pref. di Luciano Bellosi, note filologiche di Giovanna Ragionieri, Donzelli, Roma 1993, p. 5.

6 Ivi, p. 7. 7 Ivi, p. 13. 8 Ivi, p. 60. 9 Ivi, p. 63.

al fatto che il «popolo incolto»,10 bisognoso di immagini per cogliere la portata

del messaggio francescano, avrebbe stimolato gli Ordini Minori, i quali, al fine di trasformare la fede cristiana in «immagini sensibili e darle una forma popolare»,11

avrebbero dato un impulso decisivo all’arte europea. Ciò che invece sfugge a Thode è la sostanziale differenza tra l’azione concepita da Francesco come poesia e creazione immediata e la sua prevalente trasformazione in spettacolo, o meglio in rappresentazione ideologica, da parte dei predicatori e degli artisti successivi. Va detto che questo è lo schema a tutt’oggi dominante nella storiografia e tra tutte si può citare l’opinione di Carlo Ginzburg, secondo il quale la geniale invenzione «carnevalesca» di Francesco consisterebbe nell’avere compreso che occorre(va) rivolgersi al popolo con lo “spettacolo” e le immagini anziché con la parola.12 Un

aspetto, questo, su cui si avrà modo di ritornare.

1.

Oggi possiamo affermare che la cultura e il tea tro dell’Occidente non sarebbe- ro ciò che sono se Francesco d’Assisi fosse stato considerato davvero un fonda- tore della nostra storia, come è accaduto per esempio in Tibet con il santo folle e iniziatore del tea tro Thangtong Gyalpo.13 Un tale riconoscimento avrebbe dato

vita a una tradizione delle arti rappresentative completamente diversa da quella che ci è familiare. Sia come sia, se è vero che applicarsi a tracciare una storia ipotetica è un’impresa vana, il fatto di orientare l’attenzione verso l’originaria idea francescana di tea tro ci fa comprendere come in lui si incarnasse una conce- zione della tea tralità non fondata sulla illustrazione ideologica di concetti o testi, ossia sull’articolazione discorsiva, e nemmeno riducibile alla successiva predica- zione tramite exempla, ma piuttosto una concezione della vita stessa come azione poetica, o meglio ancora di performance. In altre parole, ciò che si può defini- re come «tea tralità francescana» non ha nulla da spartire con il sistema della rappresentazione europeo rinascimentale e post-rinascimentale destinato a diven- tare il protocollo universale della scenicità. Dal Cinquecento il tea tro assumerà la propria fisionomia moderna di specialismo e di arte intesa come produzione di forme, mentre Francesco concepiva la tea tralità come un’attività filosofica e cognitiva, una ontologia e una gnoseologia fisiche, come gioco e insegnamento nel quale ciò che conta non sono le forme intese come prodotto e modello (imma-

10 Ibid. 11 Ivi, p. 64.

12 Cfr. C. Ginzburg, Folklore, magia, religione, in Storia d’Italia, i, Einaudi, Torino 1972, pp. 603-676. 13 La letteratura su Thangtong Gyalpo è relativamente vasta e autorevole, soprattutto in lingua ingle-

se. Se ne trova riscontro in A. Attisani, A che lha mo – Studio sulle forme della tea tralità tibetana, Olschki, Firenze 2001, in particolare cfr. il cap. iv, Leggende e storie, pp. 225-302.

gine), ma un’azione strutturata, un processo destinato a trasformare il corpo- mente di attori e spettatori.

Naturalmente il caso di Francesco d’Assisi non è estraneo alle coordinate della storiografia. I mutamenti di cui è stato portatore nell’ambito della chiesa e della stessa civiltà medievale hanno talmente scosso coloro che lo hanno conosciuto o che dovevano fare i conti con la sua eredità, da produrre una miriade di resoconti e interpretazioni della sua figura e della sua opera. Ciò non toglie, però, che «gli elementi essenziali della [sua] biografia sono scomparsi o sono stati completamente alterati»,14 come ammetteva Paul Sabatier, il primo studioso moderno e rigoroso

che abbia consacrato la propria vita allo studio della questione francescana. Per esaminare la figura di Francesco dal punto di vista del comportamento performati- vo, le dispute ideologiche in questione non costituiscono una insormontabile inter- ferenza, giacché il contenzioso tra biografi riguarda piuttosto il portato dottrinario e temi come i miracoli o le stimmate, mentre i comportamenti performativi che costituiscono l’asse centrale della nostra attenzione appartengono alle zone della biografia francescana meno soggetta a interpretazioni e manipolazioni, così che è possibile procedere abbastanza agevolmente sulla scorta della “agiografia critica” moderna, dal testo di Sabatier ai più recenti testi di svolta di Chiara Frugoni15 e

infine ai lavori di Sandra Migliore.16

In questa sede, però, ci si concentrerà piuttosto su quanto e come una idea dell’“agire scenico”, sia pure storicamente sconfitta e marginalizzata, abbia influen- zato il tea tro occidentale, in particolar modo riaffiorando in alcune delle maggiori avanguardie del xx secolo e in seguito assumendo un’importanza sempre crescente,

benché scarsamente documentata. Basterà ricordare che a partire dalla fine del xix

secolo, prima con Henry Thode,17 poi con Paul Sabatier,18 Ernest Renan19 e altri

autori, Francesco si ripresenta alla ribalta della cultura occidentale e sprigiona una fascinazione enorme soprattutto negli ambienti artistici, laddove con maggiore faci- lità, e a volte anche con eccessiva disinvoltura, la suggestione del suo messaggio

14 P. Sabatier, Vie de S. François d’Assise, (1894), Librairie Fischbacher, Paris 1905, 32 edizione,

p. xxxiii.

15 Cfr. passim.

16 San Francesco tra due secoli: 1882-1926 – Sussidio bibliografico, a cura di Sandra Migliore, Istituto

storico dei Cappuccini, Roma 2000 e S. Migliore, Mistica povertà – Riscritture francescane tra ’800 e

’900, Istituto storico dei Cappuccini, Roma 2001.

17 H. Thode, Op. cit.

18 La prima edizione italiana della sua Vita di San Francesco d’Assisi, trad. di Carlo Ghidiglia e

Costantino Pontani, esce nel 1896 presso l’editore Loescher. La più recente: trad. di Giuseppe Zanichelli, pres. di Lorenzo Bedeschi, Mondadori, Milano 1978.

19 Il cui Saint François d’Assise uscì a Parigi nel 1884, suscitando però un’eco e una critica delle auto-

rità cattoliche incomparabilmente minori rispetto ai suoi precedenti La Vie de Jésus (1863) e Histoire

poteva essere accolta senza necessariamente accordarla con la dottrina cattolica, anzi: Francesco è diventato una icona della eterodossia e della ribellione, trasfor- mandosi da personaggio storico in mito. Tanto meno si potrà qui rendere giustizia del travaglio e delle correnti ecclesiali che si contrappongono nella interpretazione del peculiare umanesimo francescano,20 ovvero nella sua riproposizione attiva al

mondo contemporaneo, sempre in funzione di quel modo di vivere la fede che arriva a comprendere i ribelli interni alla chiesa, i sacerdoti combattenti o militan- ti politici del Terzo Mondo e quell’ecumenismo critico della globalizzazione che oggi trova in Assisi la propria capitale.21

Ciò che si propone con il presente contributo è rilanciare l’idea che il tema francescano costituisca una pagina fondamentale della storia culturale dell’Occi- dente e anche, non incidentalmente, delle sue arti rappresentative. Nella visione di Francesco il trascendente è l’indicazione di una finalità e un mezzo di propulsione che lega indissolubilmente “terra” e “tea tro”, ovvero il mondo come insieme viven- te, il reale in tutti i suoi aspetti, più o meno esperiti e apparenti, e la specifica possibi- lità umana, l’azione di conoscenza e trasformazione, di se stessi innanzitutto, perché il mondo è anche tutto dentro di noi, e la trasformazione necessaria è un processo di riconoscimento attivo e reciproco. Su questa base non si pretende di esaurire qui il tema della “tea tralità francescana”, ma soltanto di invitare a una nuova riflessione, individuale e collettiva, nella convinzione che le attuali «Fonti francescane»22 siano

per chi si interessa di tea tro non meno importanti delle Sacre Scritture per i credenti delle religioni monoteiste. Non fare i conti con Francesco significa rassegnarsi a una lacuna inammissibile, come sarebbe quella di una cultura letteraria che non comprendesse l’Antico e il Nuovo Testamento o di una cultura dell’immagine priva di un capitolo sugli affreschi di Lascaux e della Grotta Chauvet.

Ciò per evidenziare che la singolare irrequietezza spirituale delle avanguar- die contemporanee – dal simbolismo al futurismo, dal surrealismo all’astrat- tismo – coincide in gran parte con un francescanesimo attualizzato, anche se privilegia chiavi prevalentemente gnostiche ed esoteriche.23 In questo senso, oltre

agli scrittori e agli artisti che si sono ispirati direttamente ai documenti e ai luoghi francescani, bisogna rivolgere l’attenzione ad altri riattualizzatori mitici come Rudolf Steiner, il quale, nel quadro di una originale esegesi goethiana concretizza-

20 Per una sintesi in questo senso cfr. Roberto Lambertini, Andrea Tabarroni, Dopo Francesco: l’eredi-

tà difficile, postfaz. di Jürgen Miethke, Gruppo Abele, Torino 1989.

21 Cfr. J. Antonio Merino, Umanesimo francescano, Cittadella, Assisi 1984, e Thaddée Matura, Il

progetto evangelico di Francesco d’Assisi oggi, Cittadella, Assisi 1982.

22 Soltanto da pochi anni il complesso di documenti relativo all’evento francescano è stato filologica-

mente ordinato in modo rigoroso e offerto al pubblico (in traduzione italiana): cfr. ff cit.

23 Il compendio più recente e autorevole sull’argomento è naturalmente di U. Artioli, Teatro ed esoterismo

tra simbolismo e avanguardia, in Storia del tea tro moderno e contemporaneo – iii: Avanguardie e utopie

tasi poi in un articolato sistema educativo, ha esercitato una enorme influenza sulla cultura europea del Novecento.24

Non si può dimenticare, però, che la riproposta francescana si è realizzata anche su un altro versante, dove si è cercato di liberare il dato storico e la verità dell’uomo dalla rivestimento protettivo dottrinale e dalla rimitizzazione vitalista. Il massimo esito è senz’altro quello offerto nel corso degli anni da Chiara Frugoni, che inti- tola significativamente una propria opera sull’argomento Vita di un uomo.25 Se si

vuole ricomporre il quadro del rinvenimento di una figura che fino dagli albori della modernità europea sembra indicare alcuni princìpi tuttora validi per prefigurare le coordinate di un futuro, o almeno una via d’uscita dalla crisi conclamata, occorre fare riferimento anche a questo tipo di contributi. Una verifica storico-filologica come quella operata da Frugoni consente in diverse circostanze di accertare un significato degli eventi che non è attingibile attraverso l’esegesi religiosa, basti

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