LA SPECIALITÀ DEL “TERRITORIO PORTUALE”
2.1.2. I sistemi portuali come strumenti utili per il superamento della frammentarietà
La previsione di cui al D.P.C.M. 10 aprile 1986, nella parte in cui si contemplava l’istituzione di otto sistemi portuali non ha trovato attuazione, o per meglio dire, tale modello è stato progressivamente modificato.
La nozione di “sistema portuale” non è stata interamente tralasciata dal legislatore del 1994, prevedendone, però, una struttura ed un ruolo diversi.
Come il Piano generale dei trasporti e della logistica prevede l’istituzione del Sistema integrato nazionale dei trasporti, il quale dichiara lo scopo di promuovere la realizzazione di sistemi portuali, anche il D.P.R. 27 aprile 2006, n. 204 (“Regolamento
di riordino del Consiglio superiore dei lavori pubblici”) contempla l’esercizio di una
funzione consultiva obbligatoria in ordine a tali sistemi. La successiva Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria per l’anno 2007) istituisce un particolare Comitato, composto da diversi Ministri e dai Presidenti delle Regioni interessate, con il compito di adottare un piano per lo sviluppo ed il potenziamento dei sistemi portuali di interesse nazionale.
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Il Piano della logistica (deliberato dal CIPE con provvedimento del 22 marzo 2006, n. 44), proponendosi di riorganizzare, ancora una volta, la portualità e l’aeroportualità, indica, in merito ai sistemi portuali, l’istituzione di macro-aree di interesse logistico, definendo “piattaforme logistiche” le sette zone geografiche coincidenti con gli otto precedenti sistemi portuali ed individuando undici poli di concentrazione dei traffici per il “combinato marittimo”, rafforzati da strutture retroportuali ed interportuali che “fungono da polmone operativo laddove la dimensione degli spazi portuali non sia tale
da consentire il massimo livello di integrazione con il territorio di influenza”.
“Anche gran parte della dottrina marittimistica (che già dopo l’approvazione del Piano Generale dei Trasporti aveva esaltato la figura dei sistemi portuali come strumento utile a superare la frammentazione di settore “privo di qualsiasi organicità”, così saldando la frattura esistente tra porti, coste e territorio in vista di un sistema integrato di trasporto) è tuttora propensa alla loro istituzione, valorizzando fin da ora la nozione stessa di ambito portuale, spesso oltrepassando i limiti normativamente imposti. La perdurante attenzione sul non ancora definito concetto di sistema portuale (che pur sembrerebbe superato dalla legge 84/94, che non li annovera più tra i modelli di attuazione ed aggiornamento del Piano Generale dei trasporti 66) è infine dovuta alla richiesta degli imprenditori del settore marittimo, sostenuta anche dagli studiosi di economia marittima, intesa ad ottenere un assetto unitario di trasporto intermodale, rafforzato dall’incremento dei traffici attraverso container”67.
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Per un’analisi sulle motivazioni che hanno condotto all’abbandono della nozione dei sistemi portuali nell’originaria accezione, vd. ACQUARONE G., op. cit., p. 31 ss..
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2.2 Il porto da bene demaniale a territorio
Nell’analisi appena affrontata circa il contesto organizzativo che ha riguardato i trasporti marittimi negli ultimi quarant’anni, è possibile affermare quanto meno che i porti abbiano rivestito un ruolo fondamentale e “strutturante” nei confronti del sistema economico dell’area circostante ad esso.
La nostra legislazione non ci fornisce la definizione di porto, pur essendo tale bene configurato come bene demaniale marittimo specificatamente annoverato dall’articolo 28 del codice della navigazione68; per l’ambito portuale, viceversa, pur trovando questo una implicita individuazione nella Legge 84/94, trattandosi di un elemento spaziale, occorrerà soffermare l’attenzione su alcune riflessioni per poterlo così individuare.
Il porto nasce essenzialmente come luogo di rifugio, nel quale le navi potevano trovare riparo dai pirati e dalle avverse condizioni meteorologiche, trasformandosi successivamente in empori, ovvero in aree di rottura di carico e di deposito delle merci più varie. In tale visione, il porto era strettamente connesso ad un insieme di attività di carattere mercantile e commerciale, la cui origine ruota intorno alle città portuali, senza che il porto assumesse di per sé un preciso e particolare rilievo sul piano giuridico. Anche quando, intorno al XIX secolo, le aree portuali divenivano centri di trasformazione di materie prime, prevalendo così, la dimensione industriale, comunque
68 L’articolo 28, 1° comma del codice della navigazione recita: “Fanno parte del demanio marittimo: a) il
lido, la spiaggia, i porti, le rade; b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente col mare; c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo.” Una descrizione “corretta” di tali beni richiederebbe una ampia e
complessa serie di riferimenti alle varie posizioni, dottrinali e giurisprudenziali, tese ad individuare significato e limiti spaziali dei singoli beni. Per una sintetica, ma completa individuazione definitoria dei beni vd. GRECO N., op. cit., p. 104 e ss..
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il porto manteneva la sua connotazione di luogo di commercializzazione e di trasformazione di beni, nel quale tali attività imprenditoriali godevano di una disciplina propria che non considerava in alcun modo il porto stesso, lasciandolo quindi sullo sfondo delle regole relative alle predette attività.
Anche in una più recente ottica di collegamento tra porto e sistema dei trasporti, il primo veniva individuato come un luogo dotato di una regolamentazione e funzione a sé stante rispetto all’intera movimentazione delle merci, rappresentando lo sbocco per il commercio di una determinata area geografica. Per contro, nel settore del trasporto passeggeri, esso godeva di una importanza notevole, ma, al contempo, rappresentava un luogo dove le persone transitavano per partire o arrivare via mare.
Dal punto di vista giuridico, quindi, il porto è stato visto come uno “spazio”, come una res: grazie alla sua rilevanza pubblica, ma anche alla convivenza di varie attività all’interno del suo ambito, si intuì presto la necessità di attribuirgli un regime particolare.
Il nostro ordinamento positivo mantiene l’impostazione data nel diritto romano, che inseriva i porti nella categoria delle res publicae, e come tali dominium del popolo romano: sin dal codice civile del 1865, il legislatore li inserisce nell’ambito del demanio dello Stato, e tale scelta rimarrà tale fino ad oggi, essendo codificata sia a livello di codice civile che di codice della navigazione del 1942. L’articolo 822, comma 1, del codice civile annovera i porti tra i beni demaniali necessari appartenenti allo Stato, mentre l’articolo 28, lettera a) del codice della navigazione precisa che si tratta di beni
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facenti parte del demanio marittimo, risultando però circoscritto a quella sua parte che è oggetto della delimitazione, di cui all’articolo 6, comma 7, della Legge 84/199469.
Il porto, secondo la tradizionale e comune definizione70, è costituito da componenti naturali ed artificiali: i primi sono rappresentati da uno spazio di mare e da un tratto di costa antistante che presentano caratteristiche idonee al rifugio delle navi; i secondi sono costituiti da quelle infrastrutture indispensabili per consentirne la protezione e l’attracco, nonché per l’esercizio delle connesse attività.
Risulta, però, necessario sottolineare come esso non rappresenta solo una “cosa” ma anche un bene giuridico71: infatti dalla necessaria appartenenza allo Stato, stabilita dal già citato articolo 822 del codice civile, discende, ai sensi dell’articolo 810 codice civile, che allo stesso venga attribuita la qualifica di bene quale cosa che può formare oggetto di diritti. Facendo, per di più, parte del demanio marittimo, il porto presenta a sua volta l’indifferenziata funzione di assicurare gli usi pubblici del mare.
Con lo sviluppo del traffico dei container, ma anche ro-ro, il porto, da luogo nel quale la merce sosta e viene lavorata, diviene una vera e propria infrastruttura del trasporto e snodo logistico, nel quale la merce deve transitare molto velocemente, rivoluzionando così i tempi di movimentazione delle merci, sia per la quantità dei
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Sarà il Ministro dei trasporti e della navigazione ad individuarne i limiti della circoscrizione territoriale dell’Autorità Portuale con apposito Decreto. Tale provvedimento quindi, ha la finalità di individuare esattamente l’estensione di tale ambito di competenze che, non necessariamente potrà comprendere il porto riferito ad una sua geografica collocazione ed alla sua estensione delle infrastrutture e degli specchi acquei che racchiudono, ben potendo includere separate realtà territoriali aventi comunque, sempre natura demaniale marittima, non potendo, la competenza a regolare l’uso demaniale, esorbitare dai confini attribuiti, perché di competenza di altre amministrazioni, ovvero perché facenti parte dell’esclusivo diritto della proprietà privata.
70 Trattasi di uno spazio marino, più o meno ampio e protetto, dove le navi possono accedere in sicurezza
ed in ogni condizione meteorologica per ivi sostare il tempo necessario, in quanto ridossate da opere di difesa dall’azione del mare, avvalendosi di infrastrutture attrezzate per le conseguenti necessità.
71Che il porto rappresenti un bene giuridico è espressamente riconosciuto anche da CASSESE S. in I beni
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volumi di merce transitanti, che per i costi di gestione delle navi. Così, da semplice luogo ovvero bene, i porti iniziano a connotarsi come infrastruttura la cui gestione è efficiente solo in misura in cui consenta di dare celerità alle operazioni portuali, sia per accogliere i traffici in aumento, sia per competere con scali concorrenti.
Tale peculiare “gestione portuale” ha posto in rilievo la circostanza che il porto costituisce un locus oeconomicus, nel quale si svolgono attività imprenditoriali, benché solo di natura e funzione portuale, in applicazione di regole e modelli tipici del diritto dell’economia, che, però hanno messo in crisi il modello amministrativo, “nel quale diverse attività economiche svolte al loro interno erano rigidamente inquadrate all’interno di schemi monopolistici, sensibili alle esigenze di efficienza ed economicità richieste dagli utenti del porto, e cioè dai soggetti che richiedono, essenzialmente, la movimentazione delle merci in ambito portuale”72.
E’ evidente che i profondi mutamenti avutisi nel settore ovvero, l’evoluzione dei pubblici usi del mare e la crisi della concezione tradizionale del demanio marittimo, hanno fatto sì che il porto non fosse più considerato un terminale locale, un luogo di transito, ma assumesse il ruolo di “mercato”, centro di servizi, elemento dell’offerta logistica di un territorio, tassello integrato di un “sistema”73. Il porto assume rilevanza se lo osserviamo come luogo di lavoro, come area doganale, come area di frontiera, area sanitaria, come area militare ed ancora come area di rischio rilevante e, non da ultimo, come area di security: diviene, quindi, non solo bene necessario appartenente allo Stato,
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CARBONE S.M. – MUNARI F., La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno, Giuffrè Editore, 2006, p. 7.
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ma anche soggetto alla particolare disciplina propria di quei beni demaniali marittimi che può estendersi ben oltre i confini attribuiti.
La Legge 28 gennaio 1994, n. 84 ha radicalmente innovato (con particolare riguardo alle funzioni portuali) la precedente classificazione dei porti, che era disciplinata con R.D. 2 aprile 1885, introducendo, al contempo, espressioni affini a quella di porto: “area portuale” (articolo 5, comma 1 e articolo 4, comma 3), “ambito portuale”, “assetto complessivo” del porto (articolo 5, comma 1), riservando al Ministero dei trasporti e della navigazione la determinazione delle caratteristiche dimensionali di queste aree, precisando in tal modo che esse non possono che costituire un’infrastruttura di demanio marittimo.
E’ dunque il porto e le aree portuali nel loro insieme che le Autorità sono chiamate a disciplinare con l’apposito piano regolatore, unitamente al suo ambito ed all’inerente assetto complessivo. In tal modo, risultano escluse dall’attività pianificatoria quelle aree che, pur rientrando nella circoscrizione portuale, non fanno parte del demanio marittimo, in quanto detenute in forza di titolo diverso.
In questa direzione, particolarmente significativa è la pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. trib., 1° febbraio 2005, n. 196174, la quale ha affermato che un porto “è
individuato e definito, non solo con l’adozione del decreto ministeriale ex art. 4 L.84/94
di delimitazione della circoscrizione territoriale dell’Autorità portuale e di
classificazione del porto, ma si completa con il piano regolatore ex art. 5, punto 1, dello
stesso atto normativo”.
74 Tale sentenza precisa, inoltre, che il legislatore equipari costantemente il porto e l’area portuale,
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In tale circostanza si è riconosciuto che “per aversi un porto (o un’area portuale) vero e proprio non è sufficiente la presenza di uno specchio acqueo ricadente nell’ambito di quei servizi di controllo facenti capo all’autorità marittima, risultando sempre necessario uno specifico riferimento al “decreto ministeriale ex art. 4, punto 4,
L. 84/94 ed al piano regolatore portuale ex art. 5 della stessa legge” 75. La stessa Corte ha inoltre precisato costituire area portuale solo quella che è determinata con i citati decreti ministeriali, “che segnano i confini spaziali in cui sono esercitati i poteri autoritativi delle relative attività portuali”76.
Dato che l’oggetto di un piano regolatore portuale non può estendersi oltre i confini segnati dalla delimitazione amministrativa specificatamente individuata del piano stesso, la nozione di ambito portuale dev’essere limitata alle aree situate all’interno di tale limite territoriale (non solo aree demaniali sottoposte a concessione e le banchine, ma anche le opere attinenti alle attività marittime e portuali collocate a mare nell’ambito degli specchi acquei esterni alle difese foranee, purché interessati dal traffico portuale e dalla prestazione dei servizi77) non riconoscendosi dunque cittadinanza a quella più ampia nozione delineata precedentemente con riguardo alle nozioni di porto-mercato.
75 ACQUARONE G., op. cit., p. 64 e ss..
76 Cass. Civ., Sez. trib. 31 marzo 2006, n. 7651: in ciò seguita da altre conformi pronunce., quella della
stessa Sezione del 13 giugno 2007, n. 13822
77 Nel documento della Camera NT2 inerente il nuovo testo proposto dal Comitato ristretto per i disegni di
legge nn. 143, 263, 754, 2403, in particolare del testo di modifica della L. 84/94, all’articolo 14, comma 1- quienquies, nell’ambito della prestazione dei servizi tecnico-nautici, viene fornita una definizione di porto o altri luoghi di approdo o di transito delle navi, ossia “le strutture di ormeggio presso le quali si svolgono
operazioni di imbarco o sbarco di merci e passeggeri come banchine, moli, pontili, piattaforme, boe, torri, navi o galleggianti di stoccaggio temporaneo e punti di attracco, in qualsiasi modo realizzate anche nell’ambito di specchi acquei esterni alle difese foranee”.
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